Non si va in Europa senza un progetto
Si stanno avvicinando a lunghi passi le elezioni europee e dobbiamo costatare con tristezza che le maggiori preoccupazioni sono quelle degli attuali parlamentari europei di avere una ulteriore riconferma, oppure, di ex parlamentari nazionali di trovare “un impiego”in una elezione nel nuovo Parlamento della UE.
Ben pochi di questi candidati cercano di caratterizzarsi come portatori di progetti volti alla effettiva esistenza di uno Stato continentale che sia protagonista nella politica mondiale, oltre che capace di realizzare la ripresa di un equilibrato sviluppo interno valido per tutti i popoli, sia dei cosiddetti “traenti”che di quelli “periferici”.
Abbiamo assistito alle accuse e continuiamo a sentirle ripetere nei confronti della rigidità tedesca, inizialmente quasi giustificata a causa delle elezioni interne in quel Paese ed ora non più giustificabili, ad elezioni avvenute, con la riedizione della Großen Koalition e la riconferma a cancelliere di Angela Merkel.
In realtà la austerità predicata agli altri dai tedeschi non è la sola causa del perdurare della crisi economica in Europa e segnatamente in Italia. Bisogna superare la sola (e volgaruccia) accusa fatta ai tedeschi che essi non vogliano pagare con i propri soldi i debiti degli altri. La più importante questione è invece quella di porre in atto una energica politica di revisione delle strutture burocratiche di vertice di Bruxelles (40 mila impiegati!), le quali hanno un potere infinitamente superiore a quello dello stesso Parlamento europeo.
A questa ristrutturazione, che realizzi una effettiva rappresentatività e capacità legislativa parlamentare va poi aggiunta anche un’altra esigenza: quella di un vero governo europeo, ossia di un esecutivo capace di una politica, interna e verso l’estero, ben diversa da quella dei compromessi e degli equivoci della Commissione espressa dai governi degli Stati componenti l’UE.
Il CESI, intende porre il problema di una autentica progettualità europea come bandiera che venga impugnata saldamente da parte di quelle forze nazionali e sociali, che correntemente vanno sotto il nome di destra nazionale e sociale, le quali stanno cercando una nuova coesione ed assumere una rinnovata identità. Nei prossimi numeri riprenderemo questa tematica (g.r.).
SOMMARIO DI QUESTO NUMERO
– Per un radicale cambiamento al vertice della UE. La richiesta di una politica protezionistica nell’ambito dell’Unione Doganale Europea Gaetano Rasi
– Marcello Veneziani: Non uscire, ma “entrare finalmente in Europa…”. Necessità di una autentica politica estera europea (gr)
– Monete nazionali e chiusura interna delle frontiere uguale a retrocessione nel Terzo Mondo. Crisi dell’Europa o crisi delle idee? di Carlo Vivaldi-Forti
di Lemmonio Boreo
Giovedì 12 Dicembre 2013, i militanti dell’Associazione Nazionale Arditi d’Italia di Anzio e Nettuno si sono ritrovati nell’affascinante cornice del borgo medioevale per i tradizionali auguri per il Santo Natale. L’incontro è stato preceduto, nel pomeriggio, da un omaggio che dirigenti dell’A.N.A.I. hanno personalmente portato al Campo della Memoria – Sacrario dei Caduti della Repubblica Sociale Italiana.
Durante l’incontro, ha preso la parola Franco Pesce, Commendatore dell’Ordine dell’Aquila Romana, che ha raccontato interessanti aneddoti della sua gioventù. Successivamente, è intervenuto Marino Perilli che ha commentato alcuni brani del libro di Rico Covella, Madre lotta, in cui si evidenzia l’importanza della conquista dell’Impero per l’Italia fascista in quel 1936.
