Opinioni a confronto dopo il convegno tenutosi a Sarzana nei giorni scorsi
Un convegno dal titolo “Carlo Alberto Biggini. La rivoluzione costituzionale. L’uomo, il professore, il politico”, tenutosi nei giorni scorsi a Sarzana, fa discutere. Di Carlo Alberto Biggini abbiamo parlato spesso e il lettore è ben conscio di quale spessore abbia avuto questo professore e uomo delle Istituzioni, che fu Magnifico Rettore all’Università di Pisa e Ministro dell’Educazione Nazionale sia durante il Fascismo che nella Rsi. Secondo Giorgio Pagano, invece, si è “commemorato un gerarca fascista”: l’ex sindaco della Spezia si è anche sentito in diritto di accusare i relatori di aver “manipolato la storia”, definendo Biggini “corresponsabile degli eccidi nazifascisti”. Quanto a “manipolazione della storia” moltissimi ci sarebbe da argomentare, almeno bisognerebbe sottolineare come sia abitudine consolidata ormai da circa sette decenni, abitudine che appartiene – ed è un dato di fatto – non certo ai relatori del convegno in oggetto. A Pagano ha risposto lo storico e saggista Luciano Garibaldi, che sull’argomento ha pochi rivali. “Quali le pezze d’appoggio di Pagano per così gravi accuse?” si chiede Garibaldi nella lettera aperta inviata alla redazione del giornale. E continua: “Alcuni articoli del progetto di Costituzione della RSI redatto da Biggini su incarico di Benito Mussolini e peraltro mai realizzatosi. Da dove, l’illustre ex sindaco spezzino, ha tratto le informazioni? Dal mio libro «Mussolini e il Professore», pubblicato da Mursia nel 1983 e contenente il progetto di Costituzione della RSI, da me ritrovato dopo 40 anni. Si dà però il caso che il dottor Pagano abbia accuratamente evitato di citare ciò che scrissi per spiegare il perché di quegli articoli. Ovvero il capitolo che intitolai “Un virus nel sangue degli italiani». Gli rinfresco la memoria”, dice ancora. E così spiega che tre articoli del progetto di Costituzione di Biggini contenevano norme di discriminazione razziale, il 73, che prevedeva il divieto di matrimonio tra cittadini italiani e “sudditi di razza ebraica”, e una “speciale disciplina” per i matrimoni tra cittadini italiani “sudditi di altre razze o stranieri”. L’89, che stabiliva che la cittadinanza non avrebbe potuto essere acquisita da “appartenenti alla razza ebraica e a razze di colore”. Il 90, che precisava che tali sudditi avrebbero goduto dei diritti civili ma non di quelli politici: non avrebbero potuto “servire l’Italia in armi”, né svolgere attività “culturali ed economiche” che presentassero un interesse pubblico. E poi racconta all’ex sindaco di come Biggini fosse tutt’altro che antisemita: andò ad abitare in quattro stanze ammobiliate in un palazzo di proprietà di una famiglia israelita e impedì che i suoi beni venissero confiscati, in quella casa trovarono rifugio decine di ebrei e in un messaggio fatto pervenire al suo avvocato gli chiedeva di portare, quali suoi testimoni al processo che avrebbe dovuto subire in quanto ex ministro di Salò, proprio molti ebrei. E poi recrimina all’ex sindaco di aver dimenticato di parlare, piuttosto, della parte centrale del progetto costituzionale di Biggini, relativa al lavoro e ai mezzi per sopraffare la disoccupazione giovanile.
Ciò che vale la pena evidenziare è che quel processo a Biggini non si tenne mai. Carlo Alberto Biggini morì in circostanze misteriose, e dietro quella morte oscura si celano probabilmente tante verità che sono state sepolte insieme a lui. Ma su questo l’ex sindaco della Spezia non si è fatto molte domande, evidentemente.
Emma Moriconi
http://www.ilgiornaleditalia.org/news/la-nostra-storia/872155/Biggini–botta-e-risposta-tra.html
L’autore di “Mussolini e il professore” risponde a Giorgio Pagano: “Salvò la marchesa ebrea Bonacossi dai nazisti”.
La Spezia – “Sul quotidiano on line “Città della Spezia”, il 3 dicembre scorso, lo stimato politico spezzino Giorgio Pagano, già apprezzato sindaco per dieci anni della città, ha pubblicato un duro articolo contro il Convegno «Carlo Alberto Biggini. La rivoluzione costituzionale. L’uomo, il professore, il politico», svoltosi a Sarzana in occasione del settantesimo anniversario della prematura scomparsa del docente e uomo politico sarzanese che fu Rettore Magnifico dell’Università di Pisa e ministro dell’Educazione Nazionale del Regno d’Italia e della Repubblica Sociale Italiana.
Scandalizzato per il fatto che si sia osato commemorare un “gerarca fascista”, Giorgio Pagano ha accusato gli organizzatori del convegno e i relatori di avere “manipolato la storia” e si è scagliato contro la figura di Carlo Alberto Biggini definendolo “ubbidiente fino all’ultimo a Mussolini e a Hitler”, “corresponsabile degli eccidi nazifascisti”, “corresponsabile della persecuzione agli ebrei”.
