Ma chi sarebbe il Bene Assoluto? Qualcuno mi chiede; ma buon Dio è Matteo Renzi!
Dopo aver dato (e ripreso) gli ottanta Euro <ai pensionati con meno di cinquecento Euro>, un lettore mi chiede, io rispondo <Santo Dio, che domanda fate, ma quali pensionati – di questi si attende la loro morte – ma gli ottanta Euro sono destinati a chi ne guadagna 1.500 di Euro>. No, cari lettori, non storcete la bocca, il Bene Assoluto intende estendere gli ottanta Euro anche alle mamme che dopo il primo gennaio partoriranno un bimbo. Bene…bravo….bis…tris….claps, claps (applausi).
Qualcuno dirà che sono un nostalgico del Male Assoluto. Perché, non si vede? Rispondo. Prima di andare avanti apro, per essere chiaro al massimo, uno dei più noti dizionari italiani, il De Agostini, nella voce nostalgico e leggo e trascrivo: <Che rimpiange un regime politico del passato, in particolare il fascismo>. Avvalendomi anche della rivista Paralleli, desidero ricordare che l’idea di premiare le mamme che concepivano un bambino era nata nella mente del perfido Male Assoluto ben 77 (dico: settantasette) anni fa. Infatti nel 1937 la campagna demografica offriva agli operai che si sposavano un assegno nuziale di 700 lire. L’assegno nuziale era inoltre corredato da un prestito senza interessi non inferiore alle 1.000 lire che veniva elargito a quanti sposati entro i venticinque anni, guadagnavano meno di mille lire lorde al mese, ossia la stragrande maggioranza degli italiani. A sei mesi dalla concessione del prestito si cominciava a restituire nella miserabile misura dell’1% al mese. Ma ora, caro Don Matteo attenzione: dopo la nascita di ciascun figlio la restituzione veniva sospesa per un anno e il prestito si riduceva del 10% del totale al primo figlio, del 20% al secondo, del 30% al terzo, del 40% al quarto, dopo di che veniva condonato. Alle madri riconosciute ufficialmente prolifiche, con almeno sette figli, il Male Assoluto inviava o consegnava personalmente in fastose cerimonie a Palazzo Venezia 5.000 lire più una polizza di assicurazione di 1.000 lire. Altre facilitazioni (attento don Matteo!), come per esempio la tessera gratuita per tutti i mezzi pubblici, arrivava loro dal fascio locale (oh mamma c’ho detto!!!! Ho nominato il Fascio). Don Matteo, no, non ho finito: i capifamiglia con prole numerosa godevano di privilegi straordinari negli impieghi statali, nei contratti di lavoro collettivi, nella concessione di prestiti a interesse, e di forti sconti nell’affitto degli appartamenti. Anche gli assegni familiari erano ragguardevoli: 3,60 lire la settimana per gli operai con un figlio, 4,80 per quelli con due o tre figli; 6 lire da quattro figli in su. Per gli impiegati (sempre alla settimana) 4,80, 6,50 e 7,20. Per i dipendenti del commercio, infine, gli assegni potevano essere anche più elevati.
Don Matteo, ma senta cosa ho letto oggi, non posso citare la fonte perché è un foglio anonimo: <Renzi, nella bramosa caccia al denaro con il quale mantenere almeno il 10% di quanto promesso, ha idea di far pagare il bollo di circolazione ai passeggini>. Don Matteo, lei mi dice che questa è una cattiveria?! Bene, allora ecco un’altra cattiveria. Sempre nello stesso foglio leggo: <Renzi vuol distribuire il TFR (liquidazione): vana speranza di riavviare così il consumo e quindi la produzione. Curioso: Mussolini lo inventò per garantire il lavoratore e dargli una vecchiaia serena. Renzi lo vuol depredare per fregargli con le tasse anche il futuro. Allora si costruì lo stato sociale, venendo dal medio evo. Oggi i sinistri ci vogliono risprofondare nei secoli bui. Bravi! Bene!>.
E in merito a quanto periodicamente accade in Italia (vedi ad esempio il caso di Genova), ecco quanto ha scritto l’anonimo cattivo: <Per la cronaca, l’ultimo che dragò seriamente i fiumi in Italia, fu Mussolini. Ma non si può dire, perché è apologia>. E infatti io non lo dico!
