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FORTE SANGALLO di NETTUNO

Piazza S. Francesco

La S.V. è invitata

Domenica 20 Ottobre 2013 alle ore 19:00

alla presentazione del libro

LA GUARDIA DELLA RIVOLUZIONE

LA MILIZIA FASCISTA NEL 1943: CRISI MILITARE – 25 LUGLIO – 8 SETTEMBRE –

REPUBBLICA SOCIALE

di Pietro Cappellari

Il Prof. Alberto SULPIZI intervisterà l’Autore

Iniziative politiche senza un progetto ?
In questo numero riteniamo opportuno trattare alcuni argomenti che apparentemente sono il frutto di emergenze transeunti ma che invece sono l’indice che la crisi politica ed economica è giunta al punto da richiedere radicali revisioni del sistema italiano. In Italia siamo infatti da qualche anno in questa fase di passaggio storico che ormai obbliga a prendere decisioni strutturali e sistematiche sulla base di un nuovo progetto, il quale condanni ed elimini gli errori precedenti, tenga presente i principi e le esperienze positive del passato e proietti nel futuro una operatività che abbia obiettivi di breve, medio e lungo periodo.
Non va dimenticato, infatti, il significato più intimo della parola “crisi”, la quale deriva dal greco krino, ossia “rottura e separazione” e quindi oggi qualifica una condizione storica che richiede un sostanziale cambiamento. È necessario l’abbandono dell’attuale sistema politico, sociale ed economico per realizzarne uno di nuovo che investa le istituzioni, le organizzazioni politiche e professionali, nonché i comportamenti dei cittadini.
Come è noto, sono in corso in queste settimane varie iniziative per l’unificazione dei gruppi che sono derivati, prima dai dissensi circa la confluenza (annientamento) di AN nel PdL e poi dalla crisi di quest’ultimo e quindi dalla ulteriore formazione di gruppi separati, spesso incomunicabili, ed anche in forte contrapposizione fra di loro. Questi tentativi di unificazione sono interessanti e vanno seguiti con positiva attenzione anche perché la cartina di tornasole circa la possibilità di riuscita unitaria e la capacità di ottenere veri e costanti consensi è legata ad una verifica essenziale: quella di avere un autentico progetto politico sociale ed economico mirante a realizzare il necessario cambiamento e quindi l’uscita dalla crisi per portare il sistema italiano ad un livello superiore al precedente.
Se i vari gruppi tendessero a collegarsi fra loro esclusivamente ai fini di un momentaneo e precario successo elettorale per alcuni loro esponenti, apparirebbe chiaro che essi non sono portatori di una soluzione in risposta all’esigenza di autentico cambiamento, ma sarebbero soltanto – essi stessi – ancora inseriti nell’attuale fase di crisi sistemica e quindi affetti della medesima malattia che lo sta portando a dissoluzione. (G.R.)

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO

Un progetto costituente come obiettivo mobilitante. Bisogna perseguire l’unità assumendo una precisa identità.

Orientamenti per la revisione nell’uso dei termini politici. “Ma che vuol dire moderati?”.

Una analisi del politologo Piero Ignazi. È l’ora di una nuova cultura politica e strategica.

Verso un progetto identitario? Istituito in Liguria un Tavolo Tricolore per l’unità.

