Di Gaetano Rasi
L’incontro di sabato 22 settembre tra la Fiat e il Governo ha sottolineato in modo stridente due fatti assolutamente negativi: Primo che il Governo manca di politica economica ed in questo caso di politica industriale per cui l’obiettivo della ripresa per superare la crisi in realtà non è nelle capacità e nemmeno nelle intenzioni vere del Governo stesso; in secondo luogo che anche le forze politiche che lo sostengono e che si accingono alle elezioni di primavera sono pure esse prive di indirizzi e di programmi.
In particolare si fa sentire il vuoto da parte degli esponenti exAN all’interno del Pdl che pure hanno alle spalle dottrina e progetti ben in grado di orientare in forma attuale una politica di sviluppo dopo l’assenza legata alle pratica della ideologia liberal-qualunquista.
Tuttavia anche organi di informazione, che finora hanno tenuto posizioni sostanzialmente disimpegnate in nome dell’automatismo miracolistico del mercato, se ne stanno accorgendo.
Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera di domenica 23 settembre, dopo aver preso atto della inconsistenza dell’esito di un incontro – durato cinque ore e mezzo! – tra l’a.d. Marchionne e del presidente Elkann, da un lato, e il premier Monti ed il ministro dello Sviluppo (?!) economico dall’altro, constata che «il comunicato congiunto Governo-Fiat, che in questi casi è ciò che vale perché impegna i firmatari, non prende alcun impegno».
Ma ciò che più va sottolineato è quanto, sempre Mucchetti, scrive laddove riconosce che il caso Fiat «fa rumore … perché la Fiat era stata presentata come l’alfiere della modernità … e perché a rischio è ormai un intero storico settore industriale come quello dell’auto».
Va, infatti, tenuto conto non solo della produzione diretta, ma anche di tutto l’indotto: ben il 70% della produzione è esterna agli stabilimenti Fiat.
Una testimonianza sul soggiorno di Winston Churchill nell’estate del 1949 a Gardone Riviera sul Garda, mentre sta dipingendo quello che dovrebbe essere il Golfo di Maderno, poichè si trova nella spiaggia posta esattamente all’ingresso di Maderno e più esattamente, sotto l’ingresso di Villa Gemma, ex residenza del Ministro Biggini. Di questo quadro non si hanno tracce e nessuno l’ha mai visto, come è scritto in questa memoria dell’ex agente di Pubblica Sicurezza Andrea De Rossi. Clicca per visualizzare il documento
Costituita dall’irrompente folla dei littori mutanti e dall’illibato ma esiguo nucleo dei resistenti d’annata, la scolastica antifascista, quantunque anemica e avventizia, ha trionfato rincorrendo il filo dipanato dallo sdegno degli azionisti di scuola torinese.
Mosso da un’implacabile triade costituita da Norberto Bobbio, Galante Garrone e Leo Valiani, l’arcolaio antifascista ha educato e promosso i piantatori degli storici paletti e i banditori delle stizzose censure, che separano i pensieri e i fatti nominabili dagli innominabili e nefasti.
Paralizzati dal filo della ragione azionista, venti anni di storia italiana precipitarono nell’oscura e infrequentabile caverna della malvagità demente.
Vigili accigliati, corruschi e severi, i monopolisti della Verità hanno spento la memoria del Novecento italiano avvolgendola nel filo di una sentenza inappellabile.
Nella vulgata dettata ai Camera e ai Fabietti dall’autorevole, sullodato trio, i fascisti sono canonicamente definiti ottusi, rozzi, analfabeti e all’occorrenza sadici.
Un involontario ma ingente contributo alla mitologia intorno all’analfabetismo presunto e alla leggendaria stupidità dei fascisti, purtroppo, è stato offerto dalla generazione dei Gianfranco Fini e dalle ragazze del club Gaucci, branco in spensierata corsa verso le sedi deputate a ricevere i candidati alla tessera del Partito Ignorante. Sedi che hanno accolto e promosso i convertiti, elevandoli alla somma e maiuscola dignità dell’Antifascismo.
