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23 Agosto 1943

Per i liberali le riforme sono scopo a se stesse, punto d’arrivo, ciò che significa conservazione modificata del presente; per i fascisti esse sono semplici strumenti di una rivoluzione progressivamente attenuatasi. Per questa posizione il liberalismo e la democrazia cercano di rinascere nel momento più tragico della nazione e saranno travolti dai partiti di estrema sinistra o da un rinnovato Fascismo.

Il liberalismo e la democrazia rinascono morti nello spirito e nella prassi di governo.

Il Fascismo prima di essere  un movimento politico è un movimento ideologico e come tale ispirò di sé tutte le riforme, anche quelle che sono avvenute entro il quadro degli organi esistenti, i quali furono imbevuti di tutto un nuovo spirito, ma soprattutto si pose faccia a faccia degli istituti e delle credenze tradizionali, svuotandole, rinnovandole o rinnegandole.

Politica, pensiero e fede costituiscono il vero fondamento del Fascismo il quale tornerà a risvegliare, ad eccitare, a mobilitare tutte le forze nazionali.

Se è vero che la parte politica attiva tocca sempre alle minoranze, tanto il fascismo quanto il Risorgimento furono opera di una minoranza: ma nel Fascismo la maggioranza partecipò intimamente o aderì passivamente, ammesso che un rapporto debba pur esistere tra la minoranza che dirige e la maggioranza che segue? Solo la partecipazione intima permette le costruzioni durature ed il Fascismo di domani dovrà riuscire a dare il suo movimento politico una base ideale così salda e profonda, dovrà penetrare così a fondo nelle coscienze, da costituire l’anima stessa della nazione.

 

24 Agosto 1943

Modellate il popolo come volete, la piazza sarà sempre piazza, ossia in sé non sarà mai buona né cattiva.

Superfluo quindi criticare ora, come si legge ogni giorno sui giornali, le parate su comando o gli illusionismi plebiscitari: sarebbe come criticare le rivolte o i tumulti occasionali, incomposti, effimeri. Avvengono e sono anch’essi fatti della storia.

Ad ogni modo le parate fasciste non furono soltanto parate illusionistiche: c’era dentro qualcosa di sano, erano pur sempre un movimento reale di spiriti e di volontà, e in un vasto movimento popolare, come quello fascista, manifestazioni fisiologiche di un organismo rinnovantesi e che voleva affacciarsi a vita nuova.

Si dice che tra i partiti antifascisti ci sia pure una nuova democrazia, quella cristiana: ho l’impressione che debba essere, mutati i tempi, una specie di quel liberalismo cattolico sorto in Francia nel 1840 dopo la condanna da parte della Chiesa del Lamennais e molto simile a quel nostro cattolicesimo liberale che fu il neo-guelfismo. Allora, come oggi, incerto nel pensiero e oscillante tra l’opportunismo e l’affermazione di principio: certamente allora, come oggi, sospettato nella sua ortodossia dottrinale.

In Gran Consiglio, specialmente da parte di Grandi e di Federzoni, ci si è voluti appellare alla Carta Statutaria, si è parlato di un ritorno allo Statuto, dopo che il Fascismo aveva aperto la strada alle nuove concezioni  dello stato e del diritto, che aveva dato vita a una nuova forma di Stato!

Volersi aggrappare ora allo Statuto è semplicemente anacronistico. Ricordiamoci che Carlo Alberto, mentre il Papa e il Gran Duca avevano già ceduto alla costituzione, si mantenne ancora tenacemente aggrappato a Solaro della Margherita e negò le riforme, finché, travolto, le concesse nell’ottobre 1847.

Vittorio Emanuele III che non difese lo Statuto nel  1922 vuol ritornare, può ritornare, dopo vent’anni di costituzione fascista, a Carlo Alberto? Sarebbe come se Carlo Alberto avesse voluto ritornare re assoluto dopo aver concesso la costituzione ed essere diventato re costituzionale.

