Lontano dall’Italia da oltre trent’anni – salvo periodici rientri di poche settimane – soffro come quasi tutti gli italiani residenti all’estero del “mal di Patria”; un male prodotto da quella nostalgia che il dálmata Niccolò Tommaseo nel milleottocento definí: amore struggente di Patria lontana.
La mia nostalgia risale alla sua radice semasntica, dove riecheggia il vocabolo greco nostos che – trasformando il desiderio della patria lontana in un percorso come quello del mitico Enea – lenisce lo strappo delle origini, la lontananza dalla terra natía trasformandola in un ponte lanciato sulla sponda del nuovo approdo, dove il processo di dislocazione conserva tuttavia la memoria delle origini.
Nel caso specifico il mio “mal di Patria” si fa piú intenso, a causa delle vicende sulle quali gli italiani ben nati si arrovellano con rabbia e per le quali l’odierna Italia non mi piace. E a non piacermi non é solo l’Italia delle ricorrenti tangentopoli della corruzione politica e mafiosa che ne corrode il territorio, le coscienze e lo spirito. Non mi piace l’Italia festaiola delle lotterie e degli insulsi concorsi a premio che la Rai-TV diffonde sulle vie dell’etere presentando a tutto il mondo l’immagine fittizia di un Paese che sembra cullarsi nell’incoscienza colettiva e nell’evasione ludica mentre tutto gli sta crollando attorno. Certo chi visita spesso l’Italia sa perfettamente che l’immagine televisa che corre per il mondo non corrisponde all’Italia reale che, nonostante l’irresponsabilità della classe dirigente al potere, lavora in condizioni difficili per risalire dalla terribile crisi socio-economica e civile che attanaglia le famiglie, le piccole e medie imprese, la scuola, che nega un futuro alle giovani generazioni e getta nella miseria generazioni di pensionati, che induce alla fuga all’estero le migliori energie del paese impoverendolo intellettualmente e professionalmente.
Né mi piacciono quegli intellettuali italiani che, per fuggire dalla triste realtà odierna, cercano un rifugio consolatore nella lontana memoria del sacro romano impero, il cui pallido riflesso è custodito nella tomba viennese di Cecco Beppe, penultimo imperatore di una tramontata “Austria felix”; nè coloro che stanno imbastardendo con vocaboli stranieri (soprattutto con anglicismi) la nostra lingua. Antico vizio nostro, purtroppo, già denunciato a suo tempo da Vincenzo Gioberti (1801-1852) quando considerava costume indegno, basso e vile il “trasandare la propria loquela ed il vezzo di parlare o scrivere, senza bisogno, la lingua forestiera” ; mentre Giacomo Leopardi (1798-1865) aggiungeva, a sua volta, che “la lingua, l’uomo e le nazioni per poco sono la stessa cosa”.
Né mi sento partecipe di quello “spiritaccio” che induceva il pratese Curzio Suckert-Malaparte a considerarsi discendente dai longobardi di Borgo al Cornio che fu il nocciolo di Prato, per cui – sempre secondo il Curzio Malapratese – pensavano di nulla dovere “al solito Mario, al solito Silla, al solito Cesare”. Per la mia discendenza toscano-emiliana mi sento invece vincolatissimo con i soliti Mario, Silla e Cesare perchè non posso espellere le mie solide radici italiane dal quell’ inconscio collettivo di quella atavica “Italica Gens” che assieme agli antichi romani contribuí alla formazione del popolo italiano, se é vero che l’Italia – specificamente come patria – è anche e soprattutto la sua Storia.
