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Giovedì 5 dicembre ho ricevuto dal quotidiano Brescia Oggi una mail contenente un allegato dal titolo: “I rischi della continua rincorsa al revisionismo&quot”. Sono d’accordo che il revisionismo possa essere un pericolo, si tratta di stabilire PER CHI!

L’allegato ricevuto contiene una serie di accuse nei confronti di Mussolini circa le Leggi Razziali del 1938. E allora, Signori del Brescia Oggi, contestate quanto Vi ho inviato e qui di seguito riportato.

In occasione della ricorrenza della “Giornata della Memoria”, leggo su “Il Messaggero”: “Nasce il museo della Shoah nel cuore di Villa Torlonia”. E’noto che Villa Torlonia fu, per un certo periodo, la residenza di Benito Mussolini. Con questa iniziativa si vuole rafforzare la tesi della responsabilità del Duce circa le malefatte – reali, supposte o false che siano – di Hitler.

Il 25 aprile 1945 Luigi Longo, uno dei massimi esponenti del Pci e quindi del CLNAI (Comitato Italiano Liberazione Alta Italia), nell’impartire disposizioni per l’esecuzione della condanna a morte del Duce, ordinò: <Lo si deve accoppare subito, in malo modo, senza processo, senza teatralità, senza frasi storiche>.

A distanza di oltre settanta anni ancora si parla di questo argomento. Perché?

Per avere una visione più chiara su quell’Uomo, è necessario partire dal “Trattato di Pace” del febbraio 1947. Indicare questo Trattato come iniquo è riduttivo. Ricordiamo quanto recita l’articolo 17 (Sezione I – Clausole Generali): <L’Italia, la quale, in conformità dell’art. 30 della Convenzione di Armistizio, ha preso misure per sciogliere le organizzazioni fasciste in Italia, non permetterà, in territorio italiano, la rinascita di simili organizzazioni>. E i politici italiani succeduti dal 1945 ad oggi, si sono piegati vergognosamente a questo diktat, inventando, manipolando e storpiando la storia, non curandosi minimamente, per giungere allo scopo prefisso, di infangare la memoria di un morto che operò in modo completamente difforme dalle accuse di cui è stato fatto carico.

Una qualsiasi persona di media intelligenza dovrebbe chiedersi “cosa può interessare ad una grande democrazia come quella americana, se ci sia o meno un movimento fascista in Italia?”. La risposta la dette proprio Mussolini in una delle sue ultime interviste: “Le nostre idee hanno spaventato il mondo”; per “il mondo” intendeva quello del grande capitale, la plutocrazia, l’imperialismo liberista. E allora, ecco la necessità delle grandi menzogne e delle mascalzonate.

“L’operazione demonizzazione del fascismo” è sviluppata con diversi tentacoli. Leggiamo, sempre su “Il Messaggero”: <A scuola. Lezioni, mostre e percorsi virtuali nei campi di sterminio>. In pratica  “il sistema” fa dei nostri ragazzi degli automi, il cui carburante è la menzogna.

Per costruire il mostro (e i mostri) si è montata un’accusa che riteniamo la più infamante e la più menzognera: l’essere stato Mussolini un vessatore e il responsabile della consegna degli ebrei ai tedeschi. I detrattori, per rendere l’accusa più plausibile hanno coniato il sostantivo “nazifascista”: termine dispregiativo tendente ad accomunare in un’unica responsabilità fascismo e nazismo per le atrocità commesse da quest’ultimo, sempre che queste non siano frutto di una enorme montatura, come molti studiosi sostengono.

Le diversità dottrinali fra fascismo e nazionalsocialismo sono trascurabili per i detrattori, ma sono evidenziate da diversi studiosi e, tra questi, citiamo Renzo De Felice (“Intervista sul Fascismo”, pag. 88): <Fra fascismo italiano e nazismo tedesco ci sono semmai più punti di divergenza che di convergenza, più differenze che somiglianze>.

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Pubblicato su “Il Popolo d’Italia”

Qualche settimana fa titolai un mio intervento: “Magistratura inetta? Magistratura politicizzata? Magistratura corrotta? Bah! Decidete voi. Terminai il mio lavoro con queste parole: “Per provare a capire se la Magistratura nata dopo la Resistenza sia realmente (come da titolo) inetta, politicizzata, corrotta, farò seguire una analisi documentata di come operava la Magistratura ai tempi del “Male Assoluto”.

