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Non uomini politici, ma sensali da mercato paesano
L’inasprimento e l’improvviso blocco della trattative riguardanti la rimodulazione del debito greco e l’indizione di un referendum per demandare al popolo ellenico la decisione se accettare o meno le condizioni poste dalla UE ci obbligano ad effettuare in questo numero le necessarie riflessioni sull’argomento e quindi a rimandare al numero successivo de Il Sestante la promessa trattazione della, pure incombente e più pericolosa, questione relativa al contrasto con la Russia e alle rischiose iniziative “muscolari” degli USA e della NATO.
Pubblichiamo quindi in questo numero due analisi sui riflessi che comunque il caso greco produce sull’Europa. Una, riguardante la miopia di uomini politici che ragionano come modesti contabili di una piccola impresa di periferia, ed un’altra analisi effettuata da una economista di spicco, di origine italiana, la prof. Marianna Mazzucato dell’Università del Sussex che accusa con chiari argomenti l’Europa di oggi di sbagliare regolarmente le diagnosi come dimostra proprio il caso greco. (g.r.)

SOMMARIO

- Comunque vada a finire è l’attuale idea di Europa che va ridiscussa. Non uomini politici europei, ma sensali da mercato paesano di Gaetano Rasi

- L’acuta ed indipendente analisi di una economista di fama che ha “capito tutto” . Quando l’errore è nella diagnosi di Marianna Mazzucato

- RUBRICHE. “I Libri del Sestante”. Rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri. “La Biblioteca”. I libri scritti da soci del CESI. “Pubblicazioni del Cesi”. I volumi della Collana Documenti e le raccolte del bollettino Il Sestante.

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Assenteismo elettorale e problematiche incombenti
In questo numero pubblichiamo una nota del Presidente Giancarlo Gabbianelli sul significato dell’assenteismo elettorale verificatosi nel corso delle ultime elezioni amministrative. Inoltre in una analisi compiuta da Gaetano Rasi viene posto in evidenza l’illusorietà dei dati mensili che non indicano affatto, come il Governo vuol far credere, che sia iniziata la ripresa della crescita. A tutto questo si aggiunge il continuo abuso del termine “riforme” che viene usato nella gestione politica del Governo; sull’argomento Mario Bozzi Sentieri richiama l’attenzione su uno dei gravi problemi che necessitano un’urgente soluzione in sede di radicale revisione costituzionale e non di semplice legislazione ordinaria: quello della dannosità, sia dal punto di vista funzionale che dal punto di vista dei costi, dell’ente regione.
Mentre la crisi politica continua ad investire l’Europa, e quindi anche l’Italia, crisi politica aggravata da quella economica importata dagli USA nel 2008, nuove gravi problematiche incombono. Pertanto preannunciamo fin da ora che il prossimo numero de Il Sestante tratterà in particolare degli effetti sull’Italia, oltre che su tutta l’Europa, del contrasto artificialmente acuito con la Russia. Si parlerà inoltre dell’importante recente enciclica di Papa Francesco “Laudato sì”, che affronta, insieme con i problemi del degrado del pianeta, le gravi responsabilità della degenerazione predatoria capitalistico-finanziaria. Senza una radicale presa di coscienza ed una vera rivoluzione culturale, saranno procurati ulteriori gravissimi dissesti economici e globali arretramenti civili.

SOMMARIO

- Riflessioni sulla causa dell’assenteismo elettorale. Ogni cittadino deve poter partecipare alla ricostruzione dello Stato di Giancarlo Gabbianelli

- Illusorio trarre dai tenui dati mensili che è avviata la ripresa della crescita in Italia. Necessità di una politica economica capace di produrre redditi diffusi per uscire dalla crisi di Gaetano Rasi

- Abolirle o riformarle? Le regioni costano e non contano di Mario Bozzi Sentieri