Ma la Patria, per la indubbia derivazione sua dal vocabolo latino pater, si puó definire non solo come “terra dei padri”, ma altresì come il luogo dove spiritualmente, e non solo materialmente, si nasce e si cresce. Di conseguenza, si puó convenire, con l’abate Gioberti, che l’Italia contemporanea più che patria, intesa nel senso attribuitole dagli antichi Greci – luogo cioè di vita morale e culturale, ispiratore di una comune fede civica, generetrice del cittadino adulto – è Matria: terra matrice, bália degli italiani delle generazioni dell’ultimo secolo, rimasti all’età infantile. Si tratta di un infantilismo non ingenuo, invece assai malizioso, affiorato nel cinquantennio a cavallo tra il XXº secolo, ormai tramontato, ed il XXIº da poco iniziato, che segna il fallimento della patria italiana in quanto luogo di crescita culturale e spirituale; fallimento dovuto alla rottura di quell’unità metafisica tra popolo e patria per cui “noi apparteniamo alla patria e la patria appartiene a noi” e di cui ha parlato a suo tempo il filosofo tedesco Eduard Spranger.
Personalmente ritengo responsabili di tale fallimento le varie istanze dell’educazione (famiglia, scuola, classe poplitica) che, pur in diversa maniera, tutte hanno abdicato al loro compito esistenziale ed istituzionale o – quel che è peggio – lo hanno svolto secondo un rovesciamento di principi e valori, le cui conseguenze negative emergono quotidianamente in quell’entità che la classe dirigente dominante identifica come Paese, vergognandosi di chiamarla con il nome vetusto che – come scrisse a suo tempo il poeta romano Virgilio – “dagli Enotri nomossi: or, com’è fama, preso d’Italo il nome, Italia s’è detta” (Eneide, IIIº, 164).
L’Italia, dunque – che si espanse dalle radici degli Enotri – e della quale, come italiano all’estero, quotidianamente sento l‘assenza, perchè mi sento geneticamente radicato in essa, e sulla quale mi arrovello con passione perchè – anche se oggi non mi piace com’è stata ridotta – non potró mai spogliarmi di essa finché conserverò la consapevolezza delle mie radici storiche e spirituali.
Già suo tempo, il nostro Niccoló Machiavelli dichiarava all’amico Francesco Vettori, d’amare la patria piú dell’anima, lasciando, già nel XVº secolo ai posteri l’alta visione di quel moto di formazione delle nazioni per cui la piccola patria antica si allarga poi a nazione moderna per affermarsi quindi come Stato nazionale nella prima metà del secolo XXº.
Bisogna rifarsi dunque all’avveniristica lezione del geniale segretario fiorentino per sensibilizzare quegli italiani che sono sopinti alla disperazione dalla crisi attuale e sognano antistoriche ed utopistiche tentazioni d’indipendentismo regionale; e riproporre ad essi la rifondazione morale e la reintegrazione politica dell’Italia contemporanea. Come ricordava puntualmente Marcello Veneziani in un coraggioso articolo del 14 febbraio 2014, dove – rivolgendosi agli italiani del Veneto – li invitava ad abbandonare la rabbia utopica della secessione, ammonendoli che: “Non si reagisce alle crisi e al malgoverno sfasciando il Paese. Una Patria non è un contratto che cambia gestore se l’offerta non è più generosa. Una patria è una storia da cui provieni, la geografia in cui ti muovi, la lingua che parli, l’arte che vedi, la terra degli avi, i loro sacrifici, tuo padre, tua madre. Difendere oggi l’Italia nella sua unità, è difendere la civiltà italiana”.
Solo la pertinace diseducazione verso l’Italia, Nazione-Stato – sintesi di libertà-autorità, maestà-diritto, costituita dalla forza, dall’intelletto e dalla fiducia degli italiani – può indurre qualche nostro compatriota, per incosciente che sia del suo status storico giuridico a sostenere, in odio alla prepotenza di una classe politica squalificata, che “dal 1866 la nazione veneta è oppressa dallo Stato italiano”, confondendo rozzamente i termini di popolo e nazione e scambiando quindi il primo con il secondo.
Infatti mentre esiste un popolo veneto, accanto ad un popolo lombardo, piemontese, sardo, napoletano, pugliese, siciliano, ecc. – (inteso il vocabolo “popolo” come sininimo di “gente”) – esiste solo una Nazione Italiana.
