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Zapatero rivela: il Cav obiettivo di un attacco dei leader europei
L’ex premier spagnolo svela i retroscena del G20 del 2011 e il pressing sull’Italia per accettare i diktat Fmi

Vorremmo dire «clamoroso», ma non è così perché sapevamo da tempo, e lo abbiamo più volte scritto, che non solo in Italia ma anche dall’estero arrivavano pesanti pressioni per far fuori Silvio Berlusconi. L’ultima prova, che conferma la volontà di rovesciare un governo democraticamente eletto, la rivela l’ex premier spagnolo Luis Zapatero, che nel libro El dilema (Il dilemma), presentato martedì a Madrid, porta alla luce inediti retroscena sulla crisi che minacciò di spaccare l’Eurozona.

Il 3 e 4 novembre 2011 sono i giorni ad altissima tensione del vertice del G-20 a Cannes, sulla Costa Azzurra. Tutti gli occhi sono puntati su Italia e Spagna che, dopo la Grecia, sono diventate l’anello debole per la tenuta dell’euro. Il presidente americano Barack Obama e la cancelliera tedesca Angela Merkel mettono alle corde Berlusconi e Zapatero, cercando di imporre all’Italia e alla Spagna gli aiuti del Fondo monetario internazionale. I due premier resistono, consapevoli che il salvataggio da parte del Fmi avrebbe significato accettare condizioni capestro e cedere di fatto la sovranità a Bruxelles, com’era già accaduto con Grecia, Portogallo e Cipro. Ma la Germania con gli altri Paesi nordici, impauriti dagli attacchi speculativi dei mercati, considerano il vertice di Cannes decisivo e vogliono risultati a qualsiasi costo. Le pressioni sono altissime.

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Insufficiente e pericolosa la riforma costituzionale proposta dagli esperti governativi. Necessario un rifacimento globale in sede costituente.
Il numero di questo bollettino è dedicato soprattutto alla sintesi dei contributi critici che saranno espressi dal Gruppo di Lavoro CESI nel corso del Seminario di lunedì 18 novembre 2013 a Roma. Tale Seminario, oltre che analizzare le proposte contenute nella Relazione Finale della Commissione per le Riforme Costituzionali varata dall’attuale Governo, ha voluto essere una introduzione al Convegno Nazionale CESI dal titolo: “Un progetto politico per l’Assemblea Costituente” che si terrà a Roma presso il CNEL, martedì 3 dicembre p.v..
L’elemento comune di tutti gli interventi dei relatori CESI nel corso del Seminario sta nel fatto che non si ritiene assolutamente sufficiente portare delle modifiche ad alcune parti della vigente Carta Costituzionale, varata nel 1948, ma che si giudica necessario il suo intero rifacimento ad opera di una Assemblea Costituente convocata al di fuori della legislatura in corso. L’esigenza che tale Assemblea operi, al di fuori del sistema politico attuale e a prescindere dalla sua classe dirigente, deriva dalla necessità che essa possa realizzare una democrazia veramente compiuta, ben diversa dall’attuale partitocrazia dominata da cooptati e non da parlamentari indicati dal popolo in tutte le sue espressioni di indirizzo politico e di competenze professionali e sociali.
Altro punto focale, a parere del Gruppo di Lavoro del CESI, sta nel rifiuto della tesi degli esperti governativi che una delle due Camere debba essere composta dai rappresentanti delle Regioni, il che porterebbe inevitabilmente a porre in pericolo l’unità del Paese e quindi il suo peso in Europa e nel mondo, compromettendo il proprio sviluppo futuro.
Nell’analisi del CESI viene pure indicato ciò che manca nel rapporto finale degli esperti governativi, ossia, l’introduzione di istituti di programmazione concertata e di partecipazione gestionale del lavoro nelle imprese al fine di realizzare una politica economica e sociale di autentico progresso nell’ambito della UE e della Eurozona.

