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Senato delle Competenze
Si è aperto il dibattito sulla riforma del Senato per renderlo rispondente alle necessità della moderna società ed evitare di essere, come nell’attuale sistema italiano, un doppione macchinoso rispetto alla Camera dei Deputati. Il dibattito è all’inizio e le idee di molti interventi, pur illustri, sono ancora acerbe. Si tratta però di un sintomo positivo che risponde alla sempre più diffusa esigenza volta al totale rifacimento della Carta Costituzionale. Quindi passare ad ulteriori approfondimenti è essenziale preparare una Assemblea Costituente del tutto sganciata dai condizionamenti della attuale classe dirigente.
Il CESI sull’argomento si è espresso da tempo in due Convegni nazionali e nell’Appello- Manifesto per la Rifondazione dello Stato: da queste iniziative sono derivati tre volumi contenenti i testi dei dibattiti avvenuti e delle proposte avanzate con un vasto apparato di note esplicative.
Il trinomio del titolo del Convegno Nazionale CESI tenuto, nel dicembre del 2011, parlava chiaramente circa i contenuti di una essenziale riforma costituzionale: Per una Repubblica presidenziale della partecipazione e delle competenze.
Partecipazione dei cittadini secondo le proprie competenze ed istituti di partecipazione composti da una classe dirigente competente; questi i concetti base inscindibili per realizzare il moderno funzionamento di uno Stato veramente democratico.
Pubblichiamo in questo numero brani, da noi commentati, relativi ad alcuni scritti significativi apparsi in queste settimane: del filosofo ed epistemologo Armando Massarenti, del politologo Stefano Folli, dello storico ed ex diplomatico Sergio Romano, del sociologo Giuseppe De Rita, nonché di altre personalità.
Il CESI auspica che una più ampia gamma di scrittori, giornalisti e uomini politici affrontino questa problematica partendo proprio dalla riforma dell’attuale Senato per giungere poi al più ampio rifacimento della Costituzione.
Se di questo argomento progettuale non si impadroniranno, con autentica consapevolezza, le forze nazionali e sociali che ora, dopo lo sbandamento passato, stanno tentando di ritrovare unità ed identità, ben difficilmente potrà aver luogo quell’alternativa di sistema che ormai la storia pone come ineliminabile (g.r.).

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO

- Proposte interessanti, ma insufficienti, di modifica costituzionale.
Il dibattito sulla differenziazione del Senato rispetto alla Camera dei Deputati.

- Giuseppe De Rita indica la necessità di una Camera delle Categorie.
Energica presa di posizione per riformare la rappresentanza legislativa.

- Un passo avanti verso la focalizzazione del problema.
Massarenti: Il Senato delle Competenze.

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Il dott. Riccardo Korherr era un bavarese, nato nel 1903 a Regensburg. Dopo aver frequentato l’università nella facoltà di legge e sociologia, scrisse: Dominazione delle nascite: morte dei popoli. Di Korherr si è detto: <Più libero nella lotta che intende condurre in difesa della civiltà occidentale, minacciata da un complesso di idee mendaci che vanno dalla fratellanza universale, alla felicità dei più, dall’edonismo pacifondaio, al controllo delle nascite>.

E’ ovvio e accettato che il regresso delle nascite attenta, in un primo tempo le capacità di sviluppo dei popoli e in seguito li conduce all’estinzione e alla morte. Vale la pena riportare uno stralcio dello studio di Riccardo Korherr, dal suo volume, dove l’autore esamina la situazione demografica italiana dell’epoca: <Il massimo coefficiente di natalità si ebbe nel quadriennio 1881-’85, con trentotto nati per ogni mille abitanti. Poi cominciò la discesa lenta, ma continua (…). Nel 1915 il quoziente di natalità è già al 30,5 per mille. Nel 1920 si spinge a 31,8 per mille (…). Ma dopo questa punta comincia il movimento regressivo, che giunge al quoziente del 26,9 per mille nel 1927. Mentre per perdere otto punti ci sono voluti prima della guerra trent’anni, sono bastati sette del dopoguerra a farne perdere quattro>. 

