dal sito del CESI
La degenerazione del sistema politico italiano è ormai arrivata al punto di non ritorno. Questa è la convinzione generale del Paese, che – nelle prossime elezioni – si esprimerà, da un lato, attraverso le illusioni degli elettori PD che sono attratti dalla socialdemocrazia di Bersani oppure dalla liberaldemocrazia di Renzi e, dall’altro, dalla astensione della maggioranza degli elettori ex PdL, dopo aver constatato il suo dissolvimento. Il quadro negativo sarà completato da un certo successo della disperata improvvisazione di coloro che si rivolgeranno all’ex comico Grillo e al suo Movimento cinque stelle.
Pertanto ben poche speranze di radicale e meditato miglioramento, sia istituzionale che della classe dirigente, si possono riporre nella legislatura che si aprirà dopo le elezioni dell’aprile 2013. Infatti il vero problema da risolvere ormai è quello di predisporre una fase costituente rivolta alla rifondazione dello Stato attraverso una nuova Costituzione.
Il CESI pertanto invita tutti gli uomini di buona volontà a coraggiose iniziative, a ritornare protagonisti e traenti di un movimento radicalmente riformatore a riprendere la propria genuina identità ed una adeguata autonomia operativa.
La drammatica eventualità della chiusura dell’acciaieria di Taranto, l’ILVA, é paradigmatica dell’allucinante mancanza in Italia – non solo da ora ! – di una politica economica, in particolare della politica industriale.
La patetica solitaria presenza ieri, in aula alla Camera, dai banchi vuoti del Governo del (ripeto) solo ministro dell’Ambiente, Clini, ad illustrare la vicenda, quando invece avrebbe dovuto esserci – e spiegare fatti, decisioni, prospettive e programmi – il ministro dello Sviluppo (?) Economico, Passera, ha sottolineato uno dei più bassi gradini della mancanza di una politica economica.
Va ricordato a questo riguardo che la nuova intitolazione del Ministero diretto dall’ineffabile Corrado Passera, si riferisce a quello che è tuttora il contenuto (e prima ne era anche il titolo esplicito) di Ministero dell’Industria, del Commercio, dell’Artigianato e del Turismo, insomma delle attività direttamente produttive dell’intero sistema economico nazionale. Ma di ciò non si tiene affatto conto.
Insomma non può non essere rilevato il vergognoso disimpegno, oltre che del Governo in carica (che pretende di giustificare la propria esistenza in base alle esibite competenze tecniche ed economiche), di un’intera classe politica nei confronti dell’immediato futuro dell’Italia, confermando, inoltre, l’irresponsabile ignoranza dei più elementari principi di come va governata una moderna economia industriale obbligata al quotidiano confronto con le economie europee e con il resto del mondo.
Tuttavia non vi è soltanto questo aspetto che va rilevato. Vi è pure, e in misura clamorosa, il fatto che tutta la questione viene dibattuta con estrema superficialità esasperando, uno o tutti insieme, i tre elementi conflittuali che la caratterizzano e che sono soltanto l’esito e non la causa del problema.
Alle 20,30 del 19 Novembre 1945 presso la clinica San Camillo di Milano si spegneva a soli 43 anni il Prof. Carlo Alberto Biggini.
Ne ricordiamo oggi l’anniversario della scomparsa, ma in tutti gli altri giorni ne ricordiamo le idee, gli atti, le proposte politiche e le sue visioni del futuro, quanto mai attuali, attraverso i suoi scritti e le opere che in qualche misura lo riguardano.
….Circolano incerte notizie sulla morte di Biggini. Pare che sia difficile stabilire la verità giacchè il povero Carlo Alberto, ultimo ministro dell’Educazione Nazionale della Repubblica, è stato costretto a morire in strettissimo incognito per evitare di essere sottoposto ad angherie magari durante l’agonia.