Quali le pezze d’appoggio di Pagano per così gravi accuse? Alcuni articoli del progetto di Costituzione della RSI redatto da Biggini su incarico di Benito Mussolini e peraltro mai realizzatosi. Da dove, l’illustre ex sindaco spezzino, ha tratto le informazioni? Dal mio libro «Mussolini e il Professore», pubblicato da Mursia nel 1983 e contenente il progetto di Costituzione della RSI, da me ritrovato dopo 40 anni. Si da’ però il caso che il dottor Pagano abbia accuratamente evitato di citare ciò che scrissi per spiegare il perché di quegli articoli. Ovvero il capitolo che intitolai “Un virus nel sangue degli italiani». Gli rinfresco la memoria.
Tre articoli del progetto di Costituzione di Biggini contenevano norme di discriminazione razziale. L’articolo 73 contemplava il divieto di matrimonio tra cittadini italiani e “sudditi di razza ebraica”, e una “speciale disciplina” per i matrimoni tra cittadini italiani “sudditi di altre razze o stranieri”. L’articolo 89 stabiliva che la cittadinanza non avrebbe potuto essere acquisita da “appartenenti alla razza ebraica e a razze di colore”. Infine, l’articolo 90 precisava che tali sudditi avrebbero goduto dei diritti civili ma non di quelli politici: non avrebbero potuto “servire l’Italia in armi”, né svolgere attività “culturali ed economiche” che presentassero un interesse pubblico.
Biggini non era razzista, né tantomeno antisemita. A Padova era andato ad abitare in quattro stanze ammobiliate del palazzo dei Diena, una famiglia israelita: impedì che i beni della famiglia fossero confiscati, come avrebbe voluto la legislazione vigente, e lasciò che, sotto la sua protezione, trovassero rifugio in quella casa decine di ebrei. In un drammatico messaggio fatto pervenire il 27 ottobre 1945, dalla clinica di Milano dove si nascondeva, al suo avvocato Paolo Toffanin, in previsione del processo cui sarebbe stato sottoposto in quanto ex ministro di Salò, invitava il celebre penalista a “citare, oltre i più importanti nomi contenuti nella mia difesa, ebrei ed ebree da me aiutati, a cominciare dalla famiglia Diena e dalla famiglia Vanzetti”. Un giorno, durante la RSI, era accorso personalmente a trarre in salvo la marchesa Bonacossi, ebrea, che stava per essere catturata, nella sua villa di Pernumia (Padova), da elementi della “Muti” e delle SS.
Nessun dubbio sulla ferocia della persecuzione antiebraica attuata durante la dittatura fascista: prima, e soprattutto durante la RSI. Ne ho parlato, e l’ho raccontata, diecine di volte, nei miei articoli e nei miei libri. Una realtà di cui, in quanto italiani, dobbiamo solo vergognarci. Il che non toglie che il raffronto tra le proposte contenute nel progetto di Costituzione di Biggini e quella vergogna, autorizza a concludere che, se l’Italia sarebbe stata ancora, per gli ebrei, un Paese dal quale tenersi alla larga, tuttavia le condizioni di coloro che non avessero avuto altra scelta che quella di restare, sarebbero notevolmente migliorate.
Spiace che l’avveduto e intelligente ex sindaco spezzino abbia completamente dimenticato la parte centrale del progetto costituzionale di Biggini: quella parte ancora oggi più che mai valida e attuale, e alla quale sarebbe molto, ma molto utile rifarsi per uscire dalla crisi che ci sta dilaniando: quella del lavoro, della mancanza di lavoro, della disoccupazione dei giovani. Poiché non sto scrivendo un libro di storia, ma una lettera, mi limito a riportare il breve ma straordinario testo dell’articolo 116 del progetto Biggini (Sezione Seconda: il Lavoro): «La Repubblica italiana garantisce a ogni cittadino il diritto al lavoro, mediante l’organizzazione e l’incremento della produzione e mediante il controllo e la disciplina della domanda e dell’offerta di lavoro. Il collocamento dei lavoratori è funzione pubblica, svolta gratuitamente da idonei uffici gestiti dall’organizzazione professionale riconosciuta».
Prego cortesemente il dottor Pagano di rileggersi gli articoli del progetto Biggini dedicati al problema del lavoro, reperibili nella «Sezione Seconda: il Lavoro», pagg. 377 e seguenti del mio libro «Mussolini e il Professore», al quale egli ha sicuramente attinto per redigere il suo articolo per «CITTA’ DELLA SPEZIA». E, sempre al dottor Pagano, in riferimento alle sue accuse rivolte al sindaco di Sarzana Alessio Cavarra, che ha “osato” presenziare all’inaugurazione del convegno sul sarzanese Carlo Alberto Biggini, mi permetto ricordargli il messaggio dell’attuale Sindaco di La Spezia Massimo Federici esprimente piena, totale e incondizionata solidarietà al collega sarzanese:
«Caro Alessio, in merito alle polemiche sul tuo intervento di saluto al convegno sulla figura di Biggini, non posso che esprimere il mio rammarico per gli equivoci e le strumentalizzazioni di cui sei oggetto. Mi è parso davvero arbitrario gettare ombre sulle scelte di campo di cui sei da sempre fermo interprete. Sotto il profilo prettamente storico e alla luce del rigore storico, tutti i temi meritano di essere trattati. Recentemente, qui alla Spezia, la prestigiosa Accademia Cappellini si è intrattenuta sulla figura di Biggini senza che ciò generasse dibattIto alcuno. Mi è parso pertanto, di fronte alla pretestuosità della polemica in corso, doveroso manifestarti la mia solidarietà».