Uno dei cavalli di battaglia di Benito Mussolini fu proprio il problema demografico in uno studio riguardante questo problema  nelle varie età, dalle antiche e, man mano sino a quella contemporanea. Ecco come il Duce, quasi ottant’anni fa intravide la sorte dell’Europa. (Da Il Popolo d’Italia del 5 maggio 1934 XXI): <La dimostrazione che il regresso delle nascite attenta in un primo tempo alla potenza dei popoli e in un successivo tempo li conduce alla morte, è inoppugnabile. Anche le varie fasi di questo processo di malattia e di morte sono esattamente prospettate ed hanno un nome che le riassume tutte: urbanesimo e metropolismo. A un dato momento la città cresce meravigliosamente, patologicamente non certo per virtù propria ma per un apporto altrui. Più la città aumenta e si gonfia la metropoli e più diventa infeconda. La progressiva sterilità dei cittadini è in relazione diretta con l’aumento rapidamente mostruoso della città. Berlino che in un secolo è passata da centomila a oltre quattro milioni di abitanti è oggi la città più sterile del mondo. Essa ha il primato del più basso quoziente di natalità non più compensato dalla diminuzioni delle morti.

   La metropoli cresce, attirando verso di essa la popolazione della campagna, la quale, però, appena inurbata, diventa, al pari della preesistente popolazione, infeconda. Si fa il deserto nei campi: ma quando il deserto estende le sue plaghe, abbandonate e bruciate, la metropoli è presa alla gola. Né il suo commercio, né le sue industrie, né il suo oceano di pietre e di cemento armato possono ristabilire l’equilibrio, ormai irreparabilmente spezzato; è la catastrofe.

   La città muore, la nazione senza più linfe vitali della giovinezza delle nuove generazioni non può più resistere – composta com’è ormai di gente vile ed invecchiata – al popolo più giovane che urla alle frontiere abbandonate. Ciò può ancora accadere e accadrà. E non soltanto fra città e nazioni, ma in un ordine di grandezza infinitamente maggiore. L’intera razza bianca, la razza dell’occidente può venire sommersa dalle altre razze di colore che si moltiplicano con un ritmo ignoto alla nostra.

   Negri e gialli sono dunque alle porte?>.

Questo fu scritto, ripeto, quasi ottanta anni fa. Quanto profetizzato è accaduto, sta accadendo, spinto da un demagogico principio di solidarietà sapientemente manovrato da speculatori, dal grande capitale che vede nelle braccia degli immigranti possibilità di speculazione sottopagando coloro che vengono sradicati dalle loro terre per essere immessi in un contesto a loro sconosciuto e, troppo spesso, ostile. Questi infami individui sono i novelli schiavisti.

Chi scrive queste note porta al polso un orologio pagato cinque o sei Euro. Lo stesso orologio se prodotto in Italia costerebbe almeno cinquanta Euro, perché su questa cifra gravano le spese dei versamenti contributivi a favore dei lavoratori che lo fabbricano. Il mio orologio made in China costa così poco perché i lavoratori asiatici, come ben sappiamo, non godono di alcun beneficio sociale, in altre parole, e lo ripeto, gli imprenditori asiatici considerano i loro  dipendenti come schiavi e lavorano, come ben dovrebbero ben sapere i buonisti, anche venti ore al giorno per una paga assolutamente irrisoria.

Propongo un nuovo esempio e mi è stato riferito da mia moglie: il suo parrucchiere le ha detto che al centro del paese dove vivo c’è un parrucchiere cinese che fa la messa in piega per un solo Euro. <Come faccio io a sopravvivere di fronte ad una simile concorrenza?> ha confidato il povero parrucchiere e ha concluso: <ho alle mie dipendenze anche una aiutante per la quale pago i contributi, mentre “loro” non pagano nulla!>.

Questa denuncia non vale solo per i parrucchieri, ma per ogni attività industriale e commerciale.

Signori miei, se non ci liberiamo IMMEDIATAMENTE da questa classe politica non avremo più scampo!

