Il terremoto del Vulture del 1930 fu un sisma di magnitudo momento 6,7 (X della Scala Mercalli) che si verificò il 23 luglio 1930. Il terremoto, che prende il nome dal Monte Vulture alle cui pendici si verificarono ingenti danni, colpì soprattutto la Basilicata, la Campania e la Puglia; ebbe i suoi massimi effetti nella zona montuosa fra le province di Potenza, Matera, Benevento, Avellino e Foggia. Il terremoto causò la morte di 1404 persone prevalentemente nelle province di Avellino e Potenza, interessando oltre 50 comuni di 7 province. Il sisma fu aggravato dalla scarsa qualità dei materiali usati per le costruzioni e dalla natura argillosa dei terreni.
Il capo del Governo, Mussolini, appena conosciuta notizia del disastro convocò l’allora Ministro dei Lavori Pubblici, l’on. Araldo di Crollalanza e gli affidò l’opera di soccorso e ricostruzione. Araldo di Crollalanza, in base alle disposizioni ricevute e giovandosi del RDL del 9 dicembre 1926 e alle successive norme tecniche del 13 marzo 1927, norme che prevedevano la concentrazione di tutte le competenze operative, nei casi di catastrofe, nel Ministero dei Lavori Pubblici, fece effettuare nel giro di pochissime ore il trasferimento di tutti gli uffici del Genio Civile, del personale tecnico, nella zona sinistrata, così come era previsto dal piano di intervento e dalle tabelle di mobilitazione che venivano periodicamente aggiornate. Secondo le disposizioni di legge, sopra ricordate, nella stazione di Roma, su un binario morto, era sempre in sosta un treno speciale, completo di materiale di pronto intervento, munito di apparecchiature per demolizioni e quant’altro necessario per provvedere alle prime esigenze di soccorso e di assistenza alle popolazioni sinistrate. Sul treno presero posto il Ministro, i tecnici e tutto il personale necessario. Destinazione: l’epicentro della catastrofe. Naturalmente, come era uso in quei tempi, per tutto il periodo della ricostruzione, Araldo di Crollalanza non si allontanò mai dalla zona sinistrata, adattandosi a dormire in una vettura del treno speciale che si spostava, con il relativo ufficio tecnico da una stazione all’altra per seguire direttamente le opere di ricostruzione. I lavori iniziarono immediatamente. Dopo aver assicurato gli attendamenti e la prima opera di assistenza, si provvide al tempestivo arrivo sul posto, con treni che avevano la precedenza assoluta di laterizi e di quant’altro necessario per la ricostruzioni. Furono incaricate numerose imprese edili che prontamente conversero sul posto, con tutta l’attrezzatura. Lavorando su schemi di progetti standard si poté dare inizio alla costruzione di casette a pian terreno di due o tre stanze anti-sismiche, particolarmente idonee a rischio. Contemporaneamente fu disposta anche la riparazione di migliaia di abitazioni ristrutturabili, in modo da riconsegnarle ai sinistrati prima dell’arrivo dell’inverno. A soli tre mesi dal catastrofico sisma, e precisamente il 28 ottobre 1930, le prime case vennero consegnate alle popolazioni della Campania, della Lucania e della Puglia. Furono costruite 3.746 case e riparate 5.190 abitazioni. Mussolini salutò il suo Ministro dei Lavori Pubblici al termine della sua opera con queste parole: Eccellenza Di Crollalanza, lo Stato italiano La ringrazia non per aver ricostruito in pochi mesi perché era Suo preciso dovere, ma la ringrazia per aver fatto risparmiare all’erario 500 mila lire. L’intervento complessivo, difatti era venuto anche a costare meno del previsto. Nonostante il breve tempo impiegato nel costruirle e nonostante i mezzi tecnologici relativamente antiquati di cui poteva disporre l’Italia del 1930, le palazzine edificate in questo periodo resistettero ad un altro importante terremoto che colpì la stessa area 50 anni dopo.
C’è la testimonianza di un giovane di allora, il signor Liberato Iannantuoni di Meda (Mi) che ricorda: “Nella notte del 23 luglio 1930, il terremoto distrusse alcuni centri della zona ai limiti della Puglia con la Lucania e l’avellinese, in particolare Melfi, Anzano di Puglia, Lacedonia. Proprio tra le macerie di questo borgo, all’indomani del terribile sisma, molte personalità del tempo accorsero turbate da tanta straziante rovina, fra le quali il Ministro dei Lavori Pubblici Araldo di Crollalanza.