La Nazione italiana esiste, sotto il profilo socio-culturale, almeno da tremila anni, secondo l’ affermazione dell’autorevole sociologo Franco Ferrarotti raccolta dal settimanale L’Italia del 20 gennaio 1993.La Nazione Italiana- spiegava allora Ferrarotti – ha radici antropologiche profondissime.
Da qui l’esigenza di riscoprire, soprattutto per gli italiani d’Italia, il significato di patria e l’urgente vigenza del suo valore, il recupero della sua missione comune nel patrimonio culturale e storico della nazione italiana mediante la sua riaffermazione unitaria nella Stato. Anche questo da rifondare nel contesto della realtà attuale dove il senso dello Stato, deformato a statalismo dagli abusi burocratici, va restituito alla sua essenza originaria: quale unità di destino delle diversità d’origine e di costume delle genti italiche; e quindi espressione dell’ordine giuridico che il popolo si da per presentarsi con onore tra gli altri popoli della terra, come ha insegnato sapientamente Romano Guardini, un italiano di cultura germanica, nato a Verona nel 1885 e trasferitosi all’età di cinque anni in terra tedesca, seguendo suo padre, nominato console a Magonza del giovane Regno d’Italia.
L‘urgenza della Patria s’impone soprattutto in tempi come questi, quando gl’italiani sembrano rincorrere solo i richiami delle suggestioni e degli egoismi locali; e s’impone come voleva Giuseppe Mazzini – ripreso un secolo dopo dall’alto magistero di Giovanni Gentile – intendendo la Patria “anzitutto come conscienza della Nazione”.
Nei suoi Scritti editi ed inediti, Mazzini, a proposito della Patria avverte: “Il suolo che calpestate ed i limiti che la natura pone tra la vostra terra e quella del prossimo, e la dolce lingua che in essa risuona, non sono che la forma visibile della Patria.Ma se l’anima della Patria non palpita in questo santuario della vostra vita che ha nome coscienza, questa forma resta simile ad un cadavere inanimato. E voi siene una tomba anonima, una massa d’individui, non un popolo. La Patria è la fede nella Patria. Quando ciascuno di voi abbia questa fede e sia disposto a dare il suo sangue per essa, solo allora possederete la Patria, non prima”.
Insomma la Patria vive nella fede di chi la vuol far vivere, sicchè non esiste nazione e patria dove non esiste la volontà d’essere nazione e patria, cioè una “identità nazionale” che in Italia ha sempre costituito “un riferimento ambivalente ed ambiguo” come osservava ancora il Ferrarotti.
Ora da tale ambiguitá si puó uscire solo con una educazione nazionale spinta in profondità. Ma dal 1945 in poi, l’educazione nazionale è stata sostituita da una anodina “istruzione pubblica” che non osa educare le giovani generazioni italiane (abbandonate alle peggiori influenze straniere) nella fierezza delle radici, nell’orgoglio del nostro patrimonio storico, nel culto dei simboli della Patria.
Nei Paesi dell’America Latina – meglio definita dalla sapienza dell’italo-argentino Carlos Alberto Disandro (1919-1994), quale “America Romanica – non c’è cerimonia scolastica od atto civico che non s’apra con l’alzabandiera e l’esecuzione corale dell’inno nazionale.
Il ballo nazionale cileno d’origine popolare (la cueca), si concludecon l’omaggio alla bandiera. Nella principale “avenida” di Buenos Aires campeggia un gigantesco cartellone dove si legge: Argentina, te quiero (Argentina, ti amo!).
Manifestazioni simili, sono inimmaginabili nell’Italia contemporanea dove il tricolore s’esisbisce poco e l’inno nazionale s’intona distrattamente negli stadi solo in occasione di partite di calcio a livello internazionale.
