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Manca una politica economica in Italia e in Europa
Occorrono grandi investimenti pubblici per riprendere lo sviluppo.

di Gaetano Rasi

SOMMARIO
1° – Non sono quelli monetari e fiscali gli strumenti prioritari per superare
la crisi economica.
2° – Programmazione, partecipazione e innovazione.
3° – I compiti di uno Stato moderno nel sistema economico: costanti
investimenti nelle grandi infrastrutture.
4° – Il governo della moneta non può essere lasciato ad un’authority
indipendente, né al solo circuito bancario-finanziario.
5° – Per vincere la deflazione:aver coscienza dell’aumento delle “utilità”
economiche oggetto della domanda e dell’offerta.
6° – Realizzare la co-sovranità italiana sull’euro. Necessario un piano
quinquennale di investimenti infrastrutturali per 1000 miliardi.

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Preparare il futuro
In questo numero del bollettino vengono trattati anzitutto due argomenti che costituiscono un’analisi del sottofondo ideologico e politologico dell’attuale crisi dell’Italia e dell’Europa. Il prof. Carlo Vivaldi-Forti (già autore fra l’altro di due pregevoli volumi: un primo del 1981 “La corona di san Venceslao”, nel quale ha previsto un decennio prima la caduta del comunismo, e “Pravda Vitezi. La verità vince” del 2008 nel quale ha illustrato il percorso intellettuale di un protagonista della primavera di Praga) auspica il coagularsi di un pensiero forte sulla base di un’alternativa partecipazionistica all’ attuale democrazia falsamente rappresentativa. La tesi di Vivaldi Forti sta nell’auspicio che sia riconosciuta quella sintesi creativa che è oggetto del lavoro del Cesi e che consiste nella risposta ai negativi giudizi già sintetizzati da Václav Havel, poeta e primo Presidente della Repubblica Ceca, nella frase: se è vero che il social-comunismo può essere capace di distribuire la ricchezza, non sa però produrla. Il liberal-capitalismo sembra capace di produrla, ma certamente non sa distribuirla.
Il secondo argomento è affrontato dallo scrittore Mario Bozzi Sentieri, il quale, denuncia che, in relazione alla “mutazione antropologico-programmatica della Lega” quest’ultima forza – nata con ben precisi progetti separatistici di frantumazione dell’unità nazionale – oggi sta utilizzando argomenti che dovrebbero essere invece l’elemento costitutivo di un progetto sociale e nazionale di ben determinate forze che si dicono di voler essere portatrici di tali proiezioni, mentre invece appaiono prive di strategia programmatica e di operatività. A tal proposito Bozzi Sentieri richiama opportunamente l’insegnamento di un Maestro, come è stato Ernesto Massi, denuncia la mancanza di progettualità e propone una moderna legislazione basata su un progetto dal titolo “Responsabilità sociale dell’impresa”.
Un terzo argomento è trattato dall’economista Enea Franza, il quale sotto il titolo Borse e “random walk” analizza alcuni aspetti più apparenti che reali della politica monetaria “easy” della BCE ed esprime dubbi che solo attraverso strumenti finanziari e bancari possa essere risolta la crisi di mancati investimenti nell’economia reale che, invece, si rendono drammaticamente urgenti nell’attuale aggravamento della situazione strutturale nella UE oltre che dell’Italia.
Questo numero riporta poi due interventi di soci del CESI nella rubrica Dibattito: uno di Michele Puccinelli relativo alla pseudo riforma costituzionale che ha incominciato il suo iter con l’approvazione di una prima bozza in Senato l’8 agosto scorso, ed un altro di Lorenzo P. Sannini riguardante un aspetto sociologico, esistente in profondità e che non viene posto in adeguato rilievo dagli opinionisti, circa una sostanziale politica classista operata surrettiziamente dal PD allo scopo di eliminare la classe media, spina dorsale operativa nella società nazionale (g.r.).

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO

- Per salvare l’Italia e l’Europa. Necessità di un pensiero forte di grande sintesi di Carlo Vivaldi-Forti

- Sui temi sociali La Lega fa scuola ? Il centrodestra impari la lezione di Mario Bozzi Sentieri

- La speculazione finanziaria contro l’economia reale. Borse e “random walk” di Enea Franza

- Rubrica “dibattito”. Lettere di M. Puccinelli e L. P. Sannini e risposte del Presidente CESI

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Sì, ci avete fatto caso?che da qualche tempo si è verificato un caso di reminiscenza antifascista? Il perché lo cercherò in una personale interpretazione che sarà presentata al termine del presente lavoro.

Ho notato che detta reminiscenza è emersa in RAI/STORIA (da qui in avanti indicata come RAI/BUFALA. Proprio questa mattina (29 agosto 2014) RAI/BUFALA ha presentato un programma su Arturo Toscanini indicandolo come un agguerrito e incazzilloso antifascista. Dato che c’è molto da dire su questo grande artista, rimando l’argomento Toscanini in un mio prossimo articolo, ora, pur rimanendo nel tema, desidero ampliare l’argomento.