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO

- Invito-Programma del Seminario CESI: “Proposte di Riforma Costituzionale. Analisi e confronti”

- Il sistema è al capolinea: deludente la Relazione della Commissione al Governo sulle Riforme Costituzionali (Franco Tamassia)

- Assente la riforma del Bilancio statale per risolvere la situazione italiana. La posizione dell’Italia nei confronti della UE e dell’Eurozona (Gaetano Rasi)

- Si propone il veleno di cui stiamo morendo: una Camera a rappresentanza delle Regioni e degli Enti Locali (Giancarlo Gabbianelli)

- La partecipazione è il problema, ma non l’hanno capito (Carlo Vivaldi Forti)

- Il lavoro: dalla precarietà subita alla partecipazione responsabile (Angelo Scognamiglio)

- Il sindacato ignorato dai riformatori (Ettore Rivabella)

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E’ uscito per i tipi della Herald Editore di Roma il nuovo studio del Dott. Pietro Cappellari: La Guardia della Rivoluzione. La Milizia fascista nel 1943: crisi militare – 25 Luglio – 8 Settembre – Repubblica Sociale.

A 70 anni dagli eventi, Cappellari, ricercatore della Fondazione della RSI,  ha illustrato come le Camicie Nere, in quel cruciale 1943, rappresentarono quanto di meglio le Forze Armate italiane seppero schierare sui campi di battaglia, fondendo in un unico organismo politico-militare le energie del volontarismo di guerra, l’orgoglio di un Corpo di aristocràti, le idealità di un romanticismo politico di stampo nazional-patriottico.

Lo studio rappresenta un primo volume di un’opera complessiva in tre tomi che ha l’ambizione di descrivere in maniera nuova ed esaustiva gli ultimi due anni di vita di quella che fu chiamata “la Guardia Armata della Rivoluzione”. Infatti, sugli ultimi due anni di vita della Milizia, ossia l’organizzazione militare creata originariamente per difendere la Rivoluzione fascista, non esistono studi esaurienti. Questo per una serie di fattori. Il 1943-1945, infatti, è un periodo straordinariamente, quanto drammaticamente, ricco di eventi: si pensi solo che nel primo anno di questo biennio si verificarono il 25 Luglio, ossia la caduta di Mussolini; l’8 Settembre, la resa incondizionata del Regno d’Italia agli Angloamericani; la nascita della Repubblica Sociale Italiana.

Con questo primo volume si è evidenziato il ruolo della MVSN nel drammatico 1943. Fu un anno cruciale per la storia d’Italia. Lo studio di come la Milizia abbia reagito davanti agli eventi che si succedettero con rapidità impressionante ha permesso di revisionare alcune pagine di storia. Non solo superando quelle incrostazioni sedimentate dalla vulgata antifascista e anti-italiana.

Con la caduta di Mussolini la Milizia ripiegò su se stessa, non reagendo al colpo di Stato. Che la MVSN “resse” al dramma del 25 Luglio lo dimostra il suo comportamento all’annuncio della resa incondizionata (e del conseguente passaggio al nemico). La sera dell’8 Settembre, mentre tutti i reparti del Regio Esercito si squagliavano come neve al sole, i Legionari della Milizia – indossati nuovamente camicia nera, fez e fascetti in precedenza epurati per ordine di Badoglio – si posero senza indugio al fianco dell’alleato germanico, garantendo ovunque l’ordine pubblico e “facendosi Stato”. Furono proprio le caserme della MVSN a rappresentare, in quei drammatici giorni, il simbolo che l’Italia come Stato non si era eclissata dalla storia, divenendo il punto di riferimento per tutti coloro che rifiutavano la resa incondizionata. Furono le Camicie Nere a riaprire le Federazioni del Partito Nazionale Fascista chiuse dopo il 25 Luglio e a riprendere l’attività politica su tutto il territorio nazionale non ancora occupato dal nemico angloamericano. Fu dalla reazione delle Camicie Nere che poté mantenersi in vita lo Stato italiano, quello Stato che prenderà, successivamente, il nome di Repubblica Sociale Italiana.