«Con l’avvicinarsi del Santo Natale – ha dichiarato Bruno Sacchi, Comandante il locale Reparto – colgo l’occasione di estendere gli auguri anche alle famiglie dei camerati presenti e illustrare brevemente quali saranno le prossime attività dell’A.N.A.I. Abbiamo iniziato una raccolta di materiale didattico per la Scuola Materna “Pinocchio” di Zara, unica scuola italiana in Dalmazia. E’ dovere di noi Arditi, che rappresentiamo la continuità storica di chi si è sacrificato per quelle terre, aiutare i nostri fratelli d’Oltreadriatico, in un’impresa senza precedenti. Dopo che l’infame e criminale regime comunista chiuse tutti gli istituti italiani nessuno è più riuscito ad aprire una scuola che difendesse l’idioma che fu di Dante come di Marco Polo. Oggi, nonostante un’ostilità di fondo ormai istituzionalizzata, questo miracolo si è compiuto. A Zara, la nostra italianissima Zara, v’è una scuola in cui si parla italiano. Anche così l’Italia, quella vera, torna in Dalmazia. Successivamente, presenteremo al Prefetto di Roma la richiesta di poter inserire – a nostre spese – sul Monumento ai Caduti di Nettuno i nomi dei ragazzi della RSI sacrificatisi per l’Onore d’Italia, dimenticati da una vile vulgata antifascista. Una nostra precedente richiesta al Sindaco non ha mai avuto risposta. Procederemo ugualmente. Infine, grazie agli studi del Dott. Pietro Cappellari, ricercatore della Fondazione della Repubblica Sociale Italiana, siamo venuti a conoscenza di un fatto particolarmente interessante. Nel libro di Cappellari “Il fascismo ad Anzio e Nettuno 1919-1939”, prossimamente edito dalla Herald Editore, saranno correttamente elencati, per la prima volta, i caduti del Primo conflitto mondiale delle due città. Tra questi vi è il nettunese Pierino Maruffa, Ardito. Sapendo di interpretare la volontà di tutti i camerati dell’A.N.A.I., comunico ufficialmente che, da oggi, il Reparto di Nettunia che ho l’onore di comandare sarà dedicato alla sua memoria. Con questa opera di riappropriazione della nostra storia, rilanceremo su tutto il territorio la nostra attività, certi che i valori come quelli della Patria, della Nazione, del Popolo, non possono tramontare perché eterni».
Giovedì 5 dicembre ho ricevuto dal quotidiano Brescia Oggi una mail contenente un allegato dal titolo: “I rischi della continua rincorsa al revisionismo"”. Sono d’accordo che il revisionismo possa essere un pericolo, si tratta di stabilire PER CHI!
L’allegato ricevuto contiene una serie di accuse nei confronti di Mussolini circa le Leggi Razziali del 1938. E allora, Signori del Brescia Oggi, contestate quanto Vi ho inviato e qui di seguito riportato.
In occasione della ricorrenza della “Giornata della Memoria”, leggo su “Il Messaggero”: “Nasce il museo della Shoah nel cuore di Villa Torlonia”. E’noto che Villa Torlonia fu, per un certo periodo, la residenza di Benito Mussolini. Con questa iniziativa si vuole rafforzare la tesi della responsabilità del Duce circa le malefatte – reali, supposte o false che siano – di Hitler.
Il 25 aprile 1945 Luigi Longo, uno dei massimi esponenti del Pci e quindi del CLNAI (Comitato Italiano Liberazione Alta Italia), nell’impartire disposizioni per l’esecuzione della condanna a morte del Duce, ordinò: <Lo si deve accoppare subito, in malo modo, senza processo, senza teatralità, senza frasi storiche>.
A distanza di oltre settanta anni ancora si parla di questo argomento. Perché?
Per avere una visione più chiara su quell’Uomo, è necessario partire dal “Trattato di Pace” del febbraio 1947. Indicare questo Trattato come iniquo è riduttivo. Ricordiamo quanto recita l’articolo 17 (Sezione I – Clausole Generali): <L’Italia, la quale, in conformità dell’art. 30 della Convenzione di Armistizio, ha preso misure per sciogliere le organizzazioni fasciste in Italia, non permetterà, in territorio italiano, la rinascita di simili organizzazioni>. E i politici italiani succeduti dal 1945 ad oggi, si sono piegati vergognosamente a questo diktat, inventando, manipolando e storpiando la storia, non curandosi minimamente, per giungere allo scopo prefisso, di infangare la memoria di un morto che operò in modo completamente difforme dalle accuse di cui è stato fatto carico.