- RUBRICHE. “Segnalazioni”. A proposito di una Europa che non è ancora una vera entità statale. L’Unione Europea sa dire solo no di Giulio Tremonti. “I Libri del Sestante”. Rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri. “La Biblioteca”. Gaetano Rasi, Tutto è cambiato con la prima guerra mondiale. Società ed economia dal 1915 al 1922. Tabula Fati, Chieti 2015; Mario Bozzi Sentieri, Filippo Corridoni. Sindacalismo e Interventismo. Patria e Lavoro, Pagine, Roma 2015; Gaetano Rasi, Storia del progetto politico alternativo. Dal Msi ad An (1946-2009). Opera in tre volumi. I volume: La costruzione dell’identità (1946-1969), Solfanelli, Chieti 2015. “Pubblicazioni del CESI” – Volumi della Collana Documenti e Raccolte bollettino Il Sestante.

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San Miniato, in provincia di Pisa, è stato per mezzo secolo un tempio dell’antifascismo, quei mausolei “naturali” che, per essere stati oggetto di una strage tedesca durante la Seconda Guerra Mondiale, si sono prestati alla speculazione dei partiti dell’arco costituzionale ed essere, di conseguenza, elevati a fabbriche di odio antifascista permanente. Quei luoghi sacri agli istituti della Resistenza (immaginaria) e alle associazioni dei partigiani (del dopo la guerra, ovviamente), davanti ai quali, a scadenze prestabilite, si riuniscono obbligatoriamente tutti gli studenti del circondario per ascoltare il verbo dei politici di professione, tutti uniti a tramandare, di generazione in generazione, l’odio contro i nazisti e i fascisti. Anche i fratelli Taviani si sono sentiti in dovere di contribuire alla diffusione della “buona novella” con un famoso lungometraggio sulla strage “nazista” di San Miniato, La notte di San Lorenzo (1982): tutto l’apparato della Repubblica Italiana, dalla destra nazionale alla sinistra extra-parlamentare, aveva offerto il suo “agnello sacrificale” – ricevendo ovviamente in cambio alti riconoscimenti economici e politici – al mito della “liberazione”.

Ma il crollo del muro di Berlino, la scomparsa del comunismo, ha provocato la frana di tanti miti resistenziali, seppelliti dal peso della loro stessa menzogna. E così, a San Miniato, quel mormorio “fascista” che strisciava per le vie del paese si è fatto sempre più forte, fino ad esplodere con effetti drammatici. E allora, anche chi per decenni aveva – dietro congruo compenso – diffuso odio in nome dell’antifascismo di professione, ha dovuto ammettere che a San Miniato c’era stato un piccolo errore di valutazione. Sì, quel giorno, ad uccidere quei poveri innocenti – di cui nessuno, tra l’latro, si era mai interessato, se non per sfruttarne la morte sull’altare dell’antifascismo – non erano stati i Germanici, ma gli Statunitensi. Ma perché indignarsi tanto? Il “male assoluto” era pur sempre il “male assoluto”, una piccola bugia a fin di bene era sempre preferibile… alla verità.

Il lettore si domanderà cosa c’entra San Miniato con la provincia di Rieti. Ebbene, sembra che anche questa provincia italiana, un tempo della Repubblica Sociale Italiana, abbia la sua piccola San Miniato “irredenta”, dove una strage compiuta dai Britannici è da sempre stata attribuita ai Germanici, per poterne sfruttare l’orrore in nome dell’odio e dell’unità antifascista.

