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L’8 Marzo 2014, una delegazione del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti si è recata a Poggio Bustone per rendere omaggio ai tredici caduti della Repubblica Sociale Italiana uccisi il 10 Marzo 1944 dai ribelli dopo che si erano arresi, una delle prime stragi partigiane registrare in quel lontano 1944. Nel settantennale dell’eccidio, il Comitato ha chiesto ufficialmente al Sindaco di Poggio Bustone di erigere sul luogo dell’esecuzioni sommarie un monumento che ricordi chi si è sacrificato per la Patria, in modo che mai più possano esserci discriminazioni tra morti di “serie A” e morti di “serie B”, perché si possa – finalmente! – giungere ad una vera pacificazione nazionale, dove l’odio antifascista non possa avere più tribuna civile e politica.
Successivamente, la delegazione si è recata al cimitero civile di Rieti dove riposano diversi caduti della RSI della strage di Poggio Bustone. Qui è stata effettuata una pulizia di alcune tombe abbandonate da anni e ripristinato il livello di decoro che si deve a chi ha immolato la propria esistenza per la libertà dell’Italia.
Al termine della breve, ma sentita manifestazione un raggio di sole ha illuminato Poggio Bustone, come a suggellare la sconfitta dell’odio antifascista, battuto sul campo dall’amore per la Patria che il Comitato ha voluto trasmettere alle giovani generazioni perché la loro coscienza non sia più in balia di una storia manipolata per esigenze politiche.
«A 70 anni da questo drammatico evento di sangue – ha dichiarato il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti – c’è chi ancora tenta di speculare politicamente parlando di una “battaglia” di Poggio Bustone che, in realtà, non vi è mai stata. I soldati repubblicani giunti in paese per un’opera di dissuasione contro la renitenza alla leva avevano già terminato il loro compito ed era stato dato il “rompete le righe”, sicché numerosi fascisti, quando sopravvenne l’attacco partigiano, erano in giro per il paese, ospiti di qualche conoscente e, addirittura, a prendere il sole nella piazza centrale. Quello che si registrò fu solamente un fuggi-fuggi generale, nessuna battaglia, sia chiaro. Coloro che non riuscirono a fuggire, come il gruppo del Questore Bruno Pannaria, rimasero imbottigliati nel paese e vennero uccisi dopo che si erano arresi e avevano deposto le armi. Anche per i feriti non ci
fu pietà. Vennero trascinati in strada e falciati sommariamente. Due prigionieri vennero portati sulle montagne e lì uccisi il giorno successivo. Sui cadaveri dei poveri caduti ci si accanì con furia selvaggia. Parlare di “superiorità morale” davanti a tanta sconcezza è a dir poco volgare. A tanti anni di distanza, ancora non vi è chiarezza sui fatti e sul ruolo che ebbero i vari partigiani che si alternarono come protagonisti quel 10 Marzo. Certamente, vi fu un’opera di manipolazione della realtà e già il fatto che il Comandante Mario Lupo sia stato letteralmente cancellato dai libri di storia dovrebbe far meditare più di qualcuno che, anche quest’anno, vorrebbe speculare sui morti per meri fini di propaganda politica. Quella fu una delle più gravi stragi partigiane registrate nell’Italia centro-settentrionale (con l’esclusione della Venezia Giulia). A Poggio Bustone, quel 10 Marzo 1944, si registrò anche il primo Questore della RSI caduto in un’operazione di polizia. Le conseguenze di questo eccidio si vedranno venti giorni dopo, quando i ribelli vennero spazzati via da un massiccio rastrellamento italo-tedesco (senza, per’altro, sparare un sol colpo). Come sempre, a pagare il conto fu la popolazione civile, in gran parte estranea alla guerriglia».

Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario
della RSI in Provincia di Rieti

“Anniversario della Fondazione dei Fasci di Combattimento a Milano in Piazza San Sepolcro”

 

DOMENICA 23 MARZO 2014 – ORE 15.00

CIMITERO MONUMENTALE di MILANO

 Omaggio ai Martiri della Rivoluzione Fascista  ed alla Tomba di Filippo Tommaso Marinetti

 

Associazione Nazionale Arditi d’Italia

http://arditiditalia.com/arditi.anai@libero.it

Unione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana

http://uncrsimilano.blogspot.it/unionecomb.rsi@fastwebnet.it

Il 1° Marzo 1944, un aereo britannico colpì per la seconda volta la Città del Vaticano. Erano i giorni in cui ancora non si erano spente le polemiche per l’insensato sacrilegio della distruzione dell’Abazia di Montecassino e gli Alleati arrancavano disperatamente sia sulla Linea Gustav, sia nella sacca di Nettunia. I nervi erano alle stelle e, in questo clima, “per la seconda volta un aereo americano sganciò alcune bombe nelle immediate vicinanze della Città del Vaticano”.
La posizione neutralista della Santa Sede non andava certamente giù a chi si era arrogato il diritto di dipingersi come un nuovo “crociato”, della democrazia, ovviamente. Anzi, il Vaticano non faceva mistero di condannare la richiesta della resa incondizionata fatta alla Germania dagli Angloamericani, facendo comprendere come questo diktat avrebbe costretto i Tedeschi a combattere fino all’ultimo uomo. A chi sosteneva che gli Alleati combattevano per evitare un’egemonia germanica in Europa, la Santa Sede aveva risposto che così facendo, però, si stava promuovendo un’altra egemonia, quella sovietica. Si può ben capire allora l’imbarazzo degli Angloamericani e la loro rabbia. In questo clima di “incomprensione dei doveri del momento”, maturò l’incursione del 1° Marzo 1944.
Questa volta ci scappò pure il morto: Pietro Piergiovanni. Un operaio sventrato da una scheggia, mentre cercava di rifugiarsi nell’Oratorio di San Pietro. Sfortuna volle che morì per una bomba “democratica” e, quindi, la sua morte fu occultata. Se fosse stato ucciso dai Germanici, oggi, quel disgraziato operaio avrebbe una via in suo nome, in qualità di “martire della libertà” e magari anche una Medaglia al Valore, d’Oro naturalmente.
Abbiamo detto secondo bombardamento, in quanto già il 5 Novembre 1943 aerei angloamericani avevano colpito vigliaccamente il perimetro vaticano, per poi negare decisamente ogni addebito (magari erano stati gli alieni?). Tanto è vero che ancor oggi gli istituti della Resistenza e le associazioni partigiane cercano di sfruttare tali crimini di guerra per la loro propaganda politica, accusando niente meno che i fascisti della RSI di aver attaccato la Sante Sede, sebbene sia appurata la vera nazionalità di chi bombardò il Vaticano.
Ma la storia dei terroristici bombardamenti degli Angloamericani sulle popolazioni italiane rimane ancor oggi una pagina tabù. Si pensi che il 3 Marzo 1944, la Casa delle Madri Pie, in Via del SS. Crocefisso, a Roma, fu colpita da una bomba molto particolare. Si trattava di un “fusto di benzina”,
cioè Napalm che fino ad oggi si credeva utilizzato contro i civili italiani solo dall’Ottobre 1944. Ebbene, pensiamo che a Roma, quel 3 Marzo, avvenne la prima sperimentazione di un’arma vietata dalle convenzioni internazionali. Sperimentazione, naturalmente, contro gente indifesa che così veniva definitivamente “liberata”.

Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia

Un mercato del lavoro flessibile richiede un sistema efficiente di politiche attive per chi cerca lavoro e per chi lo perde: in caso contrario la flessibilità si trasforma in precarietà del lavoro – Un lavoratore flessibile negli Stati Uniti, a maggior ragione oggi a crisi superata, è una persona forte nel mercato, e può scegliere.

