Vedremo cosa uscirà dal convegno sul ministro della repubblica di Salò C.A. Biggini. Le dichiarazioni rese da alcuni nei giorni scorsi legittimano qualche dubbio: un’operazione strapaesana di rivalutazione del personaggio sarzanese e quindi di manipolazione della storia, oppure un serio approfondimento storiografico sugli ultimi contorcimenti del fascismo alla vigilia della disfatta? Vedremo. Certo che ad intorbidire le attese ha contribuito, almeno un poco e forse involontariamente, lo stesso sindaco di Sarzana parlando del “senso dello Stato e della giustizia di Biggini”. Ma di che parla Cavarra? Ha mai studiato qualcosa sull’argomento e su quel periodo storico? Biggini fu certamente un fascista integrale, dalla testa ai piedi, indubitabilmente un gerarca del fascismo, dato che così loro stessi si autodefinivano. Certo non abbiamo atteso il convegno di Sarzana per scoprire che non tutti i dirigenti fascisti erano assassini o privi di cultura. Gentile o Biggini non erano Pavolini, così come Bottai non era Starace. Ma tutti assieme, diretti da Mussolini, portarono l’Italia e gli italiani alla catastrofe. Ciò detto, poi possiamo anche discernere ed approfondire i nodi ed i passaggi storici. Tra questi, quello cruciale del ’43. Già alla fine del ’42 e nei primi mesi del ’43 è chiaro che la Germania, e con essa l’Italia, hanno perso militarmente sui fronti decisivi del Nord Africa (battaglia di El Alamein-Nov. ’42) e su quello orientale (Stalingrado, Febbraio ’43) e, quindi, l’intera guerra. E’ chiaro anche a Biggini che lo riconosce parlando con Concetto Marchesi. E’ chiaro pure che la monarchia – anche per preservare se stessa- si accinge a liquidare il governo Mussolini alla prima occasione utile; essa si profilerà nel luglio successivo. Nel frattempo Mussolini, d’intesa con alcuni di sua stretta fiducia, cerca di prevenire e pilotare gli eventi, ad evitare che essi precipitino. Su richiesta di Sforza, segretario del partito fascista, e quindi ovviamente di Mussolini, si chiede al mentore del fascismo, al più noto tra gli intellettuali fascisti, al filosofo Gentile, di lanciare un’offensiva propagandistica, patriottica e monarchica che si sostanziò nel giugno ’43 col “Discorso agli Italiani” che fu letto da Gentile a Roma nella sede de Campidoglio. Era un appello rivolto a tutti gli italiani, fascisti e non, a unirsi tutti attorno al re e al duce per salvare l’Italia ed il fascismo. Incredibilmente ed esplicitamente l’appello si rivolge anche ai comunisti “in nome dei loro ideali di fondo” che egli supponeva di conoscere. In realtà probabilmente egli sapeva che già dalla fine del ’42 i comunisti erano in contatto con esponenti di primissimo piano dell’esercito e che, per il tramite della principessa Maria Josè, avevano invitato il re a destituire Mussolini e a dar vita ad un governo presieduto da un generale che chiudesse l’epoca fascista. Il “Discorso agli italiani” di Gentile ci dice due cose: quanto fosse disperata l’angoscia del vertici del fascismo e parimenti quanto essi non avessero più il polso del paese reale e i veri obiettivi di tutte le forze politiche avverse al fascismo. Peraltro l’iniziativa di Gentile fu pubblicamente ed aspramente criticata dai settori più intransigenti del fascismo: da Farinacci a Preziosi, a Pavolini, oltre al famigerato Mario Carità, per citarne alcuni. Poi tutto precipita. Nella notte fra 24 e 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascismo critica e mette in minoranza, 19 a 8 e 1 astenuto, il duce e i suoi fedelissimi. C.A. Biggini fu uno dei 7 fedeli. Nello stesso giorno 25 Luglio Mussolini si presenta a Villa Savoia, per riferire al re, il quale lo destituisce e lo fa arrestare. Contemporaneamente dà l’incarico di formare il nuovo governo al Maresciallo Badoglio. E’ il crollo istituzionale e politico del fascismo. Dopo l’armistizio dell’8 settembre, i tedeschi liberano Mussolini e invadono l’Italia del Centro Nord. Trasferiscono il duce deposto a Monaco, dove sarà indotto, con le lusinghe e con le minacce, a dar vita al governo fantoccio della Repubblica Sociale Italiana, più nota come Repubblica di Salò, che si insediò nei territori militarmente occupati dalle divisioni tedesche. Nel frattempo si passò in Italia dall’antifascismo alla sollevazione popolare della Resistenza aperta ed armata contro l’invasore tedesco e contro il fascismo reinsediato. Come ricorda lo storico De Felice, Mussolini è il primo ad essere convinto che il suo governo sia “un fantoccio nelle mani dei tedeschi” Ne è convinto anche il Biggini che prima tentenna ad entrare a far parte del governo di Salò, per poi accettare la carica di Ministro all’Istruzione su sollecitazione personale del duce. Gentile resistette un po’ di più ad aderire al governo repubblichino di Salò. Per poi tornare all’ovile su espresso interessamento di Mussolini e di Biggini. Fu quest’ultimo che organizzò, su richiesta esplicita del duce, un incontro riservato tra il capo del fascismo e Gentile poco dopo il rientro