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Uscire dall’attuale sistema prigioniero del capitalismo finanziario
Questo numero esce in un momento nel quale è esplosa, nella peggior maniera possibile, la fase probabilmente finale della crisi dell’intero sistema politico italiano. Naturalmente la maggior parte della pubblicistica corrente sta sottolineano una pretesa “scandalosa eccezionalità”. In realtà tutto era già nella natura delle cose. Si tratta invero di una serie di episodi del dissolutivo processo in corso da anni e da taluni, noi compresi, già previsti: era evidente che ad un certo punto si sarebbe giunti alla fine, non solo di un regime politico sedicente liberaldemocratico, ma anche di quello economico prigioniero dei precari interessi del capitalismo finanziario.
Riportiamo una nota del prof. Carlo Vivaldi-Forti che energicamente esprime un commento pertinente: «Nessun governo, di qualunque colore, è riuscito a realizzare, negli ultimi vent’anni, un programma sia pur minimamente utile per il futuro dell’Italia. Molti sostengono che ciò dipenda dal modesto livello intellettuale e culturale della classe dirigente, politica e non, oltre che dalla sua patologica corruzione. Per quanto tale analisi contenga un fondamento di verità, essa non è esaustiva e non conduce a serie prospettive di cambiamento. Se vogliamo davvero arrestare il declino dobbiamo comprendere i meccanismi che hanno condotto all’applicazione della Legge di Parkinson, cioè alla formazione di una gerarchia invertita, ad ogni livello, per cui i peggiori comandano e i migliori sono emarginati. Non è vero, per nostra fortuna, che l’Italia sia composta soltanto di cretini e delinquenti, ma è vero, per nostra disgrazia, che questi ultimi siedono nella stanza dei bottoni. Il problema è come cacciarli. Al punto in cui siamo, le piccole e limitate riforme non bastano. L’attuale crisi non è di governo, ma di sistema. Soltanto ricostruendo l’intera architettura dello Stato, possiamo tornare a guardare al futuro. Il solo cambiamento istituzionale in grado di ristabilire la giusta gerarchia della competenza e del merito è una riforma partecipativa a tutto campo, sia nel settore pubblico che in quello privato. Altre strade non esistono».
Di questa convinzione vi sono testimonianze significative negli articoli apparsi in questi giorni da parte dei proff. Guido Rossi e Luigi Zingales (Il Sole 24Ore), Giulio Sapelli (Il Messaggero)ed Enrico Moretti (La Stampa) e delle quali volentieri vogliamo tenere conto in questo numero del bollettino redatto a cura del Presidente del CESI.

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO

Guido Rossi: La duplice dissoluzione del sistema politico e di quello economico.
Bisogna distinguere tra finalità capitalistica e la reale attività d’impresa Luigi Zingales: Sui mali di Telecom e di Alitalia.
L’equivoco della distinzione tra capitalismo buono e quello cattivo Giulio Sapelli: In pericolo il patrimonio manifatturiero italiano
Industria: lo Stato deve “fare sistema” Enrico Moretti: Caso Alitalia. Così si spegne un Paese
Il traffico aereo come industria cruciale per lo sviluppo Ripercussioni a cascata per lavoratori e imprese sia a monte che a valle.
Acciaio: Il caso Ilva-Riva esempio allucinante della crisi del sistema

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Politica industriale e cogestione
Vi sono dei momenti nella storia delle persone e dei gruppi sociali, nei quali è necessario ricuperare l’esatto significato dei termini al fine di non diventare prigionieri di concetti dai quali poi possono derivare, come spesso è accaduto, perniciose impostazioni e politiche sbagliate. Non vogliamo, naturalmente, effettuare saccenti e puntigliose precisazioni, ma soltanto far opera di chiarezza per rendere possibili progetti politici, sociali ed economici veramente costruttivi e progredienti.
Partiremo da alcune riflessioni essenziali riguardanti la distinzione da farsi tra l’ideologia capitalistica e i principi che riguardano l’attività imprenditoriale. In altre parole è necessario effettuare una precisa distinzione tra il sistema capitalistico e il sistema imprenditoriale. La sua deliberata identificazione non è solo confusione concettuale, ma anche una pericolosa impostazione dottrinale, deleteria per lo sviluppo di una efficiente economia fondata sulla attiva partecipazioni dei fattori della produzione.
Ci si perdonerà perciò se richiamiamo alcuni concetti di scuola: l’attività imprenditoriale è costituita sulla base di quattro fattori produttivi: capitale, lavoro, organizzazione e tecnica. Il capitale, senza il lavoro, l’organizzazione e la tecnica, è inerte. Il lavoro, senza il capitale, l’organizzazione e la tecnica, è improduttivo. L’organizzazione e la tecnica, senza il capitale e il lavoro, sono inutili.
Fare di uno solo dei fattori della produzione la base per una ideologia significa dare valore preminente, assolutizzante e totalizzante, ad una sola gamba di un tavolo che necessariamente per reggersi deve averne quattro.
Da questi enunciati deriva con evidenza incontrovertibile come siano inconsistenti le ideologie basate su uno solo di questi elementi: il capitalismo, il laburismo, il burocraticismo (ossia l’organizzazione fine a se stessa) e il tecnicismo. Da qui la necessità di ricuperare il senso dell’organicità della funzione dell’impresa nell’economia di una società consapevole di se stessa e quindi far progredire la civiltà umana. (GR)