Tutti i centri di previsione (pubblici e privati, nazionali ed internazionali) stimano ormai che la debolezza del ciclo economico permarrà in Italia anche per il prossimo biennio.
La Bce nel suo ultimo bollettino mensile conferma la prospettiva di un lento recupero, ma ribadisce anche che la disoccupazione resta elevata e che le mancate riforme strutturali, a partire da quella del mercato del lavoro, continueranno a pesare sul ritmo della ripresa.
La lunga fase di crisi e la doppia recessione, con il deterioramento del mercato del lavoro hanno indebolito anche le potenzialità di sviluppo : le gravi incertezze circa le prospettive occupazionali (soprattutto per i giovani, le donne e nel Mezzogiorno), le depresse aspettative per la domanda futura, le magre attese sul fronte degli incrementi del salario reale spingono a rivedere in peggio i
piani di consumo per le famiglie e i piani di investimento per le imprese.
Occorrono dunque azioni forti a sostegno del mondo del lavoro e della produzione perché è da qui che possono innanzitutto arrivare energie e capacità per ridare un futuro al nostro Paese : è indispensabile un profondo e radicale cambiamento culturale nella politica, nei sindacati, tra gli imprenditori, che riconosca al lavoro, al talento e al merito il valore, individuale e collettivo, che è loro attribuito dai modelli sociali occidentali.
La armonizzazione delle regole del mercato del lavoro e del diritto del lavoro con quelle perlomeno dei paesi europei continentali è in questo senso una azione prioritaria.
Negli ultimi vent’anni i Governi, di qualsiasi composizione politica o tecnica fossero, non potendo rimuovere l’ostacolo della flessibilità del lavoro in uscita (la reintegrazione obbligatoria ex art. 18), hanno cercato, prima con la legge Treu, poi con la Biagi e da ultimo con la stessa Fornero, di flessibilizzare il rapporto di lavoro in entrata ampliando le tipologie dei contratti temporanei o a scadenza predefinita, il cui numero è peraltro di difficile quantificazione, variando da una quindicina conteggiati da Confindustria alla quarantina calcolati dalla Cgil.
Un mercato del lavoro flessibile richiede però un sistema efficiente di politiche attive per chi cerca lavoro e per chi lo perde: in caso contrario la flessibilità si trasforma in precarietà del lavoro.
Un lavoratore flessibile negli Stati Uniti, a maggior ragione oggi a crisi superata, è una persona forte nel mercato, è un lavoratore che acquisisce nuove competenze ogni volta che cambia lavoro, è una persona che può scegliere.
In Italia un lavoratore flessibile, o per meglio dire un precario, è una persona che si sente debole e che nel fatto di cambiare lavoro non vede possibilità di crescere ma solo il rischio di restarne privo.
Se è vero che i posti di lavoro non si creano per decreto, né si mantengono in vita le aziende con i sussidi, ma è necessaria, come tutti dicono, la crescita, si devono peraltro creare quelle precondizioni del mercato del lavoro che possano non far perdere il treno della ripresa, attraendo nuovamente gli investimenti o fermando la desertificazione del nostro sistema manifatturiero.
Per far svanire nei giovani precari il senso di incertezza nel futuro e la convinzione che il lavoro è un luogo dove la fortuna o l’appartenenza contano più di altre cose, si deve in particolare riequilibrare un sistema laburistico oggi caratterizzato dalla dualità tra la temporaneità dei precari, in particolare giovani, e la iperprotezione dei lavoratori pubblici o privati con contratto a tempo
indeterminato, riducendo da un lato i garantismi del contratto a tempo indeterminato e, dall’ altro, migliorando la rete di salvataggio del welfare.
In questo senso,nell’ ambito del lavoro del settore privato, e perché non anche del pubblico impiego , la prevalenza dovrebbe essere data al contratto a tempo indeterminato, così da dare fiducia e motivazione soprattutto ai giovani, ma con la possibilità di risoluzione per giustificato motivo tipizzato (togliendo discrezionalità ai giudici) con il riconoscimento di una indennità proporzionale
alla durata del rapporto di lavoro. La tutela reale della reintegrazione sarebbe prevista solo nel caso di licenziamenti discriminatori.
L’ introduzione del nuovo contratto a tempo indeterminato dovrebbe inoltre semplificare o ridurre, se non addirittura eliminare, le varie forme contrattuali di lavoro temporaneo, tranne poche eccezioni come il lavoro interinale, l’ apprendistato o il contratto a termine su casi specifici, come ad esempio la sostituzione per maternità.
Ma il passaggio da una cultura del lavoro fisso ad una cultura del lavoro flessibile può essere fatto solo se contemperato da scelte precise che aumentino nei lavoratori il senso di sicurezza. Sarà pertanto necessario definire e applicare politiche attive per chi cerca lavoro e per chi lo perde, assicurando servizi efficienti di informazione e adeguate iniziative di formazione, sistemi di reddito
contro la disoccupazione e un quadro moderno di ammortizzatori sociali.
In questo contesto e con la semplificazione annunciata di quel groviglio inestricabile di leggi sul lavoro e relative leggine, regolamenti e circolari, il nostro diritto del lavoro dovrà inevitabilmente spogliarsi dei retaggi del passato come il diritto al posto di lavoro per ricercare nuove vie come il diritto alla formazione permanente o all’impiegabilità, l’ unica vera tutela che il lavoratore dovrà
esigere in un futuro sempre più caratterizzato da una vita lavorativa spezzata tra lavoro e ineludibile aggiornamento professionale.
Tocca ora a Matteo Renzi e al suo governo far seguire i fatti alle parole del suo Jobs Act.

