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Convergenze di analisi e di tesi propositive
Qualsiasi discorso riguardante un nuovo assetto istituzionale della società moderna -individuabile territorialmente sia considerando le singole nazioni organizzate a Stato, che il complesso degli Stati riuniti in unioni, o federazioni, o comunque in articolazioni di dimensione continentale – abbisogna di adeguate analisi a carattere non solo antropologico, ma anche più ampiamente sociologico e in definitiva effettuate con riferimento ad ineliminabili principi di etica naturale. E da qui pervenire alla riconquista degli eterni valori sui quali si fonda la vera attività politica.
Non c’è dubbio che istituzioni dominate da ideologie sbagliate portino al corrompimento generale del tessuto sociale, ma il cambiamento istituzionale, o meglio ancora, costituzionale per essere veramente “rifondativo”, deve avere consapevolezza delle origini del male sempre più diffuso attraverso comportamenti criminali che vengono considerati invece come normali, oppure subiti come ineludibili nella moderna evoluzione della società globale.
In questo numero del bollettino Il Sestante, un sociologo del CESI, il prof. Carlo Vivaldi-Forti, affronta questa problematica facendo riferimento ad alcuni testi della moderna letteratura sull’argomento e constata che l’estensione e la profondità dei comportamenti criminali – ancorché mascherati da ipocrisie liberali e da meccanismi di “accettabile” raffinatezza finanziaria -, portano autori che originariamente erano inquadrabili nei vecchi schemi di “destra” e di “sinistra”, a convergere su tesi comuni.
L’auspicio è che si amplifichi e si approfondisca, con onestà intellettuale, un dialogo sempre più necessario per un rivolgimento globale di carattere etico e quindi di iniziativa politico-istituzionale (g.r.).

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO

- Verso il superamento dei termini di “sinistra” e di “destra”
La manipolazione totale e l’alternativa della partecipazione di Carlo Vivaldi-Forti

- Analisi sociologia ed antropologica
Crisi economica o corruzione globale? di Carlo Vivaldi-Forti

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Da dove comincio? Da Cristoforo Colombo? Perché non se ne è stato a casa? Da Colombo un saltino alla Dottrina Monroe, sarebbe necessario; ma diverrebbe un discorso troppo lungo. Allora partiamo da oggi: inizio questo articolo ai primi di giugno 2014, giorno dei Ludi Veneziani, dove, tanto per cambiare, sono stati arrestati alcuni politici, e di nuovo tanto per cambiare, intenti a rubare. Nulla di nuovo sotto il cielo di questa Repubblica nata dalla Resistenza. Ma da qualche parte debbo pur iniziare, e allora ricordiamo quanto ebbe a dire l’ineffabile Woodrow Wilson (non lo ricordate?) in una lezione alla Columbia University nell’aprile 1907; quando rivolgendosi a giovani studenti americani, dichiarò: <Dal momento che il commercio ignora i confini nazionali e il produttore preme per avere il mondo come mercato, la bandiera della sua nazione deve seguirlo, e le porte delle nazioni chiuse devono essere abbattute… Le concessioni ottenute dai finanzieri devono essere salvaguardate dai ministri dello stato, anche se in questo venisse violata la sovranità delle nazioni recalcitranti… Vanno conquistate o impiantate colonie, affinché al mondo non resti un solo angolo utile trascurato o inutilizzato>. Immaginate cosa sarebbe accaduto se queste parole fossero state pronunciate da un Mussolini o da un Hitler. Ma adiamo avanti.

