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Una ricca raccolta di documenti fotografici, riguardanti la figura del Prof. Biggini e la vita dell’Istituto.

Archivio Prof. Carlo Alberto Biggini – Una galleria fotografica che testimonia i momenti salienti della vita del Prof. Biggini, gli incontri, gli eventi, i discorsi e le persone a lui più legate.

Convegno di Genova – Resoconto fotografico relativo al Convegno di Genova del 11/10/1996

Convegno di Sarzana – Resoconto fotografico relativo al Convegno di Sarzana del 19/11/2005

Foto con dedica donate a Carlo Alberto Biggini

Archivio fotografico personale

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Presidente: Gaetano Rasi
Vicepresidente: Carlo Alberto Biggini jr.
Tesoriere: Gigliola Premoli Biggini

Consiglio Direttivo:

Antonio Deiana
Luciano Garibaldi
Gianfranco Legitimo
Paolo Manfredi
Italo Pilenga

Nato a Sarzana il 9 dic. 1902 da Ugo e da Maria Accorsi, iniziò gli studi liceali presso il liceo Doria a Genova, interrompendoli per obblighi militari (1922-1924). Nell’ottobre del 1920 aderì alle avanguardie giovanili del fascio di quella città, e nell’aprile 1925 diede la sua adesione al manifesto degli intellettuali fascisti. Ma quasi subito si distaccò dal fascismo militante, al quale non si riaccostò che verso il 1926-1927, quando già frequentava la facoltà di giurisprudenza dell’università di Genova, dove si laureò nel 1928. In sostanza, la partecipazione del B. alla lotta politica, almeno fino al 1927, avvenne sotto il segno delle posizioni gentiliane e della costante preoccupazione di conservare un contatto e di aprire un colloquio con le forze non allineate al fascismo in nome delle comuni tradizioni culturali. L’influenza del filosofo siciliano sul B. è del resto evidente nella concezione «civile» della lotta politica e nella predilezione per alcuni temi cari alla tematica gentiliana (il giobertismo e la sua crisi, la meditazione sulla natura dello Stato). La tardiva adesione del B. al PNF (la domanda di iscrizione è del l° maggio 1928) fu oggetto d’una polemica, mossagli nel 1934 da alcuni esponenti della federazione fascista della Spezia, che contestandogli inoltre la collaborazione (1926-28) alla rivista genovese di chiara intonazione antifascista Pietre, pur limitata a contributi di carattere meramente tecnico e culturale, mettevano in dubbio la possibilità di retrodatare la sua anzianità di militante fascista. Ottenuta la laurea in giurisprudenza, il B. nel 1929 si laureò anche in scienze politiche ed amministrative presso l’università di Torino e quindi ottenne, nel 1930, il diploma di perfezionamento presso la scuola superiore di scienze corporative presso l’università di Pisa. Del corporativismo fascista egli fu uno dei più convinti fautori e studiosi, in connessione con i suoi prevalenti interessi nel campo del diritto pubblico e della storia del pensiero politico italiano. In uno dei suoi primi saggi di diritto pubblico (Il fondamento dei limiti all’attività dello Stato, Città di Castello 1929), largamente influenzato dalle concezioni gentiliane, il B. ripudiava ogni integralismo, ogni risoluzione della sfera dell’individuo in quella della collettività e l’identificazione del diritto privato con il diritto pubblico. L’identificazione dello Stato con la società che lo esprime lo porterà, qualche anno dopo, in uno studio pubblicato negli Studi sassaresi del 1935 (La realtà dello Stato e i suoi organi), a respingere l’identificazione dello Stato con i suoi organi: la polemica contro il formalismo di scuola liberale del diritto costituzionale sarà poi definitivamente riaffermata in una rassegna dei più recenti studi di diritto costituzionale del 1938. Accanto al filone principale della produzione relativa al diritto pubblico, costituzionale e corporativo, il B. coltivò sempre un interesse storico che trovò la sua espressione in indagini sul pensiero politico e giuridico di Pellegrino Rossi, poi su Giuseppe Ferrari, e in recensioni alle opere di F. Ercole sul passaggio dal Comune al principato e di A. Levi su Carlo Cattaneo. Già nel 1926 aveva pubblicato alla Spezia uno studio sulla politica di Augusto in cui, pur nei limiti di un lavoro scolastico e retorico, veniva posta l’attenzione sui valori e i fondamenti del principato augusteo. Un posto a sé occupa la Storia inedita della Conciliazione, pubblicata a Milano nel 1942 per incarico dello stesso Mussolini, che gli mise a disposizione i documenti ufficiali. Dopo aver conseguito la libera docenza in diritto costituzionale, il B. fu incaricato (1932) di diritto costituzionale e comparato e di dottrina generale dello Stato presso l’università di Sassari, dove nel dicembre 1936 divenne titolare di diritto costituzionale e corporativo; nel 1938 si trasferì all’università di Pisa, di cui, nel 1941, divenne rettore. In questo periodo collaborò a moltissime riviste scientifiche (Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1929-1932, Rivista di scienze politiche e giuridiche: lo Stato, 1930, Archivio di storia della filosofia, 1932, Archivio di studi corporativi, 1932-1942, di cui assunse la direzione dopo la sua chiamata all’università di Pisa, L’economia italiana, 1934, Nuovi studi di diritto, economia e politica, 1929-1930, Studi sassaresi, 1935-1936, Terra e Lavoro, 1935) e a riviste politiche di vario orientamento fascista (Dottrina fascista, L’ordine corporativo, Origini, Politica sociale, La Terra). Alieno dal partecipare alle lotte di corrente in seno al fascismo, sia perché convinto della necessità di conservare l’unità della classe dirigente fascista, sia per la natura culturale e la matrice gentiliana della propria vocazione politica, che tendeva al mito della «fedeltà», il B. riuscì a mantenere sempre buoni rapporti con i maggiori esponenti del fascismo nazionale delle più varie tendenze e nutrì un’autentica devozione per Mussolini. Più contrastanti i suoi rapporti con gli esponenti del fascismo spezzino: alla Spezia, dove aveva fondato e diretto il locale istituto di cultura fascista, conferendogli una marcata impronta di centro di studi corporativi, dal 1931 al 1934 fu membro del direttorio locale del partito, e dal 1932 al 1934 membro effettivo della giunta provinciale. La sua elezione nel 1934 a deputato per il collegio unico nazionale dette al B. occasione di allentare i suoi rapporti con l’ambiente spezzino (ma nel 1938 sarà ancora commissario prefettizio di Sarzana). Nel 1935 egli fu oggetto di una violenta polemica da parte del direttore dell’organo locale del partito l’Opinione, C. Danese, esponente del fascismo più grossolano ed Intransigente, che aveva preso spunto da una conferenza del B in cui si sosteneva che il fascismo non costituiva una completa cesura con il liberalismo (Istanbul, 30 marzo), per attaccarlo. La polemica ebbe una qualche risonanza e fu portata a conoscenza di Mussolini, che però non vi diede alcun peso. Non riuscì così ad influenzare negativamente la carriera nazionale del B., che nel Parlamento fu nominato membro della corporazione olearia in rappresentanza dei lavoratori dell’agricoltura, indi, nel 1937, membro parlamentare per la riforma dei codici, quindi presidente di commissione nell’istituto di rapporti culturali con l’estero, presidente del consiglio direttivo delle scuole superiori del partito e consulente giuridico del ministero degli Esteri per l’Albania. Consigliere nazionale nella Camera dei fasci e delle corporazioni nel 1939, dalla corporazione olearia fu trasferito poi in quella dei tessili. Ma la carica politicamente più significativa fu quella di presidente della commissione di mistica fascista ai littoriali. Il B. venne così a svolgere, fino a quando non fu chiamato ad incarichi di maggiore responsabilità, un ruolo eminentemente tecnico, che ben si congiungeva con la sua formazione ideologica e politica improntata ad un moderato conservatorismo. Dopo aver partecipato alla campagna d’Africa e a quella di Grecia (per cui dopo la morte gli fu concessa una medaglia di bronzo), il 19 dico 1942 il B. assunse la carica di ispettore generale del Partito nazionale fascista; il 5 febbr. 1943, in occasione del vasto rimaneggiamento di governo operato da Mussolini, fu nominato ministro dell’Educazione nazionale membro del Gran Consiglio e del direttorio nazionale del partito. In quell’occasione pronunciò alla radio un discorso sulla gravità della situazione bellica; e non è da escludere che il suo incitamento personale abbia avuto qualche peso nello spingere il Gentile a pronunciare in Campidoglio (2 giugno 1943) l’appello di difesa nazionale. Come ministro egli si proponeva (vedi il suo discorso al Senato del 13 maggio) di accentuare il carattere selettivo delle scuole stesse, istituendo il giudizio globale in luogo della votazione, accrescendo lo studio del latino e introducendolo in tutte le scuole medie superiori a indirizzo tecnico e professionale; queste ultime avrebbero dovuto essere accresciute; quanto alle università dovevano essere sfoltite. Quando il 16 luglio 1943 fu chiesta la convocazione del Gran Consiglio del fascismo, il B. si mostrò diffidente sull’opportunità di tale iniziativa. Durante la seduta del 24-25 luglio non volle firmare l’ordine del giorno Grandi contestandone la validità giuridica; rifiutò la tesi centrale di Grandi di un ritorno puro e semplice allo statuto, riaffermò il suo lealismo verso Mussolini ed espresse i suoi dubbi che il gruppo degli oppositori potesse scindere le sue responsabilità da quelle di Mussolini. Alla confutazione delle tesi costituzionali del B. il Grandi dedicò una larga parte della sua replica finale: al momento del voto il B. fu tra i pochi a schierarsi contro il suo ordine del giorno. Per tutta la mattinata del 25 luglio egli fu al centro delle frenetiche manovre politiche tentate da Mussolini per cercare di riprendere il controllo della situazione. Da una parte ricevette l’incarico dal capo del governo di redigere un memoriale per dimostrare l’incostituzionalità e l’irrilevanza