Alcuni lettori ricorderanno> un bel film di Totò quando questi vendette la Fontana di Trevi a Roma ad un italoamericano. Ovviamente era una truffa, ma oggi si presenta come fattibile: non abbiamo ceduto la nostra più importante industria, la FIAT agli Stati Uniti, così hanno preso la via d’oltre Atlantico anche altre importanti industrie italiane come la Ducati, la Cirio ecc. e altre. Nessuna meraviglia se si concretizzasse quanto sembrava assurdo, cioè la vendita della Fontana di Trevi. A questa potrebbe far seguito quella della vendita del Colosseo, del Duomo di Milano ecc. ecc.

Come è iniziato questo masochistico processo? Credo che la data può essere fissata nel 1823, quando James Monroe presentò un programma di sviluppo detto, appunto Dottrina Monroe. Essa proclamava e ammoniva le potenze europee che il continente americano, tutto settentrionale e meridionale, non era un territorio destinato alla colonizzazione europea e il non rispettare questo ammonimento avrebbe rappresentato una minaccia per gli Stati Uniti. Non è male ricordare che dalla fine del XIX Secolo la Dottrina Monroe giustificò la politica imperialisca statunitense nell’America Latina. Ma questo era solo l’inizio.

Come poco sopra detto, RAI/BUFALA, da qualche mese non perde occasione per magnificare la democrazia statunitense. E’ bene ricordare che alcune guerre gli statunitensi le condussero prima della presentazione della Dottrina Monroe, in pratica sino al 1945 gli interventi americani al di fuori dei loro confini furono 168. Dimentichiamo, almeno per il momento, lo sterminio dei pellirosse americani, di guerre ne ricordiamo alcune: 1823-1824, ripetuti sbarchi armati a Cuba, 1831-32, Isole Falkland; 1832 Sumatra, 1833 Argentina, 1835-36 Perù, 1836 Messico con occupazione di Nacogdoches (Texas), 1838 Sumatra, Isole Fiji, Isola Drummond, 1846-1848 guerra messicana, Nicaragua, 1853-54 per assicurarsi concessioni commerciali sbarco Isola Bonin, così di seguito non tralasciando di ricordare la guerra ispano-americana del 1898. E ancora 1899 Samoa, 1899-1901 Isole Filippine, 1900 contro la rivolta dei Boxer in Cina, poi ancora Panama, Corea, Honduras, 1912 Turchia, di nuovo Messico (1913), 1917-1918 prima guerra mondiale, e così di seguito. La grave provocazione alla Germania di Hitler con l’occupazione, nel 1941, dell’Islanda. Tutte provocazioni tendenti alla ricerca della guerra voluta per distruggere tutti i fascismi, gravissimi pericoli per il grande capitale che avevano le loro sedi a New Yotk e a Londra; l’ambasciatrice. Clara Boothe Luce, parlando con il congressman Fish, così condannò la volontà di guerra del Presidente americano: <Roosevelt ha ingannato tutti noi impegnandoci in questa guerra col Giappone che a lui serve per intervenire nel conflitto europeo passando attraverso la porta di servizio>.

Con il termine della Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti intrapresero altre guerre tutte fuori dai loro confini, E’ sufficiente ricordare la Corea e il Vietnam. Più recentemente l’attacco all’Iraq giustificandolo con la puerile asserzione che il dittatore Saddam Husseyn possedeva armi di sterminio di massa. Similmente l’attacco alla Libia di Geddafi, due Paesi colpevoli di essere produttori di petrolio. Sicché oggi assistiamo al fatto che sia Saddam Husseyn che Geddafi erano riusciti a pacificare i loro Paesi, oggi con la loro morte sia la Libia che l’Iraq sono Paesi in rovina, divorati, come era stato previsto.

Dato che chi scrive queste note è assertore che la triade democratica Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti sono le reali autrici di tutte le sventure che hanno colpito l’umanità – guerre in primis – propongo a coloro che dirigono la RAI/BUFALA di dialogare su quanto segue: Qualcuno nell’aprile 1907, nel corso di una lezione agli studenti della Columbia University si presentò in questo modo: <Dal momento che il commercio ignora i confini nazionali e il produttore preme per avere il mondo come mercato, la bandiera della sua nazione deve seguirlo e le porte delle nazioni chiuse devono essere abbattute… Le concessioni ottenute dai finanzieri debbono essere salvaguardate dai ministri dello stato, anche se in questo venisse violata la sovranità delle nazioni recalcitranti… Vanno conquistate o impiantate colonie affinché al mondo non resti un solo angolo utile trascurato o inutilizzato>. Chiedo ai bufalari che dirigono RAI/BUFALA di fornirci il nome di questo gangster della politica. La Vostra risposta è Hitler; no! Acqua, acquona. Il nome è quello di quel Presidente americano, quel tale Woodrow Wilson, quel Presidente che, in combutta con i capi di Governo inglese e francese, imposero alla Germania quel capolavoro che passa con il nome di Trattato di Versailles; d’altra parte questi personaggi della triade citata sono schiavi del grande capitale, e questo non si arricchisce maggiormente quando sguazzano nelle guerre? Il guaio del fascismo fu proprio quello di pretendere che fosse la politica a guidare l’economia, al contrario della triade. Ma andiamo avanti.