Avevo allora 22 anni, unitamente ad altri giovani fummo comandati allo sgombero delle macerie. Ecco perché conobbi da vicino Araldo di Crollalanza; si trattenne un po’ con noi con la serena e ferma parola di incitamento al dovere; restò per me l’uomo indimenticabile per i fatti che seguirono. Tutto quello che il sisma distrusse nell’estate 1930, l’anno nuovo vide non più macerie, ma ridenti case coloniche ed altre magnifiche costruzioni con servizi adeguati alle esigenze della gente del luogo. Moderne strade fiancheggiate da filari di piante ornamentali; si seppe anche che costi occorrenti furono decisamente inferiori al previsto.
tratto da Wikipedia
Sotto, il poster dedicato al Prof. Biggini
Luciano Garibaldi ci fa da guida nei luoghi in cui avvennero gli assassinii del Duce, di Clara Petacci e dei gerarchi fascisti
Fiumi di parole sono stati scritti nel corso dei decenni che ci separano da quel 28 aprile 1945 sulla morte di Benito Mussolini. Lo scorso anno il nostro Giornale d’Italia pubblicò un lungo speciale dedicato a quei fatti, tentando di districare la matassa delle menzogne accumulate nel tempo. Questa volta proponiamo ai nostri lettori un viaggio nei luoghi in cui si consumarono gli omicidi (si, omicidi) di Benito Mussolini, Claretta Petacci e dei gerarchi fascisti. Questo speciale è completato da un video che il lettore può visionare nella relativa sezione del nostro portale.
Abbiamo incontrato, in questo nostro viaggio nel tempo, alcune persone che ci hanno reso la loro testimonianza: quella, umana ed affettiva, di Edda Negri Mussolini, figlia di Anna Maria e nipote di Benito; quella dello storico, dongologo, saggista e giornalista Luciano Garibaldi, che ci ha accompagnate nei “luoghi dell’epilogo”. Quella infine di un sacerdote, don Luigi Barindelli, parroco di Mezzegra, che ci ha raccontato quei giorni svelandoci alcuni particolari interessanti.
Il nostro viaggio comincia a Milano, dove Luciano Garibaldi viene a prenderci in stazione. Lo storico è una persona molto amabile, un gentiluomo d’altri tempi, la sua disponibilità e la sua competenza sono doti rare da trovare oggi. In macchina percorriamo la strada che ci porta verso il lago di Como, durante il tragitto commentiamo insieme quei giorni del 1945, che portarono ad una delle scene più feroci della nostra storia patria, probabilmente la peggiore: piazzale Loreto. Il solo nome di questo luogo evoca immagini bestiali, è il luogo simbolo della furia cieca che annebbia la ragione, è l’immagine più brutta di questa Italia, di tutta la sua storia, la pagina più truce, la più vergognosa. “Quelle immagini non riesco a vederle – ci dice Edda Negri Mussolini, parlando del vilipendio del cadavere non solo di suo nonno ma anche degli altri fascisti, oltre che di Clara Petacci – ho visto il corpo in documentari, nella cassa, piegato … ma non mi fanno impressione quanto le immagini di piazzale Loreto”.
Nel nostro viaggio verso Giulino di Mezzegra Luciano Garibaldi ci racconta di quando il Duce fu portato dai partigiani, dopo la sua cattura, a Brumate, ma giunto sul posto la barca che avrebbe dovuto essere lì ad attenderli non arrivò: “Sarà successo qualcosa – dice lo storico – non si saranno messi d’accordo bene, ed è in quel momento preciso che il capitano Neri disse che li avrebbe portati a casa De Maria. I De Maria erano dei suoi amici di famiglia, lì decisero di portare Mussolini e Claretta, a Bonzanigo. Così da Moltrasio tornarono a Bonzanigo dove giunsero alle 3 di notte del fatale giorno 28″.
Il capitano Neri, scomodo testimone di quei fatti, sarà assassinato anche lui, a cose fatte. La sua fidanzata, la partigiana Gianna, con lui in quelle ore, farà la stessa brutta fine. Una vicenda orribile della quale abbiamo già relazionato ai nostri lettori.
