Author: admin

Domenica 8 Settembre 2013

alle ore 10:30

si terrà presso la prestigiosa sede di Villa Municchi della

Fondazione della RSI – Istituto Storico

di Terranuova Bracciolini (Arezzo)

Strada Pian di Maggio, 27/E – località Cicogna

 

la conferenza di

SERGIO MURA

“Il dovere di un soldato: non cedere le armi”

 

Contati: www.fondazionersi.org

Per info: info@fondazionersi.org

Evento FB: https://www.facebook.com/events/566116066784421

Sì, nominare il Congo mi ricorda qualcosa di brutto, di orribile. No, anche se ci sono delle affinità non ha nulla a che vedere con Piazzale Loreto ad aprile del 1945. Qualcosa di simile, però, ci si può intravedere. Ricordate l’espressione del capo dei partigiani Ferruccio Parri che definì le scene di quella famigerata Piazza: <Macelleria messicana>? Quindi, chissà, boh…

Un po’ di storia.

Congo o Zaire, ex Congo Belga, o Repubblica Democratica del Congo. Ė uno Stato dell’Africa equatoriale, come detto: già Congo Belga, capitale Kinshasa (ex Leopolville). Come era di moda in quegli anni il Belgio concesse precipitosamente l’indipendenza il 30 giugno 1960, precipitosamente, ho scritto, in quanto l’ex Congo Belga, dove quasi nulla era stato fatto per creare una elite politica locale, sprofondò nel caos e dal caos alla guerra civile il passo è breve. Le prime vittime furono i bianchi sottoposti ad atroci massacri.

Per provare a riportare ordine nel paese e certamente per salvaguardare gli interessi dei grandi investitori europei – e non solo europei – un primo passo fu compiuto da Moise Ciombè, considerato il capo dello Stato indipendente del Katanga, sostenuto dalla Union Minière e da un esercito di mercenari europei. Ma il caos e con questo la guerra civile si sviluppò con maggiore violenza causando migliaia di morti. Le Nazioni Unite, per far fronte alla tragedia umanitaria (così avevano detto) decisero di intervenire onde evitare che la popolazione civile dovesse continuare a pagare uno scotto ancora più sanguinoso. Anche l’Italia, era ovvio, partecipò a queste missioni con nostri velivoli da trasporto merci, comunemente battezzati vagoni volanti.

Breve premessa: Kindu è una cittadina della Repubblica Democratica del Congo con circa 20 mila abitanti appartenente alla provincia di Kivu. La fregatura per alcuni nostri ragazzi fu che la cittadina era munita di aeroscalo. Infatti, la mattina del sabato 11 novembre 1961 due equipaggi italiani al comando del Maggiore Amedeo Parmeggiani e da Giorgio Gonelli pilotando due C-119 (vagoni volanti) carichi di rifornimenti ebbero la sventura di atterrare all’aeroscalo di Kindu. Gli aerei italiani non si dovevano fermare: l’ordine era di scaricare la merce e ritornare alla base, il tutto nella stessa giornata. Ma chiesero e ottennero di fermarsi il tempo necessario per mangiare qualcosa e questo li fregò. Infatti i soldati congolesi del posto, al comando del generale Mobutu, in realtà attendevano il lancio di numerosi paracadutisti dell’esercito nemico di Ciombé, scambiarono l’equipaggio italiano per i mercenari del loro avversario. I soldati congolesi entrarono nella mensa, l’equipaggio italiano fu catturato e il loro medico, tenente Francesco Paolo Remoti tentò la fuga, ma fu barbaramente ucciso. Successivamente gli altri dodici militari italiani, dopo aver subito un selvaggio pestaggio, furono trucidati a raffiche di mitra. La folla inferocita che aveva assistita al pestaggio e all’uccisione, si scagliò sui corpi martoriati e ne fece scempio a colpi di machete. La notizia dell’accaduto arrivò in Italia con notevole ritardo, esattamente il 16 novembre, ben cinque giorni dopo i fatti. E solo dopo due mesi fu ritrovato quel che rimaneva dei loro corpi; erano stati sepolti in due fosse comuni nel cimitero di Tokolote, un piccolo villaggio nei pressi del luogo dell’eccidio. Solo l’11 marzo 1962 i caduti di Kindu arrivarono all’aeroporto di Pisa. Solo grazie ad una sottoscrizione pubblica, a loro ricordo fu eretto un Sacrario dove oggi riposano i poveri  resti.

Ecco di seguito quanto ha osservato Giovanni Fusco: <Come scritto in precedenza , alcuni testimoni affermarono con certezza che i corpi degli aviatori italiani furono oggetto di atti di cannibalismo, quali salme furono riportate a Pisa? C’è il fondato dubbio che le autorità italiane non ebbero il coraggio di ammettere pubblicamente che i tredici italiani furono vittime di atti di cannibalismo>.