Una qualsiasi persona di media intelligenza dovrebbe chiedersi “cosa può interessare ad una grande democrazia come quella americana, se ci sia o meno un movimento fascista in Italia?”. La risposta la dette proprio Mussolini in una delle sue ultime interviste: “Le nostre idee hanno spaventato il mondo”; per “il mondo” intendeva quello del grande capitale, la plutocrazia, l’imperialismo liberista. E allora, ecco la necessità delle grandi menzogne e delle mascalzonate.
“L’operazione demonizzazione del fascismo” è sviluppata con diversi tentacoli. Leggiamo, sempre su “Il Messaggero”: <A scuola. Lezioni, mostre e percorsi virtuali nei campi di sterminio>. In pratica “il sistema” fa dei nostri ragazzi degli automi, il cui carburante è la menzogna.
Per costruire il mostro (e i mostri) si è montata un’accusa che riteniamo la più infamante e la più menzognera: l’essere stato Mussolini un vessatore e il responsabile della consegna degli ebrei ai tedeschi. I detrattori, per rendere l’accusa più plausibile hanno coniato il sostantivo “nazifascista”: termine dispregiativo tendente ad accomunare in un’unica responsabilità fascismo e nazismo per le atrocità commesse da quest’ultimo, sempre che queste non siano frutto di una enorme montatura, come molti studiosi sostengono.
Le diversità dottrinali fra fascismo e nazionalsocialismo sono trascurabili per i detrattori, ma sono evidenziate da diversi studiosi e, tra questi, citiamo Renzo De Felice (“Intervista sul Fascismo”, pag. 88): <Fra fascismo italiano e nazismo tedesco ci sono semmai più punti di divergenza che di convergenza, più differenze che somiglianze>.
Pubblicato su “Il Popolo d’Italia”
Qualche settimana fa titolai un mio intervento: “Magistratura inetta? Magistratura politicizzata? Magistratura corrotta? Bah! Decidete voi. Terminai il mio lavoro con queste parole: “Per provare a capire se la Magistratura nata dopo la Resistenza sia realmente (come da titolo) inetta, politicizzata, corrotta, farò seguire una analisi documentata di come operava la Magistratura ai tempi del “Male Assoluto”.
Prima di immettermi in questo nuovo tema, vediamo come viene giudicata – solo con alcuni ulteriori esempi – la Magistratura oggi secondo il giudizio di valenti uomini di legge.
Il procuratore aggiunto alla Procura di Torino, Bruno Tinti, nel suo libro Le toghe rotte, dopo aver espresso alcune considerazioni, prosegue: <(…). Non ci posso credere, ma veramente la magistratura è ridotta così?>. Il capo della Procura di Napoli, Vincenzo Galgano, ha dichiarato al Corriere del Mezzogiorno del 19 ottobre 2009: <Nella nostra Procura ci sono alcuni pm faziosi e fanatici che danneggiano persone e collettività e provocano sofferenze (….)>. Antonio Ingroia (lo ricordate?), qund’era PM alla Procura di Palermo ha definito “politicizzata” la sentenza della Consulta, che ha dato ragione al Presidente Giorgio Napoletano nel conflitto con la Procura di Palermo sulle intercettazioni delle sue telefonate col senatore Nicola Mancino. A questo va aggiunto l’osservazione di Gustavo Zagrebelsky, ex Presidente della Corte Costituzionale, che, in pratica condivise il giudizio di Ingroia. Piero Ostellino, sul Corriere della Sera dell’11 maggio 2013, fra l’altro ha scritto: <A giudicare da come sono condotte certe inchieste, si perviene a sentenze poi smentite anni dopo, si tratta di gente che non sa semplicemente fare il proprio mestiere o lo fa con la (paranoia) presunzione di poter disporre della vita degli altri a proprio arbitrio. Il difetto sta, evidentemente, in un concorso inadeguato a individuare preparazione professionale e attitudini personali>.