Ai signori bufalari di RAI/BUFALA, chiedo: cosa intendeva dire Churchill, l’uomo principe della triade, a pag 209 del suo La Seconda Guerra Mondiale, 1° volume, pag 209: <Adesso che la politica inglese aveva FORZATO Mussolini a schierarsi nell’altro campo, la Germania non era più sola>, oppure, Paul Gentizon (questo sì un VERO storico e onesto), nel 1956 scrisse: <Solo Mussolini si levò non soltanto a parole ma a fatti contro Hitler, il nazionalsocialismo, il pangermanesimo. Se in quel momento le democrazie occidentali lo avessero ascoltato, il destino del mondo sarebbe stato ben differente>. Osservo solo l’ingenuità di Paul Gentizon e rispondo. La triade degli infami non poteva seguire Mussolini, per il semplice fatto che questi ambiva alla pace, mentre le democrazie occidentali operavano per la guerra.

Perché il conduttore di RAI/BUFALA e i suoi validissimi (bah!!!) collaboratori non ci parlano dei rapporti polacchi dello Istitute for Historical Review? Forse perché in uno di questi si legge: <Not so welll Known is the story of Rooseelt’s enormous responsability for the outbreak of th Second War itself. This essay focuses on Roosevelt’s secret campaign to promove war in Europe. He bears a grave responsibility before history for the outbreak of the most destructive war of all time>. Sì, signori storici, così il presentatore introduce i bufalari. E a questi chiedo ancora: perché non ci parlate di come l’infame triade ingannò con garanzie d’intervento e di aiuti l’infelice Polonia? E dei due Rapporti Pietromarchi? Nei quali è indicato documentatissimamente come la triade costrinse l’Italia alla guerra? Oppure di quell’Agreement dell’aprile 1940? Oppure delle due bombe atomiche sganciate a Hroshima e a Nagasaki ed i bombardamenti al fosforo, armi vietate dalle Convenzioni Internazionali? E, anche, perché alla firma del Trattato di Pace siglato a Parigi nel 1947, fu fatto obbligo di includere, fra le altre esecrabili clausole, anche quella del divieto di ricostituzione, sotto qualsiasi forma, di un partito fascista? Domando: Ma la triade vincitrice, non era il massimo garante della libertà e democrazia? Perché, allora, l’imposizione di quella clausola vessatoria e illiberale?

Ed ora eccoci giunti al perché della volontà di guerra. La risposta ce la fornisce Bernhard Shaw (se ben ricordo nel 1937): <Le cose da Mussolini sin qui fatte lo condurranno, prima o poi, ad un serio conflitto con il capitalismo>.

Rimango sempre a disposizione del signor conduttoree dei suoi ospiti per ogni ulteriore chiarimento.

E’ uscito il nuovo libro di Lodovico Galli, libero (nel vero senso della parola) ricercatore bresciano, che da decenni studia il periodo della R.S.I. di quella importante provincia, che fu sede, tra l’altro, del quel Governo.

Trattasi di un libro di 192 pagine, edito in proprio, senza contributi di istituzioni o fondi pubblici, tanto generosi nel finanziare una certa pubblicistica di parte, quanto sordi a sostenere gli studiosi indipendenti.

L’autore, in questo interessante studio, come è nel suo stile di concepire la storia della guerra civile, privilegia sempre il documento, a scapito della retorica antifascista e anti-italiana che ha inventato fatti e misfatti per chiari intenti politici. Infatti, anche in questo nuovo libro, Galli pubblica una serie di documenti d’epoca inediti, recuperati in vari archivi, i cosiddetti “mattinali” firmati da Manlio Candrilli, Questore che fu fucilato a guerra finita (1° Settembre 1945), salvo essere poi riabilitato dalla Cassazione nel 1959, quando però era già in Paradiso.

Pochi sanno che, durante il processo a Ferruccio Sorlini, già Commissario federale dei Fasci Repubblicani di Combattimento di Brescia, un Carabiniere Reale, tale Giuseppe Barattieri, scaricò il proprio mitra nella gabbia dove era rinchiuso il fascista, freddandolo. Così si eliminava nel Luglio 1945 un testimone scomodo dei “compromessi” che la locale Resistenza aveva intessuto con i fascisti… e la giustizia faceva il suo corso!

Altri fatti e misfatti inediti – come l’uccisione dei due Agenti di Polizia da parte del partigiano comunista Giuseppe Verginella – si possono apprendere leggendo queste pagine di storia vera, che sono costate all’autore chissà quanto lavoro di scavo nei più variegati archivi. Quegli archivi che la vulgata antifascista e anti-italiana vorrebbe tenere ben chiusi, ma che Galli ha “scardinato” con rara perseveranza e professionalità.