Qui consiste il punctum dolens: l’identità italiana s’è interrota da quando la volontà d’essere patria e nazione s’è spenta nel rinunciatarismo implicito nel processo mal condotto di una unione europea sollecitata dalle illusoni di un consumismo materialista omologato all’occidentalismo nordamericano.
Mancando questa volontà, gl’italiani oggi sono tutti orfani, specialmente quegli italiani che le dure vicissitudini della vita hanno spinto sulle vie del mondo. Infatti per gli italiani emigrati, la patria assente produce un senso di sradicamento che – specie per i figli degli italiani all’estero – significa il rischio di un assorbimento irreversibile nel contesto socioculturale nei Paesi d’accoglimento.
In tempi di fughe nell’oblio o, peggio, di diserzione come quelli in cui viviamo, la fedeltà alla Madre Patria costituisce la sola salda premessa per la rinascita della coscienza civica nazionale.
L’Italia perenne risorgerà a nuova vita feconda solo quando tutti gli italiani affronteranno i problemi comuni, profondamente contagiati – come noi – dal mal di Patria.
Santiago del Cile, maggio 2015.
Primo Siena
Italiano all’estero dal 1978
Le problematiche che indeboliscono l’UE e la validità partecipazionistica e produttivistica della cogestione
Questo numero del bollettino CESI è dedicato a due analisi: una riguardante le ipoteche che pesano sull’unità europea, a cura di Giulio Terzi di Sant’Agata, e un’altra riguardante un esempio in Italia di partecipazione dei lavoratori all’attività di impresa, a cura di Mario Bozzi Sentieri. Il primo saggio fa la storia del difficile cammino della UE, come istituzione priva, fin dalla sua nascita, di una vera costituzione statuale, ed effettua utili paragoni con vicende che hanno riguardato nel corso del tempo altri tipi di analoghe formazioni federali o confederali. Giulio Terzi affronta poi lo scetticismo antieuropeo all’interno di molti dei Paesi che compongono l’Unione Europea e sottolinea il fatto che essa, pur avendo solo un ottavo della popolazione mondiale, rappresenta però un quarto dell’economia del pianeta per cui si rende sempre più necessario insieme con l’unità avere anche una politica estera adeguata al suo peso. Da ultimo Terzi fa però appello al realismo, necessario per la tutela dello sviluppo e della sicurezza italiana, mentre a Bruxelles si rimandano decisioni unitarie e soprattutto di tutela paritaria di tutte le nazioni che compongono la UE.
Il secondo saggio fa riferimento all’istituto della cogestione nel suo particolare aspetto introdotto ormai da oltre un decennio nell’attività della Volkswagen Group Italia SpA. Si tratta di un’intervista data a Goffredo di Palma, già direttore del personale e dell’organizzazione di quella società dal 2004 al 2013. L’argomento è particolarmente interessante in questo momento per due ragioni: la Germania è sulla soglia di iniziare un periodo di debolezza economica, ma ciò non è dovuto all’efficienza produttiva interna, di cui il fulcro è appunto la mitbestimmung, ma invece al calo nelle esportazioni all’estero e allo scarso rendimento dei suoi investimenti finanziari esteri (a questo riguardo dedicheremo il prossimo bollettino ad un numero monografico). Pertanto resta perfettamente valido il sistema della cogestione da applicare più diffusamente anche in Italia, la quale al riguardo ha ben diritto di vantare studi e proposte legislative che vengono da lontano e che purtroppo sono state osteggiate e quindi inapplicate per la grettezza culturale di una certa dirigenza politica e per la preconcetta chiusura da parte dei sindacati classisti sia dei lavoratori che dei datori di lavoro (g.r.)
