I risultati delle recenti elezioni italiane hanno puntualmente confermato le previsioni formulate dal Cesi. Tale conferma non è dovuta alle particolari capacità divinatorie degli studiosi del nostro Centro Studi, ma al fatto che essi hanno effettuato analisi e prospettato conseguenze in quanto esenti da ogni condizionamento personale e facendo riferimento alle più consolidate conoscenze delle leggi storiche e delle scienze politiche.
La dinamica intrinseca all’attuale sistema italiano non poteva non portare dunque che all’attuale risultato: con questo sistema il nostro Paese è ingovernabile ed è privo di prospettive. Non si tratta soltanto di aver aggravato l’impossibilità di funzionamento del sistema politico e costituzionale vigente (indipendentemente dai difetti di origine e dalle lacune nonché dalle mancate applicazioni), ma della constatazione che esso è giunto al termine del ciclo storico succeduto alla Seconda guerra mondiale.
Non sono più possibili delle semplici riforme da parte degli attuali poteri costituiti, perché essi sono incapaci di fatto, anche se lo volessero, di proporre e attuare riforme che andassero al di là della propria sopravvivenza politica intesa nel senso più utilitaristico e immediato dell’espressione. Quindi siamo arrivati al più rozzo “si salvi chi può”.
Gli italiani, oggi, sono stati spinti da una classe dirigente presuntuosa, corrotta ed incapace a praticare quel falso e miope realismo che fu già nei secoli passati stigmatizzato da Machiavelli e Guicciardini e dal quale eravamo usciti con il Risorgimento prendendo coscienza di noi stessi. Oggi viene praticato un regressivo “guardiamo al concreto, all’immediato, al nostro particulare e poi venga pure il diluvio, sarà quel che sarà”.
Questo falso realismo di funesta riproposizione, non solo ha contagiato buona parte del popolo diffondendo pessimismo e avvilimento, ma è stato pure praticato da governanti che hanno avuto come solo obiettivo una politica fiscale predatoria che ha depresso le forze dell’imprese e del lavoro.
D’altro canto per coloro che sono pensosi del futuro dell’Italia e dell’avvenire delle nuove generazioni, non può rappresentare una consolazione il fatto che siano stati posti fuori dal Parlamento tanti cosiddetti “seguaci del concreto”, ma che in realtà erano degli opportunisti e cinici negatori di qualsiasi coerenza ideale.
Tuttavia, nonostante queste “espulsioni”, non c’è stato assolutamente un ricambio di classe politica nel significato autentico del termine. Per le forze politiche già esistenti c’è stato solo un regolamento di conti fra rivali e vecchi (finti) amici; per coloro che delusi e arrabbiati hanno cercato altre soluzioni ha avuto luogo solo la coagulazione eterogenea dei protestatari.
La legge elettorale fondata sulla cooptazione, che era stata giustificata dalla ricerca della stabilità, si è così rivelata la fonte primaria della instabilità. Il soggetto partito politico ha dimostrato la sua impossibilità di fatto di costituire l’unico attore rappresentativo della base sociale sulla scena della politica istituzionale.
Il partito, invece di costituire il portatore di una concezione di guida, di soluzione dei problemi e di realizzazione del rapporto con il popolo, in concorrenza con altre entità rappresentative, si è ridotto ad un coagulo di interessi particolari ancor più conflittuali a cominciare proprio dal suo stesso interno.
Il permanere del partito quale unico attore della scena politica ha provocato molte dannose conseguenze:
Che fare? Non sono più sufficienti le c.d. riforme all’interno del sistema politico e costituzionale vigente, cioè effettuato ad opera di soggetti costituiti, ma si rende necessaria la rifondazione dell’ordinamento giuridico-politico da parte di soggetti costituenti che ricevano la propria legittimazione da un effettivo e diretto consenso popolare libero da condizionamenti sedimentati o da voti di protesta privi di vere prospettive.
L’esempio del consenso ricevuto dal Movimento 5 stelle, che il suo leader avrà difficoltà (o sarà incapace, oppure non vorrà) ad utilizzare nel Parlamento, è dimostrativo della validità della tesi costituente del Cesi rivolta a promuovere un movimento per una effettiva alternativa di sistema.
Molti dei punti programmatici del M5S possono considerarsi anche validi ed attuali ma non si inquadrano in una visione sistematica per la radicale modifica del quadro istituzionale rappresentativo. Infatti i parlamentari da esso eletti provengono dalle più disparate espressioni a carattere settoriale oppure meramente protestatario (movimento ecologista, movimento della decrescita felice, etc.).