 

Primo Arcovazzi

Sabato 26 Ottobre 2013, nella prestigiosa sala conferenze dell’Hotel Giò di Perugia, sono stati presentati gli atti del Convegno di Studi Storici “Marciare su Roma” del 2012. Un selezionato e attento pubblico è accorso all’importante appuntamento culturale organizzato da Claudio Pitti e Andrea Lignani Marchesani.

I lavori sono stati introdotti dal Prof. Stelvio Dal Piaz della Fondazione della RSI – Istituto Storico di Terranuova Bracciolini (AR). Il Professore aretino ha intrattenuto i presenti con una profonda analisi del contesto politico-sociale nel quale nacque il fascismo sansepolcrista e si sviluppò lo squadrismo. Con richiami agli eventi che sconvolsero l’Italia in quel travagliato quanto drammatico periodo chiamato Biennio Rosso, Dal Piaz ha illustrato la reazione dei “reduci nazionali”, dei Volontari di Guerra, degli Ufficiali, dei ceti medi e delle giovani generazioni davanti alle violenze socialiste e al pericolo – millantato più che reale – dello scoppio della rivoluzione bolscevica in Italia.

Il Dott. Pietro Cappellari, ricercatore della Fondazione della RSI, nonché curatore dell’opera, ha spiegato la necessità storica del convegno di Perugia del 2012 e della pubblicazione degli atti che sconvolgono il “tranquillo assetto antifascista” che la vulgata ha imposto nelle scuole e nelle università, lobotomizzando intere generazioni di Italiani, educandole al “male assoluto” con intenti pedagogico-politici grossolani. Grazie alla pubblicazione del volume Marciare su Roma è oggi possibile avere un’altra “panoramica” sull’Italia del 1919-1922, più attinente alla realtà dei fatti e meno politicizzata. Lo studio ha, infatti, raccolto consensi in ambito studentesco, sia nelle università (dove “clandestinamente” gli studenti lo usano per preparasi all’esame di storia), sia nei licei (dove il volume è stato richiesto per la preparazione della tesina di maturità). «E’ questo il risultato che ci rende orgogliosi del nostro operato – ha dichiarato Cappellari –. Pensare che anche in ambito accademico, seppure silenziosamente, le nostre tesi sono penetrate e hanno sfondato il muro dell’omertà antifascista, ci ripaga degli sforzi compiuti per concludere questa importante opera culturale in difesa della storia della nostra Patria che non può essere può ostaggio di “professori salariati” al servizio di un’ideologia di odio. Abbiamo presentato la Marcia su Roma come una “lunga marcia” verso il potere di quei reduci della Prima Guerra Mondiale che credevano in un’Italia diversa. Una “lunga marcia” frustrata da un Governo liberal-democratico incapace di gestire i frutti della Vittoria e di confrontarsi con la realtà di uno Stato fattosi Nazione. Una Nazione minacciata dalla marea montante bolscevica e schiacciata dalle “grandi democrazie” (USA, Gran Bretagna, Francia) un tempo nostre alleate e, poi, prime nemiche delle legittime aspirazioni dell’Italia. Ecco, il fascismo nacque in questo humus, si sviluppò su questo humus ed ebbe nel consenso degli Italiani la sua forza principale. L’insurrezione dell’Ottobre 1922 fu solo l’ultimo atto di un processo iniziato diversi mesi prima, quando Mussolini – osservando la realtà del Paese – seppe trasformare il fascismo una forza popolare capace di rappresentare le reali aspirazioni del popolo italiano. Quella dell’Ottobre 1922 fu un’insurrezione chiaramente di sinistra che, però, non negava la Patria, ma – corridoniamente – la conquistava».