Nessuno può essere incolpato di faziosità parlandone bene, anche come uomo di carattere, dopo l’8 settembre, pur dicendosi più che mai affezionato a Mussolini, non si trattenne da esporre esplicite riserve di sapore monarchico e non le ritirò altro che dopo un lungo e per lui esauriente colloquio con il Duce. Nei momenti più torbidi permaneva in lui un idealismo così alto, raro in un uomo politico. Una volta portò al
Duce l’ultima lettera di un giovane di Torino in perfetta buona fede che era stato fucilato dai tedeschi e leggendola gli venivano le lacrime agli occhi e ripeteva “Questi sentimenti, queste cose, glieli abbiamo insegnati noi, questa gente non si deve perdere: sono come noi: Se se ne andassero tutti ci capiremmo subito”. Forse aveva ragione e forse era già troppo tardi.
Un’altra volta eravamo nello studio di Gatti allora segretario particolare del Duce, e tutti e tre parlavamo delle solite storie quando Biggini si accorse che sul muro dietro la scrivania dell’ottimo Gatti v’erano della fotografie dell’incontro di Feltre. A quell’epoca Gatti era federale di Treviso, come tale fungeva da anfitrione. In una soprattutto la furia di Hitler era chiarissima.
Biggini, che era una delle tre o quattro persone al corrente di cosa veramente sarebbe dovuto succedere a Feltre se i tedeschi non si fossero incaponiti a voler perdere la guerra a tutti i costi, senti rinfocolarsi l’antico rimpianto e stendendo il pugno contro la faccia del Fuhrer cominciò sia pur cameratescamente a gratificarlo dei peggiori insulti dicendogli fra l’altro: ” maledetto testone, se davi retta a Mussolini tutto erasistemato, non c’era né 25 luglio, né niente e non ci riducevi così” e avanti di questo passo riducendo sempre più i ragionamenti e moltiplicando gli insulti. Senza volgarità né mancanza di riguardo, ma piuttosto con lo stesso criterio con cui certi feticisti mettono in castigo i loro idoli quando non rigano diritti a far grazie. Noialtri in principio ridevamo poi ci accorgemmo che la cosa era quanto mai seria e mentre Biggini continuava le sue contumelie, il nostro silenzio divenne a poco a poco saturo di consenso. Ma anche questa volta era troppo tardi.
Una sera incontrai Biggini in un albergo di Milano. Ci univa una sincera amicizia frutto probabile di molte comuni vedute. Era tutto sollevato perché approfittando di un anticipato arrivo era stato a veder “La vedova allegra” e le antiche melodie viennesi lo avevano riportato in un mondo migliore cui ogni tanto era riposante tornare, anche se le revolverate di Sarajevo hanno per sempre interrotto lo spensierato valzer.Sembra che sia morto di cancro. Così anche lui che la violenza aveva risparmiato oggi raggiunto il suo Capo che l’aveva particolarmente caro e che si intratteneva lungamente con lui di tutto e su tutto per lunghe ore come un preferito discepolo.
Forse il Mussolini degli ultimi tempi si fidava e confidava con lui come con nessun altro. Avranno ripreso nelle sterminate praterie la conversazione troncata…..[segue]
L’articolo, scritto dal Capitano art. Par. Renato Migliavacca, veterano della battaglia di El Alamein, è stato scritto in occasione della quarantaduesima ricorrenza degli scontri. Per un omaggio al combattente e allo scrittore viene riproposto su concessione degli eredi e della rivista “Folgore” organo ufficiale dei paracadutisti d’Italia. Era il 5 Novembre 1942.