Precaria dignità, dal momento che il giro dell’instancabile arcolaio è frenato dal paziente, assiduo lavoro degli storici formati alla scuola di Renzo De Felice e del suo erede legittimo, Giuseppe Parlato. Freno all’arcolaio è anche la rivelazione della scappatella epistolare di Bobbio, carrierista flesso ma non spezzato e autore di una supplica indirizzata al bieco tiranno.
L’intelligenza dei fascisti è pertanto uscita dalla caverna scavata dagli azionisti di Torino per entrare nei libri di storia della filosofia propriamente detta.
Una pagina di filosofia della politica, ad esempio, è la cronaca dell’avvincente e accanito dibattito sul corporativismo, che si svolse, sotto lo sguardo attento di Giovanni Gentile, nell’Università di Pisa durante gli anni Trenta.
L’immagine dell’ignoranza totalitaria si dissolve nel ridicolo, quando si rammenta, come ha fatto egregiamente Fabrizio Amore Bianco, autore dell’ampio e documentato saggio “Il cantiere di Bottai”, edito in Siena da Cantagalli, che del dibattito sul corporativismo furono protagonisti filosofi e giuristi della statura di Armando Carlini, Arnaldo Volpicelli, Ugo Spirito, Carlo Costamagna, Giuseppe Bottai, Francesco Carnelutti, Giuseppe Attilio Fanelli, Camillo Pellizzi, Alberto De Stefani, Filippo Carli, Mario Miele, Widar Cesarini Sforza, Carlo Alberto Biggini.
Nelle sedi dei convegni e nelle pagine delle riviste d’area, peraltro, il dibattito si svolse nel segno della perfetta libertà d’espressione.
In un periodo nel quale mancano veri progetti e programmi di politica sociale ed economica esce un interessante e documentato volume di articolata e attualissima proposta (Mario Bozzi Sentieri – Ettore Rivabella, Lavoro è partecipazione, Settimo Sigillo, Roma 2012, € 10,00).
Si tratta, come dice anche il sottotitolo, di un ” Manifesto per una nuova strategia di Azione Sindacale”. Significativo, poi, che la prefazione sia di Giovanni Centrella, Segretario Generale dell’UGL, ossia di quella Confederazione che non solo ha nella sua storia presenze ed elaborazioni di forte rilievo, ma che anche ora segue attentamente le gravi vicende italiane ed europee senza essere condizionata dal tardo classismo che appesantisce, oppure addirittura neutralizza, l’azione della CGIL, della CISL e della UIL.
Scrive tra l’altro Centrella che «l’attuazione del principio costituzionale riguardante la partecipazione dei lavoratori e la condivisione con loro delle responsabilità, delle scelte, delle dinamiche e degli utili, può dar loro un nuovo slancio a uno sviluppo che abbia come presupposto la sintesi tra le istanze sociali e economiche che costituiscono il binomio caratterizzante la produzione e il mercato».
L’articolazione del volume si svolge secondo uno schema logico che conduce il lettore ad addentrarsi nella materia in maniera convincente e lo porta ad essere aderente alla tesi di fondo. Dai capitoli che tratteggiano i nuovi scenari e quindi i cambiamenti in corso nella scena mondiale si passa ad affrontare la tematica riguardante la nuova cultura che deve caratterizzare una diversa socialità. Quindi – e per il lettore diventa il tema centrale – si afferma la necessità di un interventismo statale moderno fondato su una legittimità democratica di nuova concezione. Di qui la richiesta di un adeguamento della azione sindacale fondato su una battaglia esplicita per la partecipazione istituzionalizzata sia nelle attività produttive che in quelle della rappresentanza politica.
Gli Autori affrontano con capacità interpretativa coerente le problematiche del lavoro che sono sul tappeto, tenendo sempre presenti le correlazioni con le innovazioni tecnologiche pervasive e con le dimensioni globali delle competizioni mondiali. Soprattutto non si lasciano intimorire dalla informazione, spesso fuorviante, dei mezzi di comunicazione asserviti in gran parte ai potentati finanziari speculativi: l’economia reale – essi affermano giustamente – è il vero terreno di confronto e la base imprescindibile per risolvere la crisi generale e riprendere lo sviluppo.