In occasione della locale festa preconciliare in omaggio a San Giovanni Battista, il Reparto A.N.A.I. “Pierino Maruffa” di Nettunia ha reso gli onori militari alla Medaglia d’Oro della Prima Guerra Mondiale Costantino Palmieri, sepolto nel piccolo cimitero frazionale di Sala di Leonessa (Rieti).

Il Sergente Palmieri, nato il 18 Marzo 1894 a Leonessa, fu un eroico combattente italiano del 143° Reggimento Fanteria della Brigata “Taranto”, già decorato di Medaglia d’Argento al V.M. per precedenti azioni di guerra. Cadde il 1° Novembre 1916, durante un assalto sul Colle S. Marco di Gorizia (Quota 171), nella visione mistica della città irredenta rivendicata dalla Madre Patria. Alla sua memoria è dedicato uno slargo a Leonessa, una piccola piazza nella frazione di Vindoli e, soprattutto, un rifugio sul Monte Tolentino (m. 1572), costruito durante il Regime fascista per onorare l’eroe di guerra.

La meritoria iniziativa ha assunto un valore simbolico molto importante in vista delle celebrazioni del 100° anniversario dell’entrata in guerra del Regno d’Italia. Il Primo conflitto mondiale, infatti, oltre ad assicurare la libertà e l’indipendenza della nostra Patria col raggiungimento delle sue frontiere naturali (Brennero e Montenevoso), rappresentò – soprattutto – l’atto di nascita della nostra Nazione come Stato cosciente di una propria missione e di un primato da esercitare nel mondo.

Un’iniziativa che serve soprattutto per combattere il pacifismo da parrocchia che sta asfissiando le cerimonie per il 100° anniversario della Grande Guerra, umiliando il sacrificio degli Italiani e gli stessi eroi delle nostre Forze Armate, oggi ridotte a una sorta di incrocio tra protezione civile missionaria e Croce Rossa in gonnella.

L’A.N.A.I., invece, con le sue manifestazioni intende ricordare insieme alle tradizioni guerriere del popolo italiano, l’epopea dei Reparti d’Assalto come simbolo e modello di ogni vero Esercito. In particolare, l’Associazione Nazionale Arditi d’Italia, superando le stantie e opportuniste posizioni filo-governative delle associazioni d’Arma e combattentistiche, indica il Serg. Costantino Palmieri come un esempio da seguire per le giovani generazioni di Italiani che dopo aver perso l’onore e l’orgoglio di servire la Patria in armi, rischiano anche di perdere la propria identità nazionale e culturale a causa di una scellerata politica di sovvertimento dei valori nazionali e di una falsa solidarietà agli immigrati. La motivazione della Medaglia d’Oro ricevuta dovrebbe essere scritta sui muri delle scuole di Leonessa e posta alla venerazione di tutti i giovani italiani: “Sempre primo dove più ferveva la mischia, fulgido esempio di eroismo, dopo conquistata una trincea nemica e fattone prigionieri i difensori, si spingeva ancora avanti col suo plotone per occupare un’altra posizione potentemente difesa. Contrattaccato e circondato da forze superiori con i pochi uomini superstiti del suo reparto, in piedi tenne lontani gli assalitori col lancio di bombe a mano. Gravemente ferito, rimaneva sul posto incitando i suoi al grido di: «Viva l’Italia! Viva il Re!». Esausto di forze ed invitato ad allontanarsi, si rifiutava nobilmente e rimaneva sul posto, finchè con l’arrivo dei rinforzi veniva consolidata la posizione. Morente, prima di esalare l’ultimo respiro rivolgeva ai suoi uomini le parole: «Giovanotti, muoio contento di avere compiuto il mio dovere»”. Questi sono uomini, questi sono i veri Italiani di cui noi siamo gli unici legittimi eredi, di spirito e di sangue!

Al termine degli onori militari, una delegazione dell’A.N.A.I., guidata dal Comandante del Reparto di Perugia Claudio Pitti, si è recata nella frazione di Vallunga dove ha portato un omaggio floreale sulla tomba di Assunta Vannozzi, giovane mamma innocente assassinata dai partigiani nel Marzo 1944, di cui, a più riprese, si è chiesta alla locale Amministrazione la riabilitazione pubblica.

Hanno partecipato alle manifestazioni patriottiche anche i camerati dell’Altopiano leonessano recentemente insigniti delle onorificenze dell’Ordine dell’Aquila Romana per il loro fattivo supporto al Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti.

 

Primo Arcovazzi

Articolo che fa seguito alle infinite (perdonatemi l’espressione) stronzate del dottor (bah!) Pasquariello

di Filippo Giannini

Alcuni lettori ricorderanno la mia risposta ad un malato di antifascismo pubblicata in uno dei numeri precedenti de Il Popolo d’Italia, nella quale avevo preannunciato un elenco parzialissimo del male che fece Benito Mussolini al popolo italiano.