Il nostro viaggio continua, nel tragitto Garibaldi ci dice altre cose, intavoliamo il discorso del tradimento tedesco nei confronti del Duce: “L’ordine venne dato dal generale Wolff – dice il nostro accompagnatore – al capitano Feilmeier, o Sheilmeier, che poi non si è mai riuscito a ritrovare perché non si sa nemmeno come si chiamasse esattamente. Uno scrittore tedesco, Erich Kuby, scrisse un libro molto, molto documentato, che si intitola proprio ‘Il tradimento tedesco’, dove racconta la storia di questa colonna della contraerea tedesca, una cinquantina di camion, ai quali si accodarono tutte le macchine dei gerarchi che seguivano Mussolini. Mussolini quasi per proteggerlo fu fatto salire su un autoblindo e poi fu fatto vestire con una divisa tedesca, per evitare che venisse riconosciuto dai partigiani: era tutta una messinscena”.
“Proprio lì, a Mezzegra, aveva una villa Sir Henderson – dice ancora Garibaldi -che era il proprietario della Cucirini Cantoni ed era un grande amico di Churchill. Ed era il fratello dell’ambasciatore inglese a Berlino, Sir Neville Henderson. Sir James Henderson aveva la sua villa proprio a poche decine di metri dal punto dove poi Mussolini sarà ucciso, quindi è chiaro che aveva anche un appuntamento lì. Appuntamenti mandati tutti a monte, gli inglesi che lui sperava di incontrare non si sono presentati. Si sono presentati dopo, a cose fatte. L’importante era farlo tacere, lui e Claretta dovevano tacere”.
Arriviamo a Bonzanigo, casa De Maria è sempre lì, è stata restaurata ma conserva ancora quell’alone di tragedia che traspare dalle foto ingiallite che all’epoca fecero il giro del mondo. Di fronte, al di là dell’incrocio di via del Riale, c’è la casa da cui Dorina Mazzola disse a Giorgio Pisanò di aver visto l’assassinio di Mussolini e della Petacci. “Direi che è una conferma al racconto di Bruno Giovanni Lonati – dice Garibaldi – Dorina Mazzola li vide lì, sulla strada: due uomini che sparavano uno a Mussolini e l’altro a Claretta. È abbastanza verosimile che sia accaduto qua, la mattina del 28, verso le 10 – 10,30, come ha sempre raccontato la Mazzola e come risulta dall’autopsia, e non alle 16,30 …”.
Ci guardiamo intorno, mentre la macchina percorre la strada panoramica che costeggia il lago, è incredibile che un luogo tanto bello sia stato teatro di tanto orrore.
Egregio Dottore,
mi permetto di scriverVi a seguito della puntata di “Ulisse” avente per oggetto lo sbarco angloamericano di Nettunia del 22 Gennaio 1944, andata in onda sul “noto” canale RAI 3, il 18 Aprile 2015. Mi sento in dovere di scriverVi prima di tutto come Italiano (nel senso mazziniano del termine) e poi come ricercatore, per non sembrare, prima di tutto, uno zelante professorino intento a “fare le pulci” al Vostro programma. So benissimo che errare è umano, ma sono anche convito che perseverare sia diabolico, caro Dottore!
Il mio intervento si rende necessario anche perché la Vostra redazione si era pure interessata a un mio studio sull’evento storico in questione (Lo sbarco di Nettunia e la battaglia di Roma) e mi sento in dovere di esternarVi pubblicamente le mie riflessioni. Infatti, nonostante un nuovo approccio nell’elaborazione del programma, con immagini a colori e il largo utilizzo di figuranti, che rappresentano una bella novità in linea con le esigenze televisive di oggi, l’intera ricostruzione storica sprofonda nel “vecchiume”, riproponendo la consueta vulgata antifascista e anti-italiana come ci veniva propinata a scuola negli anni ’80, dimenticando l’enorme progresso degli studi storici di questi ultimi anni, che tendono a superare le versioni di comodo politicizzate.