E tu, lavoratore europeo, non capisci che chi si accontenta di una paga più bassa della tua, ti toglierà il lavoro? Questo processo gia ampiamente radicato in Italia, è ancora più sentito in Germania, in Olanda ovunque in Europa. La Gran Bretagna, una volta la Perfida Albione, ad esempio mostra evidente questo fenomeno, forse più che altrove, data la bassissima natalità. Andate in giro per Londra: quel che una volta era la razza bionda oggi mostra una sfilata quasi senza fine, di abbronzati.

E questo, ripeto, è un danno anche per africani e gialli perché Iddio o la Natura ha imposto loro un assetto territoriale che l’uomo non dovrebbe alterare. Nel contempo però, la nostra civiltà cristiana, romana dovrebbe imporci di andare nelle zone sottosviluppate ed insegnare agli autoctoni il miglior modo di lavorare, impiantare, se il caso, nuove industrie per arricchire quei paesi, importare dove necessario, tutte le tecniche per alleviare i loro bisogni che sono tanti.

C’è una formula per fermare la corsa verso il baratro preannunciata da Mussolini. Forse non è ancora troppo tardi. Per salvare il salvabile, perché il danno è ormai palese, fermare gli speculatori, i falsi buonisti, tutti coloro che predicano i valori del multietnico.

E’ una impresa disperata e di difficile attuazione. Oppure rassegnamoci alla catastrofe preordinata con la sconfitta dell’Europa nel 1945. In questa data c’è la matrice di tutti i mali della civiltà europea.

Quanto allego è un mio vecchio articolo. Sono spinto a questa iniziativa per dimostrare che con una accorta e ONESTA politica si può uscire dall’attuale crisi. Si tenga presente che validi studiosi hanno attestato che la crisi del 1929 fu peggiore dell’attuale. Dato che in economia le soluzioni per abbattere una recessione non cambiano negli anni, domando: perché non adottare gli stessi principi (parlo di PRINCIPI)  che furono usati negli anni ’30 da Mussolini e dai suoi ministri?

Sapete che nella legge di stabilità (finanziaria) varata in questi giorni dal governo Letta prevede: 1) 100 mila Euro per la Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea; 900 mila Euro sono stati destinati al Binario 21 di Milano (luogo collegato allo Shoah) e, addirittura 2,5 milioni di Euro per la “lotta al nazifascismo”!!!!

E noi paghiamo!

Ed ora, Vi prego leggete!

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Dopo il “Porcellum” e il “Bordellum” prepararsi all’”alternativa al sistema”
Questo numero de IL SESTANTE si occupa di tre aspetti che hanno caratterizzato le ultime settimane: la sentenza che ha reso incostituzionale la legge elettorale detta Il Porcellum; la decisione del Senato di escludere da quella Camera Silvio Berlusconi e l’esortazione dell’attuale Pontefice a riprendere i principi di coesione e di partecipazione propri della dottrina sociale della Chiesa per farne base ispiratrice di radicali riforme politiche ed economiche.
Per i primi due argomenti abbiamo scelto i puntuali commenti, non tanto le elaborazioni di illustri costituzionalisti oppure gli agguerriti articoli di giornalisti di destra, bensì due corsivi che riflettono intelligentemente entrambi la situazione finale del morente sistema politico ancora vigente in Italia.
Come è noto, spesso il dramma quando viene prolungato oltre la propria natura, finisce in farsa (come osserva Massimo Gramellini trattando del passaggio”dal Porcellum al Bordellum”) e così sta avvenendo perché l’attuale regime insiste nel baloccarsi con pesanti dettagli fiscali spostando l’imposizione da una voce all’altra, senza passare ad un vero programma di interventi che producano occupazione e redditi per lavori pubblici prodromi alla ripresa della domanda aggregata e degli investimenti nelle imprese.
Per il secondo aspetto abbiamo voluto sottolineare che – come dice Marcello Veneziani – è ora di finirla e di passare all’”alternativa al sistema”, ossia a quella fase costituente, non ipotecata dalla attuale classe dirigente, al fine di realizzare una Repubblica presidenziale che abbini una energica capacità decisionista con una riforma della rappresentanza democratica basata su chiare responsabilità e autentiche competenze frutto di un esercizio professionale già svolto.
A coronamento di questi commenti viene criticato il superato sistema di analisi politica basato sulla semplice ed usurata accusa di “populismo”, mentre invece è venuto il momento di introdurre soluzioni interventiste nei settori di competenza dello Stato perché riguardanti servizi e strutture essenziali per il funzionamento di una sana economia di mercato in cui la competitività sia effettiva perché regolata.
Conclude le riflessioni di questo numero del bollettino il terzo argomento trattato in un articolo di Mario Bozzi Sentieri che sottolinea la tempestività dell’indicazione da parte dell’attuale Papa circa la necessità di una rinnovata coesione sociale fondata su quegli orientamenti che derivano dalla collaborazione fra i fattori della produzione, dalla partecipazione di tutti i cittadini alla vita delle istituzioni e quindi si basa sulle responsabilità concrete e ben individuate, non solo parolaie, di chi viene indicato dal popolo a dirigere la società organizzata a Stato (g.r.).