Oggi, per completare l’opera di distruzione, è in programma la svendita persino della Banca d’Italia e questa vendita, viene fatta passare dai carognoni, come un’operazione di salvataggio. Nessuna meraviglia: quest’opera di falsificazione è un tipico dei servizi inglesi e statunitensi che mirano di fare apparire il contrario di ciò che è nella realtà. Questi metodi tendono a rendere l’Italia un paese completamente soggiogato ad un sistema mafioso e criminale, come poi è avvenuto, al potere finanziario. Andiamo avanti e facciamo un saltino sino al 2 giugno 1992 e saliamo sul panfilo Britannia (da http://alfredodecclesia.blogspot.it/): <(Il Britannia), in navigazione lungo le coste siciliane. Sul panfilo c’erano alcuni appartenenti all’elite di potere anglo-americana, come i reali britannici e i grandi banchieri ai quali si rivolgerà il governo italiano durante la fase delle privatizzazioni (Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers). In quella riunione si decise di acquistare le aziende italiane e la Banca d’Italia, e come far crollare il vecchio sistema politico per insediarne un altro, completamente manovrato dai nuovi padroni. A questa riunione parteciparono anche diversi italiani, come Mario Draghi, allora direttore delegato del Ministero del Tesoro, il dirigente dell’Eni Beniamino Andreatta e il dirigente dell’Iri Riccardo Galli. Fra i complici italiani possiamo trovare l’ex ministro del Tesoro Piero Barocci, l’allora Direttore di Bankitalia Lamberto Dini e l’allora governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi. Alcune autorità italiane (come Dini) fecero il doppio gioco: denunciavano i pericoli ma in segreto appoggiavano gli speculatori. Gli intrighi decisi sul Britannia avrebbero permesso agli anglo-americani (come sta avvenendo, nda) di mettere le mani sul 48% delle aziende italiane, fra le quali c’erano la Buitoni, la Locatelli, la Negroni, la Ferrarelle, la Perugina e la Galbani (…). Nel giugno 1992 si insediò al governo Giuliano Amato. Un personaggio in armonia con gli speculatori che ambivano ad appropriarsi dell’Italia. Infatti Amato, per iniziare le privatizzazioni, si affrettò a consultare il centro del potere finanziario internazionale: le tre grandi banche di Wall Street, Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers. Appena salito al potere, Amato trasformò gli Enti statali in Società per azioni, valendosi del decreto Legge 386/1991, in modo tale che l’elite finanziaria le potesse controllare, e in seguito rilevare. L’inizio fu concertato dal Fondo Monetario Internazionale che, come aveva fatto in altri paesi, voleva privatizzare selvaggiamente e svalutare la nostra moneta, per agevolare il dominio economico-finanziario dell’elite (…). Le reti della Banca Rothschild, attraverso il direttore Richard Katz, misero le mani sull’Eni (un gioiello mussoliniano, ndr), che venne svenduta. Il gruppo Rothscild ebbe un ruolo preminente anche sulle altre privatizzazioni, compresa quella della Banca d’Italia (…). Dietro tutto questo c’era l’elite economico finanziaria (Morgan, Schiff, Harriman, Kahn, Warburg. Rockefeller, Rothschild ecc), che ha agito preparando un progetto di devastazione dell’economia italiana e lo ha attuato valendosi di politici, di finanzieri e di imprenditori (…). Grazie alle privatizzazioni, un gruppo ristretto di ricchi italiani ha acquisito somme enormi, e ha permesso all’elite economico finanziaria anglo-americana di esercitare un pesante controllo sui cittadini, sulla politica e sul paese intero (…)>.

Come siamo arrivati a questo? Per una risposta più prossima alla verità, ci dobbiamo spostare alla metà degli anni ’30 dello scorso secolo. Ecco come lo storico Rutilio Sermonti dichiara (L’Italia nel XX Secolo): <La risposta poteva essere una sola: perchè le plutocrazie volevano un generale conflitto europeo, quale unica risorsa per liberarsi delle Germania – formidabile concorrente economico – e soprattutto dell’Italia. Questo è necessario comprendere se si aspira a evidenziare la verità storica: soprattutto dell’Italia>. Infatti il reale avversario delle plutocrazie erano i fascismi con le loro idee e proposte sociali, idee che si stavano espandendo in tutto il mondo; ecco, allora, la necessità di spingere la Germania e l’Italia alla guerra attraverso provocazioni e minacce.

Proviamo ad approfondire. Nel novembre 2011, sia l’Italia che la Grecia hanno subito un golpe bianco, senza che i rispettivi popoli ne abbiano preso conoscenza. Chi sono gli autori del golpe bianco? Il governo tecnico di Papademos in Grecia, e il governo tecnico di Monti in Italia. Chi sono questi personaggi? Da dove provengono? Entrambi erano membri della Commissione Trilaterale di quel soggettino che ha nome David Rockefeller, appartenente ad una delle tredici famiglie che da sempre hanno dominato il mondo attraverso l’economia e la finanza. Quelle famiglie che il fascismo ha tentato di combattere. Tutto ciò era stato ben compreso da quello che, chi scrive queste note, considera il più grande politico dello scorso secolo: Benito Mussolini. Ecco con quanta lungimiranza e lucidità il 7 febbraio 1944 (!) scriveva: <(…): Il progetto statunitense, in parole povere, si può dunque riassumere così: tutte le nazioni porteranno i loro risparmi nelle casse del Tesoro americano, che  li amministrerà pro domo sua. Secondo tale piano, infatti, il governo di Washington si assicura, nell’amministrazione del Fondo internazionale di livellamento dei cambi, di cui propone la costituzione; il numero di voti sufficienti per essere in grado di fermare qualsiasi decisione contraria al suo interesse. In tal modo gli Stati Uniti, oltre all’accaparramento in corso di attuazione delle basi navali ed aeree del mondo e alla creazione delle più potenti flotte navali e aeree di guerra e commerciali, indispensabili ai loro piani imperialistici, avrebbero anche finanziariamente tutte le altre nazioni alla loro mercè (…)>.