Null’altro da aggiungere”.
Luciano Garibaldi
5 dicembre 2015
Martedì 8 dicembre 2015
Fonte Redazione Gazzetta della Spezia
Roceviamo e pubblichiamo la replica di Luciano Garibaldi, giornalista e biografo di Carlo Alberto Biggini, all’articolo di Giorgio Pagano contro il convegno “Carlo Alberto Biggini. La rivoluzione costituzionale. L’uomo, il professore, il politico” che si è tenuto nei giorni scorsi a Sarzana.
Lo stimato politico spezzino Giorgio Pagano, già apprezzato sindaco per dieci anni della città, ha pubblicato un duro articolo contro il Convegno «Carlo Alberto Biggini. La rivoluzione costituzionale. L’uomo, il professore, il politico», svoltosi a Sarzana in occasione del settantesimo anniversario della prematura scomparsa del docente e uomo politico sarzanese che fu Rettore Magnifico dell’Università di Pisa e ministro dell’Educazione Nazionale del Regno d’Italia e della Repubblica Sociale Italiana.
Scandalizzato per il fatto che si sia osato commemorare un “gerarca fascista”, Giorgio Pagano ha accusato gli organizzatori del convegno e i relatori di avere “manipolato la storia” e si è scagliato contro la figura di Carlo Alberto Biggini definendolo “ubbidiente fino all’ultimo a Mussolini e a Hitler”, “corresponsabile degli eccidi nazifascisti”, “corresponsabile della persecuzione agli ebrei”.
Quali le pezze d’appoggio di Pagano per così gravi accuse? Alcuni articoli del progetto di Costituzione della RSI redatto da Biggini su incarico di Benito Mussolini e peraltro mai realizzatosi. Da dove, l’illustre ex sindaco spezzino, ha tratto le informazioni? Dal mio libro «Mussolini e il Professore», pubblicato da Mursia nel 1983 e contenente il progetto di Costituzione della RSI, da me ritrovato dopo 40 anni. Si dà però il caso che il dottor Pagano abbia accuratamente evitato di citare ciò che scrissi per spiegare il perché di quegli articoli. Ovvero il capitolo che intitolai “Un virus nel sangue degli italiani». Gli rinfresco la memoria.
Tre articoli del progetto di Costituzione di Biggini contenevano norme di discriminazione razziale. L’articolo 73 contemplava il divieto di matrimonio tra cittadini italiani e “sudditi di razza ebraica”, e una “speciale disciplina” per i matrimoni tra cittadini italiani “sudditi di altre razze o stranieri”. L’articolo 89 stabiliva che la cittadinanza non avrebbe potuto essere acquisita da “appartenenti alla razza ebraica e a razze di colore”. Infine, l’articolo 90 precisava che tali sudditi avrebbero goduto dei diritti civili ma non di quelli politici: non avrebbero potuto “servire l’Italia in armi”, né svolgere attività “culturali ed economiche” che presentassero un interesse pubblico.
Biggini non era razzista, né tantomeno antisemita. A Padova era andato ad abitare in quattro stanze ammobiliate del palazzo dei Diena, una famiglia israelita: impedì che i beni della famiglia fossero confiscati, come avrebbe voluto la legislazione vigente, e lasciò che, sotto la sua protezione, trovassero rifugio in quella casa decine di ebrei. In un drammatico messaggio fatto pervenire il 27 ottobre 1945, dalla clinica di Milano dove si nascondeva, al suo avvocato Paolo Toffanin, in previsione del processo cui sarebbe stato sottoposto in quanto ex ministro di Salò, invitava il celebre penalista a “citare, oltre i più importanti nomi contenuti nella mia difesa, ebrei ed ebree da me aiutati, a cominciare dalla famiglia Diena e dalla famiglia Vanzetti”. Un giorno, durante la RSI, era accorso personalmente a trarre in salvo la marchesa Bonacossi, ebrea, che stava per essere catturata, nella sua villa di Pernumia (Padova), da elementi della “Muti” e delle SS.
Nessun dubbio sulla ferocia della persecuzione antiebraica attuata durante la dittatura fascista: prima, e soprattutto durante la RSI. Ne ho parlato, e l’ho raccontata, diecine di volte, nei miei articoli e nei miei libri. Una realtà di cui, in quanto italiani, dobbiamo solo vergognarci. Il che non toglie che il raffronto tra le proposte contenute nel progetto di Costituzione di Biggini e quella vergogna, autorizza a concludere che, se l’Italia sarebbe stata ancora, per gli ebrei, un Paese dal quale tenersi alla larga, tuttavia le condizioni di coloro che non avessero avuto altra scelta che quella di restare, sarebbero notevolmente migliorate.
