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Il superamento del liberalismo e del socialismo ha radici profonde in un secolo di dottrina e di esperienze istituzionali.

Purtroppo molti storici ed intellettuali di varie tendenze trascurano, o spesso negano, quanto costituisce i precedenti di un progetto politico e sociale di grande attualità valido per le soluzione delle problematiche incombenti.

Va pertanto segnalato quanto è apparso venerdì 4 gennaio 2013 sul Corriere della Sera nella Rubrica tenuta da Sergio Romano, che tutti conosciamo come noto diplomatico, storico di forte impegno ed intelligente commentatore degli avvenimenti contemporanei.

Pubblichiamo qui di seguito il testo di una lettera di Stefano Massimo Pontiggia e la risposta dello scrittore, pubblicata sotto il titolo: Fiume e la Carta del Carnaro un testo sociale e libertario.

Scarica la lettera e la risposta di Sergio Romano

Inaugurazione della mostra del pittore Ferruccio Ferrazzi – 17/03/1943

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Autore: Pietro Cappellari

 

Editore: Herald Editore (Roma 2011)

 

Formato: 17×24 (429 pagine)

 

Prezzo: 30 Euro

 

Info: cappellaripietro@gmail.com

 

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Nettunia venne ufficialmente “fondata” il 24 gennaio 1940-XVIII E.F. con l’organica fusione dei due preesistenti Comuni di Anzio e Nettuno. Questa cittadina è degna di essere annoverata tra le “città fantasma”, tra quegli antichi agglomerati urbani che la storia ha sepolto e delle quali si è persa memoria storica.

Nettunia fu un “progetto” del Regime fascista e per questo fu condannata a una damnatio memoriae che permane tutt’oggi. Anche tra i residenti di Anzio e Nettuno pochi sanno cosa fu Nettunia e questi pochi, molto spesso, hanno delle informazioni – o dei ricordi – del tutto deformati da pregiudizi consolidati, dalle ideologie politiche, dalla televisione e dalla stampa.

La storia di Nettunia è intimamente legata alla Seconda Guerra Mondiale. Non solo per il particolare periodo storico che la vide nascere, ma anche per il rapporto che s’instaurò con i numerosi militari che si avvicendarono sul suo territorio, sede di importanti installazioni delle Regie Forze Armate.

Nettunia, fu devastata dalla guerra, quella guerra che iniziò con i bombardamenti angloamericani ed ebbe il suo apice nello sbarco alleato del 22 gennaio 1944 e nelle successive battaglie che sconvolsero tutto il territorio della testa di ponte.

Tra questi eventi si colloca l’8 settembre 1943: la resa incondizionata dell’Italia, l’occupazione germanica, lo squagliamento dei reparti del Regio Esercito. Anche in questo caso, Nettunia ha una storia da raccontare. Una storia straordinaria e sconosciuta.

Una cattiva “coscienza” elaborò, nel dopoguerra, il mito delle “tre giornate di Nettuno”. Un mito che affermava che, dopo l’8 settembre, il “popolo di Nettuno” era insorto contro i “nazi-fascisti”.

Si trattò semplicemente di una grossolana operazione di manipolazione della storia. I documenti da noi ritrovati hanno, per la prima volta, potuto far luce su cosa avvenne realmente nella cittadina in quei caotici giorni, smantellando la vulgata resistenziale.

Parte non secondaria di questo studio riguarda l’esame delle violenze che gli Alleati commisero contro la popolazione dopo l’operazione di sbarco. Crimini di ogni tipo, oggi dimenticati o addirittura giustificati. Furti, rapine, omicidi, stupri, perdita della dignità nazionale, furono il triste tributo da pagare a coloro che vennero chiamati “liberatori”.

Con questo lavoro, per la prima volta, viene presentata al pubblico la storia di Nettunia, un progetto straordinario nato dalla tenace volontà di riscattare nel Lavoro le Tradizioni millenarie di un Popolo.

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Autore: Pietro Cappellari

 

Editore: Herald Editore, Roma 2010 (seconda edizione riveduta e aggiornata)

 

Formato: 17×24; 250 pagine

 

Euro 20

 

Info: cappellaripietro@gmail.com

 

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Nel corso della prima metà del Novecento, sia ad Anzio che a Nettuno, esistevano i “Legionari”: la Prima Guerra Mondiale, la “pacificazione” della Libia, la conquista dell’Etiopia, la Cruzada spagnola e, naturalmente, la Seconda Guerra Mondiale, avevano visto la massiccia partecipazione di Nettunesi ed Anziati che, con il loro sangue, avevano scritto le pagine più belle della storia d’Italia.

Con l’8 settembre 1943, con la firma della resa incondizionata, sembrò spezzarsi questo “continuum” e quel popolo che aveva dato alla storia “Santi, Eroi, Navigatori”, sembrò scomparire nell’anonimato più completo.

Invece no. Troppo superficiale e troppo comodo sarebbe sostenere questa tesi. Perché, mentre tutto un mondo crollava, mentre l’Italia cadeva nella più dolorosa e vergognosa resa che la storia ricordi, vi fu chi, pur sapendo di andare di fronte ad una sconfitta certa, prese le armi “per l’onore d’Italia” e dimostrò che quel tipo umano, capace di miracoli ed eroismi, non era scomparso dalla nostra penisola.

I ragazzi della RSI dimostrarono che l’Italia poteva ancora vantare i suoi… Legionari.

Questo studio intende ricordare coloro che per una scelta d’onore sacrificarono quello che di più caro un uomo può avere: gli affetti e la vita.

Si trattò della scelta più difficile, ma a questi uomini poco interessava la “convenienza”, poco interessava il “calcolo”. Furono coscienti artefici del loro destino e furono coscienti che quella scelta, quel loro volontarismo, avrebbe costituito un “punto di non ritorno” che li avrebbe condotti anche al sacrificio supremo.

Di fronte ad una massa “grigia” e rassegnata, che passiva attendeva lo scorrere degli eventi, il loro esempio rifulge come un faro di luce nelle tenebre della notte.

Per sessant’anni il loro sacrificio venne dimenticato perché un’apposita censura politica non ha mai permesso che si parlasse di loro. Questo lavoro vuole scardinare il processo mentale di censura della memoria collettiva e ricordare chi – con delle scelte ben precise – fu artefice e protagonista della storia.

Particolarmente interessante la ricostruzione delle storie dimenticate di tutti quei Nettuniani che, arruolatisi nelle Forze Armate Repubblicane, non fecero più ritorno alle loro case.

Questo è stato l’aspetto più difficile della ricerca. Neanche i famigliari, infatti, hanno mai saputo nulla della loro storia.

Si è trattato di andare a ricostruire, tassello dopo tassello, dei mosaici di cui nessuno aveva mai visto l’aspetto. Fatti avvenuti in diverse località dell’Italia settentrionale, dimenticati anche dalla stessa memoria collettiva locale, su cui mancava un qualsiasi studio o testimonianza.

È stato così possibile ricostruire il disarmo del Presidio di Trino (Vercelli) della Brigata Nera “Ponzecchi”; lo scontro di Monforte d’Alba sostenuto dalla GNR di Imperia; il rastrellamento del Monte Genevris della GNR di Brescia; il rastrellamento di Pareto della Divisione “San Marco”; gli ultimi combattimenti in difesa della Valle Padana della Divisione GNR “Etna”; le stragi partigiane del dopoguerra a Milano; ecc.

Tutti episodi dimenticati che vengono ora presentati per la prima volta al pubblico, attraverso una rigorosa ricostruzione storica dei fatti.

Dopo più di 60 anni, tornano ad Anzio e Nettuno le storie dei loro figli caduti “per l’onore d’Italia”.

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Libro CappellariAutore: Pietro Cappellari

Editore: Herald Editore, Roma 2010

Formato 17X24; 569 pagine

Euro 30

info: cappellaripietro@gmail.com

Tempo di Storia, con la “S” maiuscola. Tempo di immancabile e doverosa rimessa in discussione degli innumerevoli miti e delle vanagloriose leggende di guerra dei soliti “liberatori”. Tempo, in fine, di una oggettiva e salutare rivalutazione di tutti quegli Italiani che, per libera scelta e piena determinazione, rifiutando l’armistizio e il tradimento regio dell’8 settembre 1943, ebbero il coraggio di lanciare intrepidamente il loro cuore oltre l’ostacolo, e di contrastare valorosamente metro per metro, con il loro volontario ed esemplare sacrificio, il rullo compressore dell’incontenibile invasione militare angloamericana, fino dentro le mura di Roma.
In una frase: tempo di ritorno alla realtà dei fatti.
In particolare, in questo suo ultimo (last but not least…) lavoro, Cappellari ci permette di penetrare negli anfratti nascosti e fino ad ora proibiti della genuina ricerca storica e di scoprire, meravigliati e sorpresi, una serie di fatti e di situazioni che smentiscono, in larga misura, la vulgata a proposito del celebre sbarco angloamericano di Nettunia.
Scopriamo, al momento dello sbarco alleato sulle spiagge di Nettunia, l’eroismo dei soldati germanici, dei Paracadutisti del “Folgore”, dei Marò del “Barbarigo”, degli uomini delle SS italiane, degli equipaggi dei barchini esplosivi della X MAS, nel tentativo di contrastare e respingere le forze di invasione angloamericane. L’abnegazione e il coraggio di 40 studenti italiani dei Gruppi Universitari Fascisti, volontari nella Luftwaffe, che furono in grado, nella zona di Cisterna, di ostacolare i reiterati assalti dei Paracadutisti statunitensi. L’eroica morte di Carlo Faggioni dei reparti Aerosiluranti italiani. L’epopea dei cecchini fascisti di Roma che, per ben tre giorni, combatterono contro gli Statunitensi una guerra dimenticata da tutti.
Scopriamo parimenti la fandonia di “Angelita di Anzio” (Angelita non è mai esistita!) e la Resistenza immaginaria… sui Colli Albani e i Monti Lepini (salvo casi di violenza personale ad Ariccia e a Palestrina…).
Pietro Cappellari, in questa sua istruttiva ed accattivante opera, ci parla di moltissimi altri episodi che, fino ad oggi, sono stati volutamente celati e colpevolmente “coperti”, agli ignari cittadini, dall’antifascismo italiano del secondo dopoguerra.
Ci parla, in particolare, dei territori laziali “liberati”; del mercato nero organizzato dai soldati USA con la collaborazione di delinquenti comuni e di incalliti imbroglioni italiani. Ci racconta di Am-Lire e di prostituzione (le famose “signorine”… così care ai GI’s statunitensi).
Insomma – il va sans dire… – è un libro assolutamente da leggere e da fare leggere, da meditare e da fare meditare.

Alberto B. Mariantoni

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Guido MussoliniL’Istituto Biggini si stringe attorno ai familiari di Guido Mussolini, scomparso ieri all’età di 75 anni

dal sito del CESI

La degenerazione del sistema politico italiano è ormai arrivata al punto di non ritorno. Questa è la convinzione generale del Paese, che – nelle prossime elezioni – si esprimerà, da un lato, attraverso le illusioni degli elettori PD che sono attratti dalla socialdemocrazia di Bersani oppure dalla liberaldemocrazia di Renzi e, dall’altro, dalla astensione della maggioranza degli elettori ex PdL, dopo aver constatato il suo dissolvimento. Il quadro negativo sarà completato da un certo successo della disperata improvvisazione di coloro che si rivolgeranno all’ex comico Grillo e al suo Movimento cinque stelle.

Pertanto ben poche speranze di radicale e meditato miglioramento, sia istituzionale che della classe dirigente, si possono riporre nella legislatura che si aprirà dopo le elezioni dell’aprile 2013. Infatti il vero problema da risolvere ormai è quello di predisporre una fase costituente rivolta alla rifondazione dello Stato attraverso una nuova Costituzione.

Il CESI pertanto invita tutti gli uomini di buona volontà a coraggiose iniziative, a ritornare protagonisti e traenti di un movimento radicalmente riformatore a riprendere la propria genuina identità ed una adeguata autonomia operativa.

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IlvaLa drammatica  eventualità della chiusura dell’acciaieria di Taranto, l’ILVA,  é paradigmatica dell’allucinante mancanza in Italia –  non solo da ora ! – di una politica economica, in particolare della politica industriale.

La patetica solitaria presenza ieri, in aula alla Camera, dai banchi vuoti del Governo del (ripeto) solo ministro dell’Ambiente, Clini, ad illustrare la vicenda, quando invece avrebbe dovuto esserci  – e spiegare fatti, decisioni, prospettive e programmi – il ministro dello Sviluppo (?) Economico, Passera, ha sottolineato uno dei più bassi gradini della mancanza di una politica economica.

Va ricordato a questo riguardo che la nuova intitolazione del Ministero diretto dall’ineffabile Corrado Passera, si riferisce a quello che è tuttora il contenuto (e prima ne era anche il titolo esplicito) di Ministero dell’Industria, del Commercio, dell’Artigianato e del Turismo, insomma delle attività direttamente produttive dell’intero sistema economico nazionale. Ma di ciò non si tiene affatto conto.

Insomma non può non essere rilevato il vergognoso disimpegno, oltre che del Governo in carica (che pretende di giustificare la propria esistenza in base alle esibite competenze tecniche ed economiche), di un’intera classe politica nei confronti dell’immediato futuro dell’Italia, confermando, inoltre, l’irresponsabile ignoranza dei più elementari principi di come va governata una moderna economia industriale obbligata al quotidiano confronto con le economie europee e con il resto del mondo.