SOMMARIO
La problematica esistenziale della Fondazione AN
Come è ben noto, sia in relazione alla natura e agli scopi delle sue analisi e progetti, sia per ragioni riguardanti la confusa situazione italiana all’interno e tra gli schieramenti politici, il CESI è statutariamente un centro studi indipendente aperto però a tutti coloro che con senso di responsabilità vogliono un radicale cambiamento dell’attuale sistema politico. E proprio in relazione alla ragione della sua esistenza, e in particolare, con riferimento alla crisi italiana, fornisce ai suoi soci e ai gruppi di contatto che ha in tutta Italia materiali di riflessione e opportune indicazioni orientative, e talvolta anche programmatiche, che possono esprimersi in tutte le sedi utili.
Il Sestante, pertanto, pubblica in questo numero l’Appello che alcuni autorevoli soci CESI hanno rivolto ai partecipanti e agli aderenti della Fondazione AN in occasione della sua Assemblea plenaria tenuta a Roma il 3 e il 4 ottobre. L’attenzione ai contenuti del documento è stata vasta e l’accoglimento delle indicazioni sarà verificato nel prossimo futuro. A commento dell’Appello, illustrato in quell’Assemblea da uno dei soci CESI, pubblichiamo in anteprima un estratto da un articolo dello storico e giornalista Adalberto Baldoni (che uscirà sul numero di novembre de Il Borghese) il quale fa riferimento proprio al testo dell’Appello.
Abbiamo poi ritenuto interessante riprendere pure parte di un editoriale, pubblicato sul quotidiano di Roma Il Tempo dallo scrittore Marcello Veneziani. Completa il presente numero del bollettino nell’ambito della rubrica “Dibattito”, il problema di quella che ancora si continua a chiamare “destra” contrapposta ad una “sinistra”. In ambedue i casi ai due termini non corrispondono più né agli originali contenuti ideologici, né alle attuali pratiche operative. Qualsiasi battaglia politica in nome di uno di questi termini è destinata al fatale insuccesso. (g.r.)
SOMMARIO
- Preparare una nuova e competente classe dirigente
Appello ai partecipanti e agli aderenti della Fondazione Alleanza Nazionale
L’Assemblea della FAN. La cronaca e le valutazioni di Adalberto Baldoni: un estratto.
“Clandestinità e rinascita”. L’intervento di Marcello Veneziani (editoriale su Il Tempo del 27.9.15)
- Rubrica “Dibattito”: La Destra avviata a diventare “politicamente il proprio fantasma”. A proposito di un articolo del prof. Galli della Loggia e della concezione vetero-liberista di Vincenzo Pacifici
Bisogna puntare ad una nuova struttura dello Stato. Precarietà e pericolosità delle superate concezioni nell’attività politica di Gaetano Rasi
Le migrazioni sono l’effetto e non la causa delle problematiche geopolitiche attuali
Questo numero monografico è dedicato all’analisi e alle problematiche che determinano il fenomeno migratorio. La trattazione è affrontata da uno dei maggiori competenti italiani in politica estera, il consigliere CESI Giulio Terzi di Sant’Agata che ha tra l’altro una diretta esperienza come Ambasciatore italiano negli USA e in altre importanti nazioni, nonché come già Ministro degli Esteri.
Per Giulio Terzi la questione dei “rifugiati” e degli “immigrati” non può essere inquadrata soltanto nell’affrontare la situazione dal lato dell’arrivo in Italia (e in generale in Europa) di masse umane bisognose di aiuto, il che è giusto dare ove sia effettivamente necessario. Quello che bisogna invece impostare decisamente e rapidamente è una politica che faccia riferimento alle cause e con ciò anzitutto aver piena consapevolezza della reale situazione geopolitica mediorientale, degli interessi in gioco di potenze continentali extraeuropee come gli USA e la Russia, della superficialità conoscitiva e della tardiva operatività della UE e non ultimo delle deficienze strutturali della classe dirigente che governa l’Italia. (g.r.)
Giulio Terzi di Sant’Agata
È necessario conoscere i dati della realtà migratoria.
L’Unione Europea e l’Italia sono inadeguate ad affrontare la grave, drammatica problematica politico-militare del Medio Oriente e dell’Africa.