Torniamo ai beati tempi di oggi e termino citando una osservazione di Alessandro M. Questi, se possibile, è più ingrifato di me circa il Fascismo e il suo Capo. Leggiamo e trasmetto al Bene Assoluto, a don Matteo: <Quasi nessuno, tra i figli dei lavoratori che non vi risiedessero abitualmente, aveva mai potuto, in precedenza, passare periodi di vacanze ai monti o al mare, per l’ovvio motivo che a una famiglia di quei tempi, spesso famiglie numerose e monoreddito, una volta soddisfatto l’obiettivo primario della sussistenza, non rimanevano certamente denari per mandare i figli in villeggiatura. La villeggiatura era un privilegio dei benestanti. Non rari, nelle famiglie operaie, erano i casi di rachitismo o di malattie dell’apparato respiratorio, causate da condizioni di vita non certo ideali. Mediante questa istituzione (Alessandro M. si riferisce all’Opera Balilla e Colonie Marine e Montane per i ragazzi, opere concepite e volute nel periodo della truce tirannia) tutti i figli dei lavoratori che ne facessero richiesta e che si trovassero nelle condizioni di idoneità previste dai regolamenti, potevano usufruire di periodi di vacanza gratuiti ed essere assistiti in apposite strutture costruite a centinaia ai monti e al mare.
Tali strutture sorgono in tutto il territorio nazionale: da Massa a Bardonecchia, dal Sestriere alla riviera romagnola, dal Trentino a Ostia, dalla Sila alle coste della Sicilia. Anche in questo caso l’istituzione voluta dal Fascismo interviene al fine di equilibrare la fruizione di un bene, ridimensionando un privilegio ed estendendolo alle fasce deboli e stabilendo il principio che i bambini dei lavoratori hanno gli stessi diritti alla gioia ed alla salute di quelli dei ricchi.
E oggi? Fortuna che abbiamo un don Matteo che favorisce l’opposto di quanto fece il Male Assoluto. Altrimenti che Male Assoluto sarebbe?!
Per chiudere ripropongo una mia precedente domanda: sarebbe stato concepibile un Marchionne al tempo del Male Assoluto? A Voi la risposta!
E’ a disposizione degli studiosi il volume curato dal ricercatore nettunese Pietro Cappellari “Marciare su Roma”. Atti del Convegno di Studi Storici del Comitato Pro 90° Anniversario della Marcia su Roma.
Lo studio presenta al pubblico tutti gli interventi dell’incontro di Perugia del 27-28 Ottobre 2012. Un totale di 582 pagine, 31 interventi, 30 importanti esponenti della cultura nazionale coinvolti in quello che è, a tutt’oggi, il più interessante lavoro sulla Marcia su Roma mai pubblicato, che non solo sfata le falsità della vulgata antifascista, ma riesce a fornire al lettore dati ed interpretazioni nuove su quel fenomeno epocale che fu il fascismo sansepolcrista e l’insurrezione dell’Ottobre 1922.
Il libro coordinato da Pietro Cappellari in qualità di Responsabile culturale del Comitato Pro 90° Anniversario della Marcia su Roma, presenta al lettore un innovativo quadro generale del periodo 1919-1922 accompagnato da approfondimenti regionali specifici affidati a studiosi del territorio di riferimento.
La Marcia su Roma, infatti, non fu quell’atto insurrezionale concretizzatosi nel giro di pochi giorni ma, in realtà, una lunga marcia per la conquista del potere iniziata da Benito Mussolini in quel lontano 23 Marzo 1919 quando, con pochi reduci di guerra e rivoluzionari di sinistra, fondò a Milano i Fasci Italiani di Combattimento.
Il volume passa, quindi, in rassegna il Biennio Rosso, la reazione antisocialista degli squadristi, il “nuovo” fascismo che macina consensi nella società italiana, tra la borghesia, come tra il proletariato. Infine, la sconfitta “sul campo” dei socialisti e la proiezione rivoluzionaria degli squadristi che, nell’Estate-Autunno 1922, si concretizzerà in un progetto eversivo dello Stato liberale e democratico.