Quanto sin qui scritto è solo una parte microscopica della storia mondiale, ma sufficiente per comprendere come ci hanno portato nella cacca. I passaggi essenziali partono dalla Dottrina Monroe (elaborata in realtà da Quincy Adams), ma ci dobbiamo spostare ai primi del 1800, con la quale Monroe espresse l’idea della supremazia degli Stati Uniti nel continente americano, e da qui è facile passare alla supremazia nel globo intero. Oggi possiamo contare da quelle enunciazioni almeno cento guerre condotte dagli Stati Uniti al di fuori del continente americano. Tutte guerre d’aggressione per affermare il potere finanziario anglo-americano. Come poco sopra scritto, il fascismo provò a fermare tutto ciò, ma fu sopraffatto dal grande capitale.

La domanda: visto che siamo nella cacca, c’è un modo per uscirne? Non so dare una risposta, ma ritengo che questa se c’è si trova nelle teorie mussoliniane, dovremmo, in pratica, ma sia chiaro questo è una mia personale affermazione, dovremmo ripartire dall’aprile del 1945, perché in quella data possiamo vedere come il nostro futuro fu compromesso e ci fu rapinato.

In ogni caso vedo il futuro nostro e di chi ci seguirà molto, ma molto oscuro.

Certo la propaganda è stata asfissiante, ma siamo pure un tantinello imbecilli, soprattutto perché c’è tanta gente che ancora accorda fiducia a certi personaggi ben individuabili.

   Concludo: e pensare che c’è ancora qualcuno che ci  propone di festeggiare il giorno della liberazione.

Poveri noi!

San Miniato, in provincia di Pisa, è stato per mezzo secolo un tempio dell’antifascismo, quei mausolei “naturali” che, per essere stati oggetto di una strage tedesca durante la Seconda Guerra Mondiale, si sono prestati alla speculazione dei partiti dell’arco costituzionale ed essere, di conseguenza, elevati a fabbriche di odio antifascista permanente. Quei luoghi sacri agli istituti della Resistenza (immaginaria) e alle associazioni dei partigiani (del dopo la guerra, ovviamente), davanti ai quali, a scadenze prestabilite, si riuniscono obbligatoriamente tutti gli studenti del circondario per ascoltare il verbo dei politici di professione, tutti uniti a tramandare, di generazione in generazione, l’odio contro i nazisti e i fascisti. Anche i fratelli Taviani si sono sentiti in dovere di contribuire alla diffusione della “buona novella” con un famoso lungometraggio sulla strage “nazista” di San Miniato, La notte di San Lorenzo (1982): tutto l’apparato della Repubblica Italiana, dalla destra nazionale alla sinistra extra-parlamentare, aveva offerto il suo “agnello sacrificale” – ricevendo ovviamente in cambio alti riconoscimenti economici e politici – al mito della “liberazione”.

Ma il crollo del muro di Berlino, la scomparsa del comunismo, ha provocato la frana di tanti miti resistenziali, seppelliti dal peso della loro stessa menzogna. E così, a San Miniato, quel mormorio “fascista” che strisciava per le vie del paese si è fatto sempre più forte, fino ad esplodere con effetti drammatici. E allora, anche chi per decenni aveva – dietro congruo compenso – diffuso odio in nome dell’antifascismo di professione, ha dovuto ammettere che a San Miniato c’era stato un piccolo errore di valutazione. Sì, quel giorno, ad uccidere quei poveri innocenti – di cui nessuno, tra l’latro, si era mai interessato, se non per sfruttarne la morte sull’altare dell’antifascismo – non erano stati i Germanici, ma gli Statunitensi. Ma perché indignarsi tanto? Il “male assoluto” era pur sempre il “male assoluto”, una piccola bugia a fin di bene era sempre preferibile… alla verità.

Il lettore si domanderà cosa c’entra San Miniato con la provincia di Rieti. Ebbene, sembra che anche questa provincia italiana, un tempo della Repubblica Sociale Italiana, abbia la sua piccola San Miniato “irredenta”, dove una strage compiuta dai Britannici è da sempre stata attribuita ai Germanici, per poterne sfruttare l’orrore in nome dell’odio e dell’unità antifascista.