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO

- Massimo Gramellini e Marcello Veneziani: due puntuali commenti. Surrealismo politico ed alternativa al sistema

- Eugenio Scalfari: Che accadrà di tutti noi senza più il caimano? Problematiche miopi a fronte grandi esigenze vitali

- Marc Lazar: Il centrodestra e l’Europa tra stabilità e populismo. Bisogna superare i vecchi metodi di analisi inadeguati alla realtà

- Facciamo nostro l’invito di Papa Francesco. È tempo di puntare sulla coesione sociale (Mario Bozzi Sentieri).

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Non si va in Europa senza un progetto

Si stanno avvicinando a lunghi passi le elezioni europee e dobbiamo costatare con tristezza che le maggiori preoccupazioni sono quelle degli attuali parlamentari europei di avere una ulteriore riconferma, oppure, di ex parlamentari nazionali di trovare “un impiego”in una elezione nel nuovo Parlamento della UE.

Ben pochi di questi candidati cercano di caratterizzarsi come portatori di progetti volti alla effettiva esistenza di uno Stato continentale che sia protagonista nella politica mondiale, oltre che capace di realizzare la ripresa di un equilibrato sviluppo interno valido per tutti i popoli, sia dei cosiddetti “traenti”che di quelli “periferici”.

Abbiamo assistito alle accuse e continuiamo a sentirle ripetere nei confronti della rigidità tedesca, inizialmente quasi giustificata a causa delle elezioni interne in quel Paese ed ora non più giustificabili, ad elezioni avvenute, con la riedizione della Großen Koalition e la riconferma a cancelliere di Angela Merkel.

In realtà  la austerità predicata agli altri dai tedeschi non è la sola causa del perdurare della crisi economica in Europa e segnatamente in Italia. Bisogna superare la sola (e volgaruccia) accusa fatta ai tedeschi che essi non vogliano pagare con i propri soldi i debiti degli altri. La più importante questione è invece quella di porre in atto una energica politica di revisione delle strutture burocratiche di vertice di Bruxelles (40 mila impiegati!), le quali hanno un potere infinitamente superiore a quello dello stesso Parlamento europeo.

A questa ristrutturazione, che realizzi una effettiva rappresentatività e capacità legislativa parlamentare va poi aggiunta anche un’altra esigenza: quella di un vero governo europeo, ossia di un esecutivo capace di una politica, interna e verso l’estero, ben diversa da quella dei compromessi e degli equivoci della Commissione espressa dai governi degli Stati componenti l’UE.

Il CESI, intende porre il problema di una autentica progettualità europea come bandiera che venga impugnata saldamente da parte di quelle forze nazionali e sociali, che correntemente vanno sotto il nome di destra nazionale e sociale, le quali stanno cercando una nuova coesione ed assumere una rinnovata identità. Nei prossimi numeri riprenderemo questa tematica (g.r.). 