Quella che sarà poi chiamata la Rivoluzione fascista sarà una sperimentazione continua di soluzioni innovative che, abbattute le ideologie, pose la costruzione di uno Stato moderno al centro della sua proposta politica. Una proposta politica scaturita tra le trincee della Prima Guerra Mondiale, maturata in oltre tre anni di scontri di piazza in difesa dei valori nazionali contro una classe politica corrotta e incapace e contro l’avanzante marea socialista. Una proposta politica che, passando da Fiume dannunziana, provocò l’insurrezione nazionale e popolare dell’Ottobre 1922 e la successiva costituzione del Regime fascista. Una proposta politica che ebbe nel consenso di gran parte della popolazione italiana la sua più forte arma.
Il tomo contiene sia ricostruzioni storiche degli eventi con preziosi articoli di Franco Morini, Giovanni Bartolone, Carlo Montani, Massimiliano Soldani e Stelvio Dal Piaz, sia analisi politiche su quanto avvenuto affidate alle sapienti penne di studiosi del calibro di Gabriele Adinolfi, Maurizio Rossi e Luca Leonello Rimbotti. Fanno parte della “squadra” giovani neolaureati e diversi ricercatori della Fondazione della RSI – Istituto Storico di Terranuova Bracciolini (AR) che non hanno fatto mancare il loro importante contributo al volume.
Il tomo presenta anche uno studio sui caduti e le vittime dell’insurrezione fascista del 27-31 Ottobre 1922. Per la prima volta è stato possibile conoscere i nomi dei caduti – da una parte e dall’altra – con statistiche ed elaborazioni grafiche curate da Pietro Cappellari che, con una ricerca negli Archivi di Stato e Comunali, nonché con escursioni sui luoghi degli eventi, ha potuto ricostruire nei dettagli cosa avvenne realmente in quei giorni.
Chiude il volume, una carrellata sui monumenti ai Martiri fascisti in Italia affidata all’Architetto Paolo Camaiora, uno dei più importanti studiosi dell’architettura fascista degli anni ’30.
Siamo sicuri che con questa opera si è riscritto un capitolo importante della storia della nostra Nazione e che nessuno studio sulle origini del fascismo potrà fare a meno di quanto contenuto in questo prezioso volume.
Primo Arcovazzi
In uno dei precedenti articoli avevo ricordato che la Rai (per la quale pago un truffaldino canone, ma penso di non pagarlo più) da qualche tempo ha scatenato una nuova offensiva contro il fascismo e il suo capo, avvalendosi di storici, almeno così si presentano sugli schermi (per me sono dei semplici ciarlatani, anche se ben pagati). Con questo articolo desidero presentare il pensiero su quel fenomeno dello scorso secolo di alcuni personaggi. Da dove inizio? E se cominciassi da quello che considero un furbesco falso problema: l’articolo 18? Quanto avrei da scrivere sull’argomento, ma invito i lettori (almeno quelli che hanno un minimo di conoscenza storica) di andare a consultare i contenuti della Carta del Lavoro presentata il 21 aprile 1927, quindi quasi un secolo fa. Con questa Carta Benito Mussolini presentava PER LA PRIMA VOLTA AL MONDO i più equilibrati rapporti fra il lavoratore e il datore di lavoro. Quindi dico: ma che andate a cianciare con l’articolo 18, vera presa per il ci u elle o dei lavoratori (quanno ce vò ce vò!).
Tanta gente del popolo si lamenta che questo sistema ha fallito e che deve essere cambiato. Abbiamo un nuovo sistema che sostituisca questo marciume? Lo Stato Corporativo che se ha bene funzionato allora perché non riproporlo? Perché manca l’Uomo? Certamente un altro Uomo del valore del Male Assoluto nasce raramente, ma, dal mio punto di vista non abbiamo altra soluzione. Dello stesso parere è anche il professore di Scienze Politiche, ebreo, dell’Università di Gerusalemme Zeev Sternhell, il quale con queste parole illustra le caratteristiche dello Stato Corporativo: <Il Fascismo fu una dottrina politica un fenomeno globale, culturale che riuscì a trovare soluzioni originali ad alcune grandi questioni che dominavano i primi anni del secolo(…). Le ragioni dell’attrazione esercitata dal Fascismo su eminenti uomini della cultura europea, molti dei quali trovarono in esso la soluzione dei problemi relativi al destino della civiltà occidentale>. Ė superfluo ricordare che Sternhell si riferiva ai problemi relativi alla crisi congiunturale nata nel 1929, la quale a detta di molti economisti fu più grave di quella che stiamo vivendo. Debbo aggiungere che lo Stato Corporativo era il passaggio obbligato per giungere alla Socializzazione dello Stato, come era nel programma mussoliniano e questo fu uno dei motivi – ripeto UNO dei motivi – per cui i fascismi dovevano essere eliminati, costringendoli alla più grande tragedia che l’umanità abbia mai conosciuto: la Seconda Guerra Mondiale, checché sostengano i quaquaraquà di Rai bufala.