Prima di immettermi in questo nuovo tema, vediamo come viene giudicata – solo con alcuni ulteriori esempi – la Magistratura oggi secondo il giudizio di valenti uomini di legge.

Il procuratore aggiunto alla Procura di Torino, Bruno Tinti, nel suo libro Le toghe rotte, dopo aver espresso alcune considerazioni, prosegue: <(…). Non ci posso credere, ma veramente la magistratura è ridotta così?>. Il capo della Procura di Napoli, Vincenzo Galgano, ha dichiarato al Corriere del Mezzogiorno del 19 ottobre 2009: <Nella nostra Procura ci sono alcuni pm faziosi e fanatici che danneggiano persone e collettività e provocano sofferenze (….)>. Antonio Ingroia (lo ricordate?), qund’era PM alla Procura di Palermo ha definito “politicizzata” la sentenza della Consulta, che ha dato ragione al Presidente Giorgio Napoletano nel conflitto con la Procura di Palermo sulle intercettazioni delle sue telefonate col senatore Nicola Mancino. A questo va aggiunto l’osservazione di Gustavo Zagrebelsky, ex Presidente della Corte Costituzionale, che, in pratica condivise il giudizio di Ingroia. Piero Ostellino, sul Corriere della Sera dell’11 maggio 2013, fra l’altro ha scritto: <A giudicare da come sono condotte certe inchieste, si perviene a sentenze poi smentite anni dopo, si tratta di gente che non sa semplicemente fare il proprio mestiere o lo fa con la (paranoia) presunzione di poter disporre della vita degli altri a proprio arbitrio. Il difetto sta, evidentemente, in un concorso inadeguato a individuare preparazione professionale e attitudini personali>.

Alcuni decenni fa, al tempo del Male assoluto, pur nelle strettoie di un regime autoritario, questo ha saputo dimostrare una notevole autonomia nell’esercizio delle funzioni giudiziarie. Infatti possiamo sostenere che Benito Mussolini, Capo del Governo Fascista, mostrò una indubbia sensibilità politica nei confronti della magistratura e, quindi, nei magistrati ai quali impose una assoluta indipendenza nei confronti della politica. Quando, su consiglio dei suoi ministri, ritenne opportuno di dover intervenire a difesa del Regime, Mussolini concepì, con la legge 25 novembre 1926 n. 2008, il Tribunale per la difesa dello Stato, escludendo dalla sua compilazioni magistrati ordinari. E ancora, ai magistrati era fatto divieto l’iscrizione al Partito Nazionale Fascista, questo fu certamente condiviso dal ministro della Giustizia Alfredo Rocco. Questo trova conferma con quanto ha scritto Francesco Andreussi su La voce di Mantova del 25 ottobre 1994: <Vi furono infatti eminenti figure di Magistrati che raggiunsero i più alti gradi senza appartenere al Partito. Solo nel 1940, la legge 28 ottobre n. 148, richiede l’appartenenza al Partito quale condizione per l’avanzamento in carriera del personale dello Stato>. Andreussi osserva: <Il giuramento che fin dal 1927, era stato imposto a tutti i funzionari viene considerato una dichiarazione di lealismo, non richiede l’iscrizione al Partito, ed è accettato dai magistrati anche dalla sua formulazione che dice: “Giuro di essere fedele al Re ai suoi reali successori, al regime fascista e di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato”>. In pratica è un giuramento alla persona del Re, il che è costituzionalmente ineccepibile. Tesi accettata dall’Osservatore Romano che nel numero del 4 novembre 1931 dichiara che il giuramento è legittimo e che il termine “Regime fascista” equivalealla dizione “governo dello Stato”. Fino al 1936 la Magistratura è esclusa da qualsiasi attività politica in seno al Partito, però da quella data i magistrati, se iscritti avevano l’obbligo di appartenere all’Associazione fascista del pubblico impiego, segno evidente che molti magistrati non erano iscritti. Nel 1940, allo scoppio della guerra, si verificò un accentuato intervento nelle file del Partito, tanto che si stabilì l’opportunità di stabilire il tirocinio degli uditori giudiziari. L’8 settembre 1943, a seguito della fuga (o come qualcuno vuole ancora indicarla trasferimento) del governo Badoglio e del Re, pose il Paese in grave crisi a seguito della rapida occupazione tedesca, con conseguente paralisi di tutte le organizzazioni dello Stato. Solo con il ritorno di Mussolini si cercò di ricostituire una normativa atta a far riprendere una vita amministrativa del Paese.