Alcuni decenni fa, al tempo del Male assoluto, pur nelle strettoie di un regime autoritario, questo ha saputo dimostrare una notevole autonomia nell’esercizio delle funzioni giudiziarie. Infatti possiamo sostenere che Benito Mussolini, Capo del Governo Fascista, mostrò una indubbia sensibilità politica nei confronti della magistratura e, quindi, nei magistrati ai quali impose una assoluta indipendenza nei confronti della politica. Quando, su consiglio dei suoi ministri, ritenne opportuno di dover intervenire a difesa del Regime, Mussolini concepì, con la legge 25 novembre 1926 n. 2008, il Tribunale per la difesa dello Stato, escludendo dalla sua compilazioni magistrati ordinari. E ancora, ai magistrati era fatto divieto l’iscrizione al Partito Nazionale Fascista, questo fu certamente condiviso dal ministro della Giustizia Alfredo Rocco. Questo trova conferma con quanto ha scritto Francesco Andreussi su La voce di Mantova del 25 ottobre 1994: <Vi furono infatti eminenti figure di Magistrati che raggiunsero i più alti gradi senza appartenere al Partito. Solo nel 1940, la legge 28 ottobre n. 148, richiede l’appartenenza al Partito quale condizione per l’avanzamento in carriera del personale dello Stato>. Andreussi osserva: <Il giuramento che fin dal 1927, era stato imposto a tutti i funzionari viene considerato una dichiarazione di lealismo, non richiede l’iscrizione al Partito, ed è accettato dai magistrati anche dalla sua formulazione che dice: “Giuro di essere fedele al Re ai suoi reali successori, al regime fascista e di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato”>. In pratica è un giuramento alla persona del Re, il che è costituzionalmente ineccepibile. Tesi accettata dall’Osservatore Romano che nel numero del 4 novembre 1931 dichiara che il giuramento è legittimo e che il termine “Regime fascista” equivalealla dizione “governo dello Stato”. Fino al 1936 la Magistratura è esclusa da qualsiasi attività politica in seno al Partito, però da quella data i magistrati, se iscritti avevano l’obbligo di appartenere all’Associazione fascista del pubblico impiego, segno evidente che molti magistrati non erano iscritti. Nel 1940, allo scoppio della guerra, si verificò un accentuato intervento nelle file del Partito, tanto che si stabilì l’opportunità di stabilire il tirocinio degli uditori giudiziari. L’8 settembre 1943, a seguito della fuga (o come qualcuno vuole ancora indicarla trasferimento) del governo Badoglio e del Re, pose il Paese in grave crisi a seguito della rapida occupazione tedesca, con conseguente paralisi di tutte le organizzazioni dello Stato. Solo con il ritorno di Mussolini si cercò di ricostituire una normativa atta a far riprendere una vita amministrativa del Paese.
Analogia impossibile. È solo un episodio della fase terminale
E’ opinione comune che spesso alcune fasi storiche si ripetano e, in relazione a ciò, taluni hanno tentato di paragonare il ventennio berlusconiano al ventennio mussoliniano facendo leva sulla stessa durata temporale e sulla preminenza di un protagonista caratterizzante il periodo. Crediamo che sia facile negare una qualsiasi validità a questa tesi. In verità è invece ben fondata un’altra teoria, ossia che una vicenda storica può talvolta ripetersi, ma che ciò sempre avviene la prima volta come un grande dramma che può terminare in una tragedia, mentre la seconda volta si svolge come una modesta commedia che termina con una recita a soggetto (nell’ambito di una “astutissima”ripartizione dei compiti?).
Non si può negare infatti che nella prima metà del secolo scorso quella vicenda abbia avuto le caratteristiche di un grande progetto collettivo sotto la guida di una forte tempra dominante , mentre quella che si è svolta negli ultimi vent’anni è consistita in una pubblicitaria mobilitazione di massa elettorale, prodotta da un abile propagandista di illusioni. In altre parole, ambedue le vicende possono anche essere caratterizzate dall’analogia per aver avuto circa la stessa durata, ma hanno avuto una ben diversa progettualità e una ben differente tipologia di protagonismo. D’altra parte va riconosciuto che nessuno di coloro che hanno costruito, dall’interno, il ventennio berlusconiano ha voluto mai sostenere la tesi dell’analogia, mentre invece qualcuno, proveniente dall’esterno, lo ha fatto per giustificare le proprie interessate, personali (ed equivoche) posizioni di inserimento.