Ed ora vogliamo dare uno sguardo al dramma della disoccupazione? Oggi questo disgraziatissimo Paese con circa 55 milioni di abitanti lamenta una disoccupazione ben sopra i 3 milioni di disoccupati. Con il Male Assoluto al governo, in piena crisi congiunturale e con una popolazione di 45 milioni di abitanti, presentava una disoccupazione di circa 810 mila disoccupati, e siamo nel 1932-33.
E con l’attuale crisetta? C’è un volume, oggi praticamente introvabile, L’Economia Italiana tra le ue Guerra, edito sotto l’alto patronato di Sandro Pertini e composto dal Comitato d‘Onore di Nilde Jotti, Francesco Cossiga, Bettino Craxi ecc. ecc. (non so se mi spiego!!!), dove a pag. 137, possiamo leggere: <L’onda d’urto provocata dal risanamento monetario non colse affatto di sorpresa la compagine governativa (per capirci bene cari “quaquaraquà, quella guidata da Mussolini), con provvedimenti di varia natura, attenuarono, dove possibile i conseguenti effetti negativi soprattutto nel mondo della produzione (…). Permise comunque al nostro Paese di affrontare in condizioni di sanità generale la grande depressione mondiale del 1929 (…)>. Per capirci meglio possiamo ricordare che negli anni fra il ’25 e il ’30, soprattutto grazie alla guida di Antonio Mosconi, i conti nazionali registrarono attivi da primato. Proprio come oggi, vero quaquaraquà di Rai/bufala?
Visto quel che è accaduto a Genova – ma sappiamo bene che l’alluvione della città ligure è solo la punta dell’iceberg – diamo uno sguardino come al tempo del male assoluto venivano affrontate le calamità. Su questo tema debbo fare una breve premessa.
La notte del 23 luglio 1930 uno dei terremoti più devastanti (6,5 Scala Richter) che la nostra storia ricordi colpì vaste aree della Campania, del Sannio, della Lucania e del Subappennino pugliese: all’incirca, cioè, quelle stesse zone colpite dal sisma del novembre 1980 (6° grado Scala Richter).
Dal 2000 ad oggi i cristiani vittime di persecuzioni da parte di regimi islamici e comunisti (soprattutto la Cina) sono stati 160 mila all’anno: una cifra incredibile. Ogni cinque minuti un cristiano viene ucciso a causa della propria Fede. Tutto ciò non può essere accettato, perché costituisce un’offesa non soltanto a Dio, ma alla dignità umana; senza contare che essa rappresenta una serissima minaccia alla sicurezza e alla pace.
Sebbene la Repubblica Popolare Cinese continui a dichiararsi un Paese ateo, in realtà esso conta al suo interno una popolazione religiosa costituita da ben 540 milioni di individui (su un totale di 1 miliardo e 300 milioni di abitanti) dei quali, tuttavia, soltanto 300 milioni dichiarerebbero apertamente la propria fede per non incorrere in discriminazioni da parte dello Stato. Nonostante l’articolo n. 36 della Costituzione consenta a tutti i cittadini di esercitare “libertà di credo”, in questo vasto Paese l’essere professanti costituisce ancora un handicap di non poco conto, un effettivo status di ‘diversità’ che può precludere il beneficio dei più elementari diritti umani. Una situazione dolorosa e paradossale se si considera che a partire dagli anni Novanta in Cina nessuno crede più al mito del comunismo. E mentre il patrimonio culturale del socialismo maoista si sgretola di fronte all’epocale mutazione capitalista di questo immenso Paese, i vertici di Pechino si trovano a dovere fronteggiare – spesso con la violenza – una temuta realtà, fino ad appena un decennio fa totalmente inimmaginabile, cioè la spontanea rinascita tra le masse – disgustate dalla crescente corruzione delle istituzioni e deluse dal tradimento degli impossibili ideali di giustizia sociale predicati per decenni dallo stato materialista – del sentimento religioso. Quello che oggi reclamano milioni di giovani cinesi, soprattutto giovani, assetati non soltanto di facile e aleatorio benessere materiale, ma anche di dignità e autentica giustizia.