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Analogia impossibile. È solo un episodio della fase terminale
E’ opinione comune che spesso alcune fasi storiche si ripetano e, in relazione a ciò, taluni hanno tentato di paragonare il ventennio berlusconiano al ventennio mussoliniano facendo leva sulla stessa durata temporale e sulla preminenza di un protagonista caratterizzante il periodo. Crediamo che sia facile negare una qualsiasi validità a questa tesi. In verità è invece ben fondata un’altra teoria, ossia che una vicenda storica può talvolta ripetersi, ma che ciò sempre avviene la prima volta come un grande dramma che può terminare in una tragedia, mentre la seconda volta si svolge come una modesta commedia che termina con una recita a soggetto (nell’ambito di una “astutissima”ripartizione dei compiti?).
Non si può negare infatti che nella prima metà del secolo scorso quella vicenda abbia avuto le caratteristiche di un grande progetto collettivo sotto la guida di una forte tempra dominante , mentre quella che si è svolta negli ultimi vent’anni è consistita in una pubblicitaria mobilitazione di massa elettorale, prodotta da un abile propagandista di illusioni. In altre parole, ambedue le vicende possono anche essere caratterizzate dall’analogia per aver avuto circa la stessa durata, ma hanno avuto una ben diversa progettualità e una ben differente tipologia di protagonismo. D’altra parte va riconosciuto che nessuno di coloro che hanno costruito, dall’interno, il ventennio berlusconiano ha voluto mai sostenere la tesi dell’analogia, mentre invece qualcuno, proveniente dall’esterno, lo ha fatto per giustificare le proprie interessate, personali (ed equivoche) posizioni di inserimento.
A proposito della situazione che si è venuta a determinare, Marcello Veneziani ha scritto in questi giorni che «La storia oggi si posa sulle spalle d’Italia, ma il Paese … è distratto, e non felicemente distratto, ma angosciato da una brutta crisi senza sbocchi. Un Paese estenuato, stanco di questo interminabile teatro, una commedia che vira al noir e forse al dramma, dopo lunghi interminabili preliminari» e poi ha aggiunto «Qualunque sia il giudizio su Berlusconi – giudizio politico, storico e umano – un fatto è certo: lui … sarà pure l’unico a restare tra i presenti della storia» (Il Giornale, 27 novembre 2013). Ciò che dice Veneziani può essere vero, ma il protagonismo berlusconiano resterà nella memoria, non tanto per la grandezza del suo disegno politico, quanto per il grigiore dei suoi avversari. Ed infatti Veneziani scrive: «poco o nulla resterà di tutti gli altri, dal Capo dello Stato al Capo di Governo, ai capi dei partiti e ai magistrati … l’unico sopravvissuto di questa fase infelice della storia politica e civile italiana sarà proprio l’unico condannato ad uscirne, per decreto giudiziario».
Può darsi, pure, come dice Veneziani, che si tratti di un fatto storico, ma noi propendiamo piuttosto di definirlo solo un episodio nell’ambito della fase degenerativa finale di un sessantennio politico ed istituzionale che è destinato ad esaurirsi. Alla distanza, un giorno si potrà verificare che la fine del ventennio berlusconiano ha fatto parte dell’esaurimento di un sistema degradato nella sua stessa essenza costituzionale fin dalla nascita. Oggi comunque si va profilando una nuova fase storica che deve avere ben altro spessore etico e una ben diversa prospettiva di edificazione politica. La strada non è certamente priva di difficoltà: il terreno è impervio e le condizioni ambientali possono scoraggiare, ma tutti coloro che sono in grado di saper leggere ciò che di valido è stato scritto nel passato hanno il dovere morale e quindi il coraggio di trarne spunto unitario ed identitario per costruire il nuovo. (g.r.)