Quel 10 Giugno 1944, mentre le truppe dell’Impero inglese avanzavano lungo la Salaria, senza per altro incontrare resistenza, Poggio Mirteto viveva l’ansia dei “grandi giorni”. I fascisti e il grosso delle unità tedesche avevano lasciato la provincia di Rieti da alcuni giorni, in tutta tranquillità, senza essere disturbati da nessuno. Di partigiani neppure l’ombra, solo qualche mitragliamento aereo anglo-americano aveva impensierito la lunga marcia verso il Nord, dove si sarebbe continuata la battaglia per la libertà e l’onore d’Italia. Quel 10 Giugno, solo alcuni piccoli reparti germanici rimanevano in zona, per gli ultimi preparativi. Contro queste unità si accanì l’aviazione anglo-americana e le artiglierie britanniche, intenzionate a radere al suolo qualsiasi cosa si frapponesse alle truppe in marcia, fossero semplici casali di campagna, fossero piccoli paesi di montagna. E prima dell’arrivo delle truppe, un’ultima azione di “bonifica” a suon di mortai. Nessun combattimento a viso aperto si voleva coi Germanici. Difficile sconfiggerli solo con i Fanti, anche se in rapporto di uno a dieci. E così, alla vista di Poggio Mirteto, importante centro reatino, dotato fino a qualche giorno prima anche di un forte ed efficiente Presidio della Guardia Nazionale Repubblicana, gli Inglesi – nel timore fossero presenti ancora unità nemiche – decisero di  “spazzolarlo” con i mortai, prima dell’entrata delle truppe. La sorte volle che diversi paesani stessero saccheggiando un magazzino viveri quando avvenne l’attacco contro i nemici immaginari: e fu strage. Un eccidio che fu un trauma per tutti coloro che credevano fosse finalmente finita la guerra e le sofferenze. Una beffa mostruosa che pregiudicava anche la mitologia della “liberazione”: come far diventare un crimine di guerra commesso dai “liberatori” in una festa politica? Il trauma psicologico e le necessità politiche imposero la rimozione della realtà storica e quella che era solo una delle tanti stragi dei “liberatori di schiavi”, divenne come per magia, un eccidio “nazi-fascista”, con tanto di lapide ricordo, con tanto di manifestazioni di cordoglio, con tanto di scolaresche schierate a sentire i sermoni dei Professoroni antifascisti (pagati con i soldi dello Stato, ovviamente).

«A 70 anni da questo drammatico evento di sangue – ha dichiarato il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti – c’è chi ancora tenta di speculare politicamente parlando di una “strage tedesca”. Le risultanze storiche, la logica, un’analisi indipendente priva della distorsione ideologica dei fatti in questione, però, pone seri dubbi su questa etichetta. Siamo dell’avviso che i soli responsabili del massacro di Poggio Mirteto siano i Britannici che, come al solito, preferirono aprirsi la strada con l’aviazione, le artiglierie e i mortai, nel costante timore di dover affrontare a viso aperto i reparti germanici sul campo di battaglia. Abbiamo chiesto al Sindaco di modificare la lapide politica che nella piazza centrale del paese ricorda il drammatico evento attribuendolo ai Tedeschi. Volevamo organizzare insieme una manifestazione in ricordo delle vittime di quel crimine di guerra, senza più speculazioni politiche, in modo che – finalmente – si potesse rendere un omaggio disinteressato ai dimenticati di quel giorno, “liberarli” dalla falsità e rendere loro giustizia. Dalla risposta avremmo espresso un giudizio morale nei suoi confronti. Il lungo silenzio faccia esprimere questo giudizio all’intera cittadinanza».

 

Claudio Cantelmo

Ufficio Stampa

Comitato Pro 70° Anniversario

della RSI in Provincia di Rieti

Bisogna stampare più moneta europea!
L’Italia (e l’Europa) deve disporre di una maggiore quantità di euro per grandi lavori pubblici ed una nuova politica industriale
Questo numero del bollettino CESI è interamente dedicato ad una nuova concezione monetaria, adeguata alla moderna economia ad eliminare il ritardo nelle infrastrutture e a risolvere, insieme, i problemi occupazionali e quelli di nuovi redditi per i cittadini.
I dati forniti dalle relazioni del Governatore della Banca d’Italia, Visco, e del Presidente della Confindustria, Squinzi, cui si aggiungono quelli dell’Osservatorio dell’Università Bocconi di Milano, dell’Istat e della Corte dei Conti, denunciano una situazione che non può più essere risolta con le misure derivanti dal Fiscal compact, parte integrante del Patto di stabilità della UE. Né può essere più tollerata l’assenza delle nazioni europee dalla diretta sovranità monetaria. Esse debbono disporre di quantitativi di euro in misura adeguata alle singole necessità.
L’Italia è, a questo riguardo, la nazione che oggi ha le maggiori, drammatiche esigenze.
Il programma di quelle forze politiche che in Italia tendono a riprendere una unità ed una identità necessarie alla ripresa dello sviluppo, deve essere improntato alla energica proclamazione di un progetto organico che dia credibilità e determini la mobilitazione di fresche energie dirigenti.
Le pagine che seguono tendono a questo scopo (g.r.).