Alberto Rosselli è un giornalista e saggista storico che ha collaborato e collabora da tempo con numerosi quotidiani italiani ed esteri e con svariati siti internet tematici di storia, etnologia, storia militare e diplomatica e geopolitica. Rosselli ha al suo attivo alcune opere di narrativa e diversi saggi tra cui Québec 1759, Il Conflitto anglo-francese in Nord America 1756-1763 (tradotto anche in lingua inglese), Il Tramonto della Mezzaluna – L’Impero Ottomano nella Prima Guerra Mondiale, La resistenza antisovietica in Europa Orientale 1944-1956, L’Ultima Colonia – la guerra coloniale in Africa Orientale Tedesca 1914 – 1918; Il Ventennio in Celluloide (in collaborazione con Bruno Pampaloni); Sulla Turchia e l’Europa; L’Olocausto armeno; Storie Segrete della Seconda Guerra Mondiale; Il Movimento panturanico e la ‘Grande Turchia’ e La persecuzione dei cattolici nella Spagna repubblicana 1931-1939, La persecuzione dei cristiani in Cina, La Guerra Civile in Cina 1927-1949, La Guerra Civile Greca 1944-1949, L’America che non fu; L’aviazione Ottomana durante la Prima Guerra Mondiale; Nei cieli e sugli Oceani (storie di aviatori e marinai italiani); L’epopea dei convogli e la guerra nel Mare del Nord (in collaborazione con Gabriele Faggioni); Le operazioni aeronavali nel Mar Ligure 1940-1945 (in collaborazione con Gabriele Faggioni).Attualmente Alberto Rosselli è Direttore responsabile della Rivista bimestrale Storia Verità (www.storiaverita.org).
Martina Mussolini, V Capo dell’Ordine dell’Aquila Romana, ha riconosciuto a Leone Mazzeo il privilegio araldico del Capo del Littorio. Primo nell’ordine di concessione.
Il Capo del Littorio è un privilegio araldico istituito con Regio Decreto Legge n. 1440 il 12 Ottobre 1933. Prevede che lo stemma araldico di riferimento sia modificato con l’aggiunta di un “capo” raffigurante un fascio littorio d’oro circondato da due rami di quercia e d’alloro, annodati da un nastro dai colori nazionali, il tutto su sfondo rosso (porpora).
Di norma concesso alle Province, ai Comuni, alle Congregazioni di carità e agli Enti parastatali del Regno d’Italia, venne concesso anche ad altri enti riconosciuti e a privati che, per servizi eminenti resi alla Patria ed al Re, ne fossero stati giudicati meritevoli. La concessione era disposta con Decreto Reale, su proposta di S.E. Benito Mussolini nella sua qualità di Capo del Governo, Primo Ministro Segretario di Stato, udito il Commissario del Re presso la Consulta araldica.
Il Capo del Littorio – dal simbolo araldico degli enti statali e parastatali – venne, poi, abrogato nel Regno d’Italia dal Luogotenente Umberto di Savoia, col Decreto Luogotenenziale n. 394 del 10 Dicembre 1944, rimanendo in vigore nel solo territorio della Repubblica Sociale Italiana.
L’Ordine dell’Aquila Romana, soggetto di diritto internazionale, nel 70° anniversario della sua fondazione (2 Marzo 1944-XXII), confermando gli ideali repubblicani d’ispirazione, ha rinnovato l’uso del Capo del Littorio disciplinandone l’uso e riconoscendone l’attribuzione a coloro che, membri dell’Ordine, si siano particolarmente distinti nell’opere e nei servizi resi alla Patria durante la loro vita.