Quel 10 Giugno 1944, mentre le truppe dell’Impero inglese avanzavano lungo la Salaria, senza per altro incontrare resistenza, Poggio Mirteto viveva l’ansia dei “grandi giorni”. I fascisti e il grosso delle unità tedesche avevano lasciato la provincia di Rieti da alcuni giorni, in tutta tranquillità, senza essere disturbati da nessuno. Di partigiani neppure l’ombra, solo qualche mitragliamento aereo anglo-americano aveva impensierito la lunga marcia verso il Nord, dove si sarebbe continuata la battaglia per la libertà e l’onore d’Italia. Quel 10 Giugno, solo alcuni piccoli reparti germanici rimanevano in zona, per gli ultimi preparativi. Contro queste unità si accanì l’aviazione anglo-americana e le artiglierie britanniche, intenzionate a radere al suolo qualsiasi cosa si frapponesse alle truppe in marcia, fossero semplici casali di campagna, fossero piccoli paesi di montagna. E prima dell’arrivo delle truppe, un’ultima azione di “bonifica” a suon di mortai. Nessun combattimento a viso aperto si voleva coi Germanici. Difficile sconfiggerli solo con i Fanti, anche se in rapporto di uno a dieci. E così, alla vista di Poggio Mirteto, importante centro reatino, dotato fino a qualche giorno prima anche di un forte ed efficiente Presidio della Guardia Nazionale Repubblicana, gli Inglesi – nel timore fossero presenti ancora unità nemiche – decisero di  “spazzolarlo” con i mortai, prima dell’entrata delle truppe. La sorte volle che diversi paesani stessero saccheggiando un magazzino viveri quando avvenne l’attacco contro i nemici immaginari: e fu strage. Un eccidio che fu un trauma per tutti coloro che credevano fosse finalmente finita la guerra e le sofferenze. Una beffa mostruosa che pregiudicava anche la mitologia della “liberazione”: come far diventare un crimine di guerra commesso dai “liberatori” in una festa politica? Il trauma psicologico e le necessità politiche imposero la rimozione della realtà storica e quella che era solo una delle tanti stragi dei “liberatori di schiavi”, divenne come per magia, un eccidio “nazi-fascista”, con tanto di lapide ricordo, con tanto di manifestazioni di cordoglio, con tanto di scolaresche schierate a sentire i sermoni dei Professoroni antifascisti (pagati con i soldi dello Stato, ovviamente).

«A 70 anni da questo drammatico evento di sangue – ha dichiarato il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti – c’è chi ancora tenta di speculare politicamente parlando di una “strage tedesca”. Le risultanze storiche, la logica, un’analisi indipendente priva della distorsione ideologica dei fatti in questione, però, pone seri dubbi su questa etichetta. Siamo dell’avviso che i soli responsabili del massacro di Poggio Mirteto siano i Britannici che, come al solito, preferirono aprirsi la strada con l’aviazione, le artiglierie e i mortai, nel costante timore di dover affrontare a viso aperto i reparti germanici sul campo di battaglia. Abbiamo chiesto al Sindaco di modificare la lapide politica che nella piazza centrale del paese ricorda il drammatico evento attribuendolo ai Tedeschi. Volevamo organizzare insieme una manifestazione in ricordo delle vittime di quel crimine di guerra, senza più speculazioni politiche, in modo che – finalmente – si potesse rendere un omaggio disinteressato ai dimenticati di quel giorno, “liberarli” dalla falsità e rendere loro giustizia. Dalla risposta avremmo espresso un giudizio morale nei suoi confronti. Il lungo silenzio faccia esprimere questo giudizio all’intera cittadinanza».

 

Leonessa, 8 Giugno 2014

 