giuridica del voto del Gran Consiglio: con questo Mussolini si recò nel pomeriggio dello stesso giorno all’udienza reale. Dall’altra, ricevette l’incarico di ristabilire i contatti con Grandi, che però rifiutò. Politicamente assai più interessante appare la notizia riferita dal Tamaro, secondo il quale Mussolini avrebbe chiesto al B. di appurare se esistessero le condizioni per un distacco dalla Germania «senza che questa avesse a dolersene» e di effettuare un discreto sondaggio presso Orlando che egli riteneva potesse eventualmente assumere il potere in ore tanto gravi con un programma di conciliazione e di unità nazionale. Fallite tali manovre, il B. ricevette a Viareggio, dove si era ritirato, la notizia della caduta di Mussolini. Il comportamento del B. durante i quarantacinque giorni di Badoglio presta il fianco a numerosi interrogativi. Da una parte egli si affrettò a inviare al re il sentimento della sua devozione, prima con un telegramma e poi attraverso un colloquio con l’aiutante del re, generale Puntoni. In questo colloquio spiegava che il suo voto al Gran Consiglio non aveva affatto il di sfiducia nei confronti del sovrano, ma soltanto quello di sottrarre la Corona a responsabilità tanto difficili in un momento così delicato. D’altro canto, esiste nelle carte della Segreteria particolare del Duce per il periodo della Repubblica Sociale un diario, o meglio una serie di considerazioni, che il B. avrebbe steso dal 30 luglio al 14 ag. 1943. Il documento, dattiloscritto e non firmato, per le idee che esprime è sicuramente del B.; può sussistere solo il dubbio sulla data di composizione, se cioè non sia stato scritto a posteriori per fornire la prova di un assoluto lealismo fascista che molti, nell’ambiente della Repubblica sociale, mettevano in dubbio. In questo diario, tutto pervaso di sentimenti di fedeltà e devozione per Mussolini e in cui il B. ribadiva la propria concezione del fascismo, erano spiegate anche le ragioni del suo voto al Gran Consiglio con la considerazione dei «supremi interessi della patria», indissolubilmente legati con i «rapporti di alleanza con la Germania». Dopo l’8 settembre il B. fu raggiunto a Viareggio, dove abitava con la famiglia, dall’invito ad entrare a far parte del nuovo governo repubblicano (21 settembre). In un primo tempo comunicò a Pavolini il suo rifiuto, affermando che non desiderava essere il ministro di un «governo fantasma». Poi, in seguito a pressioni tedesche, cedette, superando l’incertezza che gli derivava dal suo conservatorismo monarchico-nazionalista, e il 23 settembre divenne ministro dell’Educazione nazionale. In questa luce si spiegano alcuni episodi salienti della sua attività ministeriale. Tra i primi atti fu il mantenimento in carica dei rettori nominati dal governo Badoglio e la sua presenza al discorso d’inaugurazione dell’anno accademico dell’università di Padova tenuto dal rettore C. Marchesi. La cosa fece scalpore e Pavolini ottenne da Mussolini l’immediato allontanamento del Marchesi dal rettorato (6 dicembre). Con decreto 20 dic. 1943 il B. sottopose a revisione i ruoli degli insegnanti universitari e liberi docenti che avevano ottenuto i loro titoli per motivi esclusivamente politici durante il ventenni o e ottenne che gli insegnanti fossero esonerati dal giuramento di fedeltà alla Repubblica sociale. Con ordinanza ministeriale del 18 giugno 1944 modificò l’ordinamento degli studi medi richiamandosi alla legge Gentile (si veda il suo appello del 1944 Agli uomini della scuola e la circolare Valori tradizionali nella scuola italiana). La scuola media veniva soppressa e sostituita da tre classi di ginnasio, dopo le quali si poteva accedere direttamente al liceo classico, scientifico, artistico e magistrale, tutti di cinque anni, eccetto quello magistrale. Particolarmente notevole l’introduzione di un serio corso di lingue straniere in tutte le classi del liceo classico e la possibilità di accedere ai quattro licei provenendo anche dall’avviamento mediante un semplice esame integrativo. In tutti i licei, compreso l’artistico, che fino a quel momento ne era stato privo, sarebbe stato introdotto l’insegnamento della lingua latina. Il B. cercò inoltre di salvare il patrimonio artistico e industriale nazionale esposto alle offese belliche e ancor più alla cupidigia dei Tedeschi (vedi la protesta dell’8 marzo 1944 contro le autorità tedesche, del 3 luglio a Mussolini per i permessi di esportazione delle opere d’arte, nonché il memoriale del 4 genn. 1945 sull’amministrazione tedesca della Venezia Giulia e Tridentina, seguito da un colloquio del 15 febbr. 