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“In ogni guerra, la questione di fondo non è tanto di vincere o di perdere, di vivere o di morire; ma di come si vince, di come si perde, di come si vive, di come si muore.
Una guerra si può perdere, ma con dignità e lealtà.
La resa ed il tradimento bollano per secoli un popolo davanti al mondo”.

Comandante Junio Valerio Borghese

Senato delle Competenze
Si è aperto il dibattito sulla riforma del Senato per renderlo rispondente alle necessità della moderna società ed evitare di essere, come nell’attuale sistema italiano, un doppione macchinoso rispetto alla Camera dei Deputati. Il dibattito è all’inizio e le idee di molti interventi, pur illustri, sono ancora acerbe. Si tratta però di un sintomo positivo che risponde alla sempre più diffusa esigenza volta al totale rifacimento della Carta Costituzionale. Quindi passare ad ulteriori approfondimenti è essenziale preparare una Assemblea Costituente del tutto sganciata dai condizionamenti della attuale classe dirigente.
Il CESI sull’argomento si è espresso da tempo in due Convegni nazionali e nell’Appello- Manifesto per la Rifondazione dello Stato: da queste iniziative sono derivati tre volumi contenenti i testi dei dibattiti avvenuti e delle proposte avanzate con un vasto apparato di note esplicative.
Il trinomio del titolo del Convegno Nazionale CESI tenuto, nel dicembre del 2011, parlava chiaramente circa i contenuti di una essenziale riforma costituzionale: Per una Repubblica presidenziale della partecipazione e delle competenze.
Partecipazione dei cittadini secondo le proprie competenze ed istituti di partecipazione composti da una classe dirigente competente; questi i concetti base inscindibili per realizzare il moderno funzionamento di uno Stato veramente democratico.
Pubblichiamo in questo numero brani, da noi commentati, relativi ad alcuni scritti significativi apparsi in queste settimane: del filosofo ed epistemologo Armando Massarenti, del politologo Stefano Folli, dello storico ed ex diplomatico Sergio Romano, del sociologo Giuseppe De Rita, nonché di altre personalità.
Il CESI auspica che una più ampia gamma di scrittori, giornalisti e uomini politici affrontino questa problematica partendo proprio dalla riforma dell’attuale Senato per giungere poi al più ampio rifacimento della Costituzione.
Se di questo argomento progettuale non si impadroniranno, con autentica consapevolezza, le forze nazionali e sociali che ora, dopo lo sbandamento passato, stanno tentando di ritrovare unità ed identità, ben difficilmente potrà aver luogo quell’alternativa di sistema che ormai la storia pone come ineliminabile (g.r.).

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO

- Proposte interessanti, ma insufficienti, di modifica costituzionale.
Il dibattito sulla differenziazione del Senato rispetto alla Camera dei Deputati.

- Giuseppe De Rita indica la necessità di una Camera delle Categorie.
Energica presa di posizione per riformare la rappresentanza legislativa.

- Un passo avanti verso la focalizzazione del problema.
Massarenti: Il Senato delle Competenze.

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Inaugurazione della Quadriennale d’arte – 20/051943

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Il dott. Riccardo Korherr era un bavarese, nato nel 1903 a Regensburg. Dopo aver frequentato l’università nella facoltà di legge e sociologia, scrisse: Dominazione delle nascite: morte dei popoli. Di Korherr si è detto: <Più libero nella lotta che intende condurre in difesa della civiltà occidentale, minacciata da un complesso di idee mendaci che vanno dalla fratellanza universale, alla felicità dei più, dall’edonismo pacifondaio, al controllo delle nascite>.

E’ ovvio e accettato che il regresso delle nascite attenta, in un primo tempo le capacità di sviluppo dei popoli e in seguito li conduce all’estinzione e alla morte. Vale la pena riportare uno stralcio dello studio di Riccardo Korherr, dal suo volume, dove l’autore esamina la situazione demografica italiana dell’epoca: <Il massimo coefficiente di natalità si ebbe nel quadriennio 1881-’85, con trentotto nati per ogni mille abitanti. Poi cominciò la discesa lenta, ma continua (…). Nel 1915 il quoziente di natalità è già al 30,5 per mille. Nel 1920 si spinge a 31,8 per mille (…). Ma dopo questa punta comincia il movimento regressivo, che giunge al quoziente del 26,9 per mille nel 1927. Mentre per perdere otto punti ci sono voluti prima della guerra trent’anni, sono bastati sette del dopoguerra a farne perdere quattro>. 