Ripeto ancora una volta che di economia ne capisco poco, ma quel poco mi induce a ritenere che la soluzione dei mali che attualmente ci rendono la vita impossibile, ebbene – e lo ripeto – la soluzione, o almeno una soluzione parziale si trova nel periodo del male assoluto (che sempre sia benedetto). Nonché un’altra soluzione, anch’essa almeno parziale, della disoccupazione si trova anch’essa sempre nel mai sufficientemente deprecato Ventennio (che sempre e ancora sia benedetto), con l’anarchia, cioè bastare a se stessi, promuovendo, esaltando e incoraggiando il lavoro italiano.

   Sia chiaro un principio: quel che faccio e quel che scrivo sull’ argomento non è per nostalgia (pur avendo vissuto “uno spicchio” di un periodo esaltante e irripetibile), ma per contribuire alla giusta rivalutazione di un grande uomo quale fu Benito Mussolini.

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Simbolica iniziativa degli Arditi d’Italia
di Primo Arcovazzi

RESTAURATO IL MONUMENTO AI CADUTI DI VINDOLIIn occasione delle Ferie di Augusto e delle tradizionali manifestazioni preconciliari per l’Assunzione della Santa Vergine Maria al Cielo, il Reparto A.N.A.I. “Pierino Maruffa” di Nettunia, con il contributo della locale Pro Loco, ha provveduto al consueto restauro conservativo del Monumento ai Caduti di Vindoli di Leonessa (Rieti).
Il manufatto riporta i nomi di sei vindolesi caduti per la grandezza d’Italia nella Prima Guerra Mondiale e il nome di un disperso della Seconda, Paolo Teodoli, sacrificatosi nella Crociata contro il bolscevismo in terra di Russia.
La meritoria iniziativa ha assunto un valore simbolico molto importante in vista delle celebrazioni del 100° anniversario dell’entrata in guerra del Regno d’Italia. Il Primo conflitto mondiale, infatti, oltre ad assicurare la libertà e l’indipendenza della nostra Patria col raggiungimento delle sue frontiere naturali (Brennero e Montenevoso), rappresentò – soprattutto – l’atto di nascita della nostra Nazione come Stato cosciente di una propria missione e di un primato da esercitare nel mondo.
Un’iniziativa che serve soprattutto per combattere il pacifismo da parrocchia che sta asfissiando le cerimonie per il 100° anniversario della Grande Guerra, umiliando il sacrificio degli Italiani e gli stessi eroi delle nostre Forze Armate, oggi ridotte a una sorta di incrocio tra protezione civile missionaria e Croce Rossa in gonnella.
L’A.N.A.I., invece, con le sue manifestazioni intende ricordare insieme alle tradizioni guerriere del popolo italiano, l’epopea dei Reparti d’Assalto come simbolo e modello di ogni vero Esercito.
Al termine della manifestazione, sono state distribuite le onorificenze dell’Ordine dell’Aquila Romana ai camerati dell’Altopiano leonessano che si sono distinti con il loro fattivo supporto al Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti.
Primo Arcovazzi

Ferdinando Gandini di Anzio, su di lui anche un libro di successo
di Primo Arcovazzi

Soldiers-of-the-SS-Leibstandarte-Adolf-Hitler-Division-resting-in-a-ditch-alongside-a-road-on-the-way-to-Pabianice-during-the-invasion-of-Poland-in-1939_
Se ne è andato così come aveva vissuto, in silenzio. Una vita particolare quella di Ferdinando Gandini, residente da anni ad Anzio (Roma). A guardarlo somigliava a un nonno come tanti, ma la sua vita custodiva un’esperienza straordinaria. Come tutti i nostri nonni aveva combattuto per la grandezza dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, ma la sua storia aveva qualcosa di diverso da raccontare. Gandini la storia, quella con la “s” maiuscola, l’aveva cominciata a scrivere quando era riuscito ad arruolarsi volontario, a soli sedici anni, nei Battaglioni M della Milizia fascista, i più valorosi reparti delle Regie Forze Armate impegnati nel Secondo conflitto mondiale. Con loro aveva combattuto una guerra senza tregua in Albania, rimanendo anche ferito in combattimento, fino al dramma dell’8 Settembre, il vergognoso tradimento monarchico, la firma della resa senza condizioni e il conseguente passaggio al nemico. Per un ragazzo come Gandini, educato ai valori del Risorgimento e all’amor di Patria, la scelta era già scritta. Mentre tutti i soldati italiani scappavano, scelse di continuare a combattere e si aggregò al primo reparto tedesco di passaggio. La sorte volle che si trattasse della Divisione SS Leibstandarte “Adolf Hitler”. Inquadrato in questo reparto d’èlite, tra i migliori dell’Esercito germanico, combatté per la libertà d’Europa contro gli invasori angloamericani in Normandia e, successivamente, contro la barbarie sovietica che si apprestava ad inghiottire nel terrore e nella misera la radiosa Ungheria. Sopravvissuto all’immane conflitto, non rinnegò mai i suoi ideali e, cittadino esemplare, si dedicò alla famiglia e al lavoro. Il 21 di Agosto si è spento serenamente, circondato dall’affetto dei suoi cari e dei suoi camerati. Sulla sua avventurosa vita di combattente europeo Francesco Paolo D’Aura ha anche scritto un libro di successo, Einer von Millionen, edito dalla Mursia. Un libro che ha fatto conoscere alle giovani generazioni il valore del combattente italiano, spronandole ad amare la Patria seguendo l’esempio del volontarismo di guerra espresso in tutti i secoli dagli Italiani. Messaggi di cordoglio sono giunti dall’Associazione Nazionale Arditi d’Italia e dall’Ordine dell’Aquila Romana che presenzieranno con delegazioni ufficiali alle esequie, tributando al combattente Ferdinando Gandini i solenni onori militari.