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO
Lo Stato italiano deve partecipare alla sovranità monetaria europea
di Gaetano Rasi
I Parte – Illusorie le c.d. riforme di Renzi.
Necessaria l’emissione di euro in quantità adeguata all’economia italiana
II Parte – La revisione delle teorie monetarie
I costi del “non fare” nel campo delle infrastrutture e della politica industriale
III Parte – Uscire dalla crisi con adeguati programmi di politica economica e sociale
L’enorme disoccupazione va combattuta con grandi lavori pubblici e il diretto finanziamento dell’industria

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Nelle prime ore del 4 Giugno 1944, dopo mesi di cruente battaglie sulla linea di Cassino, dopo i rovesci sul fronte di Nettunia, le avanguardie della possente Armada statunitense – dopo aver dirottato altrove gli scomodi compagni di viaggio britannici – si apprestavano ad entrare nella Capitale. A scuola (i Professori prezzolati) e in televisione (i giornalisti americanizzati) ci hanno poi educato al culto della “liberazione”, mostrandoci le immagini del popolo romano che festoso – con tanto di scuscià e segnorine, vero vanto nazionale – accoglieva i nuovi padroni. E così siamo venuti su, con il passare degli anni, educati ad amare la “libertà”, quella che gli stranieri avevano donato – sacrificando i loro figli migliori – a quei poveri pezzenti di Italiani settanta anni fa. Eppure, qualcosa in questa fiaba non quadrava. Ma nessuno era intenzionato a porsi domande. Specie se il padrone vittorioso era così generoso… in Dollari. Prima di tutto, non ci aveva mai convinto la storiella che, prima della venuta dei “liberatori”, gli Italiani erano degli schiavi? Di chi? Di se stessi, forse? Poi, come mai, tra quel tripudio festoso del 4 Giugno, non si erano visti i famosi e gallonati Generali statunitensi, quelli che erano riusciti a perdere tutte le battaglie e, nonostante tutto, vincere la guerra. Come mai, il Gen. Clark entrò in Roma solo il giorno successivo?

Se nessuno ha mai posto questa domanda, impegnato più a chinare il capo e ossequiare il vincitore di turno, ovviamente ben pochi hanno cercato una risposta. Ebbene, i Generali statunitensi entrarono a Roma solo il 5 Giugno, in quanto solo alla mezzanotte della sera prima, i soldati americani erano riusciti a raggiungere tutti gli obiettivi fissati. Come mai quasi 24 ore per compiere quella che, in fin dei conti, è presentata come una passeggiata tra i fiori e le prostitute italiane?

Ebbene, quel 4 Giugno i “liberatori” non trovarono ad accoglierli solo i “morti di fame”, ma anche i fascisti, i franchi tiratori fascisti, che per tre giorni ingaggiarono una battaglia nella Capitale “liberata” ben presto dimenticata. Le camicie nere – tra cui numerosi ragazzi e ragazze – spararono a più riprese contro le unità americane che si apprestavano ad occupare la Città Eterna, causando pesanti perdite al nemico della Patria italiana e tenendo ben lontano i Generali gallonati dalla parata trionfale che – con smacco – dovette essere rimandata di un giorno.

I franchi tiratori che furono catturati vennero passati per le armi e per loro si aprì l’oblio della memoria. La loro storia è tornata alla ribalta delle cronache con lo studio del 2010 del ricercatore nettunese Pietro Cappellari. Nel suo Lo sbarco di Nettunia e la battaglia per Roma (Herald Editore), dopo tanti decenni di silenzio, i franchi tiratori fascisti della Capitale hanno riavuto la loro voce, soffocata dalle grida della canea che, in quegli stessi giorni, al seguito degli occupanti, scendeva in piazza in cerca di prede indifese. I soldati statunitensi e gli antifascisti dell’ultima ora, però, trovarono decine di ragazzi e ragazze in camicia nera che, con quegli ultimi colpi di fucile, ricordarono al mondo che vi erano degli Italiani che avevano deciso di non arrendersi. Per l’onore e la libertà dell’Italia.

 

Claudio Cantelmo

Ufficio Stampa

Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia

“Il 2013 è stato l’annus horribilis della destra italiana. È stato l’annodella diaspora politica e dellasconfitta elettorale. È stato l’annodella condanna di Silvio Berlusconi edel suo allontanamento dal Senatodella Repubblica, l’anno della scissione di Angelino Alfano, ultima in ordine di tempo, dopo quella di Futuro e Libertà di Gianfranco Fini, di Fratelli d’Italia ed ancor prima della Destra di Francesco Storace” – così in premessa del nuovo libro di Mario Bozzi Sentieri, “La destra nel labirinto – Cronache da un anno terribile” (Edizioni del Borghese, pagg. 132, Euro 16,00).

Scritti nell’arco dell’ultimo anno, un anno significativo e convulso non soltanto per la destra ma per l’intero panorama politico italiano, i capitoli de “La destra nel labirinto” presentano una scottante ed inquietante attualità. Non vi è infatti nessuno degli aspetti che hanno contraddistinto i recenti sviluppi della politica nostrana a non essere trattato o, quanto meno, toccato: dalla sconfitta elettorale e dalla proclamata uscita di scena di Berlusconi alla condanna di quest’ultimo per frode fiscale, dalla fine del Governo Monti e dal Napolitano-bis all’affermarsi prepotente dell’antipolitica grillina, fino alla riesumazione di sigle quali Forza Italia e Alleanza Nazionale che il “partito-contenitore” del Popolo delle Libertà sembrava aver messo in secondo piano e che oggi invece si ripropongono all’attenzione degli elettori con tutte le incognite e le riserve del caso.

In quest’opera l’autore si presenta come un medico che redige una diagnosi accurata dei mali di una destra che, dopo vent’anni di berlusconismo, appare stanca anche se non ancora priva di una certa vitalità e capacità propositiva. E, come ogni medico che si rispetti, Bozzi Sentieri appare altresì in grado, tra un capitolo e l’altro e nelle conclusioni a margine delle sue esposizioni spesso crude ed icastiche delle condizioni in cui versa la destra italiana, di delineare una o più possibili cure, senza mai trascurare il versante intellettuale di quella che egli stesso definisce una “battaglia culturale”, ai fini della quale non esita, in maniera alquanto provocatoria, a riproporre a destra una strategia di un’ “egemonia culturale” ispirata alle idee di un “mostro sacro” della sinistra marxista-leninista italiana del XX secolo, e cioè Antonio Gramsci.

Pur costituendo infatti un compendio di considerazioni e prese d’atto di carattere politico, “La destra nel labirinto” è soprattutto e in ultima istanza un manifesto culturale e ideologico, come del resto appare evidente nel primo capitolo in cui l’autore ripercorre l’iter intellettuale di molti giovani dell’area nazional-popolare degli Anni Settanta e Ottanta, divisi tra la lucida ed equilibrata “Rivolta contro il Mondo moderno”di Julius Evola, con il suo ideale di uomo integrale in piedi tra le rovine, e l’appassionato romanticismo politico del socialismo fascista di Pierre Drieu la Rochelle, tra le suggestioni jüngeriane della mobilitazione totale e del “Trattato del Ribelle”e le categorie schmittiane di amico e nemico e del politico.

Un itinerario,quello ricordato dall’Autore, in cui non pochi lettori potranno certamente ritrovarsi ed identificarsi e che li aiuterà, fidandosi di lui, a seguirlo meglio nella trattazione degli argomenti forse più contingenti e meno elitari, ma di sicuro valore pragmatico e strategico, di cui si compone un testo che, come resoconto dei recenti sviluppi politici inerenti alla destra italiana, si presenta alquanto completo ed esaustivo.

Con l’invito di fondo a non commettere gli identici errori commessi del passato, uscendo finalmente fuori dal “labirinto” delle contraddizioni in cui, nel corso degli anni, la destra si è persa, perdendo spesso le ragioni stesse della propria esistenza.

Settantesimo anniversario del martirio di Giovanni Gentile
Ricorre quest’anno il settantesimo anniversario del martirio di Giovanni Gentile, assassinato a Firenze il 15 aprile 1944. Alla distanza del tempo trascorso il pensiero di Gentile si rivela non solo nella sua validità dominante nel secolo scorso, ma anche una base etica, politica ed educatrice alla quale fare riferimento per riprendere un cammino di ulteriore civiltà.
Il CESI prende spunto dalla pubblicazione del libro di Primo Siena, Giovanni Gentile. Un italiano nelle intemperie, appena uscito a cura delle edizioni Solfanelli, sia per farne un’ampia recensione sia per delineare i punti salienti di un pensiero che va aldilà delle pur impegnative ed anche tragiche vicende vissute dal filosofo della prima metà del Novecento. L’autore è uno scrittore, filosofo e pedagogista, tutt’ora coerente assertore del pensiero sociale e nazionale. Egli ha pubblicato numerosi libri e, seppur vive a Santiago in Cile, segue attentamente quanto avviene in Italia ed in Europa.
In questo libro Siena, non solo tratteggia i punti essenziali della filosofia gentiliana, ma fa anche riferimento ai numerosissimi commentatori, tutti di elevato livello, che si sono occupati di Gentile e ne hanno interpretato l’opera nei vari aspetti.
L’opera è integrata da un profilo del filosofo: della sua vita, della sua azione politica, del suo pensiero e del suo messaggio postumo, non solo interpretato da intellettuali di varia estrazione. Interessanti poi ed illuminanti i commenti critici nei confronti di coloro che negli ultimi tempi hanno tentato di strumentalizzare il pensiero gentiliano per posizioni politiche di segno opposto.
Il libro è completato da documenti quasi sconosciuti al pubblico italiano, ma di altissima validità interpretativa: il gesuita argentino prof. Leonardo Castellani e il pensatore rumeno-spagnolo prof. George Uscatescu. Chiude il libro una acuta interpretazione del pensiero politico di Giovanni Gentile svolta dal filosofo Armando Carlini.
Il volume è stato presentato il 27 maggio nell’Aula Magna di Palazzo Sora, sede del Sindacato Libero Scrittori Italiani: ne sono stati relatori il Presidente del CESI, prof. Gaetano Rasi e il prof. Lino Di Stefano, illustre studioso dell’opera gentiliana. Ha presieduto l’incontro animandolo ulteriormente con i suoi interventi il prof. Francesco Mercadante. L’autore, prof. Primo Siena, ha alla fine concluso la presentazione con ulteriori validi commenti

Dedichiamo questo numero documentario riportando i punti salienti della relazione del Presidente del CESI.

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO

Attualità e futuro nella rivisitazione del pensiero del maggior filosofo del Novecento.
Ripartire da Gentile di Gaetano Rasi
1° – Riprendere il cammino dal pensiero di Gentile
2° – Per Stato etico Gentile intende “senso dello Stato” da parte del cittadino
3° – L’educazione del cittadino come trasmissione etico-conoscitiva ed autoformazione
4° – Il pensiero di Gentile proiettato oltre la sua vita terrena
5° – Sviluppi gentiliani per nuovi orizzonti di civiltà
6° – Il concetto gentiliano di società e di Stato deve influenzare la nuova economia

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Riflessioni immediate sull’esito delle elezioni europee
Questo bollettino esce a ridosso dell’esito delle elezioni europee, esito che è stato diverso dalle previsioni della maggior parte dei mezzi di informazione e degli stessi partiti politici interessati. Il CESI ha per propria regola quella di effettuare riflessioni ed analisi non immediate perché vuol evitare valutazioni che potrebbero non essere frutto di adeguato approfondimento. Tuttavia nel caso presente ritiene utile entrare subito nel merito delle questioni che emergono prepotentemente impegnandosi a proseguire nei prossimi numeri de Il Sestante la valutazione dei giudizi espressi dai maggiori editorialisti e commentatori italiani, oltre che da parte dei maggiori esponenti politici.
Come potrà leggersi dagli interventi che seguono, il dato comune è quello di considerare le elezioni del 25 maggio come un punto di partenza dal quale trarre motivo per poi sostanziare proposte e programmi nell’ambito del fondamentale progetto che è quello di preparare un grande movimento costituente al fine di pervenire ad una integrale nuova redazione della Carta costituzionale italiana. Non è possibile, infatti, rimanere imprigionati nella miope, dannosa e superficiale riforma affrettatamente annunciata dal leader che dalle elezioni ha tratto il maggior vantaggio.
In altre parole il CESI apre un’ulteriore fase del dibattito per il quale ha predisposto già un anno fa un Appello agli italiani per l’Assemblea Costituente ed un Manifesto Politico e Programmatico per la Rifondazione dello Stato. Le nuove problematiche che si vanno ponendo, le ulteriori precisazioni di indirizzi finora incerti, la necessità di approfondimento di dati ed indirizzi prima non noti – il tutto unito con il possibile sviluppo di un raggruppamento politico che rilanci una politica nazionale e sociale unitaria e che sia energicamente presente nella legislazione e nel governo europeo – richiedono aggiornamenti ed ampliamenti sia di quell’Appello che di quel Manifesto. Alla fine di questo lavoro ne sarà pubblicata una nuova edizione.
Il CESI pertanto, attraverso il suo bollettino e con convegni e seminari da organizzarsi nei prossimi mesi, cercherà di contribuire affinché quanto auspicato si realizzi perché ormai si tratta di una necessità storica della quale si deve sempre più prendere coscienza (g.r.).

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO

- Riflessioni a caldo sulle elezioni europee.
Siamo ancora in alto mare di Innocenzo Cruciani

- Perché un certo tipo di “destra” non sia inutile.
Più energia nel passare dalla protesta alla proposta di Mario Bozzi Sentieri

- Manifestazioni CESI: Una nuova Costituzione per un nuovo modello di sviluppo
Due convegni del CESI in Toscana
Conferenza dibattito all’Università di Viterbo

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Serata di beneficenza “Sotto il cielo di Roma“, organizzata, come lo scorso anno, dall’Università della Santa Croce, che si terrà a Roma, presso il complesso monumentale di Sant’Apollinare della Pontificia Università della Santa Croce, sita in Piazza Sant’Apollinare, 49, in data sabato 14 giugno 2014. I contributi ricevuti nel corso della serata saranno destinati a borse di studio per giovani sacerdoti provenienti da diocesi di tutto il mondo con particolari difficoltà economiche.

Ho ricevuto una telefonata da un mio caro amico che indicherò con le sue iniziali, E.S.. Al telefono era un “tantinello” incazzato avendo letto un articolo su “Il Corriere della Sera”, articolo a firma di Roberto Marabini. E.S. mi ha inviato in seguito l’articolo in oggetto. Il titolo del pezzo è: “I vicini scomodi – essere ebrei nel 1937”. Tratta di <una famiglia che, “negli anni bui” del fascismo (proprio così ha scritto Marabini) aveva due peccati originali: possedere una villetta a Riccione,  vicino alla villa del Duce, ed essere ebrea (…)>. Egiù una serie di contumelie contro il Duce, colpevole, secondo l’Autore, dello sterminio degli ebrei sterminio iniziato, sempre secondo il Signor Marabini, nel 1937. Solo questa data indicata dall’Autore ci fornisce il grado di ignoranza dello stesso. Infatti se avesse studiato la storia dovrebbe sapere che le leggi sulla razza furono varate nel 1938.

Per iniziare riporto “una lettera ricevuta dall’al di là” da il gatto:

Salve, cari posteri,

 

il mio nome è Joseph Iugasvili Stalin, certamente mi conoscete o per lo meno avete sentito parlare di me, più di qualche volta …

Ho chiesto il permesso a Dio per scrivervi questa lettera, vi scrivo, dove mi trovo poco vi interessa. Può interessarvi dove si trova il vostro statista Benito Mussolini, che nella Storia è ricordato come “Il Duce”, ve lo dico, anche se non dovrei; si trova, bontà del nostro sommo Dante Alighieri (nostro, perché la Poesia, quella vera, seria, appartiene a tutto il mondo) nel Purgatorio, girone dei c … ni!

Eh sì, perché tale luogo meritava.

Come potremmo definire un uomo che in vita ha protetto i suoi avversari mantenendoli con un sussidio all’estero, e poi tutti hanno affermato che erano in esilio, come chiamereste voi un uomo che ha salvato dalla fucilazione da parte dei Tedeschi gente che si professava sua nemica, e lo ha fatto in nome della vecchia amicizia che nutriva per loro; come giudicate oggi il fatto che oggi a quest’uomo attribuiscono la responsabilità delle leggi razziali, quando proprio lui ne ha salvati tanti di quelli!!! (…).

 

Per confutare, ancora una volta, le malignità scritte su questo argomento dai vari Marabini, mi rifaccio ad un mio precedente articolo, che riporto qui di seguito. E qualcuno mi smentisca.

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    Nel contempo ho ricevuto dal Signor X una mail che riporto di seguito.

<Caro Giannini, grazie per il suo impegno a ristabilire una verità storica tanto orrenda che pochi hanno il coraggio di approfondire. Grazie per il suo appassionato e ingrato lavoro, ma nulla fra le innumerevoli stragi precedenti (Caino in un solo colpo, uccidendo Abele, sterminò un quarto dell’umanità dell’epoca) e per citarne qualcuna  sotto l’imp. Tito nel ’70 d.c. furono eliminati 600 mila dei 900 mila ebrei di Palestina…

   Quanto tempo avrebbe impiegato l’apparato di Himmler a scoprire che la mia bisnonna era ebrea e quindi io, con la mia famiglia, essere destinato ai campi di concentramento ed ai forni crematori? Il fatto di non essere ariano – e neppure Himmler lo era – giustifica tanto orribile accanimento? Se Tamerlano, per fare un solo esempio, ha passato a fil di spada 18 milioni di persone in dieci anni, anche se erano suoi nemici irriducibili, si giustifica per questo? Un conto, caro Giannini, è essere storico e un altro essere politico. Cerchi, se possibile, di rimanere imparziale. Nel nome della verità storica. Grazie. XX>

Forse mi sbaglio, ma se ho ben capito, il Signor X vorrebbe che i miei scritti convalidassero quanto la “vulgata resistenziale” da oltre sette decenni va sostenendo, e cioè che <Mussolini faceva parte della macchina della soluzione finale>. Se questo è quanto il Signor X pretende, mi obbligherebbe a scrivere non solo una falsità, ma addirittura una cosa esattamente contraria alla verità.

Per una volta sola mi voglio avvalere del giudizio di una personalità dichiaratamente fascista, Giorgio Pisanò. Questi nel suo libro “Noi fascisti e gli Ebrei” ha scritto: <Si giunse così al 1939, vale a dire allo scoppio della guerra e fu allora che, all’insaputa di tutti, Mussolini diede inizio a quella grandiosa manovra, tuttora sconosciuta o faziosamente negata anche da molti di coloro che invece ne sono perfettamente a conoscenza, tendente a salvare la vita di quegli ebrei che lo sviluppo degli avvenimenti bellici aveva portato sotto il  controllo delle forze armate tedesche>. Giorgio Pisanò: un pazzo? un mentitore fascista? No, Signor X, Giorgio Pisanò ha scritto il vero: non Hitler (è ovvio), né Stalin (per lo stesso motivo, è altrettanto ovvio), non Roosevelt, né Churchill, né Pétain, nessuno di questi ultimi, pur avendo le possibilità di farlo, si adoperarono per mettere in salvo gli ebrei: solo Mussolini lo fece, è assurdo sostenere questa tesi? Allora leggete e, ripeto: smentitemi.

Chi scrive queste note ha un difetto: prima di scrivere si documenta e solo su documenti scrive.

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