A proposito della situazione che si è venuta a determinare, Marcello Veneziani ha scritto in questi giorni che «La storia oggi si posa sulle spalle d’Italia, ma il Paese … è distratto, e non felicemente distratto, ma angosciato da una brutta crisi senza sbocchi. Un Paese estenuato, stanco di questo interminabile teatro, una commedia che vira al noir e forse al dramma, dopo lunghi interminabili preliminari» e poi ha aggiunto «Qualunque sia il giudizio su Berlusconi – giudizio politico, storico e umano – un fatto è certo: lui … sarà pure l’unico a restare tra i presenti della storia» (Il Giornale, 27 novembre 2013). Ciò che dice Veneziani può essere vero, ma il protagonismo berlusconiano resterà nella memoria, non tanto per la grandezza del suo disegno politico, quanto per il grigiore dei suoi avversari. Ed infatti Veneziani scrive: «poco o nulla resterà di tutti gli altri, dal Capo dello Stato al Capo di Governo, ai capi dei partiti e ai magistrati … l’unico sopravvissuto di questa fase infelice della storia politica e civile italiana sarà proprio l’unico condannato ad uscirne, per decreto giudiziario».
Può darsi, pure, come dice Veneziani, che si tratti di un fatto storico, ma noi propendiamo piuttosto di definirlo solo un episodio nell’ambito della fase degenerativa finale di un sessantennio politico ed istituzionale che è destinato ad esaurirsi. Alla distanza, un giorno si potrà verificare che la fine del ventennio berlusconiano ha fatto parte dell’esaurimento di un sistema degradato nella sua stessa essenza costituzionale fin dalla nascita. Oggi comunque si va profilando una nuova fase storica che deve avere ben altro spessore etico e una ben diversa prospettiva di edificazione politica. La strada non è certamente priva di difficoltà: il terreno è impervio e le condizioni ambientali possono scoraggiare, ma tutti coloro che sono in grado di saper leggere ciò che di valido è stato scritto nel passato hanno il dovere morale e quindi il coraggio di trarne spunto unitario ed identitario per costruire il nuovo. (g.r.)
SOMMARIO DI QUESTO NUMERO
- Antonio Polito sul Corsera: “Ognuno per sé senza vergogna” (15.11.13) e “La coda avvelenata”(28.11.13). Una analisi che può essere utile per interpretare il presente in vista del futuro di Gaetano Rasi
- Oltre lo sciopero dei tranvieri genovesi. C’è spazio per una proposta partecipativa di Mario Bozzi Sentieri
- Superficialità e incoscienza del c.d. federalismo. La Provincia: Cenerentola dello Stato e della Costituzione repubblicana di Vincenzo Pacifici
-La Gazzetta del Mezzogiorno (27.11.13): Rifondare Stato e Regioni di Nino Marmo
Dicevamo: “Io incazzato?”. “No, Signori, sono superincazzato”.
Scrivo questo pezzo nel mezzo della tragedia che ha colpito la Sardegna: fino ad ora 14 morti.
Ci informano che sono state aperte due o tre inchieste. Se la cosa non fosse tragica sarebbe comica: due o tre inchieste per stabilire i responsabili. Ma se sono decenni che i geologi avvertono che i tre-quarti del territorio nazionale è a rischio idro-geologico e non passa mese che non si verifichi uno smottamento, una alluvione un qualsiasi fenomeno con danni al patrimonio con morti e feriti. Cosa ci dicono lor signori? <la colpa è del clima che è cambiato>. A maggior ragione si doveva intervenire proprio in previsione del cambiamento del clima. A prescindere che il clima è cambiato a causa dell’egoismo e dell’arroganza delle grandi industrie che non hanno voluto intervenire con mezzi adatti perché “troppo dispendiosi” (“signori, la grana è grana”). Poi lorsignori ci dicono che non ci sono i soldi. Mascalzoni! Non ci sono i soldi perché i vermetti furbetti non vogliono perdere i loro dorati privilegi. Prendete carta e penna e scrivete quanto un profano in economia osserva: abolizioni delle così dette auto blu (ne possono rimanere al massimo 6 o 7 e tutte rigorosamente italiane); abolizione del finanziamento pubblico ai partiti; abolizione delle province; abolizione del Senato; riduzione di due terzi del numero dei parlamentari e drastica riduzione dei loro emolumenti; drastica riduzione del costo del Quirinale; riesame del cosiddetto debito pubblico, ritenendo che buona parte di esso è frutto della più pazzesca truffa; abolizione dei 500 enti inutili; riduzione del costo del parlamento (parrucchieri, dattilografe, uscieri ecc. tutti pagati con stipendi che superano 7/8 volte gli stipendi dei normali lavoratori che operano fuori del paradiso marcato Palazzo Chigi; ridimensionamento degli stipendi ai magistrati e ai componenti della Corte dei Conti; ritiro delle nostre truppe dalle zone di guerra (altro che missioni di pace); rinuncia dell’acquisto dei difettosissimi F/35 e, ricordiamolo, nel periodo fascista i nostri aerei erano i migliori del mondo; riesame di tutti gli accordi siglati dai nostri politici (sic!) a partire dal 1947. Rigoroso controllo di tutte le spese pubbliche, cioè di tutti i denari che provengono dal popolo affidandolo all’Arma dei Carabinieri; dei magistrati di oggi non mi fido, non intravedendo fra questi alcun Falcone o Borsellino. E così di seguito. Avete fatto il conto? Mi si dice che la spesa corrente è di più di ottocento miliardi di Euro, sarei fuori logica se sostenessi che se si attuasse quanto propongo si avrebbe un risparmio di 150/200 miliardi annui?