Il primo decreto di concessione è stato riservato a uno dei più alti dignitari dell’Ordine dell’Aquila Romana: Leone Mazzeo-Gambarelli e ai suoi legittimi eredi. La famiglia Mazzeo, infatti, ha servito la Patria da generazioni, distinguendosi nel sacrificio silenzioso in nome di alti ideali nazionali.
Il nonno fu combattente in Libia (1911-1912), partecipò alla Grande guerra (1915-1918), alla
Marcia su Roma con le unità di Cavalleria di Giuseppe Caradonna e, nel Ventennio, fu Podestà. Durante l’occupazione angloamericana della nostra Nazione fu imprigionato nel Campo di concentramento “371 P.W. Camp” di Padula.
Il padre fu tre volte Volontario di Guerra: in Africa Orientale (1935-36), in
Africa settentrionale (1940-42) e nella R.S.I. (1943-45). Per la sua qualifica di combattente volontario credente nei destini della Patria fu anche condannato a morte da un improvvisato Comitato di Liberazione Nazionale. Nel dopoguerra, rivestì la carica di Segretario Provinciale dell’Unione Nazionale Combattenti della RSI.
La madre, invece, fu Ausiliaria della Brigata Nera “Cortesi” di Bergamo e, nel dopoguerra, fu
tenuta prigioniera nel Carcere di S. Agata di Bergamo, fino a Marzo del 1947, con l’accusa di aver “troppo amato” la Patria.
Leone Mazzeo-Gambarelli non è stato di certo meno valoroso dei sui ascendenti, tanto che il suo impegno pubblico, in Italia come all’estero, in difesa dei valori della Tradizione e della Patria non si può certamente riassumere in poche righe. Così come numerosi sono stati i riconoscimenti nazionali ed internazionali “conquistati sul campo”.
Sebbene la “dittatura anagrafica” gli ha imposto solo il privilegio di vestire i panni di Figlio della Lupa, già nel 1956 Leone Mazzeo era Segretario provinciale giovanile del Movimento Sociale Italiano e, successivamente, Presidente provinciale della Giovane Italia. Nel 1958 la sua adesione al Centro Studi “Ordine Nuovo” come attivo militante, tanto da essere investito, già nel 1960, della Presidenza provinciale.
La militanza con Ordine Nuovo si interruppe tra il 1964 e il 1966 quando fu Volontario e combattente anti-comunista in Africa equatoriale (Congo belga), con la
Brigata “Vanderwalle”, dapprima con il grado di Luitenant (Tenente) ed in seguito, per atti di valore sul campo, Kapitein (Capitano).
Tornato in Italia, nel 1969 sarà con Lello Graziani, Roberto Besutti ed Elio Massagrande tra i fondatori del Movimento Politico “Ordine Nuovo”. La sua militanza in questo movimento sarà il motivo scatenante del ciclone giudiziario che, fin dal 1973 lo vedrà coinvolto per lunghi anni, fino alla sua completa riabilitazione morale.
Più recentemente, Leone Mazzeo si è distinto per l’opera profusa nell’Ordine dell’Aquila Romana di cui è uno dei più importanti esponenti, conosciuto e stimato anche all’estero.
Una nuova politica economica per un ruolo in politica estera
Questo numero del bollettino CESI è interamente dedicato ad approfondire i contenuti di quella che in Italia ed in Europa è, in questa fase storica, la mancanza di una coerente politica economica, in grado di superare l’attuale crisi del continente e a creare i presupposti per il suo futuro sviluppo. Non c’è dubbio che vi sia, come al solito nella storia, un forte naturale collegamento tra la debolezza nel governo del sistema economico e la mancanza di una autorevole politica estera. La questione apparirà sempre più cruciale nell’immediato futuro in relazione alla evoluzione della crisi ucraino-russa, di quella siriana-irachena e del caos che attanaglia in Libia sia la Tripolitania che la Cirenaica. Quest’ultime aree particolarmente importanti per l’Italia.