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO
In Italia manca una politica industriale (Cristiano Rasi); Dopo 65 anni la Cgil scopre l’articolo 46 della Costituzione (Agostino Scaramuzzino); Lo spudorato scippo delle tesi proprie dell’avanguardia social nazionale (Mario Bozzi-Sentieri); L’impudente (e mendace) trasformismo della CGIL (Ettore Rivabella).

 

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Gli errori della politica di privatizzazione delle telecomunicazioni
Tra gli errori della assolutizzazione miracolistica del mercato vi è stata negli ultimi decenni la politica di privatizzazione e liberalizzazione delle grandi infrastrutture e dei servizi a rete che per loro natura sono inevitabilmente monopoli, e quindi non potranno mai essere trasformati in imprese fra loro competitive in quanto sono produttori di utilità non fungibili (ossia, non sostituibili, non comparabili, né concorrenziali).
Il grado della produttività delle infrastrutture e delle reti pubbliche va valutato nella efficienza dei servizi resi alla comunità e ai singoli cittadini e non nella misura del profitto proveniente dal capitale in essi investito. Le attività aziendali non possono essere qualificate come imprese che operano nel mercato in quanto fra esse, infatti, non vi è la possibilità che vi sia una vera concorrenza che possa migliorare ed aumentare il prodotto. Il miglioramento innovativo e l’estensione a tutta la società delle strutture e dei servizi deve essere il costante compito primario dello Stato e perciò anzitutto del Governo e degli Istituti rappresentativi e legislativi della Nazione.
Quando le attività aziendali che gestiscono pubblici servizi sono in mano all’azionariato speculativo privato godono di una remunerazione garantita dall’alto grado di necessità primaria della domanda pubblica e quindi tendono ad operare in maniera passiva e non progrediente
Questo numero de IL SESTANTE viene pertanto dedicato al settore delle telecomunicazioni, facendo riferimento agli indirizzi espressi nel Manifesto recentemente pubblicato dal CESI.
Non è solo dal punto di vista tecnico che le cablature a rete e le cosiddette “frequenze”, e cioè i cavi e i canali sui quali avvengono le trasmissioni via filo e via etere, costituiscono sistemi per loro natura monopolistici, ma anche dal punto di vista politico è assolutamente necessaria la riaffermazione del principio che si tratta di beni di proprietà dell’intera comunità sociale e quindi dello Stato (G.R.).

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO
I settori di interesse pubblico non possono essere oggetto di mercato (a cura di Gaetano Rasi): Premessa. 1. È necessario avere consapevolezza di una politica sbagliata. 2. L’allarme della stampa italiana e un insufficiente inquadramento del problema delle telecomunicazioni. 3. È necessario conoscere la storia di un disastro nazionale deliberatamente voluto. 4. La dissipazione di una infrastruttura di servizio pubblico. 5. La subdola manovra meramente finanziaria oggi in atto. 6. Nefasto l’indirizzo governativo (e non solo) a favore dello scorporo della rete.

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