SOMMARIO: 1° La colpevole carenza dei finanziamenti da parte della UE; 2° Dalla tragedia siriana la crisi Medio Orientale e Nord Africana; 3° La politica di Mosca: intenti ed effetti; 4° Fare chiarezza sui concetti di immigrazione e di integrazione; 5° L’irresponsabile comportamento di determinati organi burocratici italiani; 6° Valutare realisticamente l’abuso del “diritto d’asilo”; 7° Conclusioni: l’Italia deve darsi adeguate norme e passare ad efficienti operatività.
In allegato il fascicolo “La Biblioteca del CESI”
Il ritardo del Mezzogiorno e la problematica previdenziale in relazione ai mutamenti demografici
La classe politica di governo e delle opposizioni è impegnata su argomenti artificiosamente esasperati – e nella sostanza anche gravemente dannosi per il futuro – che nascondono in realtà non un miglioramento costituzionale nella rappresentanza democratica, ma solo furibonde – anche se spesso sotterranee – liti per predisporre una legge elettorale più favorevole ad una parte piuttosto che all’altra dello schieramento partitico.
In questo numero del bollettino il politologo Mario Bozzi Sentieri affronta il gravissimo problema della questione riguardante il ritardo del Mezzogiorno rispetto allo sviluppo del resto del Paese. Il saggio è basato su documentazioni ufficiali che pur esistono, ma che non sono adeguatamente commentate dalla stampa conformista. Segue una relazione molto puntuale da parte di Marina Vuoli Bontempo a proposito della interdipendenza tra la questione demografica e la questione previdenziale. Non si tratta tanto di problematiche meramente sindacali, ma di questioni fondamentali riguardanti l’intero sviluppo nazionale. L’angolazione è anche quella del ruolo femminile nell’epoca contemporanea e l’indicazione istituzionale fa appello ai principi della partecipazione al fine di tutelare, insieme, la dignità delle persone e le loro necessità economiche. Una parte notevole del bollettino è occupata dal dibattito relativo alla riforma costituzionale e in particolare alla modifica della composizione del Senato. Vengono pubblicate le riflessioni del prof. Vincenzo Pacifici riguardanti i compiti, oltre che la composizione, del Parlamento riformato secondo gli indirizzi della classe dirigente partitocratica, nonché le considerazioni del prof. Gaetano Rasi che auspica un ampliamento del dibattito in relazione ad una effettiva rappresentanza integrale del cittadino che esprima, nel voto, le sue idee, ma anche debba contribuire alla politica del Paese con la competenza assunta nelle attività lavorative oggi sempre più complesse e tecnologiche. Notevole la rassegna delle novità librarie a cura di Bozzi Sentieri.
SOMMARIO
- Dopo le anticipazioni del Rapporto SVIMEZ . Riaprire la “Questione meridionale”, ma con una “visione nazionale”di Mario Bozzi Sentieri
- Convegno Ugl Pensionati. Interdipendenza tra “questione demografica e questione previdenziale”
di Marina Vuoli Buontempo
- Segnalazione Eventi: 14 novembre 2015 Castellare di Pescia (PT); 21 novembre 2015 Sarzana (La Spezia)
- Dibattito. Senato: Una riforma costituzionale arbitraria e dannosa. I mutamenti richiesti ledono il principio della rappresentanza integrale del cittadino. Riflessioni del prof. Vincenzo Pacifici e del prof. Gaetano Rasi
- I libri del “Sestante”. Rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri
In allegato il fascicolo “La Biblioteca del CESI”
Presentazione del volume sul Terzo Convegno Nazionale CESI
“Un nuovo modello di sviluppo per una nuova
Italia protagonista in Europa”
Riteniamo di anticipare in questo numero monografico – insieme con l’Indice del volume – un’ampia sintesi del contenuto delle relazioni tenute nel Terzo Convegno Nazionale CESI il 23 aprile 2015 a Roma, presso la sala del Tempio di Adriano. Tale sintesi costituirà la premessa del volume che uscirà nel novembre prossimo nell’ambito della Collana Documenti del Centro Studi.