L’Europa avrebbe potenzialmente, in sé stessa, la capacità di essere un forte motore economico nei confronti dello sviluppo civile, sociale ed economico delle aree che vanno dal Medio Oriente a tutta l’Africa. A tal fine si rende perciò necessaria che essa riprenda la sua autonomia in politica estera nei confronti di quegli Stati Uniti che sono in evidente preda ad incertezze rispetto al ruolo che avevano assunto nel mondo dopo la Seconda guerra mondiale.
Di qui si rende necessaria una revisione del rapporto tra UE e NATO. Tuttavia il potenziale economico per riacquistare autonomia, sia nelle scelte che nell’azione equilibratrice nei confronti della Russia e del mondo arabo-islamico deve essere raggiunto puntando sull’economia reale e non su quella finanziaria.
Il concetto stesso di “economia reale”va approfondito perché tale termine nel XXI secolo deve far riferimento a due elementi irreversibili: l’accelerata e continua trasformazione delle tecniche innovative riguardanti i processi produttivi e i nuovi prodotti e la forte mobilità mondiale di persone, merci e capitali.
Il CESI, dopo aver denunciato nel numero precedente de Il Sestante la mancanza di una vera politica economica, in questo numero completa l’analisi con i tre interventi che sono qui sotto indicati nel sommario. Naturalmente è implicito in questi studi l’invito ad una ripresa politica unitaria, identitaria ed autonoma di quanti, avendo alle spalle presupposti dottrinari ed esperienze valide per il futuro, possono essere in grado, se lo vogliono, di costruire un nuovo originale progetto politico ed indicare adeguate strategie risolutorie per l’Italia e per l’Europa. (g.r.)
SOMMARIO
- Contro i danni del sistema politico vigente solo proposte contraddittorie di chi governa
E’ l’ora della coerenza da parte di una opposizione di alternativa. di Gaetano Rasi
- Il “modello tedesco”
Quando “flessibilita’” e “codecisione” vanno insieme. di Mario Bozzi Sentieri
- Non è sufficiente finanziare il sistema bancario per superare la crisi
Lo shock targato BCE. Quali gli effetti sull’economia reale? di Enea Franza
SOMMARIO
1° – Non sono quelli monetari e fiscali gli strumenti prioritari per superare
la crisi economica.
2° – Programmazione, partecipazione e innovazione.
3° – I compiti di uno Stato moderno nel sistema economico: costanti
investimenti nelle grandi infrastrutture.
4° – Il governo della moneta non può essere lasciato ad un’authority
indipendente, né al solo circuito bancario-finanziario.
5° – Per vincere la deflazione:aver coscienza dell’aumento delle “utilità”
economiche oggetto della domanda e dell’offerta.
6° – Realizzare la co-sovranità italiana sull’euro. Necessario un piano
quinquennale di investimenti infrastrutturali per 1000 miliardi.
Alcuni lettori ricorderanno la mia risposta ad un malato di antifascismo pubblicata in uno dei numeri precedenti de Il Popolo d’Italia, nella quale avevo preannunciato un elenco parzialissimo del male che fece Benito Mussolini al popolo italiano.
Ripeto ancora una volta che di economia ne capisco poco, ma quel poco mi induce a ritenere che la soluzione dei mali che attualmente ci rendono la vita impossibile, ebbene – e lo ripeto – la soluzione, o almeno una soluzione parziale si trova nel periodo del male assoluto (che sempre sia benedetto). Nonché un’altra soluzione, anch’essa almeno parziale, della disoccupazione si trova anch’essa sempre nel mai sufficientemente deprecato Ventennio (che sempre e ancora sia benedetto), con l’anarchia, cioè bastare a se stessi, promuovendo, esaltando e incoraggiando il lavoro italiano.
Sia chiaro un principio: quel che faccio e quel che scrivo sull’ argomento non è per nostalgia (pur avendo vissuto “uno spicchio” di un periodo esaltante e irripetibile), ma per contribuire alla giusta rivalutazione di un grande uomo quale fu Benito Mussolini.
In occasione delle Ferie di Augusto e delle tradizionali manifestazioni preconciliari per l’Assunzione della Santa Vergine Maria al Cielo, il Reparto A.N.A.I. “Pierino Maruffa” di Nettunia, con il contributo della locale Pro Loco, ha provveduto al consueto restauro conservativo del Monumento ai Caduti di Vindoli di Leonessa (Rieti).