Claudio Cantelmo

Ufficio Stampa

Comitato Pro 70° Anniversario

della RSI in Provincia di Rieti

Il significato partecipativo del moderno impegno femminile
Questo numero si apre con un’articolata riflessione di Marina Vuoli Buontempo, una delle ultime allieve di Ugo Spirito e che, a un’intensa vita di famiglia, ha abbinato costantemente una feconda continuità di studi. Prendendo occasione da un appuntamento prevalentemente femminile, avvenuto recentemente in Campania, tratta in quattro punti i problemi che emergono nella società contemporanea e in particolare in Italia e in Europa. Le denuncie riguardano il difetto di rappresentanza, la crisi culturale, l’impegno per le donne di lanciare un messaggio di corale responsabilità, la necessità di partecipazione sociale nell’impresa. Lo scritto di Vuoli Buontempo conclude sottolineando che bisogna ricuperare il concetto di nazione, insieme italiana ed europea, che – come diceva Renan – è «quel plebiscito che si tiene tutti i giorni».
Mario Bozzi Sentieri tratta con la consueta acutezza la questione relativa a un nuovo ruolo che deve assumere il sindacato prendendo occasione dalla sua crisi riguardante gli scopi e le finalità che lo rendono sempre più un ente piatto e burocratico. Bozzi Sentieri pone chiare le domande circa il ruolo del sindacalismo nel terzo millennio e sostiene che tale ruolo non può derivare altro che da una visione della società che lo stesso sindacato deve proporre.
In questi giorni, nell’ambito del Centenario della Prima guerra mondiale, nella Camera dei Deputati ben 59 parlamentari del PD, con la complicità del Presidente della Commissione Difesa espresso da Forza Italia, hanno presentato addirittura un disegno di legge per la riabilitazione di quanti, nei momenti più difficili di quell’immane conflitto, hanno subito drastica esecuzione con l’accusa di viltà di fronte al nemico. Le considerazioni che svolge al riguardo Vincenzo Pacifici sottolineano la vergognosa speculazione e la vigliaccheria antipatriottica.
Tra le consuete rubriche va segnalata una lettera di Lorenzo Puccinelli Sannini che invita alla verità storica circa l’origine del regime attuale, il quale deriva da una sconfitta e da quanti su essa hanno speculato. Il numero del Sestante è arricchito da segnalazioni librarie di grande attualità e di meritoria iniziativa come quella di Romano Nicolini riguardante l’assoluta essenzialità della conoscenza della lingua latina proprio per avere una moderna cultura adeguata alle specializzazioni richieste dai nuovi tempi. (g.r.)

SOMMARIO

- Etica, partecipazione, famiglia e responsabilità sociale dell’individuo. Le ragioni di un impegno: ieri, oggi e domani di Marina Vuoli Buontempo

- Una discussione da fare. Sui sindacati Renzi ha ragione? di Mario Bozzi Sentieri

- Lo strano modo di “celebrare”il Centenario della Prima guerra mondiale. Iniziativa antipatriottica e speculazione vergognosa di Vincenzo Pacifici

- Rubriche: Lettere al Sestante. La storia con la “S” maiuscola di Lorenzo Puccinelli Sannini e risposta di Gaetano Rasi. Segnalazioni: Associazione “Pro latinitate”. I Libri del “Sestante”. Rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri. Segnalazioni Librarie.

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Il Centenario della Prima guerra mondiale
In occasione del Centenario dell’inizio della Quarta guerra d’Indipendenza e Prima guerra mondiale, il CESI ritiene importante mettere a fuoco in maniera adeguata il significato fondante di quell’evento storico. E ciò non solo per essere consonanti con la verità storica, ma anche per impegnare consapevolmente tutti gli italiani a riflettere su gli effetti prodotti dalla guerra che hanno profondamente inciso, modificandola, la coscienza del nostro Paese.
Il futuro di una nazione, come è noto, non solo è frutto del presente, ma anche di alcune costanti e in ogni caso degli eventi del passato. Trascurare questi fatti significa seguitare in una serie di crisi nelle quali le diverse classi dirigenti non sono in grado di orientarsi e tanto meno di trovare soluzioni.
Pertanto pubblichiamo un’analisi relativa agli effetti sociologici conseguenti al compimento dell’Unità nazionale sia dal punto di vista territoriale che di quello delle consapevolezze maturate dagli italiani residenti nelle varie regioni del Paese. Inoltre riteniamo utile richiamare l’attenzione su come drammatici eventi, che pur costarono tanti sacrifici, determinarono anche la formazione di una nuova classe dirigente nazionale riguardante le pubbliche responsabilità istituzionali e le competenze tecnico-dirigenziali in campo economico e sociale.
Questo numero è arricchito dalla rubrica “Segnalazioni librarie” che riporta l’illustrazione di due recentissimi opere pubblicate da esponenti del CESI.
Anzitutto, per gentile concessione dell’editore, riportiamo la Premessa del nuovo libro di Mario Bozzi Sentieri “Filippo Corridoni. Sindacalismo e interventismo. Patria e lavoro”.
Inoltre, sempre a proposito del centenario della Prima guerra mondiale, pubblichiamo l’Introduzione al volume di Gaetano Rasi “Tutto è cambiato con la Prima guerra mondiale. Società ed economia dal 1915 al 1922”.

SOMMARIO

- 1915-1918: si è compiuta l’unità degli italiani. Dalla Prima guerra mondiale è nata una nuova classe dirigente di Gaetano Rasi

- “Segnalazioni librare”: Mario Bozzi Sentieri, Premessa a “Filippo Corridoni. Sindacalismo e interventismo. Patria e lavoro”; Gaetano Rasi, Introduzione a“Tutto è cambiato con la Prima guerra mondiale. Società ed economia dal 1915 al 1922”.

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L’Italia in crisi sistemica e le incombenti vicende internazionali
Il panorama che presenta la scena politica italiana in queste ultime settimane pone in evidenza un’accelerazione della sua crisi sistemica che si aggiunge a un quadro internazionale sempre più complicato: dalle tensioni americano-russe che tendono a coinvolgere l’Europa in contrasto con i propri interessi all’acuirsi nel vicino Oriente delle lotte interne nell’islamismo tra sciiti e sunniti; dalla continua espansione dell’ideologia politico-religiosa dell’Islam al dilatarsi dei fenomeni migratori tra l’Africa e l’Europa mediterranea e alle analoghe vicende che interessano le terre del Sud-est asiatico.
Questo quadro internazionale richiede sempre di più – da parte dei mezzi di informazione italiana e soprattutto da parte di quelli che effettuano analisi e dovrebbero indicare orientamenti e comportamenti – un’attenzione continua al fine di creare i presupposti non solo per una autentica politica estera europea, ma anche per una più impegnata partecipazione decisionale dell’Italia ad essa. Il CESI dovrà particolarmente impegnarsi nei prossimi mesi su questi problemi mondiali.
Intanto il numero attuale de Il Sestante affronta alcuni precedenti storici nazionali a carattere socio-sindacale e politico-istituzionale considerandoli importanti per le valutazioni che debbono essere conformi alla verità dei fatti. Bisogna tenere sempre presente che le forzature nelle analogie che sembrano simili, sono altrettanto pericolose quanto quelle relative ad una radicale diversità interpretativa delle vicende che sembrano differenti. In altre parole è necessario avere il senso del cambiamento e dei relativi diversi comportamenti pur mantenendo fermi principi e valori che comunque non possono sempre avere le stesse modalità esplicative. (g.r.)

SOMMARIO

- Nel 65° anniversario della Cisnal, oggi Ugl. Sindacalismo nazionale e nuova sovranità italiana nell’Europa unita. Sommario: 1° – Attualità del sindacalismo nazionale. 2° – Gli organismi internazionali condizionanti lo sviluppo dell’Italia. 3° – La finalità degenerativa cui pervengono gli enti del “finanzialcapitalismo”. 4° – L’Ugl aveva previsto e denunciato la “globalizzazione anarchica”. 5° – I nuovi compiti del sindacalismo: battersi per una moderna socialità nazionale nell’Europa unita.

- Le forzature storiografiche non giovano alla radicale modifica dell’attuale sistema politico. L’impossibile analogia della crisi italiana odierna con le vicende postrisorgimentali di Vincenzo Pacifici

- Il problema epocale della migrazione dei disperati. L’Europa non è ancora all’altezza dei suoi compiti storici di Innocenzo Cruciani

- “I Libri del Sestante”. Rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri

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da ilprimatonazionale.it

Roma, 9 mag – Questo 8 maggio – giorno della resa della Germania – cade il 70esimo anniversario di quella che è stata definita la “Finis Europae”: fine non solo della Germania, dell’Italia e delle nazioni loro alleate, ma anche del potere globale delle “vincitrici” Francia e Inghilterra, rapidamente eclissato negli anni seguenti da USA e URSS.