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO

- Antonio Polito sul Corsera: “Ognuno per sé senza vergogna” (15.11.13) e “La coda avvelenata”(28.11.13). Una analisi che può essere utile per interpretare il presente in vista del futuro di Gaetano Rasi

- Oltre lo sciopero dei tranvieri genovesi. C’è spazio per una proposta partecipativa di Mario Bozzi Sentieri

- Superficialità e incoscienza del c.d. federalismo. La Provincia: Cenerentola dello Stato e della Costituzione repubblicana di Vincenzo Pacifici

-La Gazzetta del Mezzogiorno (27.11.13): Rifondare Stato e Regioni di Nino Marmo

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Dicevamo: “Io incazzato?”. “No, Signori, sono superincazzato”.

Scrivo questo pezzo nel mezzo della tragedia che ha colpito la Sardegna: fino ad  ora 14 morti.

Ci informano che sono state aperte due o tre inchieste. Se la cosa non fosse tragica sarebbe comica: due o tre inchieste per stabilire i responsabili. Ma se sono decenni che i geologi avvertono che i tre-quarti del territorio nazionale è a rischio idro-geologico e non passa mese che non si verifichi uno smottamento, una alluvione un qualsiasi fenomeno con danni al patrimonio con morti e feriti. Cosa ci dicono lor signori? <la colpa è del clima che è cambiato>. A maggior ragione si doveva intervenire proprio in previsione del cambiamento del clima. A prescindere che il clima è cambiato a causa dell’egoismo e dell’arroganza delle grandi industrie che non hanno voluto intervenire con mezzi adatti perché “troppo dispendiosi” (“signori, la grana è grana”). Poi lorsignori ci dicono che non ci sono i soldi. Mascalzoni! Non ci sono i soldi perché i vermetti furbetti non vogliono perdere i loro dorati privilegi. Prendete carta e penna e scrivete quanto un profano in economia osserva: abolizioni delle così dette auto blu (ne possono rimanere al massimo 6 o 7 e tutte rigorosamente italiane); abolizione del finanziamento pubblico ai partiti; abolizione delle province; abolizione del Senato; riduzione di due terzi del numero dei parlamentari e drastica riduzione dei loro emolumenti; drastica riduzione del costo del Quirinale; riesame del cosiddetto debito pubblico, ritenendo che buona parte di esso è frutto della più pazzesca truffa; abolizione dei 500 enti inutili; riduzione del costo del parlamento (parrucchieri, dattilografe, uscieri ecc. tutti pagati con stipendi che superano 7/8 volte gli stipendi dei normali lavoratori che operano fuori del paradiso marcato Palazzo Chigi; ridimensionamento degli stipendi ai magistrati e ai componenti della Corte dei Conti; ritiro delle nostre truppe dalle zone di guerra (altro che missioni di pace); rinuncia dell’acquisto dei difettosissimi F/35 e, ricordiamolo, nel periodo fascista i nostri aerei erano i migliori del mondo; riesame di tutti gli accordi siglati dai nostri politici (sic!) a partire dal 1947. Rigoroso controllo di tutte le spese pubbliche, cioè di tutti i denari che provengono dal popolo affidandolo all’Arma dei Carabinieri; dei magistrati di oggi non mi fido, non intravedendo fra questi alcun Falcone o Borsellino. E così di seguito. Avete fatto il conto? Mi si dice che la spesa corrente è di più di ottocento miliardi di Euro, sarei fuori logica se sostenessi che se si attuasse quanto propongo si avrebbe un risparmio di 150/200 miliardi annui?

Non passa giorno che i mass-media non presentino un personaggio che lamenta che <ci sono famiglie che non arrivano a fine mese>. Come sono premurosi! Quasi in odore di santità!

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Zapatero rivela: il Cav obiettivo di un attacco dei leader europei
L’ex premier spagnolo svela i retroscena del G20 del 2011 e il pressing sull’Italia per accettare i diktat Fmi

Vorremmo dire «clamoroso», ma non è così perché sapevamo da tempo, e lo abbiamo più volte scritto, che non solo in Italia ma anche dall’estero arrivavano pesanti pressioni per far fuori Silvio Berlusconi. L’ultima prova, che conferma la volontà di rovesciare un governo democraticamente eletto, la rivela l’ex premier spagnolo Luis Zapatero, che nel libro El dilema (Il dilemma), presentato martedì a Madrid, porta alla luce inediti retroscena sulla crisi che minacciò di spaccare l’Eurozona.

Il 3 e 4 novembre 2011 sono i giorni ad altissima tensione del vertice del G-20 a Cannes, sulla Costa Azzurra. Tutti gli occhi sono puntati su Italia e Spagna che, dopo la Grecia, sono diventate l’anello debole per la tenuta dell’euro. Il presidente americano Barack Obama e la cancelliera tedesca Angela Merkel mettono alle corde Berlusconi e Zapatero, cercando di imporre all’Italia e alla Spagna gli aiuti del Fondo monetario internazionale. I due premier resistono, consapevoli che il salvataggio da parte del Fmi avrebbe significato accettare condizioni capestro e cedere di fatto la sovranità a Bruxelles, com’era già accaduto con Grecia, Portogallo e Cipro. Ma la Germania con gli altri Paesi nordici, impauriti dagli attacchi speculativi dei mercati, considerano il vertice di Cannes decisivo e vogliono risultati a qualsiasi costo. Le pressioni sono altissime.

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LXX ANNIVERSARIO DELLA PROCLAMAZIONE

DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA

La S.V. è invitata alla conferenza-dibattito

sulla storia della RSI

organizzata dal

Raggruppamento RSI Delegazione Lazio

che si terrà

Domenica 1° Dicembre 2013

in Via San Liberatore n. 107

a Rieti

alle ore 11:00

Introduce:

Lorenzo RUSSO – Raggruppamento RSI Delegazione Lazio

Intervengono:

Dante FIAMMERI – LXIII Battaglione M “Tagliamento”

Spartaco FERRONI – Decima MAS

Massimiliano BALDO – Raggruppamento RSI Delegazione Lazio

Pietro CAPPELLARI – Fondazione della RSI

Evento FB: https://www.facebook.com/events/409045849198120/

A causa di sopravvenute difficoltà organizzative e di indisponibilità non prevista da parte di alcuni relatori, il Convegno Nazionale CESI dal titolo “Un progetto politico per l’Assemblea Costituente”, previsto per il 3 dicembre p.v. presso il CNEL, viene rinviato all’anno prossimo, prevedibilmente tra fine gennaio ed i primi di febbraio, nella stessa sede. Se ne darà tempestiva comunicazione.

Insufficiente e pericolosa la riforma costituzionale proposta dagli esperti governativi. Necessario un rifacimento globale in sede costituente.
Il numero di questo bollettino è dedicato soprattutto alla sintesi dei contributi critici che saranno espressi dal Gruppo di Lavoro CESI nel corso del Seminario di lunedì 18 novembre 2013 a Roma. Tale Seminario, oltre che analizzare le proposte contenute nella Relazione Finale della Commissione per le Riforme Costituzionali varata dall’attuale Governo, ha voluto essere una introduzione al Convegno Nazionale CESI dal titolo: “Un progetto politico per l’Assemblea Costituente” che si terrà a Roma presso il CNEL, martedì 3 dicembre p.v..
L’elemento comune di tutti gli interventi dei relatori CESI nel corso del Seminario sta nel fatto che non si ritiene assolutamente sufficiente portare delle modifiche ad alcune parti della vigente Carta Costituzionale, varata nel 1948, ma che si giudica necessario il suo intero rifacimento ad opera di una Assemblea Costituente convocata al di fuori della legislatura in corso. L’esigenza che tale Assemblea operi, al di fuori del sistema politico attuale e a prescindere dalla sua classe dirigente, deriva dalla necessità che essa possa realizzare una democrazia veramente compiuta, ben diversa dall’attuale partitocrazia dominata da cooptati e non da parlamentari indicati dal popolo in tutte le sue espressioni di indirizzo politico e di competenze professionali e sociali.
Altro punto focale, a parere del Gruppo di Lavoro del CESI, sta nel rifiuto della tesi degli esperti governativi che una delle due Camere debba essere composta dai rappresentanti delle Regioni, il che porterebbe inevitabilmente a porre in pericolo l’unità del Paese e quindi il suo peso in Europa e nel mondo, compromettendo il proprio sviluppo futuro.
Nell’analisi del CESI viene pure indicato ciò che manca nel rapporto finale degli esperti governativi, ossia, l’introduzione di istituti di programmazione concertata e di partecipazione gestionale del lavoro nelle imprese al fine di realizzare una politica economica e sociale di autentico progresso nell’ambito della UE e della Eurozona.

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO

- Invito-Programma del Seminario CESI: “Proposte di Riforma Costituzionale. Analisi e confronti”

- Il sistema è al capolinea: deludente la Relazione della Commissione al Governo sulle Riforme Costituzionali (Franco Tamassia)

- Assente la riforma del Bilancio statale per risolvere la situazione italiana. La posizione dell’Italia nei confronti della UE e dell’Eurozona (Gaetano Rasi)

- Si propone il veleno di cui stiamo morendo: una Camera a rappresentanza delle Regioni e degli Enti Locali (Giancarlo Gabbianelli)

- La partecipazione è il problema, ma non l’hanno capito (Carlo Vivaldi Forti)

- Il lavoro: dalla precarietà subita alla partecipazione responsabile (Angelo Scognamiglio)

- Il sindacato ignorato dai riformatori (Ettore Rivabella)

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E’ uscito per i tipi della Herald Editore di Roma il nuovo studio del Dott. Pietro Cappellari: La Guardia della Rivoluzione. La Milizia fascista nel 1943: crisi militare – 25 Luglio – 8 Settembre – Repubblica Sociale.

A 70 anni dagli eventi, Cappellari, ricercatore della Fondazione della RSI,  ha illustrato come le Camicie Nere, in quel cruciale 1943, rappresentarono quanto di meglio le Forze Armate italiane seppero schierare sui campi di battaglia, fondendo in un unico organismo politico-militare le energie del volontarismo di guerra, l’orgoglio di un Corpo di aristocràti, le idealità di un romanticismo politico di stampo nazional-patriottico.

Lo studio rappresenta un primo volume di un’opera complessiva in tre tomi che ha l’ambizione di descrivere in maniera nuova ed esaustiva gli ultimi due anni di vita di quella che fu chiamata “la Guardia Armata della Rivoluzione”. Infatti, sugli ultimi due anni di vita della Milizia, ossia l’organizzazione militare creata originariamente per difendere la Rivoluzione fascista, non esistono studi esaurienti. Questo per una serie di fattori. Il 1943-1945, infatti, è un periodo straordinariamente, quanto drammaticamente, ricco di eventi: si pensi solo che nel primo anno di questo biennio si verificarono il 25 Luglio, ossia la caduta di Mussolini; l’8 Settembre, la resa incondizionata del Regno d’Italia agli Angloamericani; la nascita della Repubblica Sociale Italiana.

Con questo primo volume si è evidenziato il ruolo della MVSN nel drammatico 1943. Fu un anno cruciale per la storia d’Italia. Lo studio di come la Milizia abbia reagito davanti agli eventi che si succedettero con rapidità impressionante ha permesso di revisionare alcune pagine di storia. Non solo superando quelle incrostazioni sedimentate dalla vulgata antifascista e anti-italiana.

Con la caduta di Mussolini la Milizia ripiegò su se stessa, non reagendo al colpo di Stato. Che la MVSN “resse” al dramma del 25 Luglio lo dimostra il suo comportamento all’annuncio della resa incondizionata (e del conseguente passaggio al nemico). La sera dell’8 Settembre, mentre tutti i reparti del Regio Esercito si squagliavano come neve al sole, i Legionari della Milizia – indossati nuovamente camicia nera, fez e fascetti in precedenza epurati per ordine di Badoglio – si posero senza indugio al fianco dell’alleato germanico, garantendo ovunque l’ordine pubblico e “facendosi Stato”. Furono proprio le caserme della MVSN a rappresentare, in quei drammatici giorni, il simbolo che l’Italia come Stato non si era eclissata dalla storia, divenendo il punto di riferimento per tutti coloro che rifiutavano la resa incondizionata. Furono le Camicie Nere a riaprire le Federazioni del Partito Nazionale Fascista chiuse dopo il 25 Luglio e a riprendere l’attività politica su tutto il territorio nazionale non ancora occupato dal nemico angloamericano. Fu dalla reazione delle Camicie Nere che poté mantenersi in vita lo Stato italiano, quello Stato che prenderà, successivamente, il nome di Repubblica Sociale Italiana.