Spiace che l’avveduto e intelligente ex sindaco spezzino abbia completamente dimenticato la parte centrale del progetto costituzionale di Biggini: quella parte ancora oggi più che mai valida e attuale, e alla quale sarebbe molto, ma molto utile rifarsi per uscire dalla crisi che ci sta dilaniando: quella del lavoro, della mancanza di lavoro, della disoccupazione dei giovani. Poiché non sto scrivendo un libro di storia, ma una lettera, mi limito a riportare il breve ma straordinario testo dell’articolo 116 del progetto Biggini (Sezione Seconda: il Lavoro): «La Repubblica italiana garantisce a ogni cittadino il diritto al lavoro, mediante l’organizzazione e l’incremento della produzione e mediante il controllo e la disciplina della domanda e dell’offerta di lavoro. Il collocamento dei lavoratori è funzione pubblica, svolta gratuitamente da idonei uffici gestiti dall’organizzazione professionale riconosciuta».
Prego cortesemente il dottor Pagano di rileggersi gli articoli del progetto Biggini dedicati al problema del lavoro, reperibili nella «Sezione Seconda: il Lavoro», pagg. 377 e seguenti del mio libro «Mussolini e il Professore», al quale egli ha sicuramente attinto per redigere il suo articolo. E, sempre al dottor Pagano, in riferimento alle sue accuse rivolte al sindaco di Sarzana Alessio Cavarra, che ha “osato” presenziare all’inaugurazione del convegno sul sarzanese Carlo Alberto Biggini, mi permetto ricordargli il messaggio dell’attuale Sindaco di La Spezia Massimo Federici esprimente piena, totale e incondizionata solidarietà al collega sarzanese:
«Caro Alessio, in merito alle polemiche sul tuo intervento di saluto al convegno sulla figura di Biggini, non posso che esprimere il mio rammarico per gli equivoci e le strumentalizzazioni di cui sei oggetto. Mi è parso davvero arbitrario gettare ombre sulle scelte di campo di cui sei da sempre fermo interprete. Sotto il profilo prettamente storico e alla luce del rigore storico, tutti i temi meritano di essere trattati. Recentemente, qui alla Spezia, la prestigiosa Accademia Cappellini si è intrattenuta sulla figura di Biggini senza che ciò generasse dibattIto alcuno. Mi è parso pertanto, di fronte alla pretestuosità della polemica in corso, doveroso manifestarti la mia solidarietà».
Null’altro da aggiungere.
di Giorgio Pagano
Conviene tornare sul tanto discusso convegno di commemorazione del gerarca fascista Carlo Alberto Biggini -non conosco altro modo per qualificarlo, nonostante che il Sindaco di Sarzana non sia d’accordo, perché Biggini tale era e perché lui stesso si autodefiniva così- sia per sgomberare il campo da incomprensioni o falsità sia per arrivare al nodo di fondo, che è quello dell’identità antifascista del nostro Stato e del “patriottismo costituzionale”.
Il “Secolo XIX”, riportando l’opinione di due miei amici storici e ricercatori, ha titolato: “Chi ha paura di studiare il pensiero di Biggini?”. Nessuno, ovviamente. C’è piena libertà di organizzare non solo momenti seri di studio ma anche iniziative di rivalutazione di quella figura e di manipolazione della storia. Ma c’è anche piena libertà -anzi, il dovere antifascista- di criticare queste ultime. E di criticare un Sindaco che vi interviene avallando di fatto quella rivalutazione e quella manipolazione. Che convegno si è tenuto sabato 21 novembre a Sarzana? Un convegno di rivalutazione di Biggini e anche di manipolazione della storia. La pagina a pagamento sui quotidiani e il sito dell’Istituto Biggini lo confermano: addirittura la bozza di Costituzione preparata da Biggini, allora Ministro dell’Educazione Nazionale della Repubblica sociale italiana, creata nell’Italia del centronord dagli occupanti nazisti con il loro fantoccio Mussolini, avrebbe “profondamente influenzato il testo che è diventato successivamente la Costituzione italiana del 1948”. In realtà si tratta di due Costituzioni antitetiche, e le differenze sono abissali. La Costituzione italiana, nell’articolo 1, afferma che “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”; quella di Biggini, fatta propria da Mussolini, negli articoli 10 e 11 sancisce che “La sovranità promana da tutta la Nazione” e che “Sono organi supremi della Nazione: il Popolo e il Duce della Repubblica”. Ancora: la nostra Costituzione stabilisce che i tre poteri più importanti dello Stato -l’esecutivo, il legislativo e il giudiziario- siano dati a tre organismi diversi, per evitare la concentrazione dei poteri che aveva caratterizzato la dittatura fascista; nella Costituzione di Biggini il Duce “esercita il potere legislativo”, a lui “appartiene il potere esecutivo”, mentre la funzione giudiziaria è esercitata dai giudici “nominati dal Duce”. Il Partito fascista è “organo fondamentale dell’educazione politica del popolo” ed è “riconosciuto come organo ausiliario dello Stato”: altro che “democrazia pluralistica”, come scrivono gli organizzatori del convegno! Ma ciò che è più manipolatorio è cercare di nascondere completamente gli articoli sulla “difesa della stirpe”, che contengono il “divieto di matrimonio di cittadini italiani con sudditi di razza ebraica”, e quelli sui “diritti e doveri del cittadino”, secondo i quali la cittadinanza italiana è titolo da “concedersi soltanto agli appartenenti alla stirpe ariana italiana” e “non può essere acquistata da appartenenti alla razza ebraica e a razze di colore”, le quali “non godono dei diritti politici”. Una Costituzione profondamente razzista, all’opposto della nostra, che nell’articolo 3 afferma che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Potrei continuare, ma credo che basti e avanzi. Come abbia potuto Cavarra parlare di “senso dello Stato e della giustizia” di Biggini è stupefacente. Che il gerarca sarzanese sia stato un uomo colto e che non sia stato personalmente un assassino è vero, ma ciò certamente non lo assolve, avendo egli obbedito fino all’ultimo a Mussolini e a Hitler, dalla corresponsabilità per gli eccidi nazifascisti, per la persecuzione degli ebrei e per aver portato l’Italia alla catastrofe (si vedano il mio articolo “Se vogliamo dare un senso alla storia dobbiamo celebrare Jacobs, non Biggini”, in “Città della Spezia” del 21 novembre, e quello di Sandro Bertagna su “La Spezia Oggi” del 22 novembre). Io non dubito dell’antifascismo di Cavarra: ma ha commesso un grave errore, e dovrebbe fare ammenda. Gli farebbe solo onore.