Tuttavia non vi è soltanto questo aspetto che va rilevato. Vi è pure, e in misura clamorosa, il fatto che tutta la questione viene dibattuta con estrema superficialità  esasperando, uno o tutti insieme, i tre elementi conflittuali che la caratterizzano e che sono soltanto l’esito e non la causa del problema.

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Alle 20,30 del 19 Novembre 1945 presso la clinica San Camillo di Milano si spegneva a soli 43 anni il Prof. Carlo Alberto Biggini.

Ne ricordiamo oggi l’anniversario della scomparsa, ma in tutti gli altri giorni ne ricordiamo le idee, gli atti, le proposte politiche e le sue visioni del futuro, quanto mai attuali, attraverso i suoi scritti e le opere che in qualche misura lo riguardano.

Biggini

Un pensiero su Carlo Alberto Biggini di Vanni Teodorani, dal suo diario 1945/46

….Circolano incerte notizie sulla morte di Biggini. Pare che sia difficile stabilire la verità giacchè il povero Carlo Alberto, ultimo ministro dell’Educazione Nazionale della Repubblica, è stato costretto a morire in strettissimo incognito per evitare di essere sottoposto ad angherie magari durante l’agonia.
Nessuno può essere incolpato di faziosità parlandone bene, anche come uomo di carattere, dopo l’8 settembre, pur dicendosi più che mai affezionato a Mussolini, non si trattenne da esporre esplicite riserve di sapore monarchico e non le ritirò altro che dopo un lungo e per lui esauriente colloquio con il Duce. Nei momenti più torbidi permaneva in lui un idealismo così alto, raro in un uomo politico. Una volta portò al
Duce l’ultima lettera di un giovane di Torino in perfetta buona fede che era stato fucilato dai tedeschi e leggendola gli venivano le lacrime agli occhi e ripeteva “Questi sentimenti, queste cose, glieli abbiamo insegnati noi, questa gente non si deve perdere: sono come noi: Se se ne andassero tutti ci capiremmo subito”. Forse aveva ragione e forse era già troppo tardi.
Un’altra volta eravamo nello studio di Gatti allora segretario particolare del Duce, e tutti e tre parlavamo delle solite storie quando Biggini si accorse che sul muro dietro la scrivania dell’ottimo Gatti v’erano della fotografie dell’incontro di Feltre. A quell’epoca Gatti era federale di Treviso, come tale fungeva da anfitrione. In una soprattutto la furia di Hitler era chiarissima.
Biggini, che era una delle tre o quattro persone al corrente di cosa veramente sarebbe dovuto succedere a Feltre se i tedeschi non si fossero incaponiti a voler perdere la guerra a tutti i costi, senti rinfocolarsi l’antico rimpianto e stendendo il pugno contro la faccia del Fuhrer cominciò sia pur cameratescamente a gratificarlo dei peggiori insulti dicendogli fra l’altro: ” maledetto testone, se davi retta a Mussolini tutto erasistemato, non c’era né 25 luglio, né niente e non ci riducevi così” e avanti di questo passo riducendo sempre più i ragionamenti e moltiplicando gli insulti. Senza volgarità né mancanza di riguardo, ma piuttosto con lo stesso criterio con cui certi feticisti mettono in castigo i loro idoli quando non rigano diritti a far grazie. Noialtri in principio ridevamo poi ci accorgemmo che la cosa era quanto mai seria e mentre Biggini continuava le sue contumelie, il nostro silenzio divenne a poco a poco saturo di consenso. Ma anche questa volta era troppo tardi.
Una sera incontrai Biggini in un albergo di Milano. Ci univa una sincera amicizia frutto probabile di molte comuni vedute. Era tutto sollevato perché approfittando di un anticipato arrivo era stato a veder “La vedova allegra” e le antiche melodie viennesi lo avevano riportato in un mondo migliore cui ogni tanto era riposante tornare, anche se le revolverate di Sarajevo hanno per sempre interrotto lo spensierato valzer.Sembra che sia morto di cancro. Così anche lui che la violenza aveva risparmiato oggi raggiunto il suo Capo che l’aveva particolarmente caro e che si intratteneva lungamente con lui di tutto e su tutto per lunghe ore come un  preferito discepolo.
Forse il Mussolini degli ultimi tempi si fidava e confidava con lui come con nessun altro. Avranno ripreso nelle sterminate praterie la conversazione troncata…..[segue]

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