Primo Arcovazzi
Archivio: http://www.archiviostorico.info/libri-e-riviste/5273-einer-von-millionen

bombacci libroLe costituzioni della Repubblica Sociale Italiana

 

Analisi e commento delle varie proposte di costituzione della R.S.I. confrontate con la proposta di costituzione europea del partigiano Duccio Galimberti.

 

 

Premessa

 

Il regime fascista non fu un regime liberale. Non ci fu libertà di stampa, non ci fu libertà di associazione, non ci furono libere elezioni.

 

Eppure nessun governo dalla nascita dello stato italiano ad oggi ha mai goduto di un consenso così vasto come quello goduto dal governo Mussolini. Forse per la prima volta nella storia il popolo si sentiva partecipe della vita e del destino della Patria.

 

Poteva questo esser merito esclusivamente, come qualcuno ha tentato di affermare, del potente apparato propagandistico del regime o, addirittura, dal magnetismo che emanava dalla figura del Duce ? E’ difficile crederlo.

 

O era, più probabilmente, la percezione che le successive realizzazioni del regime in campo previdenziale e a tutela del lavoro, di organizzazione e assistenza dei giovani (dall’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, alle colonie marine e montane, alle organizzazioni giovanili, alle scuole), nel campo delle bonifiche, delle grandi opere pubbliche…..rientravano in un grande disegno, alimentato da una ideologia che tutti intravedevano e della quale tutti si sentivano partecipi ?

 

Eppure la storiografia antifascista ha tentato per anni di descrivere il Fascismo come un movimento privo di ideologia e basato unicamente sulla violenza e su un pragmatismo esasperato teso unicamente alla gestione del potere e alla sua conservazione.

 

E ciò malgrado che storici seri ed onesti abbiano nel tempo dato contributi inoppugnabili che mostravano la insostenibilità della tesi grossolana della vulgata antifascista.

 

Ultimo, importantissimo, contributo in questo senso è quello di cui da notizia Acta, pubblicazione della Fondazione Istituto Storico della R.S.I. nel n.3 , Anno XX del settembre-novembre 2006.

 

Si tratta dell’opera Mussolini’s intellectuals – Fascist social and political thought, del Prof. A. James Gregor, edito dalla Princeton University Press (Princeton, New Jersey, U.S.A.).

 

In essa, frutto di lunghi e approfonditi studi, col sostegno di una amplissima documentazione, si dimostra che il Fascismo, lungi dall’essere quel movimento privo di una vera ideologia preteso dall’antifascismo, “rappresentava la sintesi tra una visione organica del nazionalismo ed una revisione antimaterialistica del marxismo” . Il tutto sostenuto da una robusta ideologia che, malgrado i compromessi che il regime ha dovuto accettare nel corso del ventennio per conciliare, nell’interesse di tutti, tendenze e interessi diversi, ha continuato a svilupparsi coerentemente fino al Fascismo Repubblicano della R.S.I.

 

A conclusione della sua opera il Gregor “analizza quale sia stata nel dopoguerra e quale sia oggi l’incidenza della dottrina del Fascismo…..” Perché tale dottrina, anche se chiamata con altri nomi, non è scomparsa e, come affermato a commento del Progetto di Costituzione di Biggini sul sito internet da cui è stato scaricato il testo del Progetto (vedi Appendice 1), puo’ avere ancora qualcosa da dire agli uomini del nostro tempo.

 

Il presente lavoro, analizzando un documento rimasto ignorato per più di mezzo secolo, e che a nostro parere rappresenta il punto di arrivo di quella coerente ideologia fascista, avrebbe l’ambizione di contribuire a dimostrare non solo l’esistenza di tale ideologia, ma anche la coerenza del suo sviluppo fino alla sua compiuta formulazione.