Se insisto non è per motivazioni politico-partitiche. Io non appartengo a nessun partito. Sono il copresidente del Comitato Unitario della Resistenza in rappresentanza dell’Anpi e ho il dovere, tanto più oggi che gli “ultimi” se ne stanno andando, di impegnarmi in ogni modo per trasmettere l’eredità morale e politica della Resistenza. Ma non è semplice: la vita repubblicana, in Italia, ha progressivamente oscurato e rimosso le sue pur incontestabili origini antifasciste. Ciò è avvenuto in modo marcato a partire dalla fine degli anni Settanta. Per comprendere la crisi della memoria e della politica dell’antifascismo, occorre tornare sull’alto grado di conflittualità che dopo il 1945 caratterizzò l’esperienza italiana: mentre la politica dell’anticomunismo divideva e indeboliva il grande potenziale riformatore che si era accumulato nel fronte socialmente e politicamente assai eterogeneo dell’antifascismo, la risposta dell’antifascismo era tale per cui esso tendeva incessantemente a riproporsi non tanto e non solo come insieme di valori più o meno condivisi dall’insieme delle forze che agiscono nello spazio repubblicano, ma come linea politica tendente a rimettere in discussione le divisioni interne fissatesi con il regime della guerra fredda, e quindi a identificarsi con una parte, quella “socialcomunista”. Poi ci furono gli errori degli anni Settanta: la sconfitta della politica del compromesso storico comportò la sconfitta dell’antifascismo, che era stato strettamente associato a quella politica. Il problema della condivisione dei valori fondanti della Repubblica è più aperto che mai. Ma un Paese si può dividere sulle scelte politiche senza rischiare di perdersi come comunità solo se tutti, forze politiche e cittadini, sentono il vincolo dell’identità nazionale. Se sono consapevoli, pur nel contrasto, che il “destino” degli italiani è uno solo. Non c’è alternativa a una riconsiderazione e a una reinterpretazione dell’antifascismo e del “patriottismo costituzionale” come spazio repubblicano super partes: quali altri ideali abbiamo se non quelli che ci hanno ispirato nella lotta di Liberazione? L’unica alternativa è una repubblica priva di ogni elemento identitario, complesso di procedure gestite da una classe politica sempre più “castale”: una prospettiva inaccettabile. Il ruolo dei partiti antifascisti è stato decisivo per la Resistenza e per la Costituzione, ma i conflitti del dopoguerra e gli errori degli anni Settanta hanno fatto sì che fossero i partiti stessi, con la loro crisi, a far tramontare la stella dell’antifascismo. Oggi i partiti non ci sono più, o almeno non ci sono più quelli veri, radicati nel popolo. Molti cittadini non credono più in nulla, e si astengono dal voto: c’è una crisi anche della società civile “partigiana”. Per un ragazzo di oggi la Resistenza, cioè il fondamento della Repubblica, si confonde nel magma indistinto della storia. In una fase così difficile non bisogna andare a commemorare Biggini ma ricordare i partigiani e i contadini, le donne, i sacerdoti che li accolsero e protessero ai monti. E oggi ricordare tutti coloro che, il 29 novembre di settantun’anni fa, furono ferocemente rastrellati dai nazifascisti in Val di Magra. Nel nostro Pantheon sta la gente comune, stanno le donne e gli uomini semplici che dalla Resistenza a oggi si sono battuti per la libertà e la democrazia, indipendentemente dalla loro appartenenza politica. Bisogna tener viva la loro memoria, non quella dei gerarchi.
Domenica 29 novembre 2015
http://www.cittadellaspezia.com/Luci-della-citta/La-Costituzione-antisemita-e-la-memoria-196024.aspx
Figure più o meno note di secoli di storia cittadina raccontate attraverso i loro epitaffi.