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO

– Per un radicale cambiamento al vertice della UE. La richiesta di una politica protezionistica nell’ambito dell’Unione Doganale Europea Gaetano Rasi

– Marcello Veneziani: Non uscire, ma “entrare finalmente in Europa…”. Necessità di una autentica politica estera europea (gr)

– Monete nazionali e chiusura interna delle frontiere uguale a retrocessione nel Terzo Mondo. Crisi  dell’Europa o crisi delle idee? di Carlo Vivaldi-Forti

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Giovedì 5 dicembre ho ricevuto dal quotidiano Brescia Oggi una mail contenente un allegato dal titolo: “I rischi della continua rincorsa al revisionismo&quot”. Sono d’accordo che il revisionismo possa essere un pericolo, si tratta di stabilire PER CHI!

L’allegato ricevuto contiene una serie di accuse nei confronti di Mussolini circa le Leggi Razziali del 1938. E allora, Signori del Brescia Oggi, contestate quanto Vi ho inviato e qui di seguito riportato.

In occasione della ricorrenza della “Giornata della Memoria”, leggo su “Il Messaggero”: “Nasce il museo della Shoah nel cuore di Villa Torlonia”. E’noto che Villa Torlonia fu, per un certo periodo, la residenza di Benito Mussolini. Con questa iniziativa si vuole rafforzare la tesi della responsabilità del Duce circa le malefatte – reali, supposte o false che siano – di Hitler.

Il 25 aprile 1945 Luigi Longo, uno dei massimi esponenti del Pci e quindi del CLNAI (Comitato Italiano Liberazione Alta Italia), nell’impartire disposizioni per l’esecuzione della condanna a morte del Duce, ordinò: <Lo si deve accoppare subito, in malo modo, senza processo, senza teatralità, senza frasi storiche>.

A distanza di oltre settanta anni ancora si parla di questo argomento. Perché?

Per avere una visione più chiara su quell’Uomo, è necessario partire dal “Trattato di Pace” del febbraio 1947. Indicare questo Trattato come iniquo è riduttivo. Ricordiamo quanto recita l’articolo 17 (Sezione I – Clausole Generali): <L’Italia, la quale, in conformità dell’art. 30 della Convenzione di Armistizio, ha preso misure per sciogliere le organizzazioni fasciste in Italia, non permetterà, in territorio italiano, la rinascita di simili organizzazioni>. E i politici italiani succeduti dal 1945 ad oggi, si sono piegati vergognosamente a questo diktat, inventando, manipolando e storpiando la storia, non curandosi minimamente, per giungere allo scopo prefisso, di infangare la memoria di un morto che operò in modo completamente difforme dalle accuse di cui è stato fatto carico.

Una qualsiasi persona di media intelligenza dovrebbe chiedersi “cosa può interessare ad una grande democrazia come quella americana, se ci sia o meno un movimento fascista in Italia?”. La risposta la dette proprio Mussolini in una delle sue ultime interviste: “Le nostre idee hanno spaventato il mondo”; per “il mondo” intendeva quello del grande capitale, la plutocrazia, l’imperialismo liberista. E allora, ecco la necessità delle grandi menzogne e delle mascalzonate.

“L’operazione demonizzazione del fascismo” è sviluppata con diversi tentacoli. Leggiamo, sempre su “Il Messaggero”: <A scuola. Lezioni, mostre e percorsi virtuali nei campi di sterminio>. In pratica  “il sistema” fa dei nostri ragazzi degli automi, il cui carburante è la menzogna.

Per costruire il mostro (e i mostri) si è montata un’accusa che riteniamo la più infamante e la più menzognera: l’essere stato Mussolini un vessatore e il responsabile della consegna degli ebrei ai tedeschi. I detrattori, per rendere l’accusa più plausibile hanno coniato il sostantivo “nazifascista”: termine dispregiativo tendente ad accomunare in un’unica responsabilità fascismo e nazismo per le atrocità commesse da quest’ultimo, sempre che queste non siano frutto di una enorme montatura, come molti studiosi sostengono.

Le diversità dottrinali fra fascismo e nazionalsocialismo sono trascurabili per i detrattori, ma sono evidenziate da diversi studiosi e, tra questi, citiamo Renzo De Felice (“Intervista sul Fascismo”, pag. 88): <Fra fascismo italiano e nazismo tedesco ci sono semmai più punti di divergenza che di convergenza, più differenze che somiglianze>.

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Pubblicato su “Il Popolo d’Italia”

Qualche settimana fa titolai un mio intervento: “Magistratura inetta? Magistratura politicizzata? Magistratura corrotta? Bah! Decidete voi. Terminai il mio lavoro con queste parole: “Per provare a capire se la Magistratura nata dopo la Resistenza sia realmente (come da titolo) inetta, politicizzata, corrotta, farò seguire una analisi documentata di come operava la Magistratura ai tempi del “Male Assoluto”.

Prima di immettermi in questo nuovo tema, vediamo come viene giudicata – solo con alcuni ulteriori esempi – la Magistratura oggi secondo il giudizio di valenti uomini di legge.

Il procuratore aggiunto alla Procura di Torino, Bruno Tinti, nel suo libro Le toghe rotte, dopo aver espresso alcune considerazioni, prosegue: <(…). Non ci posso credere, ma veramente la magistratura è ridotta così?>. Il capo della Procura di Napoli, Vincenzo Galgano, ha dichiarato al Corriere del Mezzogiorno del 19 ottobre 2009: <Nella nostra Procura ci sono alcuni pm faziosi e fanatici che danneggiano persone e collettività e provocano sofferenze (….)>. Antonio Ingroia (lo ricordate?), qund’era PM alla Procura di Palermo ha definito “politicizzata” la sentenza della Consulta, che ha dato ragione al Presidente Giorgio Napoletano nel conflitto con la Procura di Palermo sulle intercettazioni delle sue telefonate col senatore Nicola Mancino. A questo va aggiunto l’osservazione di Gustavo Zagrebelsky, ex Presidente della Corte Costituzionale, che, in pratica condivise il giudizio di Ingroia. Piero Ostellino, sul Corriere della Sera dell’11 maggio 2013, fra l’altro ha scritto: <A giudicare da come sono condotte certe inchieste, si perviene a sentenze poi smentite anni dopo, si tratta di gente che non sa semplicemente fare il proprio mestiere o lo fa con la (paranoia) presunzione di poter disporre della vita degli altri a proprio arbitrio. Il difetto sta, evidentemente, in un concorso inadeguato a individuare preparazione professionale e attitudini personali>.

Alcuni decenni fa, al tempo del Male assoluto, pur nelle strettoie di un regime autoritario, questo ha saputo dimostrare una notevole autonomia nell’esercizio delle funzioni giudiziarie. Infatti possiamo sostenere che Benito Mussolini, Capo del Governo Fascista, mostrò una indubbia sensibilità politica nei confronti della magistratura e, quindi, nei magistrati ai quali impose una assoluta indipendenza nei confronti della politica. Quando, su consiglio dei suoi ministri, ritenne opportuno di dover intervenire a difesa del Regime, Mussolini concepì, con la legge 25 novembre 1926 n. 2008, il Tribunale per la difesa dello Stato, escludendo dalla sua compilazioni magistrati ordinari. E ancora, ai magistrati era fatto divieto l’iscrizione al Partito Nazionale Fascista, questo fu certamente condiviso dal ministro della Giustizia Alfredo Rocco. Questo trova conferma con quanto ha scritto Francesco Andreussi su La voce di Mantova del 25 ottobre 1994: <Vi furono infatti eminenti figure di Magistrati che raggiunsero i più alti gradi senza appartenere al Partito. Solo nel 1940, la legge 28 ottobre n. 148, richiede l’appartenenza al Partito quale condizione per l’avanzamento in carriera del personale dello Stato>. Andreussi osserva: <Il giuramento che fin dal 1927, era stato imposto a tutti i funzionari viene considerato una dichiarazione di lealismo, non richiede l’iscrizione al Partito, ed è accettato dai magistrati anche dalla sua formulazione che dice: “Giuro di essere fedele al Re ai suoi reali successori, al regime fascista e di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato”>. In pratica è un giuramento alla persona del Re, il che è costituzionalmente ineccepibile. Tesi accettata dall’Osservatore Romano che nel numero del 4 novembre 1931 dichiara che il giuramento è legittimo e che il termine “Regime fascista” equivalealla dizione “governo dello Stato”. Fino al 1936 la Magistratura è esclusa da qualsiasi attività politica in seno al Partito, però da quella data i magistrati, se iscritti avevano l’obbligo di appartenere all’Associazione fascista del pubblico impiego, segno evidente che molti magistrati non erano iscritti. Nel 1940, allo scoppio della guerra, si verificò un accentuato intervento nelle file del Partito, tanto che si stabilì l’opportunità di stabilire il tirocinio degli uditori giudiziari. L’8 settembre 1943, a seguito della fuga (o come qualcuno vuole ancora indicarla trasferimento) del governo Badoglio e del Re, pose il Paese in grave crisi a seguito della rapida occupazione tedesca, con conseguente paralisi di tutte le organizzazioni dello Stato. Solo con il ritorno di Mussolini si cercò di ricostituire una normativa atta a far riprendere una vita amministrativa del Paese.

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Analogia impossibile. È solo un episodio della fase terminale
E’ opinione comune che spesso alcune fasi storiche si ripetano e, in relazione a ciò, taluni hanno tentato di paragonare il ventennio berlusconiano al ventennio mussoliniano facendo leva sulla stessa durata temporale e sulla preminenza di un protagonista caratterizzante il periodo. Crediamo che sia facile negare una qualsiasi validità a questa tesi. In verità è invece ben fondata un’altra teoria, ossia che una vicenda storica può talvolta ripetersi, ma che ciò sempre avviene la prima volta come un grande dramma che può terminare in una tragedia, mentre la seconda volta si svolge come una modesta commedia che termina con una recita a soggetto (nell’ambito di una “astutissima”ripartizione dei compiti?).
Non si può negare infatti che nella prima metà del secolo scorso quella vicenda abbia avuto le caratteristiche di un grande progetto collettivo sotto la guida di una forte tempra dominante , mentre quella che si è svolta negli ultimi vent’anni è consistita in una pubblicitaria mobilitazione di massa elettorale, prodotta da un abile propagandista di illusioni. In altre parole, ambedue le vicende possono anche essere caratterizzate dall’analogia per aver avuto circa la stessa durata, ma hanno avuto una ben diversa progettualità e una ben differente tipologia di protagonismo. D’altra parte va riconosciuto che nessuno di coloro che hanno costruito, dall’interno, il ventennio berlusconiano ha voluto mai sostenere la tesi dell’analogia, mentre invece qualcuno, proveniente dall’esterno, lo ha fatto per giustificare le proprie interessate, personali (ed equivoche) posizioni di inserimento.
A proposito della situazione che si è venuta a determinare, Marcello Veneziani ha scritto in questi giorni che «La storia oggi si posa sulle spalle d’Italia, ma il Paese … è distratto, e non felicemente distratto, ma angosciato da una brutta crisi senza sbocchi. Un Paese estenuato, stanco di questo interminabile teatro, una commedia che vira al noir e forse al dramma, dopo lunghi interminabili preliminari» e poi ha aggiunto «Qualunque sia il giudizio su Berlusconi – giudizio politico, storico e umano – un fatto è certo: lui … sarà pure l’unico a restare tra i presenti della storia» (Il Giornale, 27 novembre 2013). Ciò che dice Veneziani può essere vero, ma il protagonismo berlusconiano resterà nella memoria, non tanto per la grandezza del suo disegno politico, quanto per il grigiore dei suoi avversari. Ed infatti Veneziani scrive: «poco o nulla resterà di tutti gli altri, dal Capo dello Stato al Capo di Governo, ai capi dei partiti e ai magistrati … l’unico sopravvissuto di questa fase infelice della storia politica e civile italiana sarà proprio l’unico condannato ad uscirne, per decreto giudiziario».
Può darsi, pure, come dice Veneziani, che si tratti di un fatto storico, ma noi propendiamo piuttosto di definirlo solo un episodio nell’ambito della fase degenerativa finale di un sessantennio politico ed istituzionale che è destinato ad esaurirsi. Alla distanza, un giorno si potrà verificare che la fine del ventennio berlusconiano ha fatto parte dell’esaurimento di un sistema degradato nella sua stessa essenza costituzionale fin dalla nascita. Oggi comunque si va profilando una nuova fase storica che deve avere ben altro spessore etico e una ben diversa prospettiva di edificazione politica. La strada non è certamente priva di difficoltà: il terreno è impervio e le condizioni ambientali possono scoraggiare, ma tutti coloro che sono in grado di saper leggere ciò che di valido è stato scritto nel passato hanno il dovere morale e quindi il coraggio di trarne spunto unitario ed identitario per costruire il nuovo. (g.r.)

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO

- Antonio Polito sul Corsera: “Ognuno per sé senza vergogna” (15.11.13) e “La coda avvelenata”(28.11.13). Una analisi che può essere utile per interpretare il presente in vista del futuro di Gaetano Rasi

- Oltre lo sciopero dei tranvieri genovesi. C’è spazio per una proposta partecipativa di Mario Bozzi Sentieri

- Superficialità e incoscienza del c.d. federalismo. La Provincia: Cenerentola dello Stato e della Costituzione repubblicana di Vincenzo Pacifici

-La Gazzetta del Mezzogiorno (27.11.13): Rifondare Stato e Regioni di Nino Marmo

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Dicevamo: “Io incazzato?”. “No, Signori, sono superincazzato”.

Scrivo questo pezzo nel mezzo della tragedia che ha colpito la Sardegna: fino ad  ora 14 morti.

Ci informano che sono state aperte due o tre inchieste. Se la cosa non fosse tragica sarebbe comica: due o tre inchieste per stabilire i responsabili. Ma se sono decenni che i geologi avvertono che i tre-quarti del territorio nazionale è a rischio idro-geologico e non passa mese che non si verifichi uno smottamento, una alluvione un qualsiasi fenomeno con danni al patrimonio con morti e feriti. Cosa ci dicono lor signori? <la colpa è del clima che è cambiato>. A maggior ragione si doveva intervenire proprio in previsione del cambiamento del clima. A prescindere che il clima è cambiato a causa dell’egoismo e dell’arroganza delle grandi industrie che non hanno voluto intervenire con mezzi adatti perché “troppo dispendiosi” (“signori, la grana è grana”). Poi lorsignori ci dicono che non ci sono i soldi. Mascalzoni! Non ci sono i soldi perché i vermetti furbetti non vogliono perdere i loro dorati privilegi. Prendete carta e penna e scrivete quanto un profano in economia osserva: abolizioni delle così dette auto blu (ne possono rimanere al massimo 6 o 7 e tutte rigorosamente italiane); abolizione del finanziamento pubblico ai partiti; abolizione delle province; abolizione del Senato; riduzione di due terzi del numero dei parlamentari e drastica riduzione dei loro emolumenti; drastica riduzione del costo del Quirinale; riesame del cosiddetto debito pubblico, ritenendo che buona parte di esso è frutto della più pazzesca truffa; abolizione dei 500 enti inutili; riduzione del costo del parlamento (parrucchieri, dattilografe, uscieri ecc. tutti pagati con stipendi che superano 7/8 volte gli stipendi dei normali lavoratori che operano fuori del paradiso marcato Palazzo Chigi; ridimensionamento degli stipendi ai magistrati e ai componenti della Corte dei Conti; ritiro delle nostre truppe dalle zone di guerra (altro che missioni di pace); rinuncia dell’acquisto dei difettosissimi F/35 e, ricordiamolo, nel periodo fascista i nostri aerei erano i migliori del mondo; riesame di tutti gli accordi siglati dai nostri politici (sic!) a partire dal 1947. Rigoroso controllo di tutte le spese pubbliche, cioè di tutti i denari che provengono dal popolo affidandolo all’Arma dei Carabinieri; dei magistrati di oggi non mi fido, non intravedendo fra questi alcun Falcone o Borsellino. E così di seguito. Avete fatto il conto? Mi si dice che la spesa corrente è di più di ottocento miliardi di Euro, sarei fuori logica se sostenessi che se si attuasse quanto propongo si avrebbe un risparmio di 150/200 miliardi annui?

Non passa giorno che i mass-media non presentino un personaggio che lamenta che <ci sono famiglie che non arrivano a fine mese>. Come sono premurosi! Quasi in odore di santità!

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