Uno dei cavalli di battaglia di Benito Mussolini fu proprio il problema demografico in uno studio riguardante questo problema  nelle varie età, dalle antiche e, man mano sino a quella contemporanea. Ecco come il Duce, quasi ottant’anni fa intravide la sorte dell’Europa. (Da Il Popolo d’Italia del 5 maggio 1934 XXI): <La dimostrazione che il regresso delle nascite attenta in un primo tempo alla potenza dei popoli e in un successivo tempo li conduce alla morte, è inoppugnabile. Anche le varie fasi di questo processo di malattia e di morte sono esattamente prospettate ed hanno un nome che le riassume tutte: urbanesimo e metropolismo. A un dato momento la città cresce meravigliosamente, patologicamente non certo per virtù propria ma per un apporto altrui. Più la città aumenta e si gonfia la metropoli e più diventa infeconda. La progressiva sterilità dei cittadini è in relazione diretta con l’aumento rapidamente mostruoso della città. Berlino che in un secolo è passata da centomila a oltre quattro milioni di abitanti è oggi la città più sterile del mondo. Essa ha il primato del più basso quoziente di natalità non più compensato dalla diminuzioni delle morti.

   La metropoli cresce, attirando verso di essa la popolazione della campagna, la quale, però, appena inurbata, diventa, al pari della preesistente popolazione, infeconda. Si fa il deserto nei campi: ma quando il deserto estende le sue plaghe, abbandonate e bruciate, la metropoli è presa alla gola. Né il suo commercio, né le sue industrie, né il suo oceano di pietre e di cemento armato possono ristabilire l’equilibrio, ormai irreparabilmente spezzato; è la catastrofe.

   La città muore, la nazione senza più linfe vitali della giovinezza delle nuove generazioni non può più resistere – composta com’è ormai di gente vile ed invecchiata – al popolo più giovane che urla alle frontiere abbandonate. Ciò può ancora accadere e accadrà. E non soltanto fra città e nazioni, ma in un ordine di grandezza infinitamente maggiore. L’intera razza bianca, la razza dell’occidente può venire sommersa dalle altre razze di colore che si moltiplicano con un ritmo ignoto alla nostra.

   Negri e gialli sono dunque alle porte?>.

Questo fu scritto, ripeto, quasi ottanta anni fa. Quanto profetizzato è accaduto, sta accadendo, spinto da un demagogico principio di solidarietà sapientemente manovrato da speculatori, dal grande capitale che vede nelle braccia degli immigranti possibilità di speculazione sottopagando coloro che vengono sradicati dalle loro terre per essere immessi in un contesto a loro sconosciuto e, troppo spesso, ostile. Questi infami individui sono i novelli schiavisti.

Chi scrive queste note porta al polso un orologio pagato cinque o sei Euro. Lo stesso orologio se prodotto in Italia costerebbe almeno cinquanta Euro, perché su questa cifra gravano le spese dei versamenti contributivi a favore dei lavoratori che lo fabbricano. Il mio orologio made in China costa così poco perché i lavoratori asiatici, come ben sappiamo, non godono di alcun beneficio sociale, in altre parole, e lo ripeto, gli imprenditori asiatici considerano i loro  dipendenti come schiavi e lavorano, come ben dovrebbero ben sapere i buonisti, anche venti ore al giorno per una paga assolutamente irrisoria.

Propongo un nuovo esempio e mi è stato riferito da mia moglie: il suo parrucchiere le ha detto che al centro del paese dove vivo c’è un parrucchiere cinese che fa la messa in piega per un solo Euro. <Come faccio io a sopravvivere di fronte ad una simile concorrenza?> ha confidato il povero parrucchiere e ha concluso: <ho alle mie dipendenze anche una aiutante per la quale pago i contributi, mentre “loro” non pagano nulla!>.

Questa denuncia non vale solo per i parrucchieri, ma per ogni attività industriale e commerciale.

Signori miei, se non ci liberiamo IMMEDIATAMENTE da questa classe politica non avremo più scampo!

E tu, lavoratore europeo, non capisci che chi si accontenta di una paga più bassa della tua, ti toglierà il lavoro? Questo processo gia ampiamente radicato in Italia, è ancora più sentito in Germania, in Olanda ovunque in Europa. La Gran Bretagna, una volta la Perfida Albione, ad esempio mostra evidente questo fenomeno, forse più che altrove, data la bassissima natalità. Andate in giro per Londra: quel che una volta era la razza bionda oggi mostra una sfilata quasi senza fine, di abbronzati.

E questo, ripeto, è un danno anche per africani e gialli perché Iddio o la Natura ha imposto loro un assetto territoriale che l’uomo non dovrebbe alterare. Nel contempo però, la nostra civiltà cristiana, romana dovrebbe imporci di andare nelle zone sottosviluppate ed insegnare agli autoctoni il miglior modo di lavorare, impiantare, se il caso, nuove industrie per arricchire quei paesi, importare dove necessario, tutte le tecniche per alleviare i loro bisogni che sono tanti.

C’è una formula per fermare la corsa verso il baratro preannunciata da Mussolini. Forse non è ancora troppo tardi. Per salvare il salvabile, perché il danno è ormai palese, fermare gli speculatori, i falsi buonisti, tutti coloro che predicano i valori del multietnico.

E’ una impresa disperata e di difficile attuazione. Oppure rassegnamoci alla catastrofe preordinata con la sconfitta dell’Europa nel 1945. In questa data c’è la matrice di tutti i mali della civiltà europea.

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