 

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” Condivido il giudizio complessivo sulla Resistenza come fatto di pochi, non di popolo. Ma sull’ uccisione di Mussolini per me lo studioso sbaglia; Churchill non c’ entra. Finche’ non lo vedo, io rimango della mia opinione: il carteggio fra lo statista inglese e il Duce non esiste “

————————- PUBBLICATO —————————— CONTROCORRENTE Quello che non convince nel “Rosso e nero”, il libro intervista dello storico sull’ ultimo atto del fascismo TITOLO: Dove sono le prove? “Condivido il giudizio complessivo sulla Resistenza come fatto di pochi, non di popolo. Ma sull’ uccisione di Mussolini per me lo studioso sbaglia; Churchill non c’ entra. Finche’ non lo vedo, io rimango della mia opinione: il carteggio fra lo statista inglese e il Duce non esiste” – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – Non ho ancora letto il nuovo libro di De Felice, Rosso e nero, scritto a mo’ d’ intervista come capitolo di chiusura della sua sterminata saga sul fascismo, capitolo dedicato ovviamente al faccia a faccia di Resistenza e Repubblica Sociale. Ma ne ho letto alcuni anticipi che mi suggeriscono qualche osservazione: non come storico, qualifica che non mi viene riconosciuta dagli storici accademici, di cui lo stesso De Felice fa parte. Ma da testimone e partecipe, sia pure modesto, di quegli eventi. Primo. Ritengo esatto . a costo di mandare ancora una volta in bestia il mio amico Giorgio Bocca, con cui su tante cose mi trovo invece perfettamente d’ accordo . il giudizio complessivo che De Felice da’ della Resistenza come fatto non corale e “di popolo”, ma di una minoranza, quali sempre sono stati i fatti italiani dal Risorgimento in poi. Secondo De Felice non furono piu’ di quattro milioni gl’ italiani coinvolti, da una parte e dall’ altra, in quella lotta. La cifra, si capisce, e’ approssimativa, ma mi sembra abbastanza vicina alla realta’ . La grande maggioranza, anche se non aveva dubbi sull’ esito finale, si schiero’ dalla parte dei vincitori solo il 25 Aprile fasciandosi il collo con un fazzoletto rosso. A cinquant’ anni di distanza, mi pare che queste amare verita’ possiamo ormai dircele, e siamo grati a De Felice di averle avallate con tutta la sua autorita’ di fascisto’ logo (che naturalmente non vuole dire fascisto’ filo, quale dapprincipio alcuni suoi colleghi tentarono di farlo passare). Un po’ meno d’ accordo mi trova la sua ricostruzione dell’ atto conclusivo di quella tragedia: l’ uccisione di Mussolini. Io e Mario Cervi nella nostra Italia della guerra civile (scusate l’ immodesta citazione) questa ricostruzione abbiamo cercato di farla sui documenti e le testimonianze a disposizione in quel momento (1983). Ma una di queste testimonianze mi sembra assolutamente incontrovertibile, data la persona di cui reca la firma: Leo Valiani, tuttora vivo e di lucidissima memoria. Valiani era autorevolissimo membro del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale). Quando giunse la notizia che Mussolini era stato arrestato a Dongo dai partigiani, “noi quattro del Comitato ci consultammo, senza neppure riunirci, per telefono. Pertini, Sereni, Longo ed io prendemmo nella notte la decisione di fucilare Mussolini, data l’ urgenza. Gli americani infatti chiedevano per radio che Mussolini fosse consegnato a loro. Longo chiese a Cadorna (capo militare dei volontari della liberta’ , n.d.r.) di dare il lasciapassare a due suoi ufficiali, Lampredi e Audisio, per andare a prelevarlo. Cadorna racconta lealmente nelle sue memorie di aver subito capito che andavano per fucilarlo, ma di aver firmato ugualmente il foglio perche’ gli sembrava piu’ giusto che Mussolini morisse per mano degl’ italiani che per mano degli stranieri. Piu’ tardi arrivo’ da lui un ufficiale americano, Daddario, che chiese, ma invano, la consegna di Mussolini. Per scongiurare l’ intromissione, Cadorna detto’ questa risposta: “Spiacenti non potervi consegnare Mussolini che, processato da un tribunale popolare, e’ gia’ stato fucilato”. Era una bugia. L’ esecuzione non era ancora avvenuta, era stata soltanto autorizzata. Cosi’ ha raccontato Valiani, che in vita sua non ha mai mentito, nemmeno . credo . quando da ragazzo rubava la marmellata nella dispensa di famiglia. Che poi a sparare sia stato, come si e’ sempre detto, Audisio o qualche altro del suo seguito, mi sembra del tutto irrilevante. Ma De Felice preannuncia la pubblicazione di alcuni documenti da cui risulterebbe che a uccidere il prigioniero fu invece un agente inglese per strapparlo dalle mani non degl’ italiani, ma dagli americani e impadronirsi del carteggio Mussolini Churchill che avrebbe potuto compromettere irreparabilmente lo statista britannico. Sono proprio curioso di vedere questi documenti. Del carteggio Mussolini Churchill sento parlare da cinquant’ anni e, anche dopo la dichiarazione di De Felice, dubito molto della sua esistenza. Non perche’ Churchill stesso me l’ abbia sempre negata quando, ritirato ormai dal potere, faceva lunghi soggiorni nella villa di Lord Beaverbrook sulla Costa Azzurra, dove mi