Fine evidente più che mai in questi mesi, con una “Unione Europea” completamente divisa in ogni campo e una Russia sempre più isolata, e che festeggerà il suo anniversario della fine della Grande Guerra Patriottica il 9 maggio boicottata da quasi tutte le nazioni occidentali, con presenti invece Cina, Cuba e una schiera di nazioni in via di sviluppo, parterre che ci sembra far tornare all’apice della Guerra Fredda.

Ma tornando a settanta anni fa, non tutti deposero le armi alla fine ufficiale delle ostilità.

Iniziamo con l’Italia: se il 25 aprile 1945, giorno dell’Insurrezione proclamata dal CLN, viene comunemente usato come data della fine della guerra in Italia, e il 28 aprile Mussolini viene assassinato a Giulino, sono decine le unità della RSI che continuarono a combattere contro partigiani e Alleati.

Ricordiamo infatti i reparti della Divisione Decima schierati sul “Fronte Sud”, tra il Senio e Comacchio, sul settore orientale della Linea Gotica: i Battaglioni Lupo, Barbarigo, Freccia e gli artiglieri del Colleoni, infatti, ripiegarono combattendo ben oltre il 25 aprile contro inglesi, partigiani e badogliani del “Cremona”, marciando verso nord per cercare di rischierarsi sul confine orientale contro l’avanzante IX Korpus di Tito, passando il Po con mezzi di fortuna; e sulla riva nord di questo fiume combattevano gli adolescenti delle Fiamme Bianche, assegnati come artiglieri ai pezzi Flak da 88 mm capitanati da veterani tedeschi alla Divisione Etna della GNR. Testimonianza d’archivio del coraggio di questi “ragazzi del 99” del Fascismo, un rapporto post operazione dell’esercito americano citerà che “l’attraversamento del Po fu ostacolato dal tiro preciso di 88”: erano quei ragazzini ai loro cannoni, che li caricavano e sparavano tra la pioggia di granate e bombe al fosforo dei cacciabombardieri nemici. Nonostante i loro sforzi, la strada dei marò della Decima fu tagliata dai reparti corazzati nemici, costringendoli ad accettare la resa con l’onore delle armi presso Padova il 29 aprile 1945.

Nel settore occidentale e centrale della Linea Gotica ripiegarono combattendo aliquote della Monterosa e della Italia dalla Garfagnana e della San Marco dall’Abetone, assieme a unità bersaglieri e altri reparti dell’Esercito Nazionale Repubblicano e della GNR, e i giovanissimi Arditi del Battaglione Forlì, aggregati alla 278. Infanterie-Division e ritenuti dal Generale comandante, il prussiano Harry Hoppe, tra i suoi soldati migliori. Anche per essi, la fine della guerra fu il 29 aprile, vicino a Rovigo, dopo un durissimo combattimento di ripiegamento contro l’enorme superiorità terrestre e aerea Alleata.

A Piacenza, si svolse invece l’ultimo combattimento tra carri della campagna d’Italia, quando alcuni carri medi Ansaldo M 14, mezzi obsoleti ma con carristi eredi dello spirito di El Alamein, affrontarono con i loro pezzi da 47 mm un numero di gran lunga superiore di carri Sherman, pesanti il doppio e con cannoni da 76 mm, riuscendo a fermare per un’intera giornata l’avanzata americana, grazie anche al sacrificio di una compagnia di SS italiane che distrusse alcuni degli Sherman, seppur venendo quasi annientata durante i combattimenti successivi.