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Ezio Maria Gray

Ezio Maria Gray

Mai come negli ultimi tempi, la classe politica italiana è sotto assedio. Quasi quotidianamente vengono a galla scandali che coinvolgono amministratori della cosa pubblica di qualunque livello e colore politico, dagli assessori collusi con la ‘ndrangheta, ai capigruppo dediti allo sperpero di denaro pubblico, solo per soddisfare i propri bisogni personali. Ricoprire una qualunque carica politica, non è più un mezzo per mettere al servizio della comunità le proprie competenze, ma serve solo a garantirsi un posto al sole, per raggiungere una riserva di denaro dalla quale attingere a piene mani, non solo grazie a stipendi assolutamente eccessivi ed ingiustificati, ma anche grazie ad un sistema che consente di disporre a piacimento di ingenti somme di denaro pubblico, sotto forma di contributi per l’attività politica o di rimborsi per fantomatiche spese.

Certamente il livello morale della classe politica non è sempre stato questo, ci sono state persone che in passato hanno avuto una condotta virtuosa ed irreprensibile, ed in tal proposito intendiamo proporre un documento che lo testimonia in modo limpido. Si tratta di una comunicazione che Ezio Maria Gray, già Vice Presidente della Camera, inviò al Prof. Carlo Alberto Biggini il 12 Febbraio 1937:

“Caro Biggini. Ho trovato qui la tua lettera. Sono molto lieto che la mia chiacchierata o conversazione è piaciuta non solo al pubblico folto ma a te che ne rappresenti la aristrocazia intellettuale e morale. Come dissi a Tuo Padre tu sei alla Camera uno dei giovani (dico “giovani” in ogni senso) più rispettati ed amati (diciamo ben voluti perché all’amore in quell’ambiente credo poco…) e la tua amicizia perciò mi è veramente cara. Grazie ancora della buona compagnia che mi hai fatta; ricordami al pur tanto caro Bibolini. Bada che per un attacco o ritorno di influenza (e anche perché tre notti di treno senza sosta mi pesavano) ho disdetto il mio impegno a Parma per domani sera; conferma, ti prego, che ero ammalato…. Ed ora alle minime; ho avuto il tuo assegno di lire cinquecento ma siccome avete voluto addossarvi anche le spese di albergo e varie, così consentimi che io ti restituisca lire cento qui accluse (scusa la confidenza del biglietto di banca ma perderei tempo a fare l’assegno); so bene che cento lire non arricchiscono né impoveriscono le vostre casse dell’Ist. Cultura ma mentre trovo e sostengo giusto che un rimborso spese sia dato a chi vien di fuori, trovo anche giusto che ciò avvenga in misura equa e non più in là. Se poi non trovi facile aggiustare la cosa contabilmente permettimi che a mezzo tuo io dia le cento lire all’Ente Opere Assistenziali locale. Saluti a Biaggini e a Bertagna, tuo affmo Ezio M. Gray” Tratto dal libro “Mussolini e il Professore” di Luciano Garibaldi

Da sottolineare infine che la comunicazione di Gray è strettamente confidenziale, quindi fatta senza perseguire alcun intento di compiacere, o di attirarsi le simpatie delle masse, ma solamente per senso di responsabilità ed onestà

Luigi Calabresi

Luigi Calabresi

Alcuni di essi (mai individuati nominalmente) hanno in pugno la cultura, la comunicazione e la propaganda del cosiddetto Centro-Destra. Ecco perché, per il presente e per il futuro della Destra, in Italia, non c’è speranza.

Il 17 maggio 2002, in occasione del trentennale della morte di Luigi Calabresi, nel corso della commemorazione celebrata nel salone d’onore di Palazzo Barberini, monsignor Francesco Salerno, segretario del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, diede lettura di un messaggio fattogli pervenire dal Santo Padre Giovanni Paolo II. Nel messaggio Papa Wojtyla definiva Calabresi “generoso servitore dello Stato e fedele testimone del Vangelo”, e, ricordandone “la costante dedizione al proprio dovere pur fra gravi difficoltà e incomprensioni”, auspicava che il suo esempio potesse diventare “uno stimolo per tutti ad anteporre sempre all’interesse privato la causa del bene comune”. Concludeva “assicurando per lui particolari preghiere e invocando da Dio Padre misericordioso sostegno per la sua famiglia”.

Due anni dopo, il 17 maggio 2004, il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, concedeva alla sua memoria la medaglia d’oro al valor civile. La Chiesa e l’Italia incominciavano finalmente a valutare nella corretta dimensione il sacrificio di quel Giusto. Erano passati più di trent’anni dal suo assassinio.

Luigi Calabresi ha rappresentato, nella mia vita di cronista e di testimone del tempo, un punto di riferimento essenziale. Nel ’72, quando fu assassinato, non esitai a denunciare, in una serie di articoli pubblicati su vari giornali, i miei colleghi giornalisti complici morali del delitto. Nel 1980 fui il primo giornalista a convincere la vedova di Calabresi ad uscire dalla cortina di silenzio che si era imposta da sempre, realizzando con lei la sua prima, dettagliata, approfondita intervista: l’intervista che pubblicai sul settimanale “Gente” diretto da Antonio Terzi, di cui ero il redattore capo.

Enzo Tortora, mio amico dai tempi del mio esordio nel giornalismo a Genova, aveva difeso Calabresi senza riserve, si era scagliato contro i suoi detrattori e i suoi assassini morali e pensava sempre di scrivere un libro sulla tragedia che aveva coinvolto il commissario. Non fece in tempo, perché a sua volta fu vittima di una crudele persecuzione giornalistica e giudiziaria, vera origine del tumore che lo portò a prematura morte. Mi passò il testimone: i fascicoli legali contenenti tutti i particolari del calvario subìto da Luigi Calabresi, che l’avvocato Michele Lener aveva promesso a Tortora, toccarono a me. Quella imponente documentazione contribuì non poco alla realizzazione, nel 1990, del libro di memorie di Gemma Capra «Mio marito il commissario Calabresi», da me curato, e costituisce la base del mio nuovo libro «Calvario», che narra una delle più tragiche storie della cosiddetta «Prima Repubblica».

Tra i miei ricordi affiorano le parole pronunciate, all’indomani del suo martirio, dal suo padre spirituale don Ennio Innocenti: «Approfondì la sua cultura religiosa e partecipò fervidamente a gruppi di giovani e di adulti che si riunivano, con periodica puntualità, a meditare la Sacra Scrittura. La sua frequenza ai Sacramenti diventò quella ideale e la sua vocazione al matrimonio fu perfettamente orientata. Fu seriamente preoccupato per la scelta della professione e fui proprio io a incoraggiarlo per la carriera in polizia, essendo anche questa una importante struttura dove i cristiani devono agire con buon fermento».

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……………Se non ci fosse il sentimento della Patria che sovrasta ogni altro pensiero e interesse, ci sarebbe da dubitare fortemente delle sorti del popolo italiano. Quanta tristezza è in me che ho tanta fede e che sopra ogni altra cosa Amo l’Italia ed il suo popolo, nel vedere che si vuol dimenticare tutta la grandezza di questi ultimi vent’anni. Quanto dolore! Si, sono pallido di dolore. Posso piangere, poiché il mio pianto non è debolezza, posso tremare, poiché il mio tremito non è sgomento per la mia persona. Piango sulle sciagure della Patria, tremo di fronte all’avvenire del mio paese, del mio popolo. Piango e tremo poiché scorgo chiaramente come bene vidi durante la seduta del Gran Consiglio, quali conseguenze fatali avrà il 25 Luglio nella nostra storia. Il dolore. Dolore che non ha bisogno di obbligata maschera di virilità e di impassibilità per apparire sincero e profondo. Perché l’uomo forte dovrebbe sempre mostrarsi superiore al proprio dolore? V’è maggior forza, v’è maggior virilità a non nascondere le lacrime e a non sottrarre alla vista il pallore del volto. Siamo uomini, fatti di carne e di anima, non uomini di pietra o di bronzo.

Dio perdoni agli uomini che non sanno tutto il danno che fanno alla loro Patria…………..

In questi giorni si sta compiendo la parabola di una formazione artificiale così come era stata prevista dal CESI fin dal suo inizio. Pubblichiamo in testa alla presente nota i titoli apparsi il 4 e il 5 ottobre  su Il Giornale, l’organo ufficiale del PdL, che sintetizzano oltre il fatto anche la nemesi.