conduceva Grandi, amico di entrambi dai tempi della sua Ambasciata a Londra: come tutti i politici, Churchill non era allergico alle bugie. Egli non smentiva di aver nutrito, negli anni Trenta, delle simpatie per Mussolini. Ma nell’ Inghilterra di quel tempo, Churchill era un uomo politicamente finito. La sua carriera era stata spezzata durante la prima guerra mondiale quando, come Lord dell’ Ammiragliato, si era assunta la responsabilita’ della spedizione nei Dardanelli finita in un disastro che lo aveva travolto. Alla Camera dei Comuni si divertivano alle sue taglienti battute, ma lo consideravano un personaggio inaffidabile anche per i cambi di bandiera che aveva fatto fra le due guerre dal partico conservatore a quello liberale e viceversa. Che cosa Mussolini poteva dire e farsi dire da un politico inglese che in Inghilterra non contava nulla? Puo’ darsi che una volta riportato al potere dagli Stukas tedeschi che distruggevano Londra Churchill abbia scritto a Mussolini per scongiurarlo di non entrare in guerra. Ma se lo avesse fatto (e Grandi lo escludeva), non vedo che interesse avrebbe avuto a tenerlo nascosto. Che il capo del governo di un Paese allo stremo cercasse di dissuadere l’ Italia dall’ unire le sue forze (che a quel tempo passavano per efficientissime: il bluff era pienamente riuscito) a quelle del nemico che stava per sopraffarlo, mi pare del tutto logico e quasi doveroso. Nemmeno se l’ esortazione fosse stata accompagnata dalla promessa di qualche compenso mi pare che ci sarebbe da scandalizzarsene. A Franco, nel momento cruciale, dei compensi alla sua dissociazione dall’ Asse furono garantiti, e poi mantenuti. E con cio’ ? De Felice non e’ storico da inventarsi dei documenti, o da prendere per tali delle patacche. Qualcosa in mano l’ avra’ di certo. Ma finche’ non la vedo, rimango della mia opinione: che il famoso carteggio o non esiste, o si riduce a ben poca e povera cosa, del tutto immeritevole di un blitz da film poliziesco per impadronirsene e tappare la bocca a Mussolini prima che gli americani gliela facessero aprire in una Norimberga italiana. Terza chiosa alle anticipazioni di De Felice. Pur senza riabilitare Salo’ , egli dice che accanto a dei fanatici come Pavolini e a dei delinquenti come Koch ci furono anche dei galantuomini come Biggini, Pisenti, Parini che si misero al servizio della Repubblica Sociale per salvare il salvabile e che forse il primo di questi italiani di buona volonta’ fu lo stesso Mussolini. Sebbene non abbia nessun motivo di gratitudine verso costoro, concordo in pieno con questa tesi. Questi buoni italiani, fra i quali c’ era anche Nicola Bombacci, finito appeso per i piedi accanto a Mussolini (di quali tragici scherzi e’ capace il Destino) in quel macabro e vergognoso spettacolo di bassa macelleria che fu piazzale Loreto, poterono fare poco. Ma il poco che potevano fare lo fecero, anche a rischio della propria pelle. Ultima chiosa: l’ uccisione di Giovanni Gentile. De Felice avanza l’ ipotesi che gli elementi estremisti della Resistenza ne vollero la morte perche’ vedevano in lui l’ incarnazione di un moderatismo che poteva impedire l’ esasperazione di quella guerra civile in cui essi riponevano le speranza di catarsi comunista. Non lo credo. Sono anzi convinto che i moventi di quell’ assassinio (perche’ di questo si tratto’ ) siano stati piu’ semplici e meschini: da far risalire alla voglia di protagonismo di alcuni baldi giovanotti che volevano, con un’ operazione quasi priva di rischi (la vittima, come presidente di un fantasma, qual era ormai l’ Accademia d’ Italia, non aveva guardie del corpo) volevano soltanto acquisire dei meriti su cui costruire . in un Paese in cui l’ industria piu’ redditizia e’ sempre stata, dal Risorgimento in poi, il reducismo . una carriera politica. E infatti ricevette subito il plauso di quello che veniva considerato la piu’ alta espressione e autorita’ della intellighenzia di sinistra, il cattedratico Concetto Marchesi, illustre per i suoi studi su Tacito e su Seneca, in compagnia dei quali avrebbe fatto meglio a restare (anche se i saggi ch’ egli ha dedicato a queste due star del mondo classico mi sembra che non apportino granche’ di nuovo e che soprattutto siano scritti come quasi sempre scrivono gli Accademici italiani: coi piedi). Naturalmente a queste chiose De Felice non rispondera’ . Gli storici italiani non rispondono mai, nella loro spocchia, a chi non possiede il tesserino della categoria, specie se e’ un giornalista. Pazienza. Non per questo noi smetteremo di essere grati a De Felice per aver dedicato la vita allo studio del fascismo, che tanti faziosi imbecilli volevano semplicemente cancellare, e avercene fornito non la piu’ esauriente ricostruzione, ma tutti gli elementi che ne permetteranno la ricostruzione. Perche’ , per scrivere di Storia, bisogna conoscerla bene, e nessuno conosce quella del fascismo piu’ e meglio di De Felice. Ma poi bisogna anche saperla raccontare.

 

Montanelli Indro

Pagina 23
(6 settembre 1995) – Corriere della Sera

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