 

Lemmonio Boreo

Viviamo l’anno 2013; il prossimo novembre sarà l’anniversario dell’enunciazione di quello che viene ricordato come il “Manifesto dei 18 Punti di Verona”. Quanto in esso contenuto è la logica conseguenza delle origini fasciste del 1919: principi che hanno attraversato il “Ventennio”, con un susseguirsi costante di decreti e leggi, di chiarissime finalità sociali, che già allora erano all’avanguardia, non solo in Italia, ma nel mondo intero e senza le quali oggi vivremmo su “palafitte sociali”. Tappa fondamentale di questo processo sono i principi essenziali dell’ordinamento corporativo, espressi e ordinati dalla “Carta del Lavoro” che vide la luce il 21 aprile 1927. La “Carta del Lavoro” portava il lavoratore fuori dal buio del medioevo sociale per immetterlo in un contesto di diritti dove i rapporti fra capitale e lavoro erano, per la prima volta nel mondo, previsti e codificati.

In altre parole, la nascita dello Stato Corporativo rappresentò l’intento di superare sia le angustie imposte dallo Stato liberale, sia le sanguinose illusioni dello Stato sovietico. Questo esperimento, tutto italiano, incontrò vasti consensi presso i lavoratori di tutto il mondo, tanto da spaventare i manovratori della finanza internazionale che avvertì il pericolo mortale e operò per abbattere il Fascismo e le sue idee. Cosa che si verificò con la violenza delle armi.

Il 14 ottobre 1944 Benito Mussolini così sintetizzava, lapidariamente, quei “Punti” i cui aspetti vitali erano le leggi sulla socializzazione delle imprese: <La socializzazione altro non è se non la realizzazione italiana, umana, nostra, effettuabile del socialismo. Dico nostra in quanto fa del lavoro il soggetto unico dell’economia, ma respinge le meccaniche livellazioni di tutto e di tutti, livellazioni inesistenti nella natura e impossibili nella storia>.

Questa “meravigliosa utopia” è oggi riproponibile per risolvere i problemi che angustiano l’attuale mondo, privo di ogni remora e adagiato sul sistema di vita americano?

Il teorico e storico della dottrina cattolica Don Ennio Innocenti, che tanti anni ha dedicato allo studio e all’insegnamento, ha scritto che il problema affrontato da Mussolini nell’ultimo decennio della vita <fu quello di far entrare il corporativismo nelle imprese per elevare il lavoratore da collaboratore dell’impresa a partecipe alla gestione e alla proprietà e, quindi, ai risultati economici della produzione>. E ha aggiunto: <Durante la R.S.I. fu emanato un decreto che prevedeva la socializzazione delle imprese. E’ stato questo, sostanzialmente, il messaggio che Mussolini ha affidato al futuro. E’ un messaggio in perfetta armonia con la Dottrina Sociale Cattolica, che è e resterà sempre radicalmente avversa sia al capitalismo, sia al socialismo. In quest’ultimo messaggio mussoliniano di esaltazione del lavoro noi ravvediamo qualcosa di profetico>.