di Mussolini dalla Germania. Il colloquio avvenne sul Garda il 17 Novembre ’43. Fu Biggini stesso a ricordare ciò, nell’elogio funebre in memoria di Gentile: “Quando ebbe il suo primo incontro col Duce, dopo la sua liberazione, uscì dal colloquio con le lacrime agli occhi e profondamente commosso mi disse: “O l’Italia si salva con Lui, oppure è perduta per qualche secolo”. Sappiamo, sempre da Renzo De Felice quale fu il succo e l’obiettivo politico di quel commovente incontro. Egli riporta la testimonianza di un filologo antifascista che, rifiutando la collaborazione che Gentile gli offriva, si sentì così rispondere “Tu non capisci niente, sei troppo giovane e non hai visto quell’uomo, Mussolini, cui io devo tutto, tutto, distrutto dall’angoscia e che quattro mesi fa mi chiedeva aiuto per salvare il salvabile.” Il governo di Salò, con decreto del ministro Biggini, lo ringraziò per l’avallo e l’aiuto promesso nominandolo subito dopo Presidente dell’Accademia d’Italia. Si spiega così il notissimo articolo di Giovanni Gentile, apparso sul “Corriere della Sera” il 28 dicembre successivo, col titolo “Ricostruire”. In esso riprende i temi patriottici dell’unità degli italiani tutti attorno al duce, questa volta però omettendo il re, già anticipati nel discorso al Campidoglio. Di nuovo, rispetto al giugno precedente, c’è l’invito o invocazione ai partigiani a deporre le armi senza nulla ugualmente richiedere all’esercito tedesco che nel frattempo occupava l’Italia e massacrava gli italiani. Promette inoltre un nuovo fascismo del domani, sempre guidato da Mussolini. Chiede insomma la resa incondizionata della Resistenza. Negli stessi giorni il duce chiede al giurista Biggini, suo ministro, di stendere una bozza di una Costituzione ottriata del prospettato neofascismo. La bozza fu sollecitamente scritta dal Biggini e tale rimase. E’ di quel periodo il fiorire di ammiccamenti e offerte, a dritta e a manca, per procacciarsi una qualche “captatio benevolentiae” per l’avvenire. Biggini, a Padova, dove aveva sede il suo ministero, cerca e in alcuni casi tiene rapporti con esponenti dell’antifascismo e del CLN veneto, mentre Gentile offre ad antifascisti, cattedratici o intellettuali, con l’avallo del Ministro Mezzasoma, collaborazioni ben retribuite alla famosa rivista letteraria e culturale “Nuova Antologia”, da lui da poco diretta. All’attivismo ammiccante e propiziatorio degli intellettuali del regime rispose il Rettore dell’Università di Padova, Concetto Marchesi, prima con il famoso discorso d’apertura dell’anno accademico e poi, contemporaneamente alle sue dimissioni, con l’Appello agli Studenti “per l’insurrezione insieme con la gioventù operaia e contadina”. Marchesi, in risposta all’articolo “Ricostruire” di Gentile, fece pubblicare nel gennaio successivo il suo appello per l’insurrezione della gioventù italiana. A Roma l’appello apparve integralmente su “Il Popolo”, giornale della Democrazia Cristiana che non solo lo pubblicò per intero, ma lo accompagnò con un proprio commento in cui venivano con disprezzo chiamati in causa quegli intellettuali e studiosi che facevano “oggetto di mercato i valori dello spirito e del pensiero, innanzi tutto Giovanni Gentile e i suoi accoliti.” E con ciò finì la farsa degli ammiccamenti e degli inviti a deporre unilateralmente le armi e la resa ad un nuovo fascismo di là da venire. Nel suo appello scrisse Marchesi “Domani vedremo, ma tra l’oggi e il domani c’è la notte e poi l’aurora.” Mi auguro che il convegno di Sarzana, in corso mentre scrivo, dia un contributo di verità e di approfondimento, senza inseguire il fraintendimento della storia intesa come lo spazio dell’oblio in cui tutte le riabilitazioni sono alla lunga concesse. Per finire, leggo oggi la dichiarazione del sindaco Massimo Federici espressa in solidarietà a Cavarra. Anch’io, come Massimo, non ho mai dubitato “sulle scelte fondamentali di campo” di Alessio Cavarra. Ma talvolta, come a tutti, può capitare anche ai più sinceri antifascisti di proferire delle stupidaggini; come scorgere nella figura di Biggini “il senso dello Stato e della giustizia”. Fu forse, anche allora, senso dello Stato far parte del governo di Salò, imposto da Hitler ad un impaurito Mussolini? E fu senso di giustizia adoperarsi a cercare la sopravvivenza della tirannide nazifascista? Ancora oggi rimane, con il ricordo, vivissimo il dolore e lo strazio nel leggere le lettere ai familiari dei condannati a morte dai tribunali fascisti, nel pensare alle stragi di militari e civili, da Cefalonia a Sant’Anna, a Marzabotto e alle Fosse Ardeatine: a chi perse la vita per dare la libertà a tutti noi, per fondare l’Italia democratica. Si può forse anche provare pietà o commiserazione per le umane vicende di alcuni singoli personaggi di quei tempi. Ma comunque sempre nella chiarezza del giudizio storico su quell’infame accadimento e sulle responsabilità individuali e collettive di chi ne fu artefice.
Sandro Bertagna
Domenica 22 novembre 2015, La Spezia oggi