Sento il dovere di riportare i nomi dei 13 aviatori uccisi a Kindu: sottotenente pilota Onorio De Luca, 25 anni; maresciallo motorista Filippo Di Giovanni, 42 anni; sergente maggiore Armando Fabi, 30 anni; sottotenente pilota Giulio Garbati, 31 anni; capitano pilota Antonio Mamone, 28 anni; sergente Martano Marcacci, 27 anni; maresciallo Nazzareno Quadrumani, 42 anni, sergente Francesco Paga, 31 anni; maggiore pilota Amedeo Parmeggiani, 43 anni; sergente maggiore Silvestro Possenti, 40 anni; tenente medico Francesco Paolo Remoti, 29 anni; sergente maggiore Nicola Stigliani, 30 anni.

Mi chiedo: perché quello scempio oggi non viene ricordato? Erano tredici militari italiani trucidati e, stando alle testimonianze, cannibalizzati (mi si lasci passare l’orribile termine). Allora, perché oggi quel massacro viene oscurato?

Io ho un dubbio; voi amici lettori non avete le stesse (almeno) perplessità? E se questo fosse qualcosa più di dubbi o perplessità, non pensate che sia un ulteriore affronto ai tredici poveri ragazzi che in quell’11 novembre 1961 persero la vita nel modo sopra ricordato?

Ma gli italiani sono tanto buoni, tanto buoni, tanto…al punto che ai discendenti dai fatti di Kindu offriamo alte cariche istituzionali. Non è forse vero che dalla macelleria messicana si può passare alla macelleria di Kindu? Qual’è la differenza?.

Ma siamo tanto buoni…

Mercoledì 7 Agosto 2013, nella straordinaria cornice del Forte Sangallo di Nettuno, baluardo cristiano in difesa dell’invasore moro, si è tenuta una serata dannunziana curata dal Comitato Nettunese Pro 150° Nascita d’Annunzio.

Il Prof. Alberto Sulpizi ha trascinato il pubblico in un’attenta analisi del profondo rapporto che lega la città di Nettuno al Poeta Soldato, citando aneddoti dimenticati e inediti dannunziani, destando sorpresa e ricevendo attestati di stima da tutti gli intervenuti.

L’Architetto Simonetta De Ambris – pronipote del sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris, braccio destro di d’Annunzio durante l’avventura fiumana – ha illustrato la figura straordinaria del pensatore parmense, accompagnando l’esposizione con la proiezione di rari documenti d’epoca.

Dopo i saluti del Dott. Marco Formato dell’Associazione “Scenari Armonici” e Vicepresidente del Circolo Culutrale “Filippo Corridoni” di Parma, si è esibito nell’interpretazione di una inedita lettera di d’Annunzio a De Ambris l’attore Umberto Fabi. Un’interpretazione che ha incanto il numeroso pubblico presente che ha potuto scoprire così un d’Annunzio molto differente da quanto presentato dalle Università e dalle scuole italiane che, ostaggi di una miopia politica decennale, raramente riescono ad andare oltre La pioggia nel pineto.

«Per questa serata dobbiamo ringraziare il Dott. Marcello Armocida che ha permesso l’organizzazione di un evento di tale portata – ha detto il Dott. Pietro Cappellari, responsabile culturale della manifestazione –. Il nostro scopo era quello di riportare d’Annunzio a Nettuno, dopo anni di colpevole oblio. Come ha evidenziato il Prof. Sulpizi, il Vate e la nostra città sono intimamente legati, eppure, oggi, non c’è nemmeno una via dedicata al Poeta Soldato. Anche se non è proprio così. Infatti, nel 1941, Via Cristoforo Colombo venne mutata in Via Gabriele d’Annunzio, al quale fu dedicata anche la piazza antistante la stazione. Nel dopoguerra, le rabberciate Commissioni toponomastiche incaricate dell’epurazione fecero una confusione incredibile e se la piazza della stazione fu ribattezzata “IX Settembre”, in ricordo di un’insurrezione popolare che mai vi fu, per la via che collega la stazione ferroviaria al lungomare non si prese nessuna decisione in quanto, errando, non ci si ricordò delle delibere del 1941 e gli addetti comunali andarono a memoria nell’affiggere le nuove tabelle toponomastiche. Nostre ricerche hanno potuto appurare che l’attuale Via Cristoforo Colombo è in realtà Via Gabriele d’Annunzio, in quanto la delibera del 1941 non risulta mai stata modificata. Domani stesso chiederemo all’Amministrazione comunale di verificare se esistono delibere che hanno abrogato quanto si è stabilito nel 1941 e, nel caso queste non esistano, di ripristinare il corretto nome della via. Ma non solo. Se un giorno Nettuno avrà un teatro vero, perché non pensare proprio al Comandante d’Annunzio per una sua intitolazione? Ci rivedremo a Settembre, per una mostra su Fiume italiana. In quell’occasione presenteremo il progetto di recupero e restauro della lapide con calligrafia dannunziana presente nel nostro cimitero che versa in un vergognoso stato di abbandono e degrado e rischia la frantumazione, con il piacere dei soliti nemici della cultura nazionale».

 

Primo Arcovazzi

Le nozze di Bruno Mussolini

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Ricordo di d’Annunzio – 01/03/1945

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