Scarica l’appello del Presidente Rasi
CONVEGNO
Sabato 1° dicembre alle ore 16,30, presso la sala dei convegni dell’Hotel Astoria, piazza Brignole 4, Genova
verrà presentato il libro
GLI ITALIANI DI CRIMEA. NUOVI DOCUMENTI E TESTIMONIANZE SULLA DEPORTAZIONE E LO STERMINIO
A cura di Giulio Vignoli
professore di Diritto Internazionale nell’Università di Genova
Il libro rievoca la deportazione della Comunità italiana di Crimea avvenuta nel 1942 per
ordine di Stalin. Circa 1300 persone, uomini, donne, vecchi, bambini, vennero deportati in Kazakistan. Quasi
tutti i bambini morirono di stenti durante il viaggio nei vagoni piombati. Il freddo e la fame
nel luogo di deportazione decimò gli altri. Solo 300 persone sono tornate in Crimea dove
vivono tuttora in miseria nel disinteresse del Governo italiano.
Interverranno:
gli storici Aldo A. Mola e Alberto Rosselli
lo scrittore Piero Vassallo
la Presidente dell’Associazione Voltar Pagina Miriam Pastorino
il Presidente UMI Sergio Boschiero
Seguirà rinfresco
Per ulteriori informazioni (relative anche al genocidio degli Italiani di Crimea) telefonare allo
0185/669510 o scrivere a vignolirusso@libero.it
Intervento al Park Hotel Suisse per la commemorazione del 28 Ottobre
Una serata dedicata al novantesimo anniversario della Marcia su Roma è l’occasione migliore per fare un confronto tra l’Italia che prese il via da quell’evento storico, e l’Italia di oggi, piegata dalla corruzione e dalla crisi del lavoro giovanile.
Incominciamo, dunque, dalla corruzione. Rifacendomi ad una segnalazione inviatami a suo tempo dall’amico Filippo Giannini, vorrei ricordare che poco tempo dopo il crollo del Fascismo e la fine della seconda guerra mondiale, per ordine dei “liberatori” (dietro ai quali, ovviamente, erano la grande finanza e il capitale internazionale) ci fu imposta una Commissione parlamentare incaricata di indagare su gerarchi, prefetti, alti funzionari di Stato circa loro ipotetici “illeciti arricchimenti” negli anni del Ventennio. La commissione parlamentare era presieduta da un illustre uomo politico comunista, Umberto Terracini.
Vennero inquisiti 5005 fra gerarchi, alti funzionari, prefetti che avevano svolto attività nel corso del Ventennio. Lo scopo, era ovvio: squalificare il Fascismo in modo definitivo, dimostrando la corruzione del sistema.
Grande fu lo scorno quando, dopo mesi e mesi di indagini, condotte in un clima di accanita caccia al fascista, non uno solo degli inquisiti risultò penalmente perseguibile. Quando questa vicenda si stava concludendo, sui giornali dell’epoca apparve una scritta esultante: “Trovato il tesoro di Italo Balbo”. Si trattava di una cassetta riposta in una banca a nome, appunto, del grande trasvolatore. Quando gli inquisitori andarono ad aprire il “tesoro” vi trovarono solo la “Sciarpa Littoria”, assegnata a Balbo per la trasvolata atlantica.
Il Fascismo fu una sorta di religione, un modo di vivere che la generazione di oggi non potrebbe comprendere. Questa generazione naviga nella corruzione e nelle menzogne più sfrenate, l’una e le altre necessarie per confondere le idee del popolo e continuare, così, a ingannarlo e tradirlo, unico modo perché l’attuale classe politica (oggi giustamente definita “casta”) possa perseverare nel latrocinio.
Durante il Ventennio fascista, almeno fino al tragico scoppio della seconda guerra mondiale – nella quale ancora oggi nessuno sa dire con certezza se sarebbe davvero stato possibile non essere coinvolti -, furono compiuti dei veri e propri miracoli. Provo a citarne un paio, per la precisione quelli che riuscirono a pacificare due grandi avversari: il lavoro e il capitale.