Il manufatto riporta i nomi di sei vindolesi caduti per la grandezza d’Italia nella Prima Guerra Mondiale e il nome di un disperso della Seconda, Paolo Teodoli, sacrificatosi nella Crociata contro il bolscevismo in terra di Russia.
La meritoria iniziativa ha assunto un valore simbolico molto importante in vista delle celebrazioni del 100° anniversario dell’entrata in guerra del Regno d’Italia. Il Primo conflitto mondiale, infatti, oltre ad assicurare la libertà e l’indipendenza della nostra Patria col raggiungimento delle sue frontiere naturali (Brennero e Montenevoso), rappresentò – soprattutto – l’atto di nascita della nostra Nazione come Stato cosciente di una propria missione e di un primato da esercitare nel mondo.
Un’iniziativa che serve soprattutto per combattere il pacifismo da parrocchia che sta asfissiando le cerimonie per il 100° anniversario della Grande Guerra, umiliando il sacrificio degli Italiani e gli stessi eroi delle nostre Forze Armate, oggi ridotte a una sorta di incrocio tra protezione civile missionaria e Croce Rossa in gonnella.
L’A.N.A.I., invece, con le sue manifestazioni intende ricordare insieme alle tradizioni guerriere del popolo italiano, l’epopea dei Reparti d’Assalto come simbolo e modello di ogni vero Esercito.
Al termine della manifestazione, sono state distribuite le onorificenze dell’Ordine dell’Aquila Romana ai camerati dell’Altopiano leonessano che si sono distinti con il loro fattivo supporto al Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti.
Primo Arcovazzi
Se ne è andato così come aveva vissuto, in silenzio. Una vita particolare quella di Ferdinando Gandini, residente da anni ad Anzio (Roma). A guardarlo somigliava a un nonno come tanti, ma la sua vita custodiva un’esperienza straordinaria. Come tutti i nostri nonni aveva combattuto per la grandezza dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, ma la sua storia aveva qualcosa di diverso da raccontare. Gandini la storia, quella con la “s” maiuscola, l’aveva cominciata a scrivere quando era riuscito ad arruolarsi volontario, a soli sedici anni, nei Battaglioni M della Milizia fascista, i più valorosi reparti delle Regie Forze Armate impegnati nel Secondo conflitto mondiale. Con loro aveva combattuto una guerra senza tregua in Albania, rimanendo anche ferito in combattimento, fino al dramma dell’8 Settembre, il vergognoso tradimento monarchico, la firma della resa senza condizioni e il conseguente passaggio al nemico. Per un ragazzo come Gandini, educato ai valori del Risorgimento e all’amor di Patria, la scelta era già scritta. Mentre tutti i soldati italiani scappavano, scelse di continuare a combattere e si aggregò al primo reparto tedesco di passaggio. La sorte volle che si trattasse della Divisione SS Leibstandarte “Adolf Hitler”. Inquadrato in questo reparto d’èlite, tra i migliori dell’Esercito germanico, combatté per la libertà d’Europa contro gli invasori angloamericani in Normandia e, successivamente, contro la barbarie sovietica che si apprestava ad inghiottire nel terrore e nella misera la radiosa Ungheria. Sopravvissuto all’immane conflitto, non rinnegò mai i suoi ideali e, cittadino esemplare, si dedicò alla famiglia e al lavoro. Il 21 di Agosto si è spento serenamente, circondato dall’affetto dei suoi cari e dei suoi camerati. Sulla sua avventurosa vita di combattente europeo Francesco Paolo D’Aura ha anche scritto un libro di successo, Einer von Millionen, edito dalla Mursia. Un libro che ha fatto conoscere alle giovani generazioni il valore del combattente italiano, spronandole ad amare la Patria seguendo l’esempio del volontarismo di guerra espresso in tutti i secoli dagli Italiani. Messaggi di cordoglio sono giunti dall’Associazione Nazionale Arditi d’Italia e dall’Ordine dell’Aquila Romana che presenzieranno con delegazioni ufficiali alle esequie, tributando al combattente Ferdinando Gandini i solenni onori militari.
Primo Arcovazzi
Archivio: http://www.archiviostorico.info/libri-e-riviste/5273-einer-von-millionen