1945 a Venezia con l’alto commissario tedesco F. Reiner, per definire la questione della sovranità italiana in materia scolastica). Una simile attività nel campo della scuola incontrò ostilità da parte degli elementi più oltranzisti del partito fascista: in un rapporto del servizio disciplina del Partito repubblicano fascista del 12 sett. 1944 venivano trasmesse a Mussolini le lamentele di coloro che non riuscivano a concepire l’opposizione del B. a ogni forma di giuramento da parte dei docenti. Ma una critica completa della sua azione politica nel campo della scuola è in una lettera scrittagli da Pavolini del 3 genn. 1945, nella quale lo accusava di debolezza e complicità morale con i nemici della Repubblica sociale e del fascismo. Il B. venne, così, ad essere un esponente della cosiddetta ala «conciliativa» del governo, dietro alla quale stava, neppure troppo mimetizzato, lo stesso Mussolini che, appoggiandola, intendeva mediare e talvolta neutralizzare le posizioni dei gruppi più intransigenti e l’invadenza dei Tedeschi; da Mussolini egli ebbe l’incarico di redarre un progetto di costituzione della Repubblica sociale che fu però giudicato troppo «garantistico». In questo quadro vanno collocati i rapporti che il B. ebbe con G. Silvestri e con il gruppo di E. Cione (il B. appoggiò ad esempio il progetto di costituire il Centro nazionale italiano di studi sociali, genn. 1945), le cui iniziative, pur distinte e diverse, tendevano ad attenuare la radicalizzazione della guerra civile e a cercare di stabilire un rapporto con elementi non fascisti e perfino con esponenti della Resistenza: dal luglio al dicembre 1944 il B. partecipò a Milano, insieme con il ministro Pisenti, con Silvestri ed altri, a contatti, che non ebbero poi nessun esito, con elementi, peraltro poco rappresentativi, della Resistenza. Da questi tentativi nacque, il 14 febbr. 1945, con il consenso di Mussolini e del B., il «raggruppamento nazionale repubblicano-socialista», che peraltro incontrò subito l’ostilità dei Tedeschi che ne imposero lo scioglimento e la soppressione del suo organo di stampa, L’Italia del popolo. Alla fine di aprile la liberazione sorprese il B. a Padova, sede del suo ministero, dove, anche per la protezione degli autorevoli antifascisti che aveva contribuito a salvare, riuscì a superare la fase più critica. Minato da un male inguaribile, dovette però rifugiarsi, sotto il falso nome di professor De Carlo, all’ospedale di Padova, dove morì il 19 nov. 1945. Per gli scritti del B. fino al 1932 si rinvia alla bibliografia pubblicata da L. Cardinale, Gente sul baluardo, Ravenna 1935; per il periodo posteriore, oltre ai saggi pubblicati su varie pubblicazioni periodiche, si ricordano in particolare: La crisi dello Stato e le costituzioni moderne, Roma 1934; L’instaurazione di fatto degli ordinamenti giuridici e la loro legittimazione, Sassari 1934; Sviluppi dell’ordinamento corporativo e consigli provinciali dell’economia corporativa, Roma 1935; La Camera dei Fasci e delle Corporazioni nel nuovo ordinamento costituzionale, Padova 1939 (traduzione francese e spagnola, ibid. 1939); I principi generali dell’ ordinamento giuridico fascista, Pisa 1942. Fonti e bibl.: Arch. Centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce. Carteggio riservato, n. 434, Biggini Carlo Alberto; Ibid., Partito nazionale fascista. Consiglieri nazionali, fasc. 66, Biggini Carlo Alberto; Ibid., Segreteria particolare del duce. Carteggio riservato (1922-1943), Rotazioni ministri, mov. 6 febbr. 1943; Ibid., Segreteria particolare del duce. Carteggio riservato. Repubblica sociale, fasc. 646; Arch. di Stato di La Spezia, serie Prefettura Gabinetto, bb. 39-40 (fasc. dedicati a ministri, senatori, deputati, consiglieri naz.); P. Russo, Il caso Cione (con lettere del Cione al B.), in Riflessi, Milano, 13 ott. 1945; F. Pezzi, F. P. sul caso Cione, ibid., 3 nov. 1945; Il Bo) Padova, 15 dic. 1945 (necrol.); C. Silvestri, Turati l’ha detto, Milano 1946, pp. 170 s.; U. Manunta, La caduta degli angeli: storia intima della Rep. sociale ital., Roma 1947, pp. 50 s., 79, 85, 100; E. Cione, Storia della Repubblica sociale italiana, Caserta 1948, pp. 92, 166, 185 s., 192-95, 197, 204-07, 236 s., 240, 255, 257-59, 262, 383, 385, 388, 399, 404, 447, 459, 497; E. Amicucci, I seicento giorni di Mussolini, Roma 1948, pp. 35, 37, 184, 200, 286; A. Tamaro, Due anni di storia: 1943-1945, Roma 1949, I. pp. 63, 123; II, pp. 5, 215, 520; Jò Di Benigno, Occasioni mancate: Roma in un diario segreto, 1943-1944, Roma 1955, p. 169; P. Puntoni, Parla Vittorio Emanuele III, Roma 1958, pp. 155 s.; C. Francovich, La resistenza a Firenze, Firenze 1961, pp. 124-38; V. Cersosimo, Dall’istruttoria alla fucilazione: storia del processo di Verona, Milano 1961, pp. II, 14 ss., 179-81 (deposizione del B. alla istruttoria), 191-93; G. Bianco-C. Costantini, Un episodio dell’opposizione democratica al fascismo: la rivista «Pietre» (1926-1928), in Miscell. ligure in onore di G. Falco, Milano 1962, pp. 457-96; G. Bianchi, Venticinque luglio: crollo di un regime, Milano 1963, pp. 444, 585, 615, 642, 653 864; R. Zangrandi, 1943: 25 luglio-8 settembre, Milano 1964, pp. 131, 161, 749. 751, 765, 911 s., 917; L. Federzoni, L’Italia di oggi per la storia di domani, Milano 1967, pp. 205, 273-317, 305-10. D. Veneruso Da: Dizionario biografico degli Italiani. Roma: Istituto della enciclopedia italiana, 1960