Le analisi effettuate dal nostro Centro di Studi Politici, subito dopo la nascita del PdL con la (con)fusione di AN con FI (27-29.3.2009), furono lucidissime e prefigurarono fin d’allora un epilogo di inevitabile dissoluzione. Tutto ciò a causa della divergente natura delle forze che si univano, della precarietà degli obiettivi di governo indicati e soprattutto della eterogeneità delle ideologie che vi avrebbero dovuto convivere.

Pubblichiamo integralmente i Documenti di Analisi n°2 e n°3 pubblicati dal CESI il 2 e il 4 aprile 2009. Il primo dal titolo “Natura e prospettive del nuovo partito Popolo della Libertà; il secondo dal titolo “Debolezze strutturali del PdL”.

Per chi volesse ulteriormente documentarsi, può fare ulteriore riferimento al volume del Presidente del CESI, Gaetano Rasi, dal titolo “Verso la Terza Repubblica. Diario delle riflessioni impolitiche”, edizioni Pagine, Roma 2010, cap.I, pagg. 15-23. Tale capitolo riporta quanto tempestivamente pubblicato sulla rivista Il Borghese, n°5 maggio 2009, pagg. 8-10, sotto il titolo “Una morte preannunciata”.

Sta a coloro che hanno a cuore le prospettive del nostro Paese e del popolo che vi abita – il quale vuol esplicare integralmente le proprie capacità e potenzialità come protagonista paritario e solidale nell’Unione Europea – adoperarsi per una corale opera di mobilitazione rivolta ad una adeguata e veloce presa di coscienza. Solo da essa sarà possibile una mobilitazione rivolta a realizzare una fase costituente che modifichi, con metodo democratico, gli attuali superati istituti rappresentativi, e selezioni una più responsabile e competente classe dirigente.

Il CESI, dopo aver espresso altre analisi oltre quelle riportate nei documenti sopra citati e, ripetiamo, qui sotto integralmente riportati,  ha elaborato soprattutto ulteriori prospettive, in due grandi Convegni Nazionali, per un futuro che vada oltre le infelici iniziative politiche dell’ultimo triennio.

Attualmente è in elaborazione da parte degli studiosi del CESI un MANIFESTO AGLI ITALIANI  per creare una rete tra le varie iniziative che sono in corso e realizzare una nuova prospettiva identitaria ed autonoma. Vi è tutto un mondo ideale ed umano che possiede idee e programmi in grado di riportare l’Italia a riprendere il ruolo che la Storia gli ha assegnato.

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Marcello Veneziani

Marcello Veneziani

La sinistra discute del niente, la destra pensa a salvarsi: è il momento giusto per affermare un “pensiero divergente”. Coraggioso, libero e folle

Bisanzio è assedita e la sinistra discute del sesso degli angeli, che nella società senza cielo sono i gay. Bisanzio brucia e la destra pensa asalvarsi il sedere e dove esso si posa, ovvero i seggi per la modesta classe dirigente. L’Italia affonda e nessuno rappresenta il suo corpo ferito e la sua anima umiliata. Cosa può fare la cultura per il suo Paese? Poco, molto poco. Ma deve farlo, quando il suo Paese rischia di morire. Cosa può fare la cultura? Scrivere, testimoniare, rivolgere appelli, gridare nel deserto, difendere la lingua, l’arte la civiltà….

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Sergio Marchionne, AD di Fiat