Sarzana – I protagonisti delle storie raccontate da De Andrè in “Non al denaro non all’amore nè al cielo”, così come quelle di Edgar Lee Masters in “Antologia di Spoon River”, dormivano su una collina con le loro vicende e gli episodi che ne segnarono l’esistenza. Nella Sarzana che ha amato il grande Faber tanto da intitolargli una piazza, chi non c’è più riposa poco fuori dal centro, circondato dai campi fra le mura di un luogo che ospita interpreti più o meno illustri della storia cittadina.
Nel silenzio senza tempo dei suoi stretti percorsi si snodano memorie e tradizioni di una comunità che si ritrova fianco a fianco senza distinzione di classe. Gli Isaac, Emily e Towny Kincaid delle poesie qui hanno i nomi del tenente Sandro Sartori, morto in guerra a 22 anni sull’altopiano di Asiago, oppure dell’ingegnere tedesco Lothar Gassner, scomparso nel 1889 e celebrato da un’epigrafe della famiglia in cui è inciso il conforto nel lasciarlo sotto il cielo azzurro di Sarzana; o ancora la piccola Fanny Franzoni ricordata dai genitori con un significativo bassorilievo marmoreo o l’immagine di una donna depositata sulla tomba del consorte. Fra i cipressi e il ghiaino, fra le eleganti tombe monumentali delle famiglie più importanti e le straordinarie sculture e incisioni, lapidi annerite dal tempo celebrano grandi protagonisti della vitta pubblica del passato.
Nei pressi di uno dei muri perimetrali si trova la tomba di Agostino Paci, di origini amegliesi e discendente da una famiglia lericina, giovanissimo laureato e in seguito chirurgo del San Bartolomeo ma anche attento ricercatore in ambito ortopedico, fortemente voluto nel 1884 dall’allora ministro della pubblica istruzione Bacelli per la cattedra di ‘Patologia Chirurgica’ dell’Università di Pisa. A lui la città ha dedicato una via e una stele commemorativa sormontata da un busto nei giardini della stazione ferroviaria.
Giacciono invece a meno di una ventina di metri l’uno dall’altro due personaggi politicamente in antitesi come Carlo Alberto Biggini e Alfredo Poggi. Il primo fu aperto sostenitore del fascismo, rettore dell’Università di Pisa nel 1941 e Ministro dell’Educazione Nazionale nella Rsi dal ’43 a ’45 ma anche artefice della liberazione del filosofo e giurista Norberto Bobbio che in una lettera indirizzata a Luciano Garibaldi ricordò dell’interessamento del sarzanese Biggini dopo il suo arresto per attività clandestina. E’ invece legata ad una solida convinzione antifascista l’esistenza di Alfredo Poggi, filosofo e politico che può essere considerato uno sei cittadini più illustri del Novecento locale. Insegnante “dalla parola facile e dalla vasta cultura” fu anche assessore e sostenitore di Sarzana come nuova provincia. Perseguitato dal fascismo nel Ventennio fu arrestato con il figlio ed internato nel campo di Bolzano-Gries e nel dopoguerra divenne membro del Consiglio superiore della magistratura. Si adoperò perché i fatti del 1921 venissero adeguatamente ricordati ‘come segno di una resistenza popolare contro l’arbitrio e le prevaricazione della camicie nere’ e a lui è stata dedicata la scuola media ora unificata con la “Carducci”.
Direttamente associata a quell’episodio storico è anche la morte del giovane Paolo Diana, ucciso nella sparatoria alla stazione proprio la mattina del 21 luglio quando intervenì per dar man forte ai Carabinieri che fronteggiavano i fascisti. Caporale di fanteria in servizio a Sarzana è ricordato da un lapide posta presso il muro di cinta nel lato di via Falcinello. “Assurgendo alle passioni di parte – si legge – generoso milite del dovere immolava la giovane esistenza alla concordia nazionale”.
Fra le tombe della parte più vecchia si nota anche l’imponente monumento dedicato a quelli che De Andrè chiama “figli della guerra partiti per un ideale” che qui hanno i nomi e gli sguardi di Rudolf Jacobs, Lidia Lalli, Miro Luperi, Enzo Meneghini, Isio Mattazzoni, Nello Pigoni, Giuseppe Picedi Benettini e tanti altri partigiani sarzanesi seppelliti sotto l’epitaffio “Sacra sia la pace da essi conquistata né più strepito d’armi o grida d’oppressi ridestino generose ombre invendicate”. Guerra che con i suoi martiri e le sue atrocità tocca moltissime storie del cimitero di Sarzana.
Il “Charley che cadde mentre lavorava dal ponte e volò sulla strada” riconduce invece a Michele Petacco, muratore che morì nel gennaio 1880 cadendo da un tetto nel tentativo di spegnere un incendio. “Tu al prossimo desti la onesta vita – scrisse sulla lapide la Società Operaia – egli a te non altro che onore di lacrime. Colmerà Iddio l’impari ricambio”.
Fra le tante storie di sarzanesi che s’intrecciano fra i secoli e ora risiedono fianco a fianco ha particolare rilievo anche quella del canonico mazziniano don Carlo Chiocca, un “bombarolo” sui generis per citare ancora De Andrè, al quale lo storico e scrittore Pino Meneghini ha dedicato ampi passaggi nei suoi libri “Con il Re, con Mazzini con Garibaldi” e “I segreti di Sarzana, cronache, personaggi, eventi di una storia nascosta”.