Durante tutta la trasmissione mai una volta è stata citata la Repubblica Sociale Italiana, né i suoi reparti che vennero schierati in difesa di Roma in quella Primavera del 1944, al fianco dell’alleato germanico. E questo è quanto meno sospetto. Vorrei sapere se Voi (o chi Vi scrive i testi) siete un ignorante, nel senso almirantiano del termine, ossia ignorate l’esistenza della RSI e delle sue Forze Armate, oppure la censura ideologica che è stata fatta corrisponde ad un preciso piano di epurazione politica di un passato scomodo che non era il caso di ricordare, per lasciare inalterata l’impostazione pedagogica dell’intera puntata. Infatti, sul fronte di Nettunia furono impiegati il fior fiore dei reparti della Repubblica Sociale Italiana, penso agli Aerosiluranti, ai barchini della Xa Flottiglia MAS, ai reparti di terra come il Battaglione Paracadutisti “Nembo”, il Reggimento Paracadutisti “Folgore”, il Battaglione SS Italiane, il Battaglione “Barbarigo” della Decima MAS, il I Battaglione M “IX Settembre”, senza dimenticare i ragazzi della 5a Compagnia Studenti Volontari Romani (Granatieri di Sardegna) e quelli dei Battaglioni del Genio dell’Esercito Nazionale Repubblicano. Nulla, tutto ciò è “dimenticato” nelle oltre due ore di trasmissione in cui ci si dilunga su episodi marginali della guerra e si fantastica sulla Resistenza (che a Roma fallì completamente il suo compito). Si parla dell’inumana deportazione degli Italiani di religione israelita residenti a Roma (16 Ottobre 1943), ma ci si dimentica la deportazione (più numerosa) dei Carabinieri (che servivano lo Stato Nazionale Repubblicano di Mussolini), avvenuta sempre nella Capitale il 7 Ottobre precedente. Si parla dell’attentato di Via Rasella e della drammatica rappresaglia delle Fosse Ardeatine dimenticando di citare le Convenzioni internazionali di guerra e le disposizioni relative alla legittima reazione di un esercito regolare attaccato da illegittimi belligeranti quali erano i partigiani. Non si cita mai la parola comunismo – che fu la fede della stragrande maggioranza dei partigiani – probabilmente per non disturbare l’impostazione politica della trasmissione dove le parole più usate sono “libertà” e “liberazione”, termini politici e non storico-militari. Caro Dottore, probabilmente Voi continuate ad ignorare la situazione storico-politica di quell’Italia. Eppure il sospetto che tale terminologia sia riconducibile ad un impostazione pedagogica di stampo antifascista sarebbe dovuto nascere solamente ascoltando le parole dei “popolari” testimoni di quel tempo da Voi riportate. Mentre Voi parlavate pomposamente di “libertà” e “liberazione” ad ogni occasione, i testimoni parlavano di voglia di pane, di cioccolata e i Comandanti angloamericani di occupazione. Altro che “libertà” e “liberazione”! Dimenticate forse il famoso detto malapartiano che solo gli schiavi sentono il bisogno di essere liberati?
Ma dove si giunge al paradosso è nella camminata al Cimitero Militare di Guerra USA di Nettuno dove sono stati ricordati i numerosi cognomi italiani presenti sulle croci, dedicando un – giusto – pensiero ai figli degli immigrati italiani che vennero mandati a combattere contro quella che era la loro vera Patria. Anche in questo caso si dimentica di dire che si trattava nella stragrande maggioranza di coscritti di leva, che combatterono contro l’Italia fin dal 1942, in Africa Settentrionale e in Sicilia. Caro Dottore, bastava fare pochi passi e raggiungere il Campo della Memoria di Nettuno, il Sacrario del Caduti della RSI, per comprendere che v’era un altro tipo di Italiano che non si vergognava di essere tale (come quelli dell’U.S. Army; cfr. razzismo statunitense). Italiani che, volontariamente, rimasero al fianco dell’alleato germanico per continuare a combattere per l’onore d’Italia. Così come molti giovani di Nettunia corsero – volontariamente – ad arruolarsi sotto le bandiere della Repubblica Sociale Italiana per un sincero e generoso, quanto straordinario, amor di Patria. Probabilmente sono parole che suonano noiosamente retoriche a chi ha parlato degli scontri del 9-10 Settembre 1943 a Roma, dimenticando di dire che a guidare gli insorti v’era il Gen. Gioacchino Solinas dei Granatieri, una fascista che tale rimase anche successivamente, aderendo alla RSI insieme a tanti altri soldati protagonisti dei quelle giornate (altro che “combattenti per la libertà” come li avete etichettati).
Così sono stati dimenticati anche alcuni episodi-simbolo – certamente marginali nel contesto di quell’immane conflitto, ma comunque da citare – come le uccisioni da parte dei soldati statunitensi di alcuni civili di Nettunia, dello stupro e del successivo massacro della giovane diciassettenne Giulia Tartaglia, la vicenda del Brigadiere dei Carabinieri Salvatore Pitruzzello (primo caduto della RSI sul fronte di Nettunia). Invece ci si è dilungati sul papà di un cantante dei Pink Floyd, omettendo di dire – ovviamente – che probabilmente a spazzare via il Plotone britannico di cui faceva parte non furono i Germanici, ma i Paracadutisti italiani del Battaglione “Nembo” che, in quei giorni e in quel settore, travolsero le linee inglesi, mettendo in fuga numerose unità nemiche.
Si parla dell’accoglienza riservata dai romani agli Statunitensi che occupavano l’Urbe, dimenticando – o ignorando? – quello che avveniva nelle stesse ore quanto non pochi franchi tiratori fascisti presero le armi e bersagliarono, insieme ai soldati germanici, le truppe nemiche. Ci furono ben tre giorni di combattimento e la First Special Service Force subì perdite scottanti, più di quelle ricevute in un mese di impiego al fronte di Nettunia (dove, tra l’altro, si vide opposta al Battaglione “Barbarigo” della Decima MAS). Ma non solo. L’euforia dei primi giorni scomparve presto e in molti venne ripensato totalmente l’atteggiamento verso quelli che erano semplici soldati stranieri. Ma non vorrei sembrare fazioso. Per questo, a Voi che avete più volte pronunciato la parola “libertà” come sommo desiderio della popolazione italiana – dimenticando, ancora una volta?, il famoso motto tutto italiano “o Fanza o Spagna, purché se magna” – preferisco ricordare le parole di Corrado Barbagallo che su “L’Avanti!”, quotidiano socialista, nell’Estate di “liberazione” del 1944, così descriveva la situazione nella Capitale: “Sarà forse una esagerazione; sarà forse un fenomeno di ipersensibilità, ma è certo che tutti sentono che, oggi come oggi, a un anno di distanza dalla caduta del Fascismo, la nostalgia di quel passato è più diffusa che non fosse alla vigilia del climaterico 25 Luglio 1943. […] Molti di quelli che un tempo si dicevano suoi fedeli sono passati al campo opposto, e alcuni vi lavorano anche con profitto. Invece ha avuto luogo inattesa fioritura fascista nella massa degli indifferenti di un tempo. […] Moltissimi di quelli che sono malcontenti dell’andamento delle cose attuali […] sono stati all’improvviso colpiti da nostalgia fascistica, e anelano a ritorno di quel passato che, se non ottimo, (essi esitano ad affermarlo) fu migliore dello stato presente. […] Questa folla variopinta costituisce un esercito, disposto spensieratamente a inalberare i colori del fascismo. Che gli si dia una guida, un capo, un organo di propaganda, ed essa si affretterà ad applaudire e a seguirli”. Dov’è la “voglia di libertà” caro Dottore? Dove sono i suoi “liberatori”? Ecco, a conclusione di questa lunga e opportuna lettera non posso non citare dell’Agente del FSS britannico Norman Lewis che, nel Settembre 1944, aveva già compreso la drammaticità della realtà italiana: “Comunque […] sono arrivato alla conclusione che, in cuor suo, questa gente [italiana] non deve poterne proprio più di noi [Angloamericani]. Un anno fa li abbiamo liberati dal Mostro Fascista, e loro sono ancora lì, a fare del loro meglio per sorriderci educatamente, affamati come sempre, più che mai fiaccati dalle malattie, circondati dalle macerie della loro meravigliosa città, dove l’ordine costituito non esiste più. E alla fine, cosa ci guadagneranno? La rinascita della democrazia. La fulgida prospettiva di poter un giorno scegliere i propri governanti in una lista di potenti, la cui corruzione, nella maggior parte dei casi, è notoria, e accettata con stanca rassegnazione. In confronto, i giorni di Benito Mussolini devono sembrare un paradiso perduto”. Ma come è possibile? E tutto quello che avete sostenuto in oltre due ore di programma?
Probabilmente, questo non interesserà Voi, ne la Vostra redazione, ma mi è sembrato giusto evidenziarlo per correttezza storica e dignità di Patria. Parole emblematicamente mai pronunciate durante la Vostra trasmissione.
Pietro Cappellari
Nettuno, 19 Aprile 2015
L’Istituto Carlo Alberto Biggini si stringe nel cordoglio ai familiari del dott. Yusuf Mohamed Ismail Bari Bari, barbaramente ucciso il 27 Marzo scorso in un attentato a Mogadiscio. Pubblichiamo di seguito un’analisi dell’On Cristiana Muscardini a quasi un mese dall’attentato.
Il 27 marzo scorso, in un attentato terroristico a Mogadiscio è stato ucciso l’ambasciatore somalo all’Onu, dott. Yusuf Mohamed Ismail Bari Bari. L’ambasciatore era stato più volte al Parlamento europeo, fin dal 2009 come relatore al convegno organizzato dal Ppe, a parlare di Somalia, terrorismo e pirateria. La sua uccisione è stata sicuramente programmata e gli Al Shabaab, che nell’attentato hanno ucciso diverse altre persone, hanno avuto cura di impedire che l’ambasciatore, già ferito gravemente al ventre e rifugiatosi al primo piano, potesse essere soccorso: hanno infatti fatto saltare le scale che portavano al suo rifugio. Yusuf era riuscito a chiamare il primo ministro somalo, il quale aveva ordinato alle truppe speciali Alfa Group di soccorrerlo ottenendo un netto rifiuto! Da quando infatti la presidenza della Somalia è retta da Hassan Sheikh Mohamud legato al Dalman Jadid al-Islah questo gruppo ha privato il primo ministro della potestà di dare ordini all’esercito! Il primo ministro ha poi incaricato la sua guardia personale di andare in soccorso dell’ambasciatore ma, quando questa è arrivata e ha dovuto arrampicarsi fino alla stanza, Yusuf era ormai in coma. Anche l’Unione europea deve piangere la morte di Yusuf: nato a Roma da famiglia nobile che contrastava il regime di Siad Barre e laureatosi a Bologna, è sempre stato un fervido sostenitore di un’Unione europea capace di dar vita ad una politica estera che potesse sostenere quanti nel mondo, e in Somalia principalmente, volevano e vogliono combattere l’integralismo religioso e gli affari poco chiari. Artefice di molti documenti che hanno consentito a me e a qualche altro parlamentare di presentare, nel corso degli anni, interrogazioni, lettere e proposte sia alla Commissione europea che al Parlamento europeo e al governo italiano, l’ambasciatore si era particolarmente distinto a Ginevra nel difendere con molto vigore i diritti umani. La risoluzione per i diritti degli albini porta non a caso il suo nome. Innamorato della propria terra, soffriva nel vedere che ancora oggi l’Europa non ha capito pienamente l’importanza strategica del Corno d’Africa non solo per i rapporti commerciali ma perché espandersi e consolidarsi di organizzazioni estremistiche stanno mettendo a repentaglio vari Paesi africani e la stessa Europa. La nascita dell’Isis e l’adesione al Califfato sia di Boko Haram in Nigeria che degli Al Shabaab somali dimostrano una volta di più che non aver ascoltato le parole dell’ambasciatore e di chi al Parlamento europeo aveva da molti anni chiesto interventi diversi e mirati ha portato al degenerare della situazione odierna, al punto che il presidente kenyota Uhuru Kenyatta ha deciso di alzare un muro lungo il confine somalo sul mare per arginare infiltrazioni di terroristi che, come sappiamo, anche in questo Paese, hanno compiuto stragi e sequestri. La barbara uccisione di Yusuf, che deriva ovviamente dalle molte denunce da lui presentate su certi clan e su poco chiari interessi con connivenze ben fuori dalla Somalia (non per nulla rimane ancora un mistero la morte della giornalista italiana Ilaria Alpi e del suo cameramam Milan Hrovatin), dovrebbe finalmente convincere le istituzioni europee, e principalmente Commissione e Consiglio, a rivedere la posizione finora assunta che non ha portato ad alcun risultato positivo.
Indesit-Whirpool e Pirelli-ChemChina
Passano in Italia, come semplici correnti d’aria, gravi fatti di assoluta rilevanza senza che il Governo, le forze politiche e i mezzi di informazione e di commento ne facciano oggetto di adeguata allarmata analisi. I casi ai quali ci riferiamo ormai sono numerosissimi e si riferiscono al passaggio in mano straniera di importanti industrie italiane, eccellenti in vari settori. Fra gli ultimi vanno segnalati due casi: uno nel settore degli elettrodomestici e l’altro in quello dei pneumatici. Un’azienda di rilevanza nazionale sia per la qualità della produzione che per lo sbocco nei mercati esteri, quale è la Indesit, in questi giorni passa definitivamente nelle mani dell’americana Whirpool che, in contrasto con l’accordo preso nel 2013, ha portato fuori Italia alcune linee di produzione ed ora si appresta a dichiarare 1.350 esuberi, compresi gli 800 addetti dello stabilimento di Caserta che verrebbe chiuso.