Lo Stato Corporativo Fascista riuscì a far superare, prima e meglio di qualsiasi altro Stato moderno, la grande crisi economica iniziata nel 1929. Cito in proposito un brano di una celebre opera dello storico e politologo ebreo Zeev Sternhell, professore di Scienze Politiche presso l’Università di Gerusalemme e autore del libro «La terza Via fascista», da cui traggo il brano:
«Il Fascismo fu una dottrina politica, un fenomeno globale, culturale, che riuscì a trovare soluzioni originali ad alcune grandi questioni, che dominarono i primi anni del secolo. Il Corporativismo riuscì a dare la sensazione a larghi strati della popolazione che la vita fosse cambiata, che si fossero dischiuse delle possibilità completamente nuove di mobilità verso l’alto e di partecipazione».
L’On. Prof. Gaetano Rasi, oltre ad essere ormai da molti anni il Presidente dell’Istituto Biggini, è anche Presidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice e Presidente del Cesi, Centro Nazionale di Studi Politici.
Autore di numerosi libri e saggi, pubblica regolarmente articoli sul Secolo d’Italia.
Sono passati molti anni da quell’incontro tenutosi nell’Ottobre del 1996, ma abbiamo ritenuto opportuno ritornare su quell’evento, per riproporre alcuni degli interventi che si sono succeduti e che rappresentano ancora oggi testimonianze di grande rilievo storico, politico e culturale.
Vediamo intanti quali argomenti vennero affrontati nel corso del Convegno, che si tenne presso la Facoltà di scienze politiche dell’Università di Genova, e quali argomenti vennero affrontati.
Dopo i saluti del Preside della Facoltà Prof. Giuseppe Casale, e della sig.ra Gigliola Premoli Biggini nuora del Ministro Biggini, si registrarono i seguenti interventi:
– On. Prof. Gaetano Rasi (allora professore di economia politica all’Università di Salerno e Deputato) – “La figura e l’opera di Carlo Alberto Biggini”
– Dott. Giano Accame (economista) – “il concorso della produzione e del lavoro nell’impresa e nell’organizzazione della società”
– Dott. Luciano Garibaldi (storico) – “Gli elementi di socialità nella Costituzione di Biggini”
– On. Avv. Franco Franchi (componente del Consiglio Superiore della Magistratura) – “Assonanze nei progetti di Costituzione di Biggini e di Duccio Galimberti”
– On. Prof. Giuseppe Pericu (professore di Diritto amministrativo nell’Università Statale di Milano, ex sindaco di Genova) – “La Costituzione di Biggini vista da un giurista di ispirazione liberal-socialista”
– Prof. Avv. Fausto Cuocolo (professore di Istituzioni di Diritto pubblico nell’Università di Genova) – “La Costituzione di Biggini vista d un giurista di ispirazione cattolico-democratica”
– On. Prof. Paolo Armaroli (professore di Diritto pubblico comparato dell’Università di Genova) – “Presidenzialismo al bivio: un passaporto per Parigi o per Vienna?”
Seguì un interessante dibattito dove intervennero l’On. Enrico Ferri, il Prof. Renato Balduzzi, il Prof. Gaetano Ferro, la Prof.ssa Adriana Gardino, il Prof. Stefano Monti Bragadin, il Prof. Giulio Vignoli.
Concluse il Convegno con una relazione di sintesi il Prof. Lorenzo De Angelis, professore di Diritto commerciale nell’Università di Genova.
Gaetano Rasi – scarica
Giano Accame – scarica
Luciano Garibaldi – scarica
Franco Franchi – scarica
Giulio Vignoli – scarica
Commemorazione dell’On. Cristiana Muscardini – scarica
Tratto da Agenzia Stampa Italia
(ASI) Storia e Controstoria. Lettere in Redazione – La missione era quella di bombardare la zona industriale di Milano. Furono impiegati tre Bomb Group: 38 aerei B-24 del 461° group diretti sugli stabilimenti Isotta Fraschini, 29 aerei B-24 del 484° group per gli stabilimenti Alfa Romeo, 36 aerei B-24 del 451° per colpire gli stabilimenti della Breda; in totale 103 bombardieri quadrimotori ciascuno con 10 bombe da 220 Kg a bordo; in totale 226,6 tonnellate di bombe liberatrici.