Non passa giorno che i mass-media non presentino un personaggio che lamenta che <ci sono famiglie che non arrivano a fine mese>. Come sono premurosi! Quasi in odore di santità!
Zapatero rivela: il Cav obiettivo di un attacco dei leader europei
L’ex premier spagnolo svela i retroscena del G20 del 2011 e il pressing sull’Italia per accettare i diktat Fmi
Vorremmo dire «clamoroso», ma non è così perché sapevamo da tempo, e lo abbiamo più volte scritto, che non solo in Italia ma anche dall’estero arrivavano pesanti pressioni per far fuori Silvio Berlusconi. L’ultima prova, che conferma la volontà di rovesciare un governo democraticamente eletto, la rivela l’ex premier spagnolo Luis Zapatero, che nel libro El dilema (Il dilemma), presentato martedì a Madrid, porta alla luce inediti retroscena sulla crisi che minacciò di spaccare l’Eurozona.
Il 3 e 4 novembre 2011 sono i giorni ad altissima tensione del vertice del G-20 a Cannes, sulla Costa Azzurra. Tutti gli occhi sono puntati su Italia e Spagna che, dopo la Grecia, sono diventate l’anello debole per la tenuta dell’euro. Il presidente americano Barack Obama e la cancelliera tedesca Angela Merkel mettono alle corde Berlusconi e Zapatero, cercando di imporre all’Italia e alla Spagna gli aiuti del Fondo monetario internazionale. I due premier resistono, consapevoli che il salvataggio da parte del Fmi avrebbe significato accettare condizioni capestro e cedere di fatto la sovranità a Bruxelles, com’era già accaduto con Grecia, Portogallo e Cipro. Ma la Germania con gli altri Paesi nordici, impauriti dagli attacchi speculativi dei mercati, considerano il vertice di Cannes decisivo e vogliono risultati a qualsiasi costo. Le pressioni sono altissime.
LXX ANNIVERSARIO DELLA PROCLAMAZIONE
DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA
La S.V. è invitata alla conferenza-dibattito
sulla storia della RSI
organizzata dal
Raggruppamento RSI Delegazione Lazio
che si terrà
Domenica 1° Dicembre 2013
in Via San Liberatore n. 107
a Rieti
alle ore 11:00
Introduce:
Lorenzo RUSSO – Raggruppamento RSI Delegazione Lazio
Intervengono:
Dante FIAMMERI – LXIII Battaglione M “Tagliamento”
Spartaco FERRONI – Decima MAS
Massimiliano BALDO – Raggruppamento RSI Delegazione Lazio
Pietro CAPPELLARI – Fondazione della RSI
A causa di sopravvenute difficoltà organizzative e di indisponibilità non prevista da parte di alcuni relatori, il Convegno Nazionale CESI dal titolo “Un progetto politico per l’Assemblea Costituente”, previsto per il 3 dicembre p.v. presso il CNEL, viene rinviato all’anno prossimo, prevedibilmente tra fine gennaio ed i primi di febbraio, nella stessa sede. Se ne darà tempestiva comunicazione.