Tra gli argomenti sui quali riteniamo di dover richiamare l’attenzione, oltre naturalmente quelli specifici relativi alla cogestione e alla nuova caratterizzazione che deve avere una diversa attività sindacale, vi è quello riguardante il capitolo dal titolo “Ripensare la democrazia”.
«Bisogna – scrivono Bozzi Sentieri e Rivabella – prendere atto che la democrazia, quale almeno storicamente si è manifestata nelle sue forme borghesi ed ancora oggi ci appare, è, nella sua essenza, il regno dell’individualismo e dell’astrattismo (Joseph De Maistre); è la fabbrica dell’incompetenza degli uomini politici (René Guénon); è il luogo deputato della partitocrazia (Robert Michels); in essa avviene il dominio dell’oligarchia capitalistica sulla realtà politica (Julius Evola); nella democrazia elettorale, condizionante è la capacità di agire sull’ingenuità della masse attraverso l’aiuto della stampa influente e di “una infinità di astuzie”(George Sorel)».
Il muro di Berlino ha sepolto i comunisti, il mito dell’unità italiana intorno ai sacri e indeclinabili valori della resistenza al fascismo ha consegnato ai postcomunisti il potere di legittimare o delegittimare il qualunque esponente della cultura e della politica nazionale.
L’uscita della tradizione italiana dai lavativi ingranaggi della censura comunista non è dunque possibile senza accettazione della verità storica sul fascismo e sui cattolici consenzienti.
La demonizzazione del fascismo proietta un’ombra infamante su tutte le espressioni del pensiero italiano che non sono riconducibili al compromesso con i rottami dell’ideologia comunista o alla condivisione dei suoi desolanti esiti francofortesi.
L’inflessibile rigore degli antifascisti giustifica ultimamente l’oblio della dottrina insegnata dai pontefici preconciliari ovvero l’esilio di tutti i pensieri cattolici (la dottrina sociale del Beato Giuseppe Toniolo, ad esempio) che non sono inclusi nella costituzione, concepita come indiscutibile surrogato del Vangelo.
Il presente saggio è inteso a riabilitare le ragioni dei prelati e degli intellettuali cattolici che avviarono un costruttivo dialogo con il fascismo. La loro aprioristica condanna è il vettore della deportazione cattolica nel margine abitato dalla scolastica bolognese e intitolato alla subalternità ad ogni costo.
Intransigente testimone della tradizione cattolica, Piero Vassallo è autore di numerosi saggi finalizzati a dimostrare la presenza di antiche superstizioni nella scienza filosofica dei rivoluzionari. Di qui il suo costante interesse per il Novecento italiano, teatro di una geniale e purtroppo calunniata risposta al nichilismo strisciante nelle ideologie. Secondo Vassallo, il costruttivo dialogo delle avanguardie fasciste con la tradizione cattolica è il cuore di una straordinaria vicenda che interessa i testimoni del fallimento cui è destinata la mitologia intorno alla mano magica del mercato, testa e coda del serpente ideologico che ha avvelenato l’età moderna. Di Vassallo, Solfanelli ha pubblicato i saggi “Itinerari della destra cattolica”, “Icone della falsa” destra e “Contravveleni e antidoti al pensiero debole”.
L’analisi di Dino Campini sulla vicenda dei carteggi Mussolini – Churchill, con un ritratto del Duce completamente nuovo. Scarica
Enrico Vezzalini fu Prefetto di Ferrara e Novara, nonché membro del collegio giudicante del Tribunale speciale per la difesa dello Stato della Repubblica Sociale Italiana in occasione del Processo di Verona, che processò i membri del Gran Consiglio che firmarono l’Ordine del giorno Grandi per la sfiducia al Presidente del Consiglio Benito Mussolini.
Finita la guerra fu processato e condannato a morte su richiesta del pubblico ministero e futuro presidente della Repubblica Italiana Oscar Luigi Scalfaro. La sentenza capitale fu eseguita a Novara il 23 settembre 1945.
Su quella vicenda, riportiamo alcune testimonianze: