CIRCA L’ITALIA CHE FRANA, CON RELATIVI MORTI. Avevo 5 o 6 anni; un giorno durante uno dei normali giorni di scuola, la mia insuperabile maestra, la signora Gandolfi, ci disse di avvertire i nostri genitori che il giorno successivo saremmo dovuti andare per una missione in campagna e chi voleva poteva indossare la nostra divisa. Avvertii della cosa mamma e papà e, indossata la divisa di Figlio della Lupa, il giorno dopo mi recai a scuola (Riccardo Grazioli Lante), ma non feci in tempo ad entrare che fuori ci attendeva, fra le altre, anche la maestra, signora Gandolfi, che ci accompagnò ad un autobus che ci attendeva fuori della scuola. Dopo un certo tragitto, giunti in una zona di campagna e, scesi dall’autobus, ci venne incontro addirittura il Duce, il quale dopo un brevissimo discorso ci spronò a svolgere una missione nella quale eravamo tutti impegnati. Missione, ci disse, nell’interesse della Patria e del nostro futuro. Detto questo ci vennero consegnate delle piantine e cominciammo, tutti insieme con il Duce in testa, a piantarle salendo su una collina.
La sera, stanco quanto mai, mi addormentai felice di aver compiuto, con il mio dovere, anche qualcosa di utile, appunto, per la mia Patria.
Qualche tempo fa lessi che durante il mai sufficiente deprecabile, infame Ventennio (che sia sempre benedetto) furono piantati un miliardo di alberi; ritengo la cifra esagerata, ma ne furono piantati a sufficienza perché l’albero, grazie alle sue radici opera all’incirca come il ferro-cemento, cioè, ripeto, grazie alle radici queste trattengono la terra impedendo che essa frani. Non so se mi sono spiegato. Provo a farlo meglio: durante il Male Assoluto, vennero piantati degli albero che svolsero nel tempo le loro funzioni. Poi, finalmente (bah!) fummo liberati (doppio bah!, anzi triplo) e grazie ai liberatori (ma quando ce ne libereremo?) è tornata la libertà (quella di rubare, quella di cementificare a cacchio di cane) ed oggi, finalmente possiamo navigare, grazie alle frane, nelle strade e godererne molto più di qualsiasi altro popolo. Quando c’era il Male Assoluto (che sia una volta ancora benedetto) esisteva la salvaguardia dell’ambiente e sorgevano i Parchi Nazionali e, di conseguenza la salvaguarda del verde. Non so se mi sono spiegato!
ORA UNA FAVOLA – CHE E’ STATA REALTA’. Oggi è stata raggiunta un’Italia dei diritti e della libertà (non si espresse così l’onorevole Violante?). A proposito di onorevole, non sarà mai così, ma se fossi deputato e qualcuno mi chiamasse onorevole, per me sarebbe una offesa molto grave.Tornando a noi: il ladro che ruba commette una grave colpa e per questo se acciuffato dovrebbe finire in galera, e questo sarebbe giusto. Ora volgiamo lo sguardo nell’ambito politico. Certi onorevoli – credo che siano tre o quattromila – prima hanno varato una legge attestante che rubare non è un furto, poi si sono concessi dei vitalizi che vanno dai 3.000 ai 10.000 euro mensili, ovviamente senza annullare la ricchissima pensione. Mi spiego meglio dato che il furto è così infame che anch’io sono rimasto incredulo. Ebbene questi signori che a fine rapporto (rapporto che può essere loro riconosciuto anche se si sono presentati nelle aule solo per un paio di mesi) si sono concessi un premio (chiamiamolo così), battezzato vitalizio, cioè vita natural durante, vitalizio che non intacca la loro super dorata pensione, vitalizio che parte, appunto, da 3.000 a 10.000 Euro mensili. E questi mariuoli da galera, molti di questi, non contenti della furbatina sono anche dei corroti e corruttori. Sapete, tanto per arrotondare, e poi tengono famiglia…
Ed ora per farmi passare l’incombente mal di fegato, trattiamo della favola. E spostiamoci a qualche anno indietro. Sino alla fine del 1943 Mussolini (sì, sì, Lui, l’infame) aveva rifiutato qualsiasi appannaggio, non solo a titolo personale, ma anche per le spese della sua segreteria. Riporta il Candido del 1958, parla il Ministro Pellegrini-Gianpietro: <Nel novembre era stato preparato un decreto, da me controfirmato, con il quale si assegnava al Capo della Rsi, l’appannaggio mensile di 120 mila Lire. Il decreto, però che doveva essere sottoposto alla firma del Capo dello Stato, fu da lui violentemente respinto una prima volta. Alla presentazione, effettuata dal sottosegretario di Stato, Medaglia d’Oro Barracu, seguì una seconda del suo segretario particolare Dolfin. A me, che, sollecitato da Dolfin e dall’economo, ripresentai per la terza volta il decreto, Mussolini disse: “Sentite Pellegrini, noi siamo in quattro: io Rachele, Romano e Annamaria. Mille lire ciascuno sono sufficienti”. Dovetti insistere nel fargli notare che, a parte l’insufficienza della cifra indicata, in relazione dl costo della vita, occorreva tener conto delle spese della sua casa e degli uffici. Dopo vive sollecitazioni finì per accettare, essendo egli anche Ministro degli Esteri, solo l’indennità mensile di 12.500 lire assegnata ad ogni altro Ministro. Nel dicembre 1944, però, mi inviò una lettera che pubblicò, rinunciando ad ogni e qualsiasi emolumento, ritenendo sufficienti alle sue necessità i diritti d’autore>. Cosa ne pensi, caro lettore? Mi dici che vai a Montecitorio o nelle sedi di qualsiasi ufficio delle Regioni? A far che, ti chiedo, in quelle sedi troverai solo esponenti dei diritti e della libertà.
Concludo. Gli italioti, che come tutti sappiamo sono tanto intelligenti e furbi, cosa hanno escogitato? Hanno messo in atto gli ordini dei liberatori, hanno assassinato il malefico ed hanno instaurato questa democrazia dei diritti e della libertà. Non siete felici?
E grazie ai liberatori (sì, sì, quelli che con solo due bombette, quelle, cioè, assolutamente fuori da ogni convenzione, uccisero e storpiarono 300 mila esseri umani, tutti scrupolosamente civili!) oggi abbiamo una classe politica, mafiosa, corrotta, corruttrice, ecc. ecc. ecc. Allora avevamo un Jung, un Beneduce, un Serpieri, un Crollalanza ecc. ecc., uomini onestissimi, a capo dei quali c’era un Male Assoluto il più onesto di tutti, e tutti tesi all’interesse del popolo, i quali con gli occhi di oggi possiamo catalogarli fra i fessi.
E ALLORA, COME USCIRE DALL’ATTUALE CRISI? Sarebbe semplicissimo: ispirandosi a quanto fu fatto durante il mai sufficientemente condannabile, infausto truce Ventennio; sempre che gli attuali mascalzoni lo volessero. Una breve premessa: sapete che nel periodo del Male Assoluto l’Italia uscì dalla crisi congiunturale nata nel 1929 meglio di qualsiasi altro paese, tanto che da ogni parte del mondo giungevano in Italia esperti per studiare il miracolo italiano? Non lo sapevate? Ė ovvio, certe cose si debbono nascondere.
Concludo: Continuerò in uno dei prossimi miei lavori.
Allora in bocca al lupo a tutti, anche se sarebbe più veritiero augurare: in bocca a Renzi (o simili che sono tanti e ognuno simile agli altri). Ciao, ciao…
La complessa e inquietante evoluzione del quadro internazionale
Questo numero del Sestante, a carattere monografico, è dedicato integralmente alle analisi della situazione internazionale con riferimento centrale all’Europa.
Il panorama delle crisi che si sono sviluppate nel 2014, e che si caratterizzeranno ancor più nei prossimi anni, è delineato con la sua competenza ed esperienza da Giulio Terzi di Sant’Agata, il quale alla professionalità diplomatica unisce una profonda conoscenza dei percorsi storici.
Infatti, la sua analisi parte dalla constatazione di come vi sia una simmetria tra la crisi che nel 1914 ha portato alla Prima guerra mondiale – la quale ha modificato integralmente la geopolitica europea con decisive ripercussioni in tutto il resto del mondo – e le crisi di esattamente un secolo dopo, cioè quelle che abbiamo vissuto in questi mesi le quali sembrano prodromi di allarmanti e più vasti conflitti che potrebbero emulare le due grandi vicende belliche che hanno caratterizzato il Novecento.
L’ampio e documentato panorama di Giulio Terzi è seguito da un acuto e documentato testo sulla crisi ucraino-russa di Nazzareno Mollicone le cui cause e le cui conseguenze possono ricadere pesantemente sull’Unione Europea e sugli ulteriori sviluppi della politica della Russia.
Mollicone focalizza la problematica in maniera interessante e da non trascurare in quanto vede una politica statunitense che usa l’Unione Europea come strumento della sua strategia volta ad isolare la Russia di Putin anche con riferimento all’influenza che essa ha nella complessa crisi Medio-Orientale, ormai allargata all’Africa non solo mediterranea.
Come viene reso esplicito da questo numero monografico riguardante i problemi internazionali, il nostro Centro Studi estende con questo bollettino i suoi settori di studio, di analisi, e quindi di interpretazioni, affinché la prossima futura politica italiana venga elaborata e si doti di adeguate istituzioni tenendo appunto conto anche delle influenze che vengono dall’esterno del nostro Paese e della UE. L’Italia e l’Europa sono immerse in problematiche che riguardano forti evoluzioni in corso in tutto il mondo e debbono quindi dotarsi di capacità adeguate ai compiti che la storia passata e lo sviluppo civile odierno impongono per il futuro (g.r.).
SOMMARIO
- Panorama della situazione internazionale.
Le crisi del 2014 di Giulio Terzi
1. La crisi ucraina e il riemergere della contrapposizione est-ovest; 2. L’instabilità nel “grande Mediterraneo” e il confronto tra sunniti e sciti; 3. La “questione iraniana”; 4. Esiste una visione strategica dell’Occidente?
– La crisi euro-russa va adeguatamente interpretata.
La questione Ucraina e le ragioni dei separatisti filorussi di Nazzareno Mollicone
1. La situazione storica; 2. L’intervento degli Usa; 3. L’autonomia delle regioni russe; 4. Le elezioni nelle due parti; 5. Il ruolo assente o punitivo dell’Europa; 6. Il danno delle sanzioni.
È venuta l’ora della svolta politica
Le ripercussioni per l’esito delle recentissime elezioni regionali, seppur limitate a due territori, stanno scatenando ulteriori allarmi e tuttavia, invece di dar luogo ad adeguati approfondimenti sulla crisi del sistema, hanno alimentato soltanto diatribe circa il diverso peso specifico dei gruppi politici che oggi pretendono di organizzare la rappresentanza legislativa ed esecutiva del popolo italiano.
Riteniamo, invece, che sia venuto il momento di affrontare alla radice il problema e completare l’Appello che il CESI ha già fatto agli italiani per un’Assemblea Costituente e per la Rifondazione dello Stato con un invito a coloro che in passato sono stati divisi da improvvide fusioni ed ora operano dispersi pur avendo alle spalle un comune patrimonio di principi e di valori che, se attualizzati, contengono soluzioni e progetti di rapida rinascita nazionale.
Questo numero de Il Sestante, porta quindi anzitutto una dettagliata analisi degli avvenimenti che caratterizzeranno i prossimi mesi. Sono procedure per obiettivi sostanzialmente non risolutivi, ma che per l’attuale classe dirigente costituiscono l’unica ragione per esistere. Le forze nazionali e sociali disperse hanno quindi – se lo vogliono perché ne sono consapevoli – tutto il tempo e le opportune occasioni per riprendere un lavoro di squadra in una unità d’intenti, di programma e di obiettivi.
Il bollettino del CESI, poi, analizza ad opera di Mario Bozzi Sentieri, le cause del dissesto idrogeologico del Paese e indica le soluzioni. Anche in questa analisi viene in rilievo come si tratti di un problema di sistema, che va affrontato sia al centro che alla periferia dello Stato, in maniera unitaria, coordinata e con rigorosa disciplina.
Altro argomento di estrema importanza è quello trattato nel rapporto steso dai professori Angelo Ruggiero per l’AESPI e Enrico Orsi per il CNADSI riguardante necessarie, indilazionabili riforme soprattutto nelle scuole medie e superiori . Tale rapporto punta a far uscire l’educazione delle nuove generazioni dagli attuali miopi criteri della pura istruzione nozionistica e auspica il ripristino del civilissimo insostituibile criterio di base costituita dalla formazione umanistica. Essa è l’unica che può dare spessore a tutte le professionalità richieste dal mondo moderno. Le sole conoscenze tecniche, sia pur le più raffinate secondo i canoni dell’informatica e l’uso generalizzato del computer, non sono in grado di formare – in nessun grado della scala sociale – cittadini attrezzati per il confronto con quanto avviene nel mondo globalizzato.
Questo numero è completato dalla consueta rubrica “I libri del Sestante” che fornisce un orientamento ed un aggiornamento indispensabili a quanti vogliono guardare al presente e al futuro con gli occhi aperti (g.r.).
SOMMARIO
- Parole franche a coloro che sono direttamente impegnati nelle attività politica. Assumere posizioni chiare e decise nelle prossime scadenze di Gaetano Rasi
- Clima e non solo. I costi sociali del “sistema” di Mario Bozzi Sentieri
- Comunicato AESPI-CNADSI del 12 novembre 2014. Le reali emergenze di una scuola da riformare. Commento culturale e didattico al rapporto governativo “La buona scuola” di Angelo Ruggiero (Presidente Nazionale AESPI) e Enrico Orsi (Presidente Nazionale CNADSI)
- I Libri del Sestante. Rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri
Sabato 29 novembre, per iniziativa dell’“Associazione Culturale Pensiero e Tradizione” e con il patrocinio dell’AESPI, si terrà a Mantova, con inizio alle ore 17, una conferenza sul tema “Carlo Alberto Biggini, l’anima colta, l’uomo puro”.
Biggini fu Ministro dell’Educazione Nazionale dal 1943 al 1945 e in tale veste elaborò un progetto di riforma della scuola che ancor oggi presenta aspetti di attualità. Come molti ricorderanno, già in occasione del 60° anniversario della morte, nel 2005, l’AESPI, in collaborazione con l’“Istituto Carlo Alberto Biggini”, gli aveva dedicato un Convegno.
Per conoscere la sede dell’interessante incontro mantovano, del quale si allega il programma, è necessario comunicare la propria partecipazione telefonando al numero
(+39)3336978325.
Cordiali saluti.
Per l’AESPI:Giuseppe Manzoni di Chiosca
La nobilissima nazione armena custodisce gelosamente l’onore che le compete quale primo regno dell’antichità convertito alla fede in Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo.
L’Occidente dovrebbe amare e onorare gli armeni, perseguitati dai maomettani a causa della loro indefettibile fedeltà alla religione cristiana e vittime dell’atroce persecuzione organizzata dagli efferati turchi, i quali, approfittando della distrazione umanitaria causata dalla grande guerra, nel 1914 avviarono un colossale genocidio, il primo Olocausto del secolo sanguinario.
Purtroppo la tragedia armena è stata ed è tuttora oggetto di una infame censura negazionista, orchestrata dai media sotto controllo democratico dei governi occidentali (occidente significa, appunto, terra dell’oscuramento), poteri che con ogni mezzo tentano di impedire il disturbo procurato dalla verità agli esigenti alleati turchi.
L’epurazione della verità storica fu a tal punto implacabile che i futuri autori del film La masseria delle allodole, i fratelli Taviani, nella cui casa prestava servizio un’esule armena, giudicarono inverosimile la notizia del massacro compiuto dai turchi.
La diffusione delle notizie sull’Olocausto armeno è curata unicamente da scrittori, registi ribelli e da editori irriducibili, personalità che sono sistematicamente costrette al margine dal sistema della menzogna, trionfante nell’Occidente liberale, umanitario e pseudo-ecumenico.
Ora da Chieti l’impavida, disobbediente casa editrice Tabula Fati propone ai lettori italiani Melania,l’avvincente/struggente storia spirituale scritta dalla figlia di una donna armena, scampata allo sterminio del suo popolo.
Melania è un’opera dolente e struggente, scritta dalla figlia di una donna coraggiosa, rara superstite e testimone della immane tragedia vissuta dal cristianissimo popolo armeno.
Renata Dalmasso e Giovanni Franceschi, due liguri autori della toccante presentazione del volume, disegnano il profilo religioso di Melania, “nei suoi ultimi giorni immersa in una dimensione spirituale accesa, palesa alla figlia la forza della sua proiezione verso il Regno Celeste, quella proiezione infusa dalla Patria Armena” .
Melania era una donna eccezionale: parlava sei lingue e possedeva una straordinaria attitudine a ricostruire e narrare la storia del suo popolo e della sua famiglia.
I suoi genitori erano originari di Gurun, nell’Anatolia Orientale. Laboriosi, “coltivavano terre fertili attraversate da torrenti pescosi“. Oltre agli orti e ai campi possedevano generosi frutteti, “solo di noci ne avevano di cinque tipi“.
Melania, che era nata nel 1909, nel 1914, diventata orfana di padre, fu ricoverata in orfanotrofio. In quell’anno ebbe inizio la tragedia degli armeni. Alla figlia Melania rammenta i primi segnali dell’atroce pulizia etnica concepita e compiuta dai turchi: “Cominciarono a giungere notizie di massacri, di teste mozzate, di donne squartate da due cavalli in corsa, di olio bollente, di accecamenti, di impalamenti, di capezzoli femminili strappati ed esibiti a mo’ di manifesto truculento sui davanzali delle finestre delle sventurate abitatrici”.
Da una zia, che visitò l’orfanotrofio prima di iniziare la fuga dalla scena del crimine, Melania apprese che sua madre, sua nonna e le sue tre sorelle erano state cacciate dalla loro casa e chiuse dai turchi nella stalla, su cui era segnata con sangue una croce.
Trascorsero alcuni anni e finalmente anche gli orfani armeni scampati alla morte furono espulsi dal loro territorio. Gli esuli “non poterono rifugiarsi in Grecia, perché nel frattempo cominciavano a giungere in quel paese altri profughi a migliaia, altri infedeli per i Turchi: i Greci di Turchia. … Quei pochi Armeni, giovanissimi, poveri e soli, furono mandati chi in Egitto, chi in Francia, dove almeno non li si respingeva“.
Fino agli anni Venti, Melania trovò rifugio in un orfanotrofio gestito da Patriarcato Armeno del Cairo, che abbandonò per diventare la governante della famiglia del direttore del Canale di Suez. Alla direzione del canale lavorava un telegrafista italiano, Carlo Garibaldi, il quale si innamorò di Melania e la sposò. La coppia ebbe due figli Carlo e Concetta-Nunufar, la quale rimase con la madre finché questa visse. Nel 1956, a causa della guerra di Suez, la famigli di Melania fu costretta a emigrare in Italia, non senza fare esperienza della giustizia inglese: “Carlo, nonostante trentanove anni di onorato servizio presso la Società del Telegrafo, di proprietà della Gran Bretagna, non poté godere della pensione, negatagli in quanto cittadino di un paese nemico durante la Seconda Guerra Mondiale”.
Gli ultimi anni della sua vita Melania li trascorse nella tranquilla riviera ligure, a Bordighera. A novant’anni decise di confessarsi a un frate cappuccino, “al momento del commiato del frate ella volle alzarsi dalla sedia e si mise a cantare Alleluja … il pentimento dei propri peccati era così ben riuscito che in Cielo si era fatta festa e gli angeli avevano cantato in coro sul capo della vecchina”.
Il tramonto di Melania fu accompagnato da presenze celesti. Rammenta la figlia: “aveva accettato di essere olocausto per il resto della sua vita. A me non disse nulla dei segreti che le erano consegnati, ma a due persone estranee alla famiglia disse: Dio ha creato il mondo pieno di saggezza e bellezza e l’ha donato agli uomini con le sue benedizioni. Ma gli uomini non le vogliono”.
Melania morì nella gioia di raggiungere finalmente la sua vera Patria, l’Armenia celeste. “Il suo viso sorridente emanava un senso di pace e beata tranquillità a tutti quelli che l’hanno visitata.“
Come preparare una futura e dotata classe politica
Il 2014 è stato un anno in cui si sono presentati insieme moltissimi dei nodi cruciali dello sviluppo non solo
italiano ed europeo, ma anche di tutta l’umanità. In tale contesto vanno affrontate adeguatamente e con ampia visione
le soluzioni da proporre. Naturalmente man mano che si effettuano le indagini accrescono le esigenze di aumentare,
oltre che le tematiche, anche il numero degli esperti che le debbono trattare. Di qui l’appello che il CESI fa perché si
allarghi costruttivamente il numero dei collaboratori.
Il nostro Centro Studi, come sua impostazione essenziale (e naturalmente anche statutaria), non intende affatto
essere prodromo a una corrente partitica né tanto meno ad un partito. La situazione attuale dei sistemi di formazione
della classe dirigente non è ancora matura per esprimere autentici, capaci e competenti attori operanti direttamente in
politica, mentre quelli esistenti difficilmente potranno “convertirsi”, secondo le particolari esigenze storiche, per
riprendere un cammino sulla base di principi e valori, pur attualissimi, ma non ancora divenuti progetti politici
alternativi, ossia bandiere che possano essere impugnate da adeguate organizzazioni e consapevolezze.
La peculiarità della condizione europea e la persistenza di superate impostazioni vetero-liberiste emergono
nel primo scritto di questo numero de Il Sestante riguardante gli errori europei e l’incomparabilità fra i dati statistici
riferiti ai diversi gradi di sviluppo delle varie aree mondiali. Di particolare attualità ed importanza è l’articolo di
Mario Bozzi Sentieri riguardante la mancanza di una politica industriale quale emerge, fra le altre, dalla crisi
siderurgica nazionale. Interessante l’articolo del prof. Vincenzo Pacifici che, nell’ambito del 25° anniversario
dell’abbattimento del Muro di Berlino, compie acute riflessioni sui diversi significati che nel corso della storia hanno
assunto i diaframmi posti di volta in volta fra i popoli.
Alla Rubrica “I libri del Sestante”, Rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri, si affianca
quella dal titolo “Segnalazioni”, nella quale vengono riporti integralmente testi o brani usciti dalla stampa quotidiana.
In questo numero vengono trascritti i pungenti e stimolanti commenti del filosofo e giornalista Marcello Veneziani,
pubblicati su Il Giornale, riguardanti il superamento della consistenza, oltre che dei concetti, delle posizioni
denominate “destra” e “sinistra”; inoltre vengono riportate le considerazioni che pongono in luce la superficialità
della riforma del Senato su base grettamente regionalista individuata dal Condirettore de Il Fatto Quotidiano, Marco
Travaglio (g.r.).
SOMMARIO
– L’economia internazionale dopo il G20 di Brisbane . Gli errori europei e l’incomparabilità con i dati del
resto del mondo di Gaetano Rasi
– È tempo di una nuova politica industriale. La protesta degli operai di Terni deve riportare al centro del
dibattito il tema della produzione siderurgica nazionale di Mario Bozzi-Sentieri
– Riflessioni a proposito del 25° anniversario dell’abbattimento del Muro di Berlino. I diversi significati storici
delle grandi paratie di separazione tra i popoli di Vincenzo Pacifici.
– RUBRICHE
I Libri del Sestante: Rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri.
Segnalazioni: Articoli significativi da non trascurare a cura di Gaetano Rasi
Dalla consueta nota “impertinente” Cucù: La destra è un gas nobile di Marcello Veneziani.
Delrio: l’inventore del Senato dei delegati regionali autonominantisi: Bombe d’aria di Marco Travaglio.
Il 18 Novembre 2014, a Roma, nell’importante cornice del Teatro Adriano, si è tenuta la prima de Il segreto di Italia, alla presenza del pubblico delle grandi occasioni, tra cui spiccava la protagonista Romina Power, radiosa un’affascinante abito serale.
Il film di Antonello Belluco ha subìto una lunga e travagliata gestazione, tra divieti e minacce, che hanno sconvolto non solo il normale lavoro di produzione, ma anche messo in serio dubbio la riuscita del progetto. Il tenace regista, tuttavia, ha incredibilmente perseverato ed ha compiuto un vero e proprio miracolo, facendo proprio l’antico detto: “Parlerò anche se l’Inferno stesso si spalancasse per ordinarmi di tacere”. E l’Inferno si era aperto, ordinando di tacere… Tutta l’intellighenzia italiana – quella che si spartisce i soldi pubblici, si intende – è insorta contro quello che era da considerarsi un reato di “lesa maestà”. La fasciofobia ha di nuovo annebbiato le menti di professori e politici, condannando il progetto cinematografico alla consunzione per mancanza di fondi, minacciando tecnici, comparse e attori che volevano condividere il “percorso belluchiano”.
Mobilitando amici e le coscienze di chi credeva fermamente in quel progetto, Belluco è riuscito a produrre un lungometraggio straordinario, che supera di gran lunga le “telenovele” blasonate del cinema italiano (quelle, per intenderci, che – prive di contenuti, ma ricche di “bambole gonfiate” – divorano voracemente i contribuiti statali per la cinematografia). Si è registrata una mobilitazione di popolo, quella comunità che, il 18 Novembre, si è stretta con affetto e stima intorno al regista e ai suoi “ragazzi”. Quella comunità che ha permesso la realizzazione del film.
Ma cosa poteva contenere di così scandaloso Il segreto di Italia, tanto da mettere al bando dalla “società che conta” chiunque avesse osato collaborare con il maestro Belluco? Cosa ha scatenato quell’incredibile “epidemia” che ha fatto fuggire chi pure aveva, in prima battuta, accettato di lavorare con il coraggioso e determinato regista? Nulla. In un’Italia dove anche la pornografia è considerata un’“arte” e le perversioni sono il simbolo del progresso, il lungometraggio belluchiano aveva la “colpa” di raccontare una storia d’amore all’ombra di una delle più efferate stragi partigiane del dopoguerra: quella di Codevigo. Un massacro che doveva essere per sempre dimenticato. Eppure Il segreto di Italia non è un documentario, non è un film storico né di guerra, ma una “semplice” pellicola drammatica che, uscendo fuori dal dorato percorso del politicamente corretto, riportava alla luce una triste vicenda italiana che molti – moralmente complici – volevano cancellare.
Dopo il 28 Aprile 1945, crollato il fronte e ritiratisi i reparti italo-tedeschi, Codevigo venne occupata dall’8a Armata britannica, alle cui dipendenze operava il Gruppo di Combattimento “Cremona” e alcune bande partigiane, tra cui la 28a Brigata Garibaldi “Mario Gordini” al comando di Arrigo “Bulow” Boldrini, già Ufficiale della Milizia fascista. Quello che avvenne nei giorni successivi nella zona di Codevigo, ancor oggi, non ha responsabili. Si sa solo che in questa regione si scatenò una indiscriminata caccia al fascista che si trasformò in una delle più feroci mattanze che la storia d’Italia ricordi: quando nei primi anni ’60 fu possibile recuperare i corpi degli uccisi seppelliti in anonime fosse comuni, si contarono 136 cadaveri, di cui solo 114 vennero riconosciuti. Di decine di altri scomparsi in quei giorni di sangue non fu possibile ritrovare nulla, dispersi nelle campagne, trascinati via dai fiumi, inghiottiti dal “muro di gomma” che ha sempre circondato, con un’omertà diffusa, la strage antifascista.
Il segreto di Italia ci permette di riflettere, a tanti anni di distanza dall’impunito eccidio, sulla Resistenza, su cosa avvenne a Codevigo dopo la fine della guerra, contro gente disarmata cui nulla poteva essere imputato, se non la fede nella propria Patria e a un’idea. Ma non è un film storico, la sua impostazione è su un quadro di riferimento diverso, dove la strage – sebbene centrale – rimane sullo sfondo di una straordinaria storia d’amore, quella che lega la giovane Italia (Gloria Rizzato) al fascista Farinacci (Alberto Vetri) e questi ad Ada (Maria Vittoria Casarotti Todeschini), moglie di un eroe della Regia Aeronautica disperso in Grecia, fuggita da Fiume ormai in balia degli slavo-comunisti. L’amore è presentato nel suo aspetto più puro, senza mai una sbavatura o una volgarità. Ci si innamora del sorriso della quindicenne Italia, degli sguardi straordinari di Ada, del volto pulito di Farinacci. La loro interpretazione è a dir poco magnifica, trasmettendo allo spettatore una miriade di sentimenti e di passioni che lo rapiscono e lo accompagnano per tutto il film. Quello che più colpisce, non è solo il coraggio e il tratto con cui Belluco dipinge la strage partigiana non dimenticando, ad esempio, il martirio della maestra Corinna Doardo. Si rimane impressionati dal talento degli attori, dalle loro interpretazioni a dir poco perfette. Mai una nota stonata, mai una caricatura: Fabrizio Romagnoli, Andrea Pergolesi, Valerio Mazzuccato, Giovanni Capalbo, Elisabetta De Gasperi, Amedeo Gagliardi, Monica Garavello e tutti gli altri attori hanno dimostrato una professionalità rara nel panorama cinematografico italiano. Quanto è bello leggere i nomi di attori italiani, in un film italiano!
Alla fine, quello che rimane dentro al cuore, è un leggero dolore. Come il colpo di cannone che, sovente, si ascolta durante la proiezione annunciando l’arrivo della tempesta, dell’odio antifascista. Quel dolore che ho potuto scorgere negli occhi di Stelvio Dal Piaz, che ha rivissuto il momento del triste abbandono di Arezzo insieme al papà, proprio su una Balilla uguale a quella con cui la famiglia di Italia fugge da Codevigo durante la mattanza partigiana. Il dolore che ho visto negli occhi di Giuliana Tofani, figlia di un caduto della Repubblica Sociale
Italiana, che ha ripensato a suo padre, alla sua fine, al suo messaggio d’amore per la Patria e l’idea.
Il segreto di Italia è un film da vedere e rivedere, non solo perché il sorriso di Italia (Gloria Rizzato) e gli occhi di Ada (Maria Vittoria Casarotti Todeschini) ci hanno letteralmente rapito. Il lungometraggio ha avuto un merito: quello di dare voce, dopo tanti anni, a chi voce non l’ha mai avuta. Ai caduti della RSI, uccisi ingiustamente fisicamente e, poi, vigliaccamente anche nella memoria collettiva. Di loro non si doveva parlare. Non erano degni di nessun ricordo. E quanto hanno sofferto i parenti delle vittime, aggiunge solo dolore al dolore. Il martirio e il silenzio. Obbligato. Quante sofferenze e quante dure lotte ha dovuto sostenere l’Associazione Nazionale Famiglie Caduti e Dispersi della RSI per poter aver almeno un piccolo luogo dove pregare i nostri morti, i morti per l’Italia. Quel piccolo sacrario che, oggi, si può visitare, con il cuore che si stringe, a Codevigo. Tra i nomi incisi sul marmo ecco il S.Ten. Farinacci Fontana, che è anche uno dei protagonisti del film, su cui si posa, come ad accarezzarlo, la mano di un’ormai anziana Italia (Romina Power). Oggi, possiamo dire, che Farinacci – e tutti i caduti nella strage di Codevigo – non sono più soli e hanno una voce. Grazie Antonello, Romina, Gloria, Maria Vittoria, Alberto… e a tutti coloro che hanno permesso questo miracolo, non solo cinematografico.
Pietro Cappellari
L’ISTITUTO CARLO ALBERTO BIGGINI RICORDA NEL 69° ANNIVERSARIO DELLA SUA SCOMPARSA (MILANO 19-11-1945) IL PROF. ON. CARLO ALBERTO BIGGINI CON DUE STRALCI DEL SUO DIARIO DEL 43 CHE SONO PIÙ CHE MAI ATTUALI,E LO STRALCIO DEL DIARIO DI VANNI TEODORANI QUANDO APPRENDE DELLA MORTE DI BIGGINI,IL TESTO DELLA COMMEMORAZIONE DEL 1985 TENUTA DAL PROF. JACOPO LORIS BONOMI,L’ARTICOLO SUL BO’ SCRITTO DAGLI UNIVERSITARI ANTIFASCISTI DI PADOVA SU BIGGINI E ALCUNI RITAGLI DI GIORNALI CHE ANNUNCIANO LA MORTE
Pensiero di Vanni Teodorani, tratto dai suoi diari: ….Circolano incerte notizie sulla morte di Biggini. Pare che sia difficile stabilire la verità giacché il povero Carlo Alberto, ultimo ministro dell’Educazione Nazionale della Repubblica, è stato costretto a morire in strettissimo incognito per evitare di essere sottoposto ad angherie magari durante l’agonia.
Nessuno può essere incolpato di faziosità parlandone bene, anche come uomo di carattere, dopo l’8 settembre, pur dicendosi più che mai affezionato a Mussolini, non si trattenne da esporre esplicite riserve di sapore monarchico e non le ritirò altro che dopo un lungo e per lui esauriente colloquio con il Duce. Nei momenti più torbidi permaneva in lui un idealismo così alto, raro in un uomo politico. Una volta portò al
Duce l’ultima lettera di un giovane di Torino in perfetta buona fede che era stato fucilato dai tedeschi e leggendola gli venivano le lacrime agli occhi e ripeteva “Questi sentimenti, queste cose, glieli abbiamo insegnati noi, questa gente non si deve perdere: sono come noi: Se se ne andassero tutti ci capiremmo subito”. Forse aveva ragione e forse era già troppo tardi.
Un’altra volta eravamo nello studio di Gatti allora segretario particolare del Duce, e tutti e tre parlavamo delle solite storie quando Biggini si accorse che sul muro dietro la scrivania dell’ottimo Gatti v’erano della fotografie dell’incontro di Feltre. A quell’epoca Gatti era federale di Treviso, come tale fungeva da anfitrione. In una soprattutto la furia di Hitler era chiarissima.
Biggini, che era una delle tre o quattro persone al corrente di cosa veramente sarebbe dovuto succedere a Feltre se i tedeschi non si fossero incaponiti a voler perdere la guerra a tutti i costi, senti rinfocolarsi l’antico rimpianto e stendendo il pugno contro la faccia del Fuhrer cominciò sia pur cameratescamente a gratificarlo dei peggiori insulti dicendogli fra l’altro: ” maledetto testone, se davi retta a Mussolini tutto era sistemato, non c’era né 25 luglio, né niente e non ci riducevi così” e avanti di questo passo riducendo sempre più i ragionamenti e moltiplicando gli insulti. Senza volgarità né mancanza di riguardo, ma piuttosto con lo stesso criterio con cui certi feticisti mettono in castigo i loro idoli quando non rigano diritti a far grazie. Noialtri in principio ridevamo poi ci accorgemmo che la cosa era quanto mai seria e mentre Biggini continuava le sue contumelie, il nostro silenzio divenne a poco a poco saturo di consenso. Ma anche questa volta era troppo tardi.
Una sera incontrai Biggini in un albergo di Milano. Ci univa una sincera amicizia frutto probabile di molte comuni vedute. Era tutto sollevato perché approfittando di un anticipato arrivo era stato a veder “La vedova allegra” e le antiche melodie viennesi lo avevano riportato in un mondo migliore cui ogni tanto era riposante tornare, anche se le revolverate di Sarajevo hanno per sempre interrotto lo spensierato valzer. Sembra che sia morto di cancro. Così anche lui che la violenza aveva risparmiato oggi raggiunto il suo Capo che l’aveva particolarmente caro e che si intratteneva lungamente con lui di tutto e su tutto per lunghe ore come un preferito discepolo.
Forse il Mussolini degli ultimi tempi si fidava e confidava con lui come con nessun altro. Avranno ripreso nelle sterminate praterie la conversazione troncata…..[segue]
Prof. Loris Jacopo Bononi
Discorso del Prof. Loris Jacopo Bononi – 1985
Articolo degli studenti antifascisti di Padova, Il Bò 1945
Altri ritagli di giornale che annunciano la morte del Prof. Biggini
Il CNADSI, associazione amica alla quale l’AESPI è legata da un protocollo di intesa, ha in programma, come ogni anno, il proprio Convegno Nazionale, arrivato ormai alla LXXI edizione: si svolgerà martedì 25 novembre, a Padova, presso la sede della “Gilda degli Insegnanti” (Via P. Paruta, 46), con inizio alle ore 9.30 e prosecuzione anche nel primo pomeriggio, dopo un breve intervallo per il pranzo.
Il tema generale sarà “Le nuove proposte di legge sulla scuola ed il ruolo del CNADSI”.
Il MIUR, con nota Prot. AOODCPERS 13593 del 27 ottobre 2014 ha concesso ai partecipanti l’esonero dal servizio alle consuete condizioni.
Tutti siete invitati.
Cordiali saluti.
Per l’AESPI: Giuseppe Manzoni di Chiosca