Un altro caso, il cui nome ha fatto la storia del trasporto su strada da oltre un secolo, la Pirelli, sta per essere “occupata” dal colosso cinese ChemChina secondo una strategia del Governo di quel Paese che mira, attraverso suoi fondi statali, a occupare posizioni strategiche in vari settori dell’economia mondiale e a portare in Cina il know-how (carpendo anche segreti di produzione) per essere competitivi direttamente dal proprio territorio. Per quanto riguarda la questione Whirpool-Indesit cercheremo di approfondire quanto prima il danno che ne verrà per gli italiani. Intanto, nell’immediato, in questo numero de Il Sestante Mario Bozzi Sentieri illustra sinteticamente, ma con la giusta efficacia, il caso Pirelli, emblematico anch’esso dell’assenza di una politica industriale in Italia.
Tra non molto l’Italia si sveglierà dal suo torpore e maledirà chi dei suoi rappresentanti politici non è stato attento agli eventi incombenti né all’altezza dei suoi compiti di salvaguardia. Auspichiamo che il risveglio non avvenga troppo tardi, quando interi settori strategici dell’economia italiana saranno definitivamente in mani decisionali di altri. La disoccupazione dei fattori produttivi nazionali – il lavoro in testa, ma anche la tecnica, la capacità organizzativa e i capitali – diverrà endemica. La colpa fin da ora va ascritta in pari misura sia alla gretta miopia dei cosiddetti uomini politici impegnati nelle risse individualistiche all’interno dei partiti e nelle manovre più indecenti fra i partiti stessi, sia all’arretratezza scientifica ed etica dei cosiddetti economisti esperti che sostengono ancora le teorie della felice automaticità della concorrenza mercatistica come unico fattore di progresso civile, oltre che economico.
Da ultimo, riteniamo opportuno – nell’ambito della rubrica “Segnalazioni”- riportare eventi significativi in se stessi, ma che suonano a forte rampogna per quelle residue forze sociali e nazionali che non valorizzano i propri uomini illustri e non impostano le proprie battaglie su idee mobilitanti di alto valore civile ed economico: ci riferiamo al caso Marcello Veneziani, licenziato perché “parla chiaro” e all’introduzione di un inizio di compartecipazione dei lavoratori ai risultati economici della Fiat, ora diventata Fiat Chrysler Automobiles.(g.r.)
SOMMARIO
- Il “caso Pirelli”Assente la politica industriale: I gravi rischi per il sistema Paese. di Mario Bozzi Sentieri
- Rubriche: “Segnalazioni”: Chiude il Cucu’, lascio il giornale (3/3/2015) e Replica al “Il Giornale” (5/3/2015) di Marcello Veneziani. In FCA i lavoratori parteciperanno ai risultati aziendali: aumenti salariali fino al 14% (Il Foglio 16/4/15). “I Libri del “Sestante” Rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri.
L’Assemblea CESI del 27 marzo 2015
Venerdì 27 marzo 2015 si è tenuta nella sua nuova sede in Roma, Piazzale delle Muse 25, l’Assemblea del CESI. In tale occasione sono stati approvati: 1°. le modifiche allo Statuto (aggiornato secondo le necessità derivanti dallo sviluppo del Centro Studi e per adeguarlo alle norme in vigore sulle associazioni culturali senza fine di lucro); 2°. i bilanci, consuntivo dell’anno 2014 e preventivo per l’anno 2015; 3°. il nuovo organigramma del CESI.
Nella sua relazione il Presidente Gaetano Rasi ha chiesto di essere sostituito nella carica al fine di consentire a più giovani e dotate energie di sviluppare adeguatamente il centro di studi politici.
L’Assemblea, preso atto della irrevocabilità della decisione, all’unanimità ha proclamato il prof. Rasi Presidente Onorario del CESI.
All’interno di questo numero de Il Sestante pubblichiamo, il saluto agli amici del CESI del nuovo Presidente Giancarlo Gabbianelli e il testo integrale della relazione del Presidente uscente che illustra in sintesi le più significative iniziative prese dal CESI nei suoi cinque anni di presidenza, nonché alcuni utili commenti per il lavoro del Centro Studi nel prossimo futuro.