In questo libro i relatori hanno ulteriormente approfondito i temi trattati brevemente in sede d’intervento nel corso della manifestazione e rivelano giorno per giorno l’attualità delle problematiche affrontate e l’impegno nell’indicare programmi risolutivi.
Il testo di quanto segue, che come abbiamo detto è introduttivo dello stesso volume, acquista ulteriore particolare significato in queste settimane in quanto si sta preparando, in sede parlamentare e nel corso di una confusa e meschina legislatura ordinaria, una surrettizia riforma costituzionale. Essa inciderà ancora più negativamente sullo sviluppo dell’Italia in Europa perché va ad inserirsi in una Costituzione già di per se stessa superata e non riformabile perché strutturalmente inadeguata a far sì che l’Italia progredisca civilmente ed economicamente operando nell’Unione Europea in maniera decisiva e non solamente in condizioni di passività.
Nella sintesi del Convegno si fa pure riferimento al grave problema riguardante la scadente classe politica che continua a danneggiare l’Italia, alla necessità di cambiare il suo sistema politico e quindi a rimettere ogni decisione costituzionale direttamente nelle mani del popolo attraverso una vera Assemblea Costituente che faccia appello non solo alle opinioni dei cittadini, ma anche alle loro competenze e al loro responsabile impegno nelle attività professionali e lavorative in genere (g.r.).
In allegato il fascicolo “La Biblioteca del CESI”
Nel Febbraio 2014, il Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti propose al Sindaco di Leonessa l’intitolazione di una via alla memoria di Assunta Vannozzi, una giovane ed innocente mamma, uccisa dai partigiani senza che nessuno abbia mai saputo il perché. Non una via qualsiasi, ma la via che dalla piccola frazione di Ocre si inoltra tra i boschi e conduce a Capodacqua, località dove avvenne l’omicidio.
Era un freddo inverno di settanta anni fa. Dal 26 Febbraio 1944, dopo l’uccisione del Commissario del Capo della Provincia in Leonessa Francesco Pietramico, la situazione dell’ordine pubblico sull’altopiano leonessano era andata progressivamente peggiorando. La pressione della guerriglia che sconfinava dall’Umbria fece si che, il 14 Marzo seguente, il Distaccamento della GNR – che assicurava la sicurezza in tutta la zona – venisse ritirato, in quanto considerato indifendibile. Il giorno dopo, andati via i fascisti, su Leonessa calarono i partigiani. Dopo un corteo festoso e le solite violenze, tornarono sui monti. Ormai, l’ordine era definitivamente compromesso. In questo scenario maturò uno dei più gravi e ingiustificati episodi di sangue che colpirono la provincia di Rieti in quel drammatico 1944. Il 16 Marzo, sei-sette ribelli con passamontagna e fazzoletti al viso penetrarono nell’abitazione della famiglia Vannozzi nella frazione di Capodacqua di Leonessa. Aggredirono i presenti e si scagliarono contro la giovane mamma Assunta Vannozzi di 29 anni, a letto febbricitante, accusandola di essere una “spia”. Le strapparono il figlioletto Luigino di due anni e la strascinarono in strada tra grida strazianti che fecero eco in tutta la vallata. Poi, con una spietatezza unica nel suo genere, un partigiano estrasse una pistola scaricandola contro il corpo della disgraziata piangente. Infine, il colpo di grazia alla nuca. “Giustizia” era fatta. I ribelli, infine, “prelevarono” dall’abitazione tutto quanto era asportabile e tutto quanto avesse un valore, dal corredo di nozze ai gioielli, per poi scomparire per sempre nella boscaglia dalla quale erano venuti.