·  9 Dicembre 1902 nasce a Sarzana

·  Luglio 1921 consegue la maturità classica al Liceo “Andrea Doria” di Genova

·  1926-27: collabora a “Pietre” l’ultima rivista antifascista d’Italia

·  1 maggio 1928: si iscrive al PNF

·  12 novembre 1928: si laurea in giurisprudenza a Genova con 110, lode e dignità di stampa

·  30 settembre 1929: si laurea in scienze politiche a Torino con 110, lode e dignità di stampa

·  1929-1932: incaricato di diritto costituzionale alla Scuola Superiore di scienze sociali di Ravenna

·  30 aprile 1930: sposa a La Spezia Maria Bianca Mariotti

·  ottobre 1930: si laurea a Pisa in scienze corporative

·  novembre 1930: procuratore legale

·  27 gennaio 1932: consegue la libera docenza di diritto costituzionale a Roma e a Pisa

·  20 novembre 1932: incaricato di diritto costituzionale all’Università di Sassari

·  25 novembre 1934: eletto deputato al Parlamento

·  29 settembre 1935: richiamato in Africa Orientale

·  settembre 1935: incaricato di diritto costituzionale all’Università di Genova

·  24 febbraio 1937: incaricato di diritto corporativo all’Università di Sassari

·  13 aprile 1937: membro della commissione di riforma del codice civile, del codice di commercio e del codice della navigazione

·  9 settembre 1937: promosso capitano di fanteria per meriti di guerra

·  1 febbraio 1938: nasce il figlio Carlo Ugo

·  13 aprile 1938: Presidente della Commissione questioni sociali e del lavoro della Camera