Nato nel 1818, discendente di una nobile famiglia, entrò in seminario a quattordici anni, spinto controvoglia dai genitori. Incline alla matematica e alla fisica diventò prete a pieni voti e approfondì in seguito lo studio della chimica applicandolo alla composizione di polveri piriche e fuochi d’artifici. La fede politica repubblicana e la sua militanza nel partito d’azione mazziniano prima e garibaldino successivamente, lo spinsero all’utilizzo delle sue invenzioni nella produzione di ordigni bellici fra cui una bomba a percussione che nel 1858 venne usata nell’attentato a Napoleone III. Fu un convinto sostenitore di Giuseppe Mazzini che proprio a Sarzana ordì alcuni dei suoi moti più importanti sapendo di poter contare proprio su Chiocca.
Alla sua morte, nel 1876, massoni e repubblicani eressero in suo onore un monumento, (divenuto in seguito meta di pellegrinaggi), anche grazie al contributo di Giuseppe Garibaldi il quale inviò personalmente n messaggio di cordoglio e mille lire, testimoniando l’importanza del personaggio molto noto anche al di fuori dei confini sarzanesi.
Solo alcune delle diverse esistenze che raccontano la storia di un territorio, fra eroi e cittadini comuni che hanno lasciato una traccia significativa a tutta la comunità. Memorie di una città custodite da sculture sontuose o semplici croci di legno.
Sabato 1 novembre 2014
È assolutamente normale che una figura storica come Biggini venga ricordata. Così come la lapide di una persona come Santiago Schiaffino a Levanto che i rossi non vogliono ricollocare al cimitero. Non capisco perciò l indignazione di comunisti che hanno “fatto la storia” piena di assassini a cavallo del 25 aprile.
Memoria corta.
Giovedì 19 novembre 2015
http://www.cittadellaspezia.com/Lettere-a-CDS/-Biggini-figura-da-ricordare-a-Levanto-195274.aspx
Le comiche sono servite. Gli ultras della sinistra spezzina, compresa la Cgil, hanno aperto una guerra tutta interna alla sinistra stessa. Perché visti gli ultimi gravissimi fatti in Europa e non solo, siamo alla terza guerra Mondiale? Nooo; perché in Italia c’è disoccupazione, pensioni da fame degrado sociale ed economico diffuso? Nooo; perché c’è una corruzione dilagante dentro e fuori le istituzioni? Nooo; perché i massicci arrivi di clandestini provocano seri problemi di ordine pubblico e di ordine sociale? Nooo; perché scuola, sanità e servizi vanno sempre peggio? Nooo.
Le sinistre sono al ridicolo politico e scatenano la guerra tra di loro perché a Sarzana si terrà convegno e commemorazione dei 70 anni della morte di Carlo Alberto Biggini, pare con la presenza del sindaco Cavarra (PD), questo è il sacrilegio. Carlo Alberto Biggini nacque a Sarzana il 9 dicembre 1902 (come dire 113 anni fa). Fu uomo di grande cultura, di studio, di politica. Lo testimoniano i suoi numerosi titoli ed incarichi accademici. Fu anche un eroico combattente insignito della medaglia di bronzo al valore militare. Per le sue notevoli capacità ebbe da Mussolini importantissimi incarichi. L’ultimo, nella Repubblica Sociale Italiana, quello di ministro dell’Educazione Nazionale. Durante la RSI Mussolini gli assegnò di redigere anche il progetto rivoluzionario di Costituzione della stessa Repubblica
Sociale Italiana. Siamo fronte ad un tale personaggio che bene o male (a seconda dei punti di vista si può discutere, ma non negare) appartiene alla Storia dell’Italia non del Fascismo (anche se era fervente fascista). Ebbene a 70 anni dalla sua scomparsa (diconsi 70 mica 7) c’è ancora gente che non ha capito che non siamo più nel 1945, ma nel 2015. A confronto con il personaggio Biggini sono solo dei puffi. Pensino ai gravi problemi dell’Italia di cui hanno tutte le responsabilità politiche.
Giovedì 19 novembre 2015
http://www.cittadellaspezia.com/Lettere-a-CDS/-La-polemica-su-Biggini-e-una-guerra-195284.aspx
La Spezia – Il presidente dell’Accademia Lunigianese di Studi “Giovanni Capellini” professor Giuseppe Benelli informa il gentile pubblico che, nel Salone Sforza in via XX settembre n.148, alla Spezia, il giorno venerdì 6 novembre alle 17, si svolgerà un convegno di studi sulla figura di Carlo Alberto Biggini, Accademico e Cancelliere dell’Acc. Capellini, nel settantesimo della sua morte.
Il Presidente presenterà una propria relazione sui legami fra C.A. Biggini e l’Accademia Capellini, Luciano Garibaldi tratterà “La figura e l’opera di Biggini”, mentre Giovanni Pardi affronterà “Il contributo di Biggini all’Enciclopedia Treccani e alla storiografia risorgimentale”.