Diverso settore ma simile epopea la vissero gli uomini della base ovest dei mezzi d’assalto di superficie della Xa MAS e i militari della RSI in ripiegamento dal ponente ligure, tra Imperia e Savona, assieme ai marinai della Kriegsmarine e ai granatieri tedeschi della 34. Infanterie-Division del generale Lieb. Direttisi verso nord, sfondarono ogni sbarramento partigiano dall’Appennino Ligure al basso Piemonte, cedendo le armi solo agli Alleati nella zona di Ivrea l’8 maggio 1945, dopo aver percorso centinaia di chilometri, mentre un troncone della San Marco, partito sempre dal ponente Ligure, aveva puntato invece verso Novara; il suo Gruppo Esplorante, gli Arditi specialisti della controbanda del colonnello Marcianò si sciolsero a Magenta il 1° maggio, Ecco la testimonianza di Luigi del Bono, ufficiale medico della Xa:

(altro…)

Si è svolto il Convegno Nazionale CESI
Il 23 aprile 2015 presso la suggestiva sala del Tempio di Adriano in Roma si è svolto Terzo Convegno Nazionale CESI dal titolo Un nuovo modello di sviluppo per una nuova Italia protagonista in Europa.
Di fronte a numeroso e qualificato pubblico il Convegno è stato aperto da Marco de’ Medici e presieduto dal nuovo Presidente CESI Giancarlo Gabbianelli.
Vi hanno tenuto relazioni Gaetano Rasi su “I modelli di sviluppo nell’economia reale”, Angelo Scognamiglio su “Economia finanziaria e sviluppo”, Carlo Vivaldi Forti su “Un nuovo modello di sviluppo”, Mario Bozzi Sentieri su “Sviluppo e partecipazione sociale”, Giulio Terzi Sant’Agata su “Sviluppo e processi di internazionalizzazione”, Franco Tamassia su “Sviluppo e istituzioni costituzionali: analisi critica delle riforme”, Giancarlo Gabbianelli ha poi concluso i lavori.
Gli Atti del Convegno contenente tutte le relazioni saranno pubblicati quanto prima.

SOMMARIO

- L’Europa bloccata dagli intrecci politico-affaristici. Necessario un progetto di impegno diretto presso le nazioni africane di Vincenzo Pacifici

- A proposito dell’iniziativa Fiat – Chrysler. È vera “partecipazione agli utili”? di Mario Bozzi Sentieri

- Ulteriori considerazioni sulla “buona scuola” del governo Renzi. Non è un progetto educativo la cosiddetta riforma di Francesco Pezzuto

- Rubrica “I Libri del “Sestante” Rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri.

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Vita breve e intensa quella di Vanni Teodorani (1916-1964), entrato senza clamore nel gruppo familiare del Duce (sposò Rosina Mussolini, figlia di Arnaldo) senza volerne o riceverne vantaggi sociali, anche perché, al tempo del matrimonio, nel gennaio 1938, era già un giornalista affermato: collaboratore del Popolo d’Italia, di Azione sindacale, L’Ordine Corporativo, oltre che ufficiale segnalatosi in Eritrea, da cui diresse il Corriere Eritreo e poi, in Italia, la Cronaca Prealpina.

Rischiò piuttosto di pagare in proprio, con la vita, un obbligo di fedeltà quasi più personale che politico. Veniva infatti da quella sinistra fascista che, sempre più marginalizzata nella politica del regime, avrebbe potuto fargli compiere scelte comode nell’estate del 1943, a maggior ragione non avendo responsabilità politico-militari d’alcun rilievo; e che invece lo condusse a Salò.

Qui, oltre a continuare un’attività giornalistica diretta a tentare di «veder armonicamente fusi il rosso e il nero», ricoprì l’incarico di capo della Segreteria militare di Mussolini, da cui fu incaricato di missioni riservate in Italia e oltre confine su cui – ricorda Giuseppe Parlato nell’introduzione al Quaderno. 1945-1946 dello stesso Teodorani (Stilgraf, pp. 245, euro 12), si sa ancora ben poco.