·  28 novembre 1938: ordinario di diritto costituzionale all’Università di Pisa

·  23 marzo 1939: consigliere nazionale della nuova Camera dei fasci e delle corporazioni

·  ottobre 1939: Consulente giuridico del Ministero degli Esteri

·  16 novembre 1939: incaricato di dottrina generale dello Stato all’Università di Pisa. Direttore della rivista “Archivio di studi corporativi”

·  7 dicembre 1939: riceve da Mussolini i carteggi della Conciliazione

·  22-25 giugno 1940: partecipa all’occupazione di Mentone

·  2 novembre 1940: membro del Comitato giuridico permanente italo-tedesco

·  4 gennaio 1941: volontario sul fronte greco-albanese. Numerose decorazioni al valore

·  maggio 1941: redige la Costituzione del Montenegro

·  8 giugno 1941: Segretario dell’Ufficio di Presidenza della Camera

·  24 ottobre 1941: Rettore Magnifico dell’Università di Pisa

·  11 febbraio 1942: pubblica la “Storia inedita della Conciliazione”

·  19 dicembre 1942: Ispettore Nazionale del PNF

·  6 febbraio 1943: Ministro dell’Educazione Nazionale

·  24-25 luglio 1943: partecipa al Gran Consiglio e vota contro l’ordine Grandi

·  25 luglio 1943: tenta di ricucire lo “strappo”. Scrive per il Duce un promemoria sulla nullità del voto del Gran Consiglio, da consegnare al Re.

·  15-20 agosto 1943: è ricevuto dal Re

·  23 settembre 1943: Ministro dell’Educazione Nazionale della RSI

·  ottobre 1943: si trasferisce a Padova con la famiglia. Impianta il ministero nel palazzo Pappafava dei Carraresi

·  novembre 1943: ripristina il  metodo democratico nelle Università ed esenta dal giuramento gli insegnanti

·  dicembre 1943: scrive la Costituzione della RSI

·  maggio 1944: salva 44 professori dell’Università di Genova tra cui i suoi vecchi maestri

·  giugno 1944: trasforma la scuola media in ginnasio unificato e crea 5 Licei: classico, scientifico, magistrale, tecnico e artistico. E’ il primo passo per la realizzazione integrale della Riforma Gentile

·  15 luglio 1944: trasferisce la famiglia a Villa Gemma a Maderno

·  20 agosto 1944: presenta Edmondo Cione a Mussolini e gli fa ottenere l’autorizzazione a creare un partito di opposizione

·  12 settembre 1944: è denunciato a Pavolini dal Servizio Disciplina del PFR per il mancato giuramento dei professori

·  24 settembre 1944: ottiene l’arresto della “banda KOCH”

·  20 ottobre 1944: è obbligato, come tutti i gerarchi, a portare la famiglia a Zurs

·  gennaio 1945: ottiene da Mussolini la salvezza di Egidio Meneghetti, capo del CLN del Veneto, arrestato dalla “banda Carità”

·  15 febbraio 1945: raggiunge un accodi, a nome del Governo con il Gauleiter di Trieste Friedrich Rainer

·  febbraio – marzo 1945: è sottoposto a sorveglianza da parte della “banda Carità”

·  25 marzo 1945: va a riprendere la famiglia a Zurs

·  26 aprile 1945: si trasferisce nella Basilica del Santo a Padova

·  15 agosto 1945: trasferito alla Clinica San Camillo di Milano sotto il falso nome di Prof. Mario De Carli

·  19 Novembre 1945 muore a Milano

PRINCIPALI OPERE

·  Il fondamento dei limiti dell’attività dello Stato, Città di Castello 1928

·  A proposito dei presupposti filosofici della dottrina dello Stato, Roma 1929

·  Il principio corporativo e il sistema dl diritto privato, Pisa 1930

·  Elementi di diritto costituzionale corporativo (con Carlo Costamagna), Firenze 1930

·  La legislazione costituzionale nel diritto pubblico italiano, Ravenna 1931

·  Premesse del nuovo diritto italiano, Roma 1932

·  Il pensiero politico e giuridico di Pellegrino Rossi, Roma 1932

·  Regime parlamentare e costituzione del dopoguerra, Pisa 1932

·  Unità politica e unità giuridica dello Stato, Roma 1933

·  La posizione del lavoro nello Stato fascista, Milano 1934

·  La crisi dello Stato e le costituzioni moderne, Roma 1934

·  Instaurazione di fatto degli ordinamenti giuridici e la loro legittimazione, Sassari 1934

·  Consigli provinciali dell’economia corporativa, Roma 1935

·  L’ordinamento costituzionale dello Stato fascista, Sassari 1936

·  La dotazione della corona: storia e diritto, Sassari 1936

·  L’assicurazione in maternità per le lavoratrici in agricoltura, Roma 1936

·  Giuseppe Ferrari e le sue lezioni sulla politica di Platone e di Aristotele, Roma 1937

·  La Camera dei fasci e delle corporazioni nel nuovo ordinamento costituzionale, Pisa 1939

·  Essenza politico-spirituale della codificazione mussoliniana, Milano 1941

·  Storia inedita della conciliazione, Milano 1942

·  I principi generali dell’ordinamento giuridico fascista, Pisa 1942

·  La scuola e i suoi problemi, Roma 1943

·  La scuola nell’ora attuale, Roma 1943

·  Stato, antistato, fascismo, Milano 1943

·  Storia della rivoluzione fascista, Berlino 1943

·  Verità e menzogna sul fascismo, Padova 1945

·  Agli educatori italiani, Milano 1945

Dicorso tenuto a Bronte il 20 Ottobre 1939. Scarica

Emblematico  e, in un certo modo riassuntivo di tutti, è stato il commento di Massimo Franco – sul Corriere della Sera di martedì 8 maggio, a proposito dell’interpretazione del voto delle elezioni amministrative –  fondato sulla preoccupazione circa le sorti del governo Monti.  La conclusione dell’analisi è stata la seguente: «Da ieri… Monti,  da scudo dei partiti rischia di diventarne il bersaglio. Ma non è detto che la classe politica si risollevi picconando il governo dei tecnici. Anzi, potrebbe distruggere il suo ultimo alibi».
Siamo d’accordo, ma  in un senso diverso, forse, da quello temuto dal valido commentatore, il quale aveva peraltro  nel corpo dell’articolo fatto riferimento ad espressioni come «voglia di spazzare via un sistema incapace di riformarsi», ad un «istinto suicida dei partiti», nonché «alla solitudine dei partiti del fronte moderato», al «tramonto della leadership berlusconiana» e al fatto che il «Terzo polo non è percepito come un’alternativa».
Non riteniamo di entrare in tutti i concetti che sono stati espressi, ma appare chiaro che, oltre la parentesi dell’attuale “governo tecnico”, è necessario riflettere subito sui contenuti dei temi per le  elezioni politiche del prossimo anno, e nello stesso tempo decidere la natura che la nuova legislatura dovrebbe avere.
La preoccupazione è quella che essa non sia l’inizio della Terza, ma la coda della Seconda Repubblica.
Con le elezioni del 1994 avrebbe dovuto nascere la Seconda Repubblica, caratterizzata dal nuovo sistema: anzitutto le alleanze si fanno prima e non dopo le elezioni e ciascuno s’impegna a governare secondo il programma e con gli alleati che si sono presentati alle urne; in secondo luogo, con l’indicazione, da parte delle forze contrapposte, già in sede elettorale, di chi sarebbe stato il Capo del Governo. Insomma, oltre che un passo avanti nella chiarezza democratica, anche un passo avanti nella governabilità e quindi nella efficienza gestionale.
Ma tutto questo non è stato travasato nel corso di quasi un ventennio in una riforma costituzionale appunto in senso antipartitocratico e presidenzialistico.
Avvicinandosi, quindi, un nuovo confronto elettorale e nell’evidente incapacità degli attuali partiti nel concordare una diversa legge elettorale, si rischia di perpetuare un sistema di debolezza invece che di efficienza.
L’auspicio è quello che nei prossimi mesi, anche facendo tesoro della recente esperienza elettorale amministrativa, si prospetti una legislatura costituente che ponga rimedio alle debolezze della Seconda Repubblica e apra veramente una nuova fase. Quella di una nuova Costituzione nella quale sia esplicitamente prevista da parte del popolo la scelta del premier, e la sua nomina non sia lasciata ad un Presidente della Repubblica, privo d’investitura popolare diretta, così come è avvenuto dopo le dimissioni di Berlusconi.

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Impegnati nelle imminenti elezioni amministrative e in preparazione delle elezioni politiche del prossimo anno, il mondo politico italiano e la stampa d’opinione  concentrano naturalmente l’attenzione sui problemi interni  e, per quanto riguarda l’Unione Europea, sui riflessi che l’azione dei suoi organismi possono avere sul nostro Paese.
Tuttavia, subito dopo l’esito delle elezioni amministrative, e nella prospettiva di quelle politiche per il “dopo Monti”, sarà necessario affrontare il problema del futuro della U.E. e in particolare dell’euro non solo come moneta comune.
Trascuriamo per ora le ripercussioni  dell’esito delle elezioni presidenziali francesi, ma deve essere chiaro che comunque l’Italia non avrà né ripresa economica né prospettive di sviluppo se non sarà tra i protagonisti delle politica europea e questa non sarà posta in grado di essere protagonista nella politica mondiale.
Lo strappo di Jean-Claude Juncker  nel lasciare anzitempo la guida di presidente dell’Eurogruppo (il centro di coordinamento dei ministri dell’Economia e delle Finanze dei 17 Stati dell’UE che adottano l’euro) deve essere la spinta decisiva per la prossima politica del nostro Paese.
Insomma deve essere un esempio da non trascurare.
«Lascio perché sono stanco delle ingerenze franco-tedesche » ha detto Juncker l’altro giorno nel corso di una conferenza ad Amburgo. Va sottolineato che la situazione insopportabile nasce,  prima della crisi finanziaria del 2008,  già nel 2003 quando Francia e Germania – allora guidate da Gerhard Schroeder e Jaques Chirac – decisero unilateralmente di violare le regole europee del patto  paritario di unione.
Già allora si scoprì che l’Europa per due delle maggiori potenze, la Germania e la Francia, non era quella figura costituzionale nuova definita  “una comunità di diritto“ come concetto voluto dai fondatori ed elaborato  nella  dottrina costituzionale, ossia una unione dove tutti sono uguali indipendentemente dalla loro dimensione e dalla loro capacità economica.
Si trattava infatti di una «unione di nazioni europee», strutturalmente diversa da quella federale, e quindi di una unità nel rispetto delle diversità nazionali e come tali riconosciute e ritenute una caratteristica civile unica al mondo. E tuttavia legate da una solidarietà  in grado di essere forte verso l’esterno e coesa all’interno.
Invece l’egoismo e la miopia hanno prevalso anche a causa delle  preoccupazioni elettoralistiche degli esponenti politici  francesi e tedeschi di avere all’interno dei loro Stati consensi e voti particolaristici.
Il patto franco-tedesco di Deauville nell’ottobre del 2010 , in sede di riunione dell’Eurogruppo riunito a Lussemburgo per discutere la crisi dell’euro, è stato la conferma di voler decidere solo nel proprio interesse le sorti degli altri partecipanti in difficoltà.

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Di Gaetano Rasi

A cinque mesi dalla nascita del Governo Monti, appare chiara la sua caratteristica: quella di essere completamente sprovvisto del contenuto principale  della politica economica: le misure per lo sviluppo del Paese. Nel caso specifico attuale della sua crescita dopo cinque anni di crisi.
Il presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, nell’audizione avventa l’altro giorno alla Camera sul Def, il Documento economico e finanziario, ha detto esplicitamente che «l’urgenza del riequilibrio dei conti si è tradotta inevitabilmente nel ricorso al prelievo fiscale, forzando una pressione già fuori linea nel confronto europeo e generando le condizioni per ulteriori effetti recessivi».
Si tratta di una chiara denuncia  dell’assenza della parte costruttiva di una manovra che per essere completa deve prevedere, uniti in unica manovra,  il prelevamento fiscale e la riduzione della spesa pubblica insieme con gli investimenti pubblici e privati per l’aumento della produzione e dei redditi.
Insomma non vi è alcun collegamento strutturale tra la politica del rigore e quella della crescita.
Se la prima, ossia la politica del rigore, non può non consistere in una razionalizzazione (in diminuzione) della spesa pubblica e una accentuazione (equilibrata) dell’imposizione fiscale, la seconda, ossia la politica della crescita, deve prevedere contemporaneamente e con la stessa determinazione un energico programma  di misure volte  allo sviluppo.
Qualsiasi politica che non preveda quest’ultimo aspetto è destinata inevitabilmente a far fallire il riequilibrio dei conti ed aggravare, senza rimedio, la spirale recessiva.
I dati parlano chiaro. Tra il 2007 e il 2012, ossia in cinque anni, la produzione nazionale è scesa del 6%; il reddito disponibile delle famiglie, in termini reali, è diminuito del 9%; i posti di lavoro perduti sono oltre 400 mila.
La preoccupazione primaria quindi per qualsiasi governo, che voglia restare protagonista dentro l’Unione Europea, non può essere che quello della ripresa della produzione, dell’annullamento della perdita del valore d’acquisto dei redditi, del recupero dei posti di lavoro perduti. Bisogna creare prospettive per nuova occupazione sia del fattore capitale che del fattore lavoro da cui derivare capacità di produzione e di redditi.

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