Contrapporre concretezza progettuale ai comizi in Parlamento
Questo numero del bollettino esce mentre sta avviandosi l’attività di un nuovo Governo, quello di Matteo Renzi, che si è presentato all’insegna di una disinvolta improvvisazione piuttosto che della meditata competenza propositiva. Non vogliamo esprimere né giudizi né pronostici sui contenuti perché quanto in precedenza ha affermato il nuovo Presidente del Consiglio ha contenuti diversi, e fra loro contraddittori, rispetto a quelli svolti in sede di dichiarazione alle Camere. La spettacolarizzazione televisiva ha prevalso sull’impegno programmatico.
Il presente numero del bollettino è incentrato su tre tematiche: portare le strutture e i compiti del CNEL entro la Camera delle Competenze, in sostituzione dell’attuale Senato; una legislazione burocraticamente incapace di realizzare obiettivi concreti; superficialità e ipocrisie riguardanti timide proposte legislative per una moderna funzione partecipativa del lavoro.
Il CESI continua la sua attività di analisi e di approfondimento su essenziali materie costituzionali in vista di una necessaria presa di coscienza, più ampia dell’attuale, su questioni incombenti, ma risolutive solo nel medio-lungo periodo. Le preesistenti divergenze sia all’interno del partito di maggioranza che tra le forze politiche che sostengono in Parlamento il nuovo governo faranno della legge elettorale e delle modifiche costituzionali solo argomenti per allungare i tempi di decisione.
Già in passato abbiamo chiaramente individuato come l’attuale regime politico si balocchi passando dal “porcellum padanum” al “porcellum italicum” oppure accettando supinamente il devastante programma di creare al posto del Senato una Camera delle Regioni che sarà fatalmente lacerata dalle risse tra i peggiori localismi, resuscitati da antichi retaggi, e per di più afflitta dalle perduranti tendenze secessionistiche ad opera dei residui del leghismo anti-italiano.
È necessario che si rafforzino, trovando unità, identità ed autonomia, quelle forze nazionali e sociali, disperse da una sciagurata politica passata ed ora forse in fase di cammino per riacquistare la consapevolezza dei loro compiti odierni e la coscienza del ruolo storico che possono avere. (g.r.)

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO

- È incominciata l’offensiva contro il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro
Abolito il Senato facciamo del CNEL la Camera delle Categorie di Mario Bozzi Sentieri

- Ipertrofia legislativa e burocraticismo paralizzante
I risultati negativi per il “mercato del lavoro” della Riforma Fornero di Ettore Rivabella

- Ancora una volta ipocrisie sulla partecipazione dei lavoratori Occupazione, produttività e redditi: obiettivi traditi di Ettore Rivabella

- Rubrica “dibattito”.
Proposte di riforma costituzionale di Nazzareno Mollicone
Ripresa identitaria, riforma del Senato, politica delle infrastrutture. Lettera di Gian Galeazzo Tesei