(Si pone in rilievo che l’accordo, dietro pagamento 160 milioni mensili, con il CLNAI era specificatamente quello di proteggere le risorse economiche e industriali del Nord Italia! Ci si chiede, allora, come mai i partigiani non corsero, a gara, ad arruolarsi nella contraerea!) Gli aerei del 461° e del 484° group, in assenza di aerei da caccia e di contraerea, raggiunsero gli obiettivi senza difficoltà. Un certo numero di bombe caddero fuori bersaglio colpendo alcuni palazzi in zona Fiera con molti morti tra la popolazione. Gli aerei del 451°, raggiunto l’I.P. (l’initial point), a circa 4 Km. dall’obiettivo, cambiarono rotta dirigendosi verso gli stabilimenti Breda. La prima ondata sganciò fuori bersaglio il proprio carico e le bombe caddero in aperta campagna nella zona di Saronno. Dopo alcuni minuti, la seconda ondata prese, senza apparente motivo, una rotta di attacco deviata di 22 gradi verso destra invece che verso sinistra (linea rossa nella foto aerea); quando il leader della formazione si accorse dell’errore, che aveva fatto “mancare” l’obiettivo degli stabilimenti, decise di rientrare alla base. La missione era “fallita”.
Sarebbe stato preciso dovere del comandante dare l’ordine di sganciare a mare le bombe, sulla via del ritorno, ma, non si sa se perché previsto dal piano operativo, si attuò uno dei peggiori crimini contro l’umanità nella guerra aerea di quegli anni. Le bombe furono sganciate sulle abitazioni civili che erano perfettamente visibili, date le favorevoli condizioni meteorologiche.
L’abitato di Gorla, si trasformò in un inferno! Vennero distrutte case, negozi, officine e la scuola elementare “Francesco Crispi” provocando una strage che avrebbe cambiato la vita del quartiere per sempre: 184 scolari, i loro insegnanti ed alcuni genitori che, al suono dell’ allarme erano accorsi per portarli a casa. Quel giorno, in Milano, furono recuperati 614 corpi, di molti altri non si ritrovarono nemmeno i resti dilaniati dalle esplosioni.
Nella foto aerea riprodotta più in basso, sulla sinistra è visibile l’Initial Point, cioè il punto da dove si diramano le rotte verso i diversi bersagli. Sul lato destro la sottile linea quasi verticale è il viale Monza lungo il quale, in basso, è visibile il quartiere di Gorla.
La linea verde al centro mostra la rotta (118°) seguita dai bombardieri appartenenti al 461° group che centrò i capannoni situati ad ovest del viale Monza.
In giallo è indicata la rotta di 096° del secondo gruppo di aerei (2nd attack unit) che aveva, come bersaglio, altri capannoni che vennero completamente mancati.
Quella rossa e la linea che evidenzia la rotta di 140°, erroneamente (Vedi le osservazioni che seguono) seguita dal terzo gruppo; il comandante, resosi conto troppo tardi di essere finito fuori obiettivo, decise di lanciare il suo carico sul centro abitato.
La giornata era limpida, senza nebbia o smog, non c’era alcuna possibilità di confondere le fabbriche con le abitazioni. Il risultato è chiaramente visibile in basso a destra: i puntini bianchi rappresentano le bombe cadute sulle abitazioni e sulla scuola di Gorla.
L’intestazione della foto indica il bersaglio: MILAN BREDA WORKS ; Il numero della missione: 138; la data: 20 ottobre 1944; l’ora: 11,24 a.m.; il numero di bombe sganciate: 342 in totale dalle due ondate di bombardieri.
Fonte : National Archives, Washington, G-2, Target damage file (Milan)