Una normale spedizione partigiana diranno i più, se non fosse che la povera Assunta Vannozzi non era imputabile di nulla. Si trattò di un’esecuzione ingiustificata. Nel dopoguerra, vennero accusati dell’assassinio tre partigiani locali (gli altri non furono mai identificati): Concezio Antonelli, Mario Romano e Enzo Lucci (l’esecutore materiale). I primi due negarono ogni addebito, mentre Lucci affermò di aver agito su ordine della Brigata “Gramsci”. Come era ovvio, date le chiare disposizioni in materia che consideravano “legittimi atti di guerra” tutte le azioni compiute dai ribelli nel corso della guerriglia, i tre vennero scarcerati. Comunque, la Magistratura accertò che Assunta Vannozzi era innocente e che il suo assassinio fu un “errore di valutazione”.
Sul drammatico episodio di sangue cadde una fitta coltre di omertà (ancor oggi riscontrabile) e quelle rare volte che si parlò della morte della Vannozzi si volle addirittura infangare la moralità della povera mamma, uccidendola così una seconda volta. E pensare che Assunta – che non si era mai occupata di politica – aveva aiutato in quei mesi anche numerosi soldati “sbandati” del Regio Esercito che non volevano aderire alla RSI. Ma tutto ciò fu vano. Ancor oggi, nessuno sa il motivo perché la giovane mamma venne uccisa e i nomi di tutti coloro che parteciparono alla spedizione punitiva, all’assassinio e al saccheggio della casa.
Nel settantennale dalla tragedia che lasciò a un piccolo orfano una cicatrice mai rimarginata, il Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti si è recato sul luogo del luttuoso evento e nel cimitero di Vallunga dove riposa Assunta Vannozzi per omaggiare una vittima dell’odio antifascista, uccisa innocente e vigliaccamente vilipesa dopo la morte.
«A tanti anni da questo dramma – ha dichiarato il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti – siamo venuti a Leonessa con l’intento di chiedere una pubblica riabilitazione della giovane mamma di Capodacqua. Per questo abbiamo chiesto ufficialmente al Sindaco di Leonessa che la via che congiunge Ocre a Capodacqua venga dedicata alla memoria di Assunta Vannozzi e che sul luogo dell’uccisione sia eretta nuovamente una croce (divelta a seguito di lavori stradali e mai ripristinata). Un atto dovuto che l’intera comunità leonessana deve a una sua concittadina uccisa troppe volte, fisicamente e moralmente. Essere qui oggi per noi è un atto non solo di carità cristiana. Siamo qui non solo per un giusto tributo ad un’innocente che oltre ad essere stata ingiustamente uccisa e strappata all’affetto dei cari, è stata vilmente vituperata per decenni da personaggi senza scrupoli; ma anche per un dovere morale che avevamo con Luigino Montini, il figlio di Assunta, che per tutta la vita ha portato nel suo cuore i segni indelebili di quella tragedia ingiustificata. Oggi che Luigino non è più con noi, ma è tornato tra le braccia della mamma che gli fu strappata dall’odio politico quando aveva solo due anni, siamo qui per ricostruire quello che realmente avvenne, abbattendo definitivamente il muro di omertà costruito dalla vulgata antifascista ed anti-italiana. Speriamo che Assunta e Luigino, da lassù dove ci guardano, finalmente, possano ora riposare in pace».
Ad oltre un anno da questa manifestazione, il 17 Agosto 2015, l’Amministrazione comunale di Leonessa ha riabilitato pubblicamente ed ufficialmente la giovane mamma di Capodacqua, dedicando a lei quella via sulla quale si consumò un dramma per troppo tempo dimenticato e manipolato dalla vulgata antifascista ed anti-italiana. Hanno partecipato alla solenne manifestazione la popolazione del luogo, le più alte cariche del Comune di Leonessa e le delegazioni ufficiali del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti, dell’Ordine dell’Aquila Romana e dell’Associazione Nazionale Arditi d’Italia. Giustizia, dal punto di vista morale, è finalmente fatta.
Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario
della RSI in Provincia di Rieti