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Il 26 Febbraio 1944, la provincia di Rieti venne sconvolta dall’uccisione del Commissario del Capo della Provincia in Leonessa Francesco Pietramico, reggente il locale Fascio Repubblicano. Uccisione avvenuta per opera di partigiani mai correttamente identificati. Quello di Pietramico fu il primo omicidio politico registrato nella provincia e rappresentò il “salto di qualità” della guerriglia nella sua lotta contro la Repubblica Sociale Italiana. Fino ad allora, infatti, il movimento partigiano non aveva destato particolari preoccupazioni, anche se dopo lo sbarco angloamericano a Nettunia (22 Gennaio 1944), in tutta la provincia si era assistito al crescere delle azioni dei ribelli (soprattutto “prelievi proletari”). Tuttavia, nulla faceva pensare al dramma. Così, quando a Rieti si sparse la notizia dell’uccisione di Francesco Pietramico, molti rimasero basiti davanti a tale evento, primo fra tutti il Capo della Provincia Ermanno Di Marsciano che conosceva e stimava il fascista leonessano.
Il Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti, in occasione del settantennale della morte di Francesco Pietramico, recandosi sui luoghi dei fatti, ha ufficialmente chiesto al Sindaco di Leonessa di poter erigere una croce in memoria del caduto in località Fuscello, ove il Commissario del Capo della Provincia venne catturato prima di essere sommariamente passato per le armi.
«A 70 anni da questa uccisione – ha dichiarato il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti – è doveroso ripensare a quanto avvenuto a Leonessa quel 26 Febbraio 1944. Per decenni la figura di Francesco Pietramico è stata diffamata per solo odio politico. I documenti in nostro possesso e una più corretta analisi degli eventi che portarono a quell’uccisione dimostrano che il Commissario del Capo della Provincia in
Leonessa non si era macchiato di nessun crimine, ma venne fucilato solo perché fascista o, meglio, perché aveva combattuto la borsa nera e i “mercati clandestini” che fiorivano sull’altipiano. Alla luce di tutto ciò abbiamo chiesto la sua riabilitazione. Una riabilitazione necessaria a 70 anni da quel drammatico evento, in vista di una definitiva pacificazione nazionale, ove l’odio politico non abbia più tribuna. Ancor oggi, infatti, di questa “legittima azione di guerra” nessuno conosce i particolari; chi fu a sparare; perché venne ucciso Francesco Pietramico e, soprattutto, chi furono i mandanti della spedizione punitiva. Chi partecipò all’imboscata? Perché i vari racconti si contraddicono a vicenda? Che ruolo ebbe l’enigmatico partigiano Volfango Costa? Sono domande a cui dobbiamo dare una risposta, non solo per ricostruire la realtà storica dell’evento, ma anche per il profondo rispetto che abbiamo per i caduti per la Patria. Una cosa deve essere sottolineata, all’epoca tutti condannarono l’uccisione di Francesco Pietramico e lo stesso Don Concezio Chiaretti fu il primo ad accorrere sul luogo del triste evento, inginocchiandosi a pregare sulla salma senza vita del Commissario del Capo della Provincia. Quel 26 Febbraio 1944 iniziava così la lotta armata contro la RSI. Una lotta che porterà, inevitabilmente, alle stragi germaniche della Primavera 1944».

Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario
della RSI in Provincia di Rieti

Dopo i grandi successi del corteo in ricordo della tragedia della popolazione giuliano-dalmata organizzato da CasaPound (8 Febbraio) e della Giornata per l’italianità dell’Istria e della Dalmazia (11 Febbraio), il Comitato Nettunese Pro Gabriele d’Annunzio ha ufficialmente chiesto ai Sindaci di Anzio e Nettuno l’istituzione di una via per i Martiri delle Foibe.
Per Anzio è stata chiesta la sostituzione dell’attuale Via Antonio Gramsci, mentre a Nettuno si è valutata come più che opportuna la sostituzione di Via Palmiro Togliatti. Non solo. Sempre a Nettuno è stato chiesto di intitolare alla martire istriana Norma Cossetto (stuprata e infoibata dai partigiani; Medaglia d’Oro al Merito Civile della Repubblica Italiana) l’attuale Via Rosa Luxemburg.
Tale iniziativa si è resa necessaria come “parziale riconoscimento morale” per le sofferenze patite dalla popolazione istriano-dalmata, dimenticata e vilipesa per oltre mezzo secolo da una classe politica corrotta, omertosa e complice; un genocidio dimenticato che rappresenta la più grande tragedia subita dall’intero popolo italiano nel corso della sua storia.
Da diversi anni, alcune associazioni culturali e movimenti politici chiedono che le nostre città onorino i fratelli dell’Istria e della Dalmazia rivendicando l’italianità di quelle terre di millenaria cultura romana e veneta. Purtroppo, nessuno ha mai voluto raccogliere queste proposte volte a riprenderci un passato che la vulgata antifascista e anti-italiana ha colpevolmente strappato dal “grande libro” della storia per opportunismo, cupidigia, servilismo, complicità, omertà e viltà.
Aspettiamo la risposta dei Sindaci, in particolare di quello di Nettuno dal quale attendiamo ancora l’autorizzazione per restaurare la lapide di d’Annunzio presente all’interno del cimitero civile e il ripristino della legittima Via Gabriele d’Annunzio (oggi erroneamente indicata come Via Cristoforo Colombo). Speriamo che i rappresentanti delle cosiddette “istituzioni democratiche” si pronuncino con chiarezza su delle proposte patriottiche e civili, senza chiudere gli occhi come troppo sovente avviene. Dalle risposte che riceveremo sapremo valutare il loro spessore morale.

Ufficio Stampa
Comitato Nettunese
Pro Gabriele d’Annunzio

Il 22 Febbraio 1944, era un giorno particolare per la popolazione di Nettunia, occupata da un mese dagli eserciti angloamericani. Fallita oramai, in modo clamoroso, ogni velleità offensiva contro le difese germaniche di Cassino, gli Alleati si trovarono bloccati sulla testa di sbarco di Nettunia, impossibilitati a muoversi. L’operazione anfibia, che avrebbe dovuto portare gli Angloamericani sui Colli Albani e, quindi, permettere agevolmente di conquistare Roma, era fallita e ci si trovò bloccati in quello che i Tedeschi, con sarcasmo, definirono il più grande “campo di concentramento” autogestito del mondo. In questa situazione di stallo, la popolazione civile rimasta bloccata all’interno della testa di ponte dovette essere – con le buone e con le cattive – espulsa dal territorio: iniziava così la deportazione di intere famiglie nel Merdione già occupato. Il 22 Febbraio 1944, fu la volta dello sfollamento obbligatorio per la famiglia Tartaglia. La giovane Giulia, di appena 17 anni, prima di raggiungere il punto di imbarco, volle salutare per l’ultima volta la sua casa, magari prendere un piccolo ricordo da portare con se in quel viaggio pieno di incognite e di speranze. Mai decisione fu più funesta. Giunta nei pressi della sua abitazione, posta all’incrocio tra Via Gorizia e Via Monte Grappa in Nettunia Centro (l’attuale Nettuno), incontrò dei soldati afroamericani. Fu l’inizio di un lungo calvario: stuprata e poi sventrata con un grosso pugnale. Subito soccorsa dalla Military Police, venne tentato il possibile per salvarla, ma i sanitari dell’ospedale militare da campo USA non poteron far altro che costatarne la morte. Il suo corpo, avvolto in bende come una mummia e sommariamente composto in una cassa di legno provvisoria, fu tumulato senza tante cerimonie nel locale cimitero e la sua storia dimenticata – volutamente – da tutti. A 70 anni da quell’evento luttuoso, il Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia ha posto sul luogo della morte di Giulia Tartaglia un mazzo di fiori, per ricordare alle Istituzioni assenti un dramma tenuto nascosto per interi decenni.
«E’ con particolare tristezza – ha dichiarato il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia – che adempiamo ad un opera di supplenza istituzionale. A 70 anni da quegli eventi, la povera Giulia non ha ancora la dignità di un ricordo. Certo, si trattò di un episodio marginale nel contesto dell’immane conflitto che sconvolse i continenti, ma l’opera di occultamento di questo crimine di guerra non ha giustificazione di sorta, se non nell’omertà e nel servilismo di troppi che si sono piegati alla falsa mitologia dei “liberatori”. Abbiamo proposto all’Amministrazione comunale di ricordare Giulia Tartaglia con una lapide posta sul luogo del suo assassinio. Non abbiamo mai ricevuto risposta.
Speriamo che nessuno, come oggi va di moda, pensi di dare la cittadinanza onoraria delle nostre città anche a quei barbari che con tanta violenza infierirono sulla nostra piccola concittadina».

Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia

Domenica 16 Febbraio 2014, sotto il simbolico cavalcavia di Campo di Carne (Aprilia), si è tenuta una manifestazione patriottica in ricordo del Battaglione Paracadutisti “Nembo” della RSI. Proprio il 16 Febbraio 1944, infatti, scattava la controffensiva germanica contro la testa di ponte di Nettunia, il cui scopo era quello di ributtare a mare l’invasore angloamericano. All’Operazione “Fishfang” parteciparono anche i Paracadutisti italiani, inquadrati nella 4a Divisione Fallschirmjäger. Durante i quattro giorni di combattimenti il Battaglione “Nembo” travolse le linee britanniche nel settore del Fosso della Moletta (Ardea), riuscendo a raggiungere la Nettunense. La controffensiva germanica, che gettò nel panico le unità e i Comandanti angloamericani, si arrestò proprio davanti al cavalcavia di Campo di Carne oltre il quale si apriva la via per Nettunia e il disastro totale per gli Alleati. Il totale dominio del cielo e del mare, la stragrande superiorità in uomini, armi e mezzi degli Angloamericani fu, alla fine, determinate per l’esito della battaglia che non ebbe nulla da invidiare – per gli aspri combattimenti – a quelle registrate sul fronte russo.

La manifestazione, organizzata dalla Prof.ssa Patricia Renzi del Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia, ha visto la partecipazione di un folto pubblico e di rappresentanze dell’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia giunte da tutto il Lazio, tra cui spiccavano il labaro della Sezione di Latina, di Anzio-Nettuno, di Tivoli-Guidonia-Montecelio-V. Aniene, di Velletri, con la fiamma dell’ANPdI di Cisterna di Latina. Presenti anche il labaro della Sezione Regionale Lazio dell’Associazione Nazionale “Nembo”, dell’Associazione Nazionale Carabinieri di Latina e dell’Associazione Nazione Arditi d’Italia di Nettunia.

«E’ con particolare orgoglio – ha dichiarato il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia – che ricordiamo oggi il sacrificio dei Paracadutisti italiani del Battaglione “Nembo” che combatterono per la libertà della nostra Nazione e per l’Onore d’Italia. Si tratta di una pagina gloriosa di storia militare strappata dal “grande libro” da una certa vulgata antifascista e anti-italiana che ha voluto dipingere il soldato italiano come uno “straccione”. Invece, l’epopea dei Volontari di Guerra nella Seconda Guerra Mondiale – di cui i Paracadutisti sono uno dei frutti più gloriosi – dimostrano come quel conflitto fu vissuto dalle giovani generazioni di Italiani educati al culto della Patria. Il successo tattico del Battaglione “Nembo” durante l’Operazione “Fishfang” dimostra altresì il valore del soldato italiano che, ovunque, dai deserti d’Africa alle steppe russe, si ricoprì di gloria, riuscendo a trionfare anche dove eserciti ben più addestrati ed armati avevano fallito. Quando parliamo del nostro passato è a loro che va il nostro pensiero e la nostra gratitudine, perché il loro esempio ci accompagni nelle scelte del presente. Ai nostri figli diremo che, in quel lontano 1944, gli Italiani sul fronte di Nettunia c’erano e combatterono. Soprattutto diremo che combatterono bene. Proprio sulla scia di questo “riscoprire” la nostra storia, abbiamo chiesto alle Amministrazioni di Anzio, Nettuno ed Aprilia non solo di “monumentalizzare” il cavalcavia di Campo di Carne, ma anche di concedere la cittadinanza onoraria ad Umberto Bisaccioni del Reggimento Arditi Paracadutisti “Folgore” della RSI, uno degli ultimi reduci italiani del fronte di Nettunia. Vogliamo che le Istituzioni, sempre sorde agli appelli patriottici, riconoscano in lui il simbolo più puro dell’amor di Patria».

Nel pomeriggio, presso il “Vallelata Village”, la Prof.ssa Patricia Renzi ha organizzato la presentazione del libro Lo sbarco di Nettunia e la battaglia per Roma (Herald Editore) di Pietro Cappellari. Il volume – che risulta il più venduto in questi giorni di celebrazioni per il 70° Anniversario della Sbarco di Anzio-Nettuno – è stato presentato alla presenza di diversi docenti di Aprilia che hanno approfondito la conoscenza di uno dei più importanti episodi di guerra verificatisi in Europa nel corso della Seconda Guerra Mondiale.

 

Ufficio Stampa

Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia

Banca d’Italia e sovranità monetaria nel contesto europeo
Non si può perseguire una politica di autentico protagonismo dell’Italia in Europa se non si conta (se non si ha un “peso consistente”) come Stato che ha in mano le leve della politica monetaria e della politica bancaria. Con ciò, naturalmente non si intende affatto affermare che l’Italia per ricuperare una parvenza di “sovranità” ritorni alla lira, ma esattamente il contrario. E cioè che, per quanto riguarda il “governo” dell’euro e della politica del risparmio, del credito, dei flussi finanziari dell’Italia, lo Stato italiano deve agire attraverso propri forti ed autorevoli organi di diritto pubblico affatto condizionati da logiche particolari di attività finanziaria private.
La struttura dell’UE è inevitabilmente ed intrinsecamente unita alla politica riguardante l’euro, e viceversa. Chi sostiene la tesi dell’uscita dall’Eurozona, ma non dalla EU non ha alcuna consapevolezza della dinamica geopolitica, geoeconomica e geomonetaria che regola ormai la vita del mondo.
Per questo, nell’articolo che apre il presente numero de Il Sestante, abbiamo chiamato “colpo di Stato” a danno dell’Italia e della sua politica europea, l’essere improvvisamente intervenuti e in maniera così superficiale nell’aumentare il peso privatistico delle quote del capitale della Banca d’Italia (e ciò per ottenere un precario cespite fiscale sostitutivo dell’IMU).
Il numero attuale riporta, poi, due pregevoli note di Mario Bozzi Sentieri sul problema della casta burocratica italiana e sulla deriva del localismo. Quest’ultimo scritto individua, sia dal punto di vista funzionale attuale che nella sua realtà storica, il pericolo del disordine derivante dai micro particolarismi esistenti che risulterebbero devastanti se addirittura dovessero essere rappresentati in sede parlamentare, ossia legislativa. Significativo al riguardo è l’influenza su Renzi del politologo americano Benjamin Barber che sostiene le tesi favorevoli all’esaltazione localistica.
Nella rubrica “dibattito” abbiamo ritenuto di particolare interesse ospitare una segnalazione relativa al significato politico e alla metodologia necessaria per la realizzazione dell’unificazione identitaria delle forze nazionali e sociali finora disperse e senza capacità di influire sullo sviluppo del Paese (g.r.).

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO

- Bisogna sollevare il velo che copre un’operazione pericolosa
Il colpo di Stato della “privatizzazione” della Banca d’Italia di Gaetano Rasi

- Oltre il “caso Mastrapasqua”
La vera casta é la burocrazia di Mario Bozzi Sentieri

- Coniugare l’identità territoriale con il più ampio e complesso interesse nazionale
La “deriva” del localismo di Mario Bozzi Sentieri

- Rubrica “dibattito”. Le tre “c” indispensabili : costanza, coerenza, coraggio

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