Carlo Alberto Biggini nacque a Sarzana nel 1902 e si accostò formalmente al fascismo negli anni 1926-1927, mentre frequentava la facoltà di giurisprudenza a Genova, dove si laureò nel 1928. Nel 1929 si laureò anche in scienze politiche ed amministrative a Torino e, nel 1930, ottenne il diploma di perfezionamento presso la scuola superiore di scienze corporative dell’università di Genova. Pubblicò diversi studi nel campo del diritto pubblico, costituzionale e corporativo. Conseguita la libera docenza in diritto costituzionale ottenne la cattedra di diritto costituzionale e comparato e quella di dottrina generale dello Stato all’università di Sassari, dove nel dicembre 1936 divenne titolare di diritto costituzionale e corporativo; nel 1938 si trasferì all’università di Pisa, di cui divenne rettore nel 1941. Nel 1934 era stato eletto deputato per il collegio unico nazionale e nel 1937 divenne membro parlamentare per la riforma dei codici, quindi presidente di commissione nell’istituto di rapporti culturali con l’estero, presidente del consiglio direttivo delle scuole superiori del partito e consulente giuridico del ministero degli esteri per l’Albania; fu consigliere nazionale nella camera dei fasci e delle corporazioni nel 1939 ed anche presidente della commissione di mistica fascista ai littoriali. Dopo aver partecipato alla campagna d’Africa e a quella di Grecia, il 19 dicembre. 1942 Biggini assunse la carica di ispettore generale del partito nazionale fascista; il 5 febbraio 1943, in occasione del vasto rimaneggiamento di governo operato da Mussolini, fu nominato ministro dell’educazione nazional e membro del Gran Consiglio. Nella serata del 24-25 luglio 1943 Biggini non votò l’odg. Grandi e rimase fedele a Mussolini. Il 23 settembre 1943 Biggini divenne ministro dell’educazione nazionale della repubblica di Salò. Colpito da un male inguaribile, morì a Milano il 19 nov. 1945.
Il Presidente Benelli invita il gentile pubblico a partecipare numeroso.
Giovedì 5 novembre 2015,
di Alberto Scaramuccia
Anche se l’attualità suggerirebbe l’impegno su tematiche di differente natura, in questo periodo sul Golfo e dintorni la questione all’ordine del giorno riguarda l’opportunità di ricordare nel 70° della sua scomparsa la persona di Carlo Alberto Biggini. Chi sia costui, ormai lo sanno tutti, altrettanto quanto era figura ignorata prima che la querelle avesse inizio: giurista di spessore, rettore a Pisa, aderente al fascismo dal 1925, contrario all’odg Grandi, ministro della repubblica di Salò. Tanti deprecano che si dia spazio ad un personaggio così compromesso con i fatti del ventennio; in pari numero sostengono che la sua virtù intellettuale è arra alla sua memoria, giustificata anche dall’aiuto certo che egli fornì a studiosi anche ebrei e ad importanti esponenti della Resistenza.
Tenendo presente che la Storia quando cassa il ricordo abdica al Suo nome, spero che il convegno organizzato su di lui ne abbia chiarita la posizione sul manifesto della razza che diede il via alle leggi che espulsero gli Ebrei dalla vita civile esponendoli alle conseguenze che ben sappiamo. Penso che vada anche considerato che l’aiuto che si presta, ha tinte diverse se è indifferenziato verso tutti oppure se è limitato solamente ad ambienti che sono contigui a chi s’impegna nel soccorso.
Sono, però, convinto che il dibattito sia stata un’occasione utile per riflettere sul metodo della ricerca storica. Il padre Ugo era socialista, esponente di primissimo rilievo del Partito socialista sarzanese e golfista di cui contribuisce attivamente ad indirizzare le scelte, anche se fu emarginato quando nel PSI s’impose una linea intransigente-rivoluzionaria che contrastava con la sua posizione più moderata ed incline alla ricerca di alleanze. In ogni caso, il figlio nasce in un ambiente che contrasta con le scelte che poi compì. Il cammino verso il fascismo non è precipuo del futuro rettore, quanti mai in tutt’Italia dal PRI e dal PSI trasmigrano verso Mussolini regalati, dice Gramsci, alla parte avversa da una politica miope dei partiti di sinistra. Sono queste cose note; ripeterle e magari meglio analizzarle, aiuta a capire i comportamenti del corpo elettorale italiano oggi.
Sul campo resta, infine, a mio avviso, un’altra grossa questione: che cosa significa essere un intellettuale e che cosa lo definisca in questa funzione. Mi vengono in mente, da una parte Orazio e la sua torre d’avorio o Baudelaire che vola in alto come l’albatro incapace di camminare sulla terra, oppure chi s’immerge nel quotidiano impegnandosi nella definizione del mondo in cui vive. In ogni caso, l’intellettuale contribuisce la sua non poca parte a definire un’egemonia culturale che si riflette inevitabilmente nella società che si modella anche secondo gli apporti che riceve. Ecco, mi piacerebbe che questo venisse tenuto presente nella discussione su Biggini, una questione metodologica che, scevra da encomio e oltraggio, metta a fuoco questa figura nel dibattito che ha originato.
Domenica 22 novembre 2015
http://www.cittadellaspezia.com/Una-storia-spezzina/Biggini-e-la-figura-dell-intellettuale-195471.aspx