Tratto da “La Fiamma” di Alessandro Mezzano

Se in Italia ci fosse ancora la Socializzazione delle aziende, il caso FIAT, nelle forme drammatiche in cui oggi minaccia centinaia di miglia di posti di lavoro, non esiterebbe.
Con i dipendenti azionisti al 30% e presenti, con diritto di voto, nel consiglio di amministrazione, l’ipotesi di delocalizzare le fabbriche e di chiudere quelle italiane non avrebbe nessuna possibilità di realizzazione. E’ la solita questione del conflitto tra liberalismo e socialità che permette a Marchionne ed alla proprietà di porre allo Stato, alternativamente, il ricatto sui posti di lavoro o la decisione di chiudere nonostante, tra l’altro, tutti gli aiuti ricevuti nel corso degli anni che è stato calcolato che costituirebbero più del 50% del valore azionario odierno dell’azienda.
Insomma, se gli aiuti fossero stati un prestito anziché un regalo, lo Stato italiano sarebbe oggi l’azionista di maggioranza della FIAT ..!
Quello che il Fascismo aveva stabilito con la Socializzazione è che il lavoro non può essere un mero rapporto di prestazione d’opera remunerata, me è espressione di un rapporto sociale ed umano che trascende il puro aspetto economico e che, intervenendo sulla dignità delle persone e sul loro ruolo nella comunità, coinvolge l’essenza dei rapporti sociali e come tale rientra nelle competenze dello Stato che lo salvaguarda e lo controlla.
Con la socializzazione, il lavoratore cessa di essere oggetto del rapporto e ne diventa uno dei soggetti rivoluzionandone la natura ed il significato etico e sociale.
Facendo dell’azienda una cosa anche sua, il suo apporto diventa più collaborativo, più cosciente, più partecipativo.
Allo stato attuale, in questa pseudo democrazia che altro non è che una oligarchia di gruppi di interesse, in nome di una libertà che all’atto pratico impegna solo una delle parti, il capitale può agire su basi puramente impostate sul massimo profitto senza tenere in alcun conto né i risvolti sociali, né l’impatto che le sue azioni possono avere sull’intera comunità nazionale!
Come abbiamo detto più volte, ma è opportuno ripetere, questo il frutto avvelenato della vittoria che l’oro ha avuto sul sangue nell’ultimo conflitto mondiale perché è in seguito a quella vittoria che l’economia ha prevalso sulla socialità, e l’Uomo è entrato al servizio del denaro anziché essere il denaro al servizio dell’Uomo!
E’ del tutto inutile dibattersi con discussioni e proposte sulla contingenza del problema Fiat perché il progetto di Marchionne e della proprietà non sono altro che la logica conseguenza di una stato d’essere della società e fino a quando non si riuscirà a ribaltare la scala assurda e disumana dei valori e delle priorità che essa adotta, il problema si ripresenterà ogni volta che l’inseguimento del massimo profitto lo richieda! Non servono riforme.
Serve una rivoluzione che cambi la società ed i rapporti tra capitale e lavoro rendendoli più umani e meno finanziari.
Serve più umanesimo e meno ragioneria, più solidarietà e meno egoismo, più intelligenza aperta e meno pensiero gretto! Sarà capace questa società di evolversi in quella direzione?
Purtroppo l’esperienza ci rende pessimisti ..!!
Alessandro Mezzano

Logo FiatDi Gaetano Rasi

L’incontro di sabato 22 settembre tra la Fiat e il Governo ha sottolineato in modo stridente due fatti assolutamente negativi: Primo che il Governo manca di politica economica ed in questo caso di politica industriale per cui l’obiettivo della ripresa per superare la crisi in realtà non è nelle capacità e nemmeno nelle intenzioni vere del Governo stesso; in secondo luogo che anche le forze politiche che lo sostengono e che si accingono alle elezioni di primavera sono pure esse prive di indirizzi e di programmi.

In particolare si fa sentire il vuoto da parte degli esponenti exAN all’interno del Pdl che pure hanno alle spalle dottrina e progetti ben in grado di orientare in forma attuale una politica di sviluppo dopo l’assenza legata alle pratica della ideologia liberal-qualunquista.

Tuttavia anche organi di informazione, che finora hanno tenuto posizioni sostanzialmente disimpegnate in nome dell’automatismo miracolistico del mercato, se ne stanno accorgendo.

Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera di domenica 23 settembre, dopo aver preso atto della inconsistenza dell’esito di un incontro – durato cinque ore e mezzo! – tra l’a.d. Marchionne e del presidente Elkann, da un lato, e il premier Monti ed il ministro dello Sviluppo (?!) economico dall’altro, constata che «il comunicato congiunto Governo-Fiat, che in questi casi è ciò che vale perché impegna i firmatari, non prende alcun impegno».

Ma ciò che più va sottolineato è quanto, sempre Mucchetti, scrive laddove riconosce che il caso Fiat «fa rumore … perché la Fiat era stata presentata come l’alfiere della modernità … e perché a rischio è ormai un intero storico settore industriale come quello dell’auto».

Va, infatti, tenuto conto non solo della produzione diretta, ma anche di tutto l’indotto: ben il 70% della produzione è esterna agli stabilimenti Fiat.

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Una testimonianza sul soggiorno di Winston Churchill nell’estate del 1949 a Gardone Riviera sul Garda, mentre sta dipingendo quello che dovrebbe essere il Golfo di Maderno, poichè si trova nella spiaggia posta esattamente all’ingresso di Maderno e più esattamente, sotto l’ingresso di Villa Gemma, ex residenza del Ministro Biggini. Di questo quadro non si hanno tracce e nessuno l’ha mai visto, come è scritto in questa memoria dell’ex agente di Pubblica Sicurezza Andrea De Rossi. Clicca per visualizzare il documento

Costituita dall’irrompente folla dei littori mutanti e dall’illibato ma esiguo nucleo dei resistenti d’annata, la scolastica antifascista, quantunque anemica e avventizia, ha trionfato rincorrendo il filo dipanato dallo sdegno degli azionisti di scuola torinese.
Mosso da un’implacabile triade costituita da Norberto Bobbio, Galante Garrone e Leo Valiani, l’arcolaio antifascista ha educato e promosso i piantatori degli storici paletti e i banditori delle stizzose censure, che separano i pensieri e i  fatti nominabili dagli innominabili e nefasti.
Paralizzati dal filo della ragione azionista, venti anni di storia italiana precipitarono nell’oscura e infrequentabile caverna della malvagità demente.
Vigili accigliati, corruschi e severi, i monopolisti della Verità hanno spento la memoria del Novecento italiano avvolgendola nel filo di una sentenza inappellabile.
Nella vulgata dettata ai Camera e ai Fabietti dall’autorevole, sullodato trio, i fascisti sono canonicamente definiti ottusi, rozzi, analfabeti e all’occorrenza sadici.
Un involontario ma ingente contributo alla mitologia intorno all’analfabetismo presunto e alla leggendaria stupidità dei fascisti, purtroppo, è stato offerto dalla generazione dei Gianfranco Fini e dalle ragazze del club Gaucci, branco in spensierata corsa verso le sedi deputate a ricevere i candidati alla tessera del Partito Ignorante. Sedi che hanno accolto e promosso i convertiti, elevandoli alla somma e maiuscola dignità dell’Antifascismo.
Precaria dignità, dal momento che il giro dell’instancabile arcolaio è frenato dal paziente, assiduo lavoro degli storici formati alla scuola di Renzo De Felice e del suo erede legittimo, Giuseppe Parlato. Freno all’arcolaio è anche la rivelazione della scappatella epistolare di Bobbio, carrierista flesso ma non spezzato e autore di una supplica indirizzata al bieco tiranno.
L’intelligenza dei fascisti è pertanto uscita dalla caverna scavata dagli azionisti di Torino per entrare nei libri di storia della filosofia propriamente detta.
Una pagina di filosofia della politica, ad esempio, è la cronaca dell’avvincente e accanito dibattito sul corporativismo, che si svolse, sotto lo sguardo attento di Giovanni Gentile, nell’Università di Pisa durante gli anni Trenta.
L’immagine dell’ignoranza totalitaria si dissolve nel ridicolo, quando si rammenta, come ha fatto egregiamente Fabrizio Amore Bianco, autore dell’ampio e documentato saggio “Il cantiere di Bottai”, edito in Siena da Cantagalli, che del dibattito sul corporativismo furono  protagonisti filosofi e giuristi della statura di Armando Carlini, Arnaldo Volpicelli, Ugo Spirito, Carlo Costamagna, Giuseppe Bottai, Francesco Carnelutti, Giuseppe Attilio Fanelli, Camillo Pellizzi, Alberto De Stefani, Filippo Carli, Mario Miele, Widar Cesarini Sforza, Carlo Alberto Biggini.
Nelle sedi dei convegni e nelle pagine delle riviste d’area, peraltro, il dibattito si svolse nel segno della perfetta libertà d’espressione.

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