Anche quando questo Programma M5S intitola il suo primo paragrafo: Stato e cittadini, non esce dal contingente, in quanto chi lo ha redatto non si è reso conto che il vero problema che incombe è quello del cambiamento radicale della forma dello Stato.
Quella parte dell’elettorato, che ha reso la lista del Movimento 5 Stelle la più votata, ha creduto di aver trovato in essa uno strumento di protesta che potesse finalmente dimostrare la possibilità di superare l’attuale sistema e quindi di aver avviato i presupposti per un radicale rinnovamento di esso.
Se, come è assai probabile questa speranza rimarrà delusa, il rischio è quello che la delusione e lo smarrimento conseguente si estenda a tutti gli italiani i quali saranno indotti a rinunciare all’idea che l’unità nazionale sia destinata ad essere superata e che pertanto l’Italia non possa più mantenere un ruolo autonomo in Europa. Di conseguenza le nuove generazioni, specialmente nella parte più dotata, saranno indotte ad abbandonare il nostro Paese per cercare altrove il loro futuro.
Per queste ragioni il Cesi si rivolge sia a coloro che sono entrati in Parlamento, sia a coloro che ne sono rimasti fuori per sottolineare che ormai si è arrivati ad un punto nodale della storia sia individuale che collettiva della Nazione italiana.
Occorre una Costituente effettiva, una Assemblea in cui si raccolgano coloro che intendono costruire un nuovo ordinamento politico e giuridico. Tale radicale cambiamento – allo stato in cui si trova l’Italia – ha maggiori probabilità di successo rispetto all’ennesima ristrutturazione di un consunto edificio, non più rappresentativo del popolo perché costruito sulla base di una legge elettorale truffaldina e consentito da una Costituzione superata.
Anzitutto è in gioco l’esistenza stessa dello Stato nazionale Italia sia perché mancano i raccordi tra la politica della scuola, della ricerca e della cultura con la realtà sociale, economica ed ambientale del Paese; sia perché si va sempre più riducendo il peso del sistema produttivo nazionale in un sistema di mercati aperti globalizzati; sia ancora perché permane una condizione di debolezza della posizione dell’Italia in Europa e continua il non protagonismo dell’Europa – non ancora veramente unita – nei confronti delle altre potenze continentali.
In particolare non viene adeguatamente focalizzato l’incombente pericolo riguardante la tendenziale radicalizzazione dei partiti della secessione, non solo al nord ma anche al sud del nostro Paese.
Nel corso della recente campagna elettorale si è colpevolmente trascurato il fatto che la Lega ha deliberatamente posto come suo obiettivo quello di creare la macroregione del Nord Italia e che nel Mezzogiorno d’Italia sono apparsi partiti esclusivamente interessati ad autonomie regionalistiche.
Nell’un caso e nell’altro, si punta a dare forma costituzionale autonoma, se non addirittura indipendente, a territori che risulterebbero privi di capacità di sviluppo, riportando il nostro Paese ad essere solo una “espressione geografica”, secondo la sprezzante frase dell’asburgico Metternich.
Se la cosiddetta Padania, nome e nazione mai esistiti nella storia, si aggregasse alle cosiddette Euroregioni, che gravitano intorno alla Mitteleuropa, vedremo quegli italiani tornare ad essere soltanto satelliti di Potenze d’oltralpe, come già lo sono da tempo divenuti gli abitanti degli “staterelli” balcanici.
Analogamente il Mezzogiorno finirebbe per divenire un territorio sul quale la qualità di vita sarebbe ridotta al livello di quella degli abitanti della sponda africana del Mediterraneo. Sul piano economico non costituirebbe più mercato essenziale di sbocco per le produzioni delle regioni del Nord e di espansione per le merci prodotte nel Sud.
Gli italiani disuniti, in questa prospettiva, non parteciperebbero più alla costruzione della storia umana, ma solo la subirebbero.
Il Cesi, perciò, invita tutti gli italiani ad avere coraggio e fiducia in sé stessi ed incita i giovani a crearsi il proprio futuro attraverso una vera preparazione professionale ed una genuina disponibilità ad operare senza rimanere passivi incolpando la tristitia temporum e il destino cinico e baro.
Il Cesi auspica che gli intellettuali italiani, specialmente se docenti impegnati nell’educazione e nella ricerca, a farsi Maestri, cioè ad essere coscienza critica del popolo.
Il Cesi, in conclusione, propone insieme con altri organismi similari, di realizzare un Comitato nazionale che aggreghi tutte le forze della Nazione per una Convenzione costituente che ascolti le istanze della base sociale e indichi le strutture più idonee adatte a risolvere gli interessi conflittuali e ad indicare programmi per lo sviluppo futuro.