Una figura e un’esperienza che si presta dunque a una doppia lettura: quella sempre affascinante del mistero e, nella fattispecie, dell’ultima missione per salvare Mussolini; e quella della sua esperienza politica che però, dopo la guerra e il pericolo ripetutamente corso d’una fucilazione sommaria, lo avrebbe visto attivo all’interno del Msi su posizioni filo-centriste, in opposizione alla divergente linea “terzista” del partito, fino a scontrarsi a duello con Giorgio Almirante. Circostanze descritte da Parlato con la nota competenza dello studioso di quella particolare destra del dopoguerra.

Ma queste pagine di Teodorani saranno particolarmente care ai numerosi “dongologi” (sempre in aumento con effetto moltiplicatore di ipotesi e fantasie), dato che offrono una testimonianza diretta e coeva proprio sulle tragiche giornate passate dal 25 al 28 aprile 1945 tra Milano e l’alto Lario. Cronaca vivida, al limite dell’irrealtà, quella che fornisce Teodorani del pomeriggio del 25 aprile a Milano, con gli incontri di Mussolini in prefettura e all’arcivescovado, tra un assieparsi angosciato non solo dei noti protagonisti, ma di comparse che chiedono di parlare al Duce del proprio porto d’armi o per riferirgli voci di biasimo sulla sua vita privata.

Un susseguirsi di casualità vedono Teodorani e suo cognato, Vito Mussolini, raggiungere Como senza accodarsi all’autocolonna del Duce, poi bloccata a Musso dai partigiani garibaldini di Pier Bellini delle Stelle che condurranno tutti i fermati al municipio di Dongo e di lì al loro tragico destino. A Como, nei locali della prefettura, Teodorani incontra «un certo Guastoni (…) da molti anni agente dell’Intelligence Service (sic), e il comandante Dessy», ufficiale della Marina del Governo del sud; con costoro stringe subito un rapporto di cordialità, ombrata dalle spacconate anticomuniste dell’agente dell’Oss statunitense. Proprio questi, scrive Teodorani, «ci assicura il miglior trattamento», proponendo di «recuperare» il Duce «e portarlo in campo americano».

A loro si aggiungerà poco dopo, in rappresentanza di Raffaele Cadorna, comandante militare del Cln, il colonnello Sardagna – che però non farà parte del gruppo in partenza alla ricerca del Duce.
È la testimonianza dell’operazione, tentata nelle ultime ore, di portare Mussolini nella “zona franca” della Val d’Intelvi dove, con tutti gli altri fascisti, avrebbe dovuto essere consegnato alle truppe Usa, sottraendolo alle contemporanee ricerche di agenti inglesi del Soe che avevano il contrario obiettivo di eliminarlo.

Con due auto, una scorta partigiana e tutti i lasciapassare del caso (rivelatasi regolarmente inutili) e col sopraggiunto Pino Romualdi, si corre per le sponde del lago. Cernobbio, Menaggio, Cadenabbia, Tremezzo sono tappe di un’avventura pericolosa: ai posti di blocco, partigiani di diverso colore, disobbedienti ai propri comandanti (spesso improvvisati sul momento), animati dai peggiori propositi, ritardano, ostacolano, infine bloccano la comitiva arrestando tutti i componenti che davvero miracolosamente scampano alla fucilazione.

Teodorani, tornato e nascosto a Como, saprà della morte di Mussolini da radio e giornali. Saprà di altre esecuzioni sommarie, di suicidi di amici. Lasciata Como, rimarrà nascosto ancora per un anno. Poi riprenderà l’attività politica e giornalistica all’Asso di bastoni, da cui avvierà la prima contro-inchiesta sulla morte di Mussolini. Fonderà e dirigerà dal ’54 la Rivista romana, cui collaborarono Gedda e Ronca, alla ricerca di quella “conciliazione” tra spiritualità religiosa e nazionale, ormai però lacerata irrimediabilmente.

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