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Sintomi di cambiamento
Questo numero del bollettino CESI vuol richiamare l’attenzione su tre argomenti che, al di là dei fatti contingenti, possono avere ripercussioni di forte carattere strutturale per il futuro.
Un primo aspetto riguarda i rapporti tra l’Europa e gli USA: da un lato una possibile presa di coscienza del ruolo che deve avere l’Europa nei confronti delle altre potenze continentali e quindi esprimere una politica svincolata dalla ultra sessantennale subordinazione all’America. La questione dello spionaggio informatico e quella del peso declinante del dollaro rappresentano due sintomi già eloquenti.
Un secondo aspetto riguarda l’evoluzione politica interna al nostro Paese ed in particolare quella relativa alla mancanza di un polo sociale e nazionale in grado, non solo di esprimere una forza politica unitaria, ma anche di avere un progetto in grado di riaffermare i valori che tengono unita la Nazione così come essa è venuta a caratterizzarsi con la Quarta guerra di Indipendenza e di Identità territoriale (quella che successivamente è stata individuata anche come Prima guerra mondiale). La gravità di quanto è avvenuto il 27 ottobre scorso a Bolzano è stata colpevolmente trascurata da tutta la stampa italiana.
Il terzo aspetto riguarda l’istituto del sindacato, il quale non sta assumendo consapevolezza del nuovo ruolo che deve avere in una radicale riforma costituzionale; ossia quello di dover essere anche formazione che concorre alla rappresentanza politica e che deve evolversi da solo organismo contrattualistico perpetuamente conflittuale ad istituto di concertazione programmatica e di fautore della partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa.
Questo numero de IL SESTANTE richiama, poi, l’attenzione su un evento importante quale è quello del Seminario che il CESI tiene per confutare il rapporto finale della Commissione governativa per le Riforme Costituzionali. Tale Seminario si terrà il 18 novembre p.v. a Roma presso la Sala Refettorio di Palazzo San Macuto della Camera dei Deputati e vuol essere propedeutico al Convegno Nazionale annuale del CESI fissato per il 3 dicembre p.v. presso il CNEL con il tema “Un progetto politico per l’Assemblea Costituente”.

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO

- Interpretazioni del Datagate. Sintomi di una ripresa di orgoglio per l’Europa (Gaetano Rasi)

- Si indebolisce l’egemonia degli USA. Dollari e petrolio, un divorzio capace di cambiare il mondo! (Enea Franza)

- Ammonimenti per “unificazioni” senza progetto unitario. Le elezioni provinciali a Bolzano: una débàcle (Agostino Scaramuzzino)

- Necessità di avere un nuovo ruolo. L’istituto del sindacato sta morendo (Mario Bozzi Sentieri)

- Invito-Programma del Seminario CESI: “Proposte di Riforma Costituzionale. Analisi e confronti”

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Adriano Olivetti: il futuro. La sinistra “post-olivettiana”: il declino
Si è svolto il 21 ottobre scorso presso le Officine H di Ivrea, un edificio simbolo del periodo di Adriano Olivetti, la presentazione ufficiale della candidatura di quella città ad essere inserita nella “Word Heritage List”, ossia nell’elenco Unesco del patrimonio culturale e naturale del Mondo, secondo la Convenzione internazionale del 1972.
L’iniziativa a prima vista sembra espressione di nobili sentimenti e quindi da apprezzare senza riserve. Invece crediamo che queste riserve debbano essere avanzate e approfondite perché tale presentazione ha avuto luogo sotto il titolo: “Ivrea,città industriale del XX secolo”, facendo cioè riferimento ad un passato glorioso e che oggi non è più, malgrado avesse costituito – e lo era al massimo grado – la base incontestabile prodroma ad un ulteriore sviluppo di alta civiltà e di avanguardia economica e sociale.
La fabbrica Olivetti, infatti, con i suoi prodotti di continua innovazione tecnologica – le migliori, più funzionali e belle macchine da scrivere allora esistenti – portò il nome di Ivrea e dell’Italia in tutto il mondo come esempio di progresso industriale , di produttività e di elevazione umana delle maestranze positivamente coinvolte. Il tutto dovuto alla costante attività di ricerca, da parte di tutti coloro che vi lavoravano, collegata con una forte socialità aziendale ed una solidale comunitarietà territoriale. E questo sotto l’impulso di un geniale e profetico imprenditore quale, appunto, fu Adriano Olivetti.
Un esempio, dunque, da potersi imitare ed estendersi all’estero e da doversi implementare all’interno nel nostro Paese . Invece – come è ben documentato dal filmato”Adriano Olivetti: La forza di un sogno” proiettato l’altro giorno dalla Rai Uno – all’estero, proprio negli Usa, la cupola finanziario-capitalistica lo vide come pericoloso modello, particolarmente dannoso al proprio sistema e, all’interno – in Italia – la partitocrazia imperante lo snobbò e spesso anche lo boicottò.
Il bollettino del Cesi IL SESTANTE dedica questo numero interamente a questa vicenda, quale paradigma di un destino al quale il nostro Paese sembra essere condannato dal regime imposto oltre sessant’anni fa a seguito della guerra perduta (gli esempi di deindustrializzazione e di delocalizzazione sono ormai tanti e quasi disperanti !) per spronare invece una nuova generazione di volonterosi e coraggiosi dirigenti politici ed economici a ribellarsi e a riprendere in mano il proprio destino.

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO

- Dalla esperienza del passato trarre il progetto per il futuro. La terza via di Olivetti superava capitalismo e collettivismo di Gaetano Rasi

- La vera storia di un precursore. Adriano Olivetti un “riformista” al di là della destra e della sinistra?(Mario Bozzi Sentieri)

-Un ritratto di Adriano Olivetti. Il “visionario” che realizzo un modello di capitalismo partecipativo (Giorgio Ballario)

-Adriano Olivetti: La lezione tradita. Quando fu svenduta l’elettronica d’avanguardia. La graphic novel “Un secolo troppo presto” (Roberto Alfatti Appetiti)

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Ho più volte scritto che l’inumana rappresaglia delle Cave Ardeatine (e le altre rappresaglie) sono marcate: NAZI-COMUNISTE. E provo a spiegarmi.

   Attenti! Puntate… Mirate… Fuoco…Feuer (tedesco)…Feu (francese)… Fuego (spagnolo)…Vatra (croato)… Eld (svedese)… Požar (polacco)… Φουκω (greco)… Φүҝо (russo)… ecc. ecc. Questo per indicare che i plotoni di esecuzione esistevano ed esistono ancora in ogni parte del mondo. E di cosa era accusato Erich Priebke? Di aver fatto parte di un plotone di esecuzione. Poteva Priebke, quale militare dell’esercito germanico rifiutarsi di far parte del plotone? Certamente! Ma sarebbe stato immediatamente fucilato. A questo punto vorrei rivolgere una domanda sia ai giudici che lo hanno condannato, sia ad uno qualsiasi degli “eroi” che sono insorti contro di lui, anche dopo la sua morte: lei, signor giudice, e voi “eroi”, al suo posto, cosa avreste fattto? A questo punto è indispensabile un chiarimento: non stimo affatto il povero cristo che è costretto a far parte di un plotone di esecuzione, ma non mi si può vietare di stimare Erick Priebke che, anche di fronte ad una palese ingiustizia subita, ha saputo mantenere un fiero atteggiamento di coerenza; per saperne di più si legga il suo testamento spirituale.

Ed ora, solo per capire a che grado di infamia siamo stati precipitati, facciamo un po’ di storia.

È noto e accettato anche dagli eroi, che la rappresaglia compiuta alle Cave Ardeatine fu una conseguenza per l’attentato compiuto dagli eroici partigiani a Via Rasella. Iniziamo con il considerare: chi erano i partigiani?

Per prima cosa una puntualizzazione: contrariamente a come si vuol far credere, Roma non fu mai “città aperta” perché se la proposta venne accettata dal comando germanico, fu rifiutata dagli “angeli del bene”, infatti questi continuarono a volare vomitando bombe sulla “Citta’ Eterna”.

Anche se poco più che bambino ricordo perfettamente che la popolazione romana, come altrove, anche se stanca della guerra non nutriva astio né verso i tedeschi né verso i fascisti. Questo stato di cose non era gradito ai vertici del Cln i quali, dopo aver constatato che gli attentati messi in atto nei mesi precedenti, pur avendo causato morti e feriti fra i soldati italiani e tedeschi, non avevano determinato rappresaglie di massa degne di nota, decisero di predisporre un attentato di così grandi proporzioni da rendere inevitabile una adeguata rappresaglia. A tale scopo fu scelta la data del 23 marzo 1944, e non a caso: infatti quel giorno coincideva con l’anniversario della fondazione dei Fasci di Combattimento.

Pertini, Bauer e Amendola, il vertice, cioé, del Cln, inizialmente fissarono come obiettivo la manifestazione dei fascisti che era in programma; ma questa idea fu scartata perché, giustamente, qualsiasi fosse stato il danno arrecato ai fascisti, questi mai avrebbero risposto con una rappresaglia di grandi dimensioni come era nei desiderata del Cln. La mira fu allora spostata sui tedeschi i quali, proprio per la loro ottusità teutonica, caddero nella diabolica trappola. Quindi, per essere più chiari, si può affermare che alle Cave Ardeatine fu una mano tedesca a premere il grilletto, ma le cartucce furono caricate dalle mani dei vertici del Cln.

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L’Europa deve prendere coscienza della sua missione nel mondo
Quando reclamiamo un ruolo e una progettualità per l’Italia, come potenza europea e altrettanto facciamo per l’Europa come potenza mondiale, non intendiamo riferirci ai concetti di egemonia e tantomeno di prevaricazione, che potrebbero ricordare antiche ambizioni storiche di colonialismo, bensì alla necessità che le potenzialità civili ed economiche, nazionali ed europee, dismettano l’attuale condizione di passività per realizzare una forte presenza costruttiva dell’Italia e dell’Europa verso il contesto mondiale. Vi sono molti campi nei quali l’Italia e l’Unione Europea sono colpevolmente assenti nelle aree del mondo anelanti ad uno sviluppo superiore. Ci riferiamo in particolare alle nazioni rivierasche del Mediterraneo meridionale e a quelle del Vicino Oriente asiatico, ma non dobbiamo trascurare assolutamente i problemi centro-africani. La colpevole non presenza europea riguarda anzitutto il mancato contributo spirituale ed etico a comunità che solo da poco stanno prendendo consapevolezza di se stesse, nonché il disinteresse verso lo sviluppo istituzionale delle nazioni di recente formazione che avrebbero invece bisogno di una forte assistenza nella strutturazione statale, nella organizzazione scolastica e della cultura, nei servizi di pubblica utilità; soprattutto la cooperazione dovrebbe riguardare la legislazione e regolamentazione delle attività politiche, sociali ed economiche così come richiesto dal moderno progresso civile. Ripetiamo: per sviluppo intendiamo non solo la crescita economica quantitativa, ma l’avanzamento qualitativo che si concretizza in una condivisione del progresso spirituale e morale, nella diffusione delle conquiste scientifiche e tecnologiche, nella introduzione dei modelli di sicurezza e di ordine civile, nonché di efficienza dei sistemi sanitari e di giustizia sociale. La realizzazione di questi compiti finora trascurati dovrà essere la caratterizzazione europea nel corso del ventunesimo secolo. I drammi di Lampedusa non debbono essere solo sensazionali angosce da fronteggiarsi con episodici mezzi caritatevoli per evitare la “vergogna”.
Bisogna affrontare il problema là dove esso ha origine (G.R.).

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO
– I fattori dell’evoluzione globale. Un nuovo ruolo per l’Europa e per l’euro (Gaetano Rasi)
– L ‘emigrazione. Depauperamento delle Nazioni, arricchimento dei “soliti noti” (Ettore Rivabella)
– Africa: aumento demografico, emigrazione disperata. Manca la prospettiva strategica dell’Europa (gr)
– L’immigrazione e l’Europa: Il ruolo che deve assumere l’Italia. Dalla fuga allo sviluppo in Patria (gr).
– Testimonianze protese verso il futuro. Convegni e studi prodromi ad una nuova politica in Africa. (gr)
– “Gli italiani in Eritrea”. Il nostalgico “mal d’Africa” come ricordo e come speranza ( Lucio Zichella)

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