 

Primo Arcovazzi

Sabato 26 Ottobre 2013, nella prestigiosa sala conferenze dell’Hotel Giò di Perugia, sono stati presentati gli atti del Convegno di Studi Storici “Marciare su Roma” del 2012. Un selezionato e attento pubblico è accorso all’importante appuntamento culturale organizzato da Claudio Pitti e Andrea Lignani Marchesani.

I lavori sono stati introdotti dal Prof. Stelvio Dal Piaz della Fondazione della RSI – Istituto Storico di Terranuova Bracciolini (AR). Il Professore aretino ha intrattenuto i presenti con una profonda analisi del contesto politico-sociale nel quale nacque il fascismo sansepolcrista e si sviluppò lo squadrismo. Con richiami agli eventi che sconvolsero l’Italia in quel travagliato quanto drammatico periodo chiamato Biennio Rosso, Dal Piaz ha illustrato la reazione dei “reduci nazionali”, dei Volontari di Guerra, degli Ufficiali, dei ceti medi e delle giovani generazioni davanti alle violenze socialiste e al pericolo – millantato più che reale – dello scoppio della rivoluzione bolscevica in Italia.

Il Dott. Pietro Cappellari, ricercatore della Fondazione della RSI, nonché curatore dell’opera, ha spiegato la necessità storica del convegno di Perugia del 2012 e della pubblicazione degli atti che sconvolgono il “tranquillo assetto antifascista” che la vulgata ha imposto nelle scuole e nelle università, lobotomizzando intere generazioni di Italiani, educandole al “male assoluto” con intenti pedagogico-politici grossolani. Grazie alla pubblicazione del volume Marciare su Roma è oggi possibile avere un’altra “panoramica” sull’Italia del 1919-1922, più attinente alla realtà dei fatti e meno politicizzata. Lo studio ha, infatti, raccolto consensi in ambito studentesco, sia nelle università (dove “clandestinamente” gli studenti lo usano per preparasi all’esame di storia), sia nei licei (dove il volume è stato richiesto per la preparazione della tesina di maturità). «E’ questo il risultato che ci rende orgogliosi del nostro operato – ha dichiarato Cappellari –. Pensare che anche in ambito accademico, seppure silenziosamente, le nostre tesi sono penetrate e hanno sfondato il muro dell’omertà antifascista, ci ripaga degli sforzi compiuti per concludere questa importante opera culturale in difesa della storia della nostra Patria che non può essere può ostaggio di “professori salariati” al servizio di un’ideologia di odio. Abbiamo presentato la Marcia su Roma come una “lunga marcia” verso il potere di quei reduci della Prima Guerra Mondiale che credevano in un’Italia diversa. Una “lunga marcia” frustrata da un Governo liberal-democratico incapace di gestire i frutti della Vittoria e di confrontarsi con la realtà di uno Stato fattosi Nazione. Una Nazione minacciata dalla marea montante bolscevica e schiacciata dalle “grandi democrazie” (USA, Gran Bretagna, Francia) un tempo nostre alleate e, poi, prime nemiche delle legittime aspirazioni dell’Italia. Ecco, il fascismo nacque in questo humus, si sviluppò su questo humus ed ebbe nel consenso degli Italiani la sua forza principale. L’insurrezione dell’Ottobre 1922 fu solo l’ultimo atto di un processo iniziato diversi mesi prima, quando Mussolini – osservando la realtà del Paese – seppe trasformare il fascismo una forza popolare capace di rappresentare le reali aspirazioni del popolo italiano. Quella dell’Ottobre 1922 fu un’insurrezione chiaramente di sinistra che, però, non negava la Patria, ma – corridoniamente – la conquistava».

 

Lemmonio Boreo

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