Giancarlo Gabbianelli ha voluto indirizzare agli amici de Il Sestante una particolare lettera che riproduciamo qui di seguito: «Cari Amici, mai mi sarei aspettato di aprire questo numero de Il Sestante e di farlo nella qualità di Presidente del CESI. Nessuno di noi, infatti, certamente non io, poteva mai pensare di dover succedere alla nobile e insostituibile figura di Gaetano Rasi. La storia del CESI si identifica certamente in ciascuno di voi, ma principalmente nella figura di colui che sarà sempre il nostro Presidente, non soltanto onorario. La dignità intellettuale e organizzativa raggiunta dal nostro Centro Studi, è dovuta a lui e alla sua capacità di coinvolgere nell’operare personalità di alto livello e di sicuro riferimento. E’ nel suo solco che dovremo continuare a lavorare insieme con lui, seguendone gli insegnamenti e l’esempio. Non si tratterà certamente di un compito semplice, ma l’animo di tutti noi si è forgiato nelle prove più difficili. Buon lavoro e un caro abbraccio».
SOMMARIO
– Il saluto del nuovo Presidente
Il lavoro del CESI continua nel solco già tracciato di Giancarlo Gabbianelli
– Assemblea Cesi 27 marzo 2015
Relazione del Presidente uscente Gaetano Rasi
La deludente ed irritante situazione politica italiana.
La vita delle istituzioni del nostro Paese – nonché il deludente e fastidioso dibattito fra le forze politiche, punteggiato da continui scandali per la diffusa corruzione – è caratterizza nella sua attuale fase evolutiva da vicende così disarmanti per cui è prepotente il bisogno di guardare gli eventi in corso con un misto di ironia e di enorme irritazione (che non esclude tuttavia una sua prossima esplosione).
Ciò nonostante il CESI, attraverso le analisi dei suoi soci, si sforza di trovare anche presso chi meno sembra esserne portatore, qualche indizio di positività. In questo numero lo scrittore Mario Bozzi Sentieri, prende spunto da un intervento della Presidente della Camera per auspicare – al di là di un possibile uso puramente strumentale – una seria discussione sui modelli politici e sociali di rappresentanza che coinvolgano nelle decisioni strategiche del Paese i corpi sociali, e quindi le categorie della cultura e del lavoro.
Il prof. Carlo Vivaldi Forti, affronta il fenomeno dell’ipertrasformismo dei marxisti che per mantenere posizioni di potere hanno effettuato un’alleanza con il capitalismo finanziario meramente speculativo e con ciò tradendo l’originario credo nella rivoluzione proletaria.
Il prof. Pacifici, prendendo spunto da due recenti libri: dalla riedizione di un volume dello storico Emilio Gentile dal titolo “Né Stato né Nazione. Italiani senza meta” e da un nuovo lavoro di Gioele Magaldi dal titolo “Massoni. Società a irresponsabilità illimitata” non può non effettuare alcune riflessioni di ragionato pessimismo circa una possibile rapida ripresa civile del popolo italiano.
In un certo senso solleva lo spirito la gustosa ironia dello scrittore Lorenzo Puccinelli Sannini a proposito dell’impegno di revisione linguistica e di “giustizia sessista” che ha ghermito il governo italiano.
Completa questo numero la Rubrica I Libri del Sestante, rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri che segnala tre significative recentissime pubblicazioni: la prima che riguarda l’errore della rigidità del cosiddetto Patto di stabilità e propone un programma di innovazioni e di investimenti pubblici; una seconda che effettua un’analisi del “luccicante individualismo creativo” degli strumenti elettronici forniti all’Occidente in massima parte dalla Cina e prodotti dai più poveri lavoratori delle aree rurali di quel Paese; e una terza che tratta il grave problema di trasparenza della Pubblica amministrazione la cui soluzione però rischia, se male impostata, di complicare con ulteriori norme puramente burocratiche la sua efficienza.(g.r.)
SOMMARIO
– A margine di un intervento di Laura Boldrini.
I “corpi intermedi”: un valore su cui puntare di Mario Bozzi Sentieri
- Il trasformismo disinvolto dei veteromarxisti.
L’Italia ostaggio del capital comunismo di Carlo Vivaldi-Forti
- Il libro riletto ed il libro non letto.
Né Stato, né Nazione. Solo fazione di Vincenzo Pacifici
- Riflessioni serie e … semi serie sulla c.d. evoluzione linguistica.
La dittatura della terminologia sessista di Lorenzo Puccinelli Sannini
- Rubrica: “I Libri del Sestante”. Rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri