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Prende il via da giugno l’ iniziativa di solidarietà generazionale sostenibile che il settore del
credito ha avviato con la costituzione di un proprio Fondo nazionale per il sostegno
dell’occupazione (F.o.c., istituito dall’Abi).
L’emergenza occupazionale nel nostro Paese è aumentata ai massimi livelli dal dopoguerra ad oggi e rischia di peggiorare ulteriormente nei prossimi mesi.
Le condizioni del mercato del lavoro si sono indebolite sulla scia della crisi economica e finanziaria ed il tasso di disoccupazione, in particolare giovanile e femminile, sta aumentando a livelli vertiginosi: i dati sono così noti che è inutile richiamarli.
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro nel documento “Global trend – Preventing a deeper job crisis” prevede che alle porte non bussa una ripresa, ma un decennio in cui la disoccupazione diverrà una emergenza sociale strutturale.
Non è stata peraltro di aiuto la riforma Fornero del mercato del lavoro che sta determinando, in una situazione di per se già drammatica, una ulteriore sostanziale irrigidimento del sistema, in controtendenza rispetto a quanto richiesto dalle imprese e dalla stessa Unione Europea soprattutto in materia di occupazione.
Il mercato del lavoro è rimasto rigido ed il quadro complessivo delle regole ha reso ancora più pesante il costo del lavoro: molte misure si sono infatti tradotte esclusivamente in un aggravio di oneri per le imprese senza alcuna facilitazione sul piano di flessibilità di utilizzo del personale.
Come risultato, si tende a ricorrere sempre meno alle assunzioni di giovani con i contratti
cosiddetti “atipici”, nel timore di una loro trasformazione in contratti a tempo indeterminato,
ampliando d conseguenza la forbice del mercato “duale”, da una parte i lavoratori iperprotetti e dall’altra i giovani, passati ormai dallo stato del “precariato” a quello della cronica disoccupazione.
In questo scenario economico e sociale difficilissimo, le Parti sociali, spinte dalla necessità di individuare soluzioni idonee ad affrontare l’emergenza in atto e nella convinzione che è più nelle loro mani che in quelle della politica la risorsa “lavoro” come fattore trainante della crescita, hanno stipulato negli ultimi due anni accordi quadro destinati a cambiare radicalmente le modalità del confronto sindacale, definendo nuove regole vuoi per le questioni dell’efficacia erga omnes dei contratti e della misurazione della rappresentatività dei sindacati o vuoi per l’individuazione delle azioni necessarie per il recupero di competitività e produttività delle nostre imprese rispetto ai mercati internazionali.
Con l’accordo sulla produttività del novembre scorso, le Parti sociali, tra l’altro, hanno posto con urgenza immediata il tema della “solidarietà intergenerazionale”, visto che, oltretutto, la riforma pensionistica ha praticamente azzerato, per i prossimi tre o quattro anni, ogni gradualità di accesso alla pensione dei lavoratori ultrasessantenni, inibendo di fatto il ripristino anche di quel minimo turn over naturale dato dall’inserimento di giovani in sostituzione delle uscite per pensionamento dei lavoratori anziani.
In questo senso si deve leggere l’ iniziativa di solidarietà generazionale sostenibile che il settore del credito ha avviato con la costituzione di un proprio Fondo nazionale per il sostegno dell’occupazione (F.O.C.) che prende avvio dal prossimo mese di giugno.
Il F.O.C., istituito dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana) e dai sindacati di categoria CGIL, CISL e UIL e dalla FABI, il potente sindacato autonomo dei bancari, ha lo scopo di favorire la creazione di nuova e stabile occupazione e di garantire una riduzione dei costi per un periodo determinato alle imprese del settore che procedono alle assunzioni di lavoratori a tempo indeterminato.
Il Fondo è alimentato, per un periodo sperimentale di cinque anni (2012 – 2016), esclusivamente dai contributi dei lavoratori (aree professionali, quadri e dirigenti), fissati nella misura di una giornata lavorativa annua pro-capite e, nella misura del 4% della retribuzione fissa netta, anche dai cosiddetti “vertici apicali” e dalle altre figure “più rilevanti aziendalmente” che percepiscono una retribuzione annua pari o superiore a 300.000 euro.
Il Fondo provvederà ad erogare alle aziende, per un periodo di tre anni, un importo annuo pari a 2.500 euro per ciascun lavoratore che sia assunto con contratto a tempo indeterminato e che si trovi in una condizione di svantaggio sociale, come essere, ad esempio, un giovane o una lavoratrice disoccupati.
L’incentivo alle aziende sarà erogato anche nei casi di stabilizzazione dei lavoratori con contratti diversi da quello a tempo indeterminato, come ad esempio contratti a termine, di inserimento, a progetto o di somministrazione.
La gestione del Fondo è assicurata per il tramite dell’Ente bilaterale nazionale Enbicredito, i cui organismi di governo si sono insediati il 26 marzo scorso. In tale occasione il Comitato di Gestione ha stabilito le modalità ed i tempi per i versamenti dei contributi dei lavoratori dipendenti al Fondo, che per gli anni 2012 e 2013 dovranno essere effettuati entro il 31 maggio p.v., al fine di avviare l’erogazione degli incentivi alle aziende che procedono a nuove assunzioni.
L’ intesa tra ABI e sindacati per la costituzione di questo fondo di solidarietà generazionale tra lavoratori occupati e giovani disoccupati rappresenta una iniziativa assolutamente innovativa nel panorama della contrattazione collettiva nazionale, che è auspicabile venga rapidamente estesa, per il tramite delle Parti sociali, anche agli altri comparti economici del Paese

Un episodio di violenza dimenticato che permise l’affermazione del fascismo in Val di Chiana

di Pietro Cappellari

 

La Primavera del 1921 fu una “Primavera di sangue” per quell’Italia così lontana nel tempo, come dai ricordi. Il 15 Maggio, infatti, era previsto il rinnovo della Camera dei Deputati. Gli opposti schieramenti si erano dati appuntamento nelle piazze del nostro Paese per una resa dei conti dopo due anni di violenze generalizzate compiute dai sovversivi in vista della agognata rivoluzione “liberatrice” del proletariato, quella bolscevica, naturalmente.

Il Biennio Rosso (1919-1920) si è era concluso con un bilancio del tutto negativo, dovuto alla fallimentare gestione politica della dirigenza del PSI che aveva predicato il prossimo avvento del “sol dell’avvenire” senza avere adeguatamente preparato le masse a una vera e propria insurrezione, tanto questa sarebbe scoppiata da sé, senza alcuna necessità di organizzarla. L’unico risultato concreto che si era raggiunto – di là della storica, quanto inutile, vittoria elettorale del Novembre 1919 – era quello di aver creato in tutta Italia un clima pre-insurrezionale, condito da scioperi, occupazioni di terre e di fabbriche, ammutinamenti di truppe, violenze generalizzate (durante le quali si erano registrati anche alcuni morti). Lo Stato pareva in balia di queste agitazioni diffuse, anche se non erano mancati veri e propri eccidi proletari condotti dalle forze dell’ordine durante la repressione dei moti.

Già nell’Autunno del 1920, durante la campagna elettorale per il rinnovo dei Consigli Comunali, erano apparse in diverse contrade italiane delle Squadre d’azione allestite dai Fasci di Combattimento per rintuzzare ogni violenza massimalista e incominciare a contendere fisicamente le piazze ai socialisti.

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Sono appena rientrato in Italia dopo una lunga permanenza all’estero; sono stanco e, quindi, con poca voglia di riordinare i miei documenti, di conseguenza per questa volta, diversamente dal mio solito citerò i documenti solo, come si suol dire, a braccio.

Quando partii lo scorso novembre, lasciai l’incarico per curare l’ordinaria amministrazione (pagare le bollette, ritirare la posta, ecc.) a mia figlia Ursula e a mia nipote Chiara, ammonendo, però, di non pagare assolutamente l’iniquo abbonamento alla televisione. Perché? Sono disgustato dal modo vigliacco (è il termine adatto) di bollare un fatto storico che pure ha scritto pagine per Vent’anni nella nostra storia.

Viviamo, come tutti possiamo amaramente constatare, in una lunga, lunghissima fase storica, che senza tema di essere smentito, risale al 1945, data nella quale i vincitori della seconda guerra mondiale ci imposero un sistema di vita che non è quello nostro, europeo, cristiano, romano. Nessuno oggi può negare che siamo governati da una cricca di ladri, corrotti e corruttori, assassini, pedofili, mafiosi, camorristi, stupratori, bestemmiatori, maramaldi, burattini, traditori-voltagabbana e, mi ripeto, di vigliacchi e tutta questa cricca all’unisono tesa a convincere gli italiani che il Fascismo fu il male assoluto. Ho usato due volte il termine vigliacchi a ragion veduta e mi spiego. Pur essendo lontano dall’Italia avevo modo, da perfetto masochista, di seguire in televisione le notizie italiane, ebbene – ma questo è solo un esempio fra le decine di migliaia – cito solo due figure nell’immenso firmamento dei giornalisti strapagati dalla RAI/Tv: Corrado Augias e Gianni Minoli, quest’ultimo con la sua Storia siamo noi, titolo che dovrebbe essere cambiato in La storia la inventiamo noi. I due giornalisti su citati, avvalendosi di un monopolio dittatoriale sull’informazione trasformano la storia ad uso della casta di cui sono i camerieri, operando per l’alterazione della storia, cosa necessaria affinché gli italiani si convincano che il male assoluto sia stato tale. Che quanto scrivo corrisponda a verità è dimostrato dal fatto che da decenni su ogni organo di informazione si tratta del Ventennio e mai, e mi rivolgo, per la conferma, a voi amici lettori, che dall’altra parte della scrivania o del pubblico avete mai visto qualcuno che si alzi e osservi: <Ma che caz2o dite? La verità è esattamente opposta!>. Un esempio, ma ripeto, solo uno fra i centomila casi e più, e non davvero il più eclatante, e chiedo: <Qualcuno di voi che mi legge ha visto la recente fiction su Trilussa?>. Ebbene, falsificando date, località e fatti i reucci della menzogna hanno trasformato il poeta romanesco in un antifascista. Ma quando mai! Detti soggettini quotidianamente scaricano su quel Morto ogni malignità possibile; se le inventano tutte fregandosene di cadere anche nel ridicolo. Qualche esempio? Nessuno lesse su Focus di qualche tempo fa che “Mussolini aveva il pene freddo e pertanto era costretto a ripararlo in un sacchetto di pelo di coniglio cucito nelle mutande, oppure: Mussolini era un omosessuale perché inneggiava alla maschia gioventù. Di contro avete mai visto Mussolini inaugurare (senza che mai nessuno rubasse un centesimo dalle tasche dei cittadini) una delle decine di città che sorsero miracolosamente in quel periodo? E visto che stiamo vivendo una lunga fase di crisi congiunturale, chiedo: avete mai visto che qualcuno di detti camerieri di regime abbia mai illustrato in che modo fu superata in Italia la ben più grave crisi causata dagli attuali liberatori, nel 1929?

Visto che siamo in fase di grave crisi, perché i due giornalisti sopra citati, non ricordano come l’Italia sotto il male assoluto affrontò quel cancro? Oggi, in regime democratico quante persone si sono, per disperazione suicidate? Recenti fonti ufficiali parlano di più di 150 suicidi. Perché non fare un confronto con quei cittadini, poveri infelici, che vissero sotto il crudele tiranno? Ebbene,  allora quanti suicidi si verificarono? Ecco, e quanto segue è dedicato ai signori Minoli e Augias.

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Da notizie di stampa si è appreso che le Medaglie d’Oro al Valor Militare di Ettore Viola e di Nazario Sauro, Eroi pluridecorati della prima guerra mondiale, custodite presso il Museo del Vittoriano, sono state trafugate.

Il valore venale dei cimeli non può eguagliare in alcuna maniera il loro Valore storico per la Patria, e simbolico e affettivo per le famiglie che le hanno donate al museo.

Inoltre, qualora la notizia rimanesse sconosciuta ai più, tali Medaglie potrebbero acquisire un elevato valore numismatico sul mercato delle militaria.

Al fine di evitare che ciò accada, l’Istituto del Nastro Azzurro è chiamato, nella sua interezza, cioè tramite tutte le Federazioni, le Sezioni, i Gruppi e i singoli Soci, a fare opera di divulgazione della notizia, anche coinvolgendo la stampa locale e utilizzando internet, affinché chi si fosse impossessato fraudolentemente delle Medaglie dei due Eroi, non possa speculare in nessuna maniera sul valore di oggetti notoriamente di provenienza furtiva.

Le Federazioni si sono in gran parte già messe e si metteranno ancora a disposizione delle Forze dell’Ordine, in particolare dell’Arma dei Carabinieri, allo scopo di fornire, qualora richiesta, consulenza sui ritrovamenti di materiale di origine furtiva che possa essere in qualsiasi maniera collegato a cimeli storici e militari.

Federico Dal Cortivo per Europeanphoneix ha intervistato Marco Della Luna, autore del libro “ “Traditori al governo? Artefici , complici e strategie della nostra rovina”.

L’Italia è oramai da anni sotto attacco, non militare, non c’è ne bisogno essendo la penisola dalla fine della Seconda Guerra Mondiale occupata militarmente dagli Stati Uniti, ma economicamente.

Gli obiettivi  fin troppo chiari,distruggere completamente il sistema Italia che era fatto anche d’imprese anche a partecipazione statale , lo Stato sociale, le   regole del mondo del lavoro, la previdenza pubblica e la sanità, la scuola e l’università dello Stato  e infine mettere le mani sul nostro patrimonio economico,  colonizzando definitivamente la penisola.

D: Avv. Della Luna lei ha recentemente pubblicato un saggio da titolo eloquente, Traditori al governo? , nel quale analizza in modo esauriente le dinamiche e i personaggi che hanno portato la nostra nazione al punto in cui si trova oggi dopo l’ultimo governo tecnico di Mario Monti . Quali sono stati a suo avviso i passaggi fondamentali che ci hanno portato alla situazione attuale di grave crisi economica?

R: Le principali tappe della rovina voluta, e finalizzata a dissolvere il tessuto produttivo del paese, desertificandolo industrialmente e assoggettandolo alla gestione via centrali bancarie fuori dai suoi confini, onde farne territorio di conquista per capitali stranieri, sono i seguenti:

1) la progressiva e totale privatizzazione-di­vorzio dal Ministero del Tesoro della pro­prietà e della gestione della Banca d’Italia, con l’affidamento ai mercati speculativi del nostro debito pubblico e del finanziamento dello Stato (operazione avviata con Ciampi e Andreatta negli anni Ottanta);

2) l’immediato, conseguente raddoppio del de­bito pubblico (da 60 a 120% del pil) a cau­sa della moltiplicazione dei tassi, e la crea­zione di una ricattabilità politica strutturale del Paese da parte della finanza privata;

3) la svendita agli amici/complici e ai più ricchi e potenti, stranieri e italiani, delle industrie che facevano capo allo Stato e che erano le più temibili concorrenti per le grandi indu­strie straniere;

4) la privatizzazione, con modalità molto “riserva­te”, ma col favore di quasi tutto l’arco politico, della Banca d’Italia per mezzo della privatizza­zione delle banche di credito pubblico (Banca Commerciale Italiana, Banco di Roma, Banca Nazionale del Lavoro, Credito Italiano, con le loro quote di proprietà della Banca d’Italia);

5) la riforma Draghi-Prodi che nel 1999 ha autorizzato le banche di credito e rispar­mio alle scommesse speculative in derivati usando i soldi dei risparmiatori e alle car­tolarizzazioni di mutui anche fasulli, come i subprime loans americani;

6) l’apertura delle frontiere alla concorrenza sleale dei paesi che producono schiavizzan­do i lavoratori e bruciando l’ambiente;

7) l’adesione a tre successivi sistemi monetari – negli anni Settanta, Ottanta e Novanta – che impedivano gli aggiustamenti fisiologici dei cambi tra le valute dei paesi parteci­panti – anche l’Euro non è una moneta, ma il cambio fisso tra le preesistenti monete – con l’effetto di far perdere competitività, industrie e capitali ai paesi meno compe­titivi in favore di quelli più competitivi, che quindi accumulano crediti verso i primi, fino a dominarli e commissariarli.

Da ultimo, le misure fiscali del governo Monti-Napolitano-ABC, che, tra le altre cose,  hanno depresso i consumi,hanno messo in fuga verso l’estero centinaia di miliardi, svuotando il paese di liquidità;  hanno distrutto il 25% del valore del patrimonio immobiliare italiano, paralizzato il mercato immobiliare così che imprese e famiglie non possono più usare gli immobili per ottenere credito, e l’economia è rimasta senza liquidità, con insolvenze che schizzano al 30% e oltre..

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Un interessante intervento di Carlo Vivaldi-Forti pubblicato sul sito del Cesi

Innanzitutto  Buona Pasqua a tutti Voi  e alle Vostre famiglie. Richiamo quindi la Vostra attenzione  sulla situazione  di pre-guerra civile  che esiste  non soltanto  in Italia  ma in gran parte d’Europa.  Ultimo episodio  la rapina  a mano armata  contro i ciprioti,  che segna  la fine dell’Europa  esistita  fino ad oggi.

Da noi  non si riesce a formare un governo  per l’intolleranza  ideologica  degli ex-comunisti,  ma se anche  per avventura  si arrivasse a una coalizione  PD-5Stelle, questa rappresenterebbe una catastrofe senza precedenti  per il Paese, l’economia e le libere istituzioni. Un governo  di ex-comunisti  arrabbiati  e di  extra-parlamentari  di sinistra  darebbe l’ultima legnata  sulla testa alla società italiana,  aprendo un periodo di violenza  generalizzata. D’altra parte,  le prospettive quali sono? Tornare a votare?  Meglio  di un eventuale  governo Bersani-Grillo di sicuro,  ma l’elettorato  si  spaccherebbe  ancora una volta in tre , magari  a percentuali invertite,  ma non  sufficienti a garantire  un esecutivo stabile.  Un governo  di emergenza  con tutti dentro,  sostenuto  da una  maggioranza  assembleare?  Possibile  in teoria,  ma  in pratica  si dissolverebbe  di fronte  al primo provvedimento  fiscale  non condiviso . La politica  tradizionale  si trova perciò  in un  vicolo cieco.

Dopo tanti anni  di furbizie ,  compravendite di parlamentari, tradimenti  e trasformismo, la crisi  ci ha messo  oggi di fronte a una  situazione  non più  risolvibile secondo i parametri della vecchia politica. Ci troviamo,  mutatis mutandis,  nella stessa situazione  della Francia del 1958,  quando la crisi algerina travolse  le sclerotiche  istituzioni  della Quarta Repubblica  spalancando le porte  alla Quinta  e a de Gaulle.

Abbiamo  noi  oggi un de Gaulle a portata di mano? Apparentemente  no , ma spesso è la storia che crea il personaggio,  non viceversa. E’ certo , in ogni caso, che  nessuna prospettiva  di governo  si apre  con le regole  della Costituzione  attuale.  Lo stesso  bipolarismo  si rivela  un’arma spuntata,  in quanto  la divisione  dell’elettorato, in tre terzi  o due quarti  che sia,  paralizza ogni scelta. Inoltre, ci troviamo assediati  da una  malavita  finanziaria  internazionale  che si è  impadronita delle stesse istituzioni  comunitarie  e che sta preparando l’esproprio  generalizzato di quel poco che resta  del risparmio  degli italiani. Provvedimento che innescherebbe una immediata  guerra civile.

Per uscire da questo incubo , purtroppo molto realistico, esiste una sola alternativa  percorribile: cambiare la Costituzione,  rendendo effettiva la sovranità popolare  mediante appositi istituti  di democrazia diretta ,  l’elezione del capo dello Stato  a suffragio universale e la seconda Camera a rappresentanza di categorie.  Esclusivamente così  si può restituire autentica governabilità  alla società  post-industriale e della globalizzazione . Soltanto quando  questo nuovo assetto istituzionale  si sarà esteso all’intera Europa  potremo davvero  riprendere il cammino  della unificazione  continentale  e dirci con orgoglio europeisti.

Teniamo  inoltre presente  che la soluzione proposta da talune forze  politiche ,  sinistre e Lega in testa,  di trasformare  il Senato in una Camera delle  Autonomie,  è totalmente  inefficace,  in quanto  sposta semplicemente  l’ingovernabilità  dal livello centrale a quelli periferici, lasciando  però  irrisolto  il vero problema,  ossia l’esistenza  di una partitocrazia  corrotta,  venduta  alla mafia  e ai poteri forti.

Nel richiamare la Vostra attenzione  su questa  situazione drammatica,  Vi propongo  di organizzare in tempi brevi, in ogni caso prima d’estate, una  Convenzione  nazionale  dedicata  all’argomento  GOVERNABILITA’ O RIVOLUZIONE ,  o qualcosa di simile.

Attendo in merito  Vostre osservazioni .

Le Regioni sono uno dei tabù del sistema costituzionale italiano. Non è concesso parlarne male (salvo poi prendere atto dei gravi scandali che le hanno colpite negli ultimi anni). Ancor meno evidenziarne l’inefficienza. Proibito chiedere un allineamento tra Regioni “ordinarie” e Regioni a “statuto speciale” (con la conseguente perdita di privilegi da parte di quest’ultime).

Ad essere onesti, evitando sul tema la retorica che ne ha accompagnato, nel 1970, l’istituzionalizzazione, le Regioni non sembrano avere realizzato, in questo quarantennio, l’auspicata riforma politico-amministrativa del sistema-Italia. Al contrario, viste le difficoltà di bilancio e di capacità di governo del territorio manifestate, esse si sono trasformate in una sovrastruttura burocratica, costosa ed inefficiente.

Lo confermano gli studi della Società Geografica Italiana, che da anni sta analizzando la nascita, la crescita e il reale impatto delle Regioni sull’assetto nazionale, denunciando come esse siano – di fatto – degli enti “artificiali”, dei semplici compartimenti statistici, elaborati a tavolino. A queste “elaborazioni statistiche” si adeguò l’ Assemblea Costituente (1946-1948) fissando i confini dei nuovi enti e le stesse denominazioni, non basandoli su motivi storici o economici e nemmeno culturali, con il risultano di creare dei piccoli mostri amministrativi, disomogenei, spesso ipertrofici. Da qui la proposta choc della Società Geografica: abolire tutte le Regioni, anche quelle a statuto speciale, accorpando le province e trasferendo ad esse i poteri regionali.

La proposta dei geografi nasce dagli studi che, negli ultimi vent’anni, la Società Geografica ha sviluppato a partire dal “progetto 80”, (un documento che fu redatto dalla parte più sensibile e innovativa dei territorialisti che, a metà degli anni Settanta, pensò di ridisegnare l’assetto italiano per adeguarlo alla modernizzazione del sistema insediativo e dell’apparato produttivo).

Le ragioni del territorio si sommano ad oggettivi risparmi economici. Basti considerare che l’abolizione delle Regioni rispetto a quello delle province porterebbe a 182 miliardi di risparmi contro 11. Infine c’è la possibilità, definendo i nuovi enti territoriali (35 secondo le previsioni) sulla base dell’omogeneità storica, geografica ed economica, di costruire reti infrastrutturali (legate alla mobilità, ai trasporti e alle comunicazioni), presenti sul territorio o in avanzata fase progettuale incrociate con le interazioni tra l’ambiente e la società secondo un modello geografico in progressiva evoluzione.

In una fase di ripensamento degli assetti socio-economici e politico-istituzionale del nostro Paese, la scelta coraggiosa proposta dagli studiosi della Società Geografica dovrebbe agitare il confronto piuttosto che essere relegata nelle notizie minori.

Della retorica sul regionalismo gli italiani sono stanchi. Di false promesse sulle istituzioni “vicine” ai cittadini non ne possono più. Se il metro di giudizio per le istituzioni, locali e nazionali, deve essere l’efficienza, il rigore, la capacità gestionale, è tempo che ogni retorica venga abbandonata e con essa un modello regionale che non è mai decollato. Abolite le Regioni, si dia voce ai territori, quelli veri, piuttosto che i soffocanti apparati burocratici, soffocanti, inefficienti e spendaccioni.

Viktor Orban

L’Ungheria ha modificato la sua Costituzione chiudendo ogni possibilità di dialogo con l’Unione europea e l’Occidente, e muovendosi ancora sulla linea di autarchia voluta dal premier conservatore, populista e nazionalista Viktor Orban. Senza curarsi dei richiami di Bruxelles, delle accuse dell’opposizione e delle proteste di piazza, il Parlamento di Budapest ha approvato con 265 voti a favore, 11 contrari e 33 astensioni alcune significative modifiche che in una sorta di golpe bianco danno più poteri al governo, riducono la possibilità di intervento della Corte costituzionale che nonostante la presenza sempre più forte di membri nominati dal partito di governo Fidesz, ha avuto fin qui un ruolo importante nel frenare le leggi più controverse dettate da Orban. Solo una settimana fa Orban aveva messo sotto tutela anche la Banca centrale ungherese, nominando il suo braccio destro, Gyorgy Matolcsy, alla guida della Banca centrale del Paese.

Gli emendamenti decisi dal governo e approvati ieri dall’Assemblea, una quindicina di pagine in tutto, limitano le competenze della Corte costituzionale che potrà intervenire solo su questioni procedurali e non di merito, cancellando inoltre tutte le pronunce della stessa Corte precedenti all’entrata in vigore della nuova Costituzione all’inizio del 2012.

Ma il voto di ieri introduce anche alcuni elementi che mettono a rischio i principi di democrazia e di rispetto dei diritti umani nel Paese. Il nuovo testo costituzionale così come è uscito ieri dall’Aula limita anche l’indipendenza degli organi di giustizia, prevedendo la facoltà di spostare con maggiore facilità i processi in corso da una sede all’altra; criminalizza i cittadini senza fissa dimora; riduce l’autonomia delle università e la libertà dei cittadini laureati, obbligandoli a lavorare per dieci anni in Ungheria; e nega i diritti dei conviventi, in quanto riconosce per legge la famiglia unicamente come un legame costituito dal matrimonio tra un uomo e una donna.

Il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso e il segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbiorn Jagland, si sono detti «preoccupati» per la nuova svolta di Budapest: «Gli emendamenti destano preoccupazione per quanto riguarda il principio dello stato di diritto, del diritto europeo e degli standard del Consiglio d’Europa», si legge in una nota congiunta, nella quale si chiede alle autorità di Budapest – dimostrando tutta l’impotenza dell’Unione in situazione come queste – di avviare «contatti bilaterali con le istituzioni europee per venire incontro a ogni preoccupazione per quanto riguarda la compatibilità di questi emendamenti con i principi e il diritto dell’Unione europea».

Al momento del voto i deputati socialisti all’opposizione sono usciti dall’Aula del Parlamento nel quale dopo il trionfo elettorale del 2010 il Fidesz, il partito di Orban, ha una maggioranza superiore ai due terzi dei seggi. La protesta si organizza nelle strade di Budapest per chiedere al presidente Janos Ader di porre il veto alle modifiche costituzionali. «È l’ultimo momento in cui si può fare qualcosa. Il capo dello Stato non dovrà firmare, e la Corte deve pronunciarsi prima che questa facoltà le sia tolta», ha detto l’ex presidente della Repubblica ungherese, Laszlo Solyom.
Dal partito di Orban rispondono rivendicando il diritto di «rivoltare il Paese come un calzino», come del resto lo stesso premier aveva promesso agli elettori tre anni fa. «Nonostante il chiasso internazionale e interno è naturale che la maggioranza di governo usi il mandato ricevuto con elezioni democratiche», ha detto Gergely Gulyas, uno dei “colonnelli” del Fidesz.

Nella relazione del CESI “La partecipazione del cittadino alla gestione dell’impresa e nella rappresentanza politica”, stesa a seguito del successo dell’Appello ai candidati alle recenti elezioniper un Patto sulla partecipazione, un paragrafo è stato dedicato (come può vedersi in altro punto di questo sito) ad alcune aziende italiane che già stanno attuando, sia pure in maniera diversa, ma sempre in questa direzione, forme di collaborazione più stretta fra i fattori della produzione – capitale, lavoro, tecnica ed organizzazione – ciascuno dei quali non può essere considerato egemone ed esclusivo ai fini dei risultati produttivi.

In questa fase estremamente interessante per le modifiche strutturali che sta avendo l’intero sistema socioeconomico si sta inserendo la FIAT e ciò contrariamente a quanto si può pensare a causa della disattenzione dei mass-media che cavalcano i soliti stereotipi classisti. Naturalmente il percorso è legato ai problemi mondiali della crisi, alla grande competitività nel settore automobilistico, alla rigidità oligarchica e conservatrice dell’azione di alcuni sindacati.

Tuttavia la strada, per altro già accolta dal documento intersindacale che abbiamo pubblicato in altro paragrafo, sempre sulla citata relazione, rimane quella del progressivo maggior coinvolgimento del fattore lavoro in tutti i suoi livelli di responsabilità nel processo produttivo.

Pubblichiamo, pertanto, un interessante articolo sull’argomento di un esperto di organizzazione aziendale, il dott. Giorgio Giva, dal titolo: “Il contratto FIAT innova le relazioni industriali: costi invariati per l’azienda, più soldi in busta”, che appare contemporaneamente anche sul sito FIRSTonline.

Scarica l’articolo

L’Appello del CESI ai candidati nelle recenti elezioni per un “Patto sulla partecipazione” ha avuto un vasto eco sia in adesioni personali che in riscontri in documenti ed articoli riguardanti i positivi aspetti sociali ed economici.

E’ ora che le forze politiche della cosiddetta “Destra Sociale” e comunque provenienti da mature esperienze politiche Msi, Msi-dn e An si mobilitino in forma unitaria ed identitaria anche a proposito dell’istituto della cogestione.

L’individuazione dei ponti nodali per il nostro sviluppo di Nazione nell’ambito europeo e la conseguente necessaria mobilitazione di alternativa, sono ormai obiettivi ineludibili in previsione dell’imminente crollo del sistema del parlamentarismo partitocratico. La cogestione, come motore del progresso sociale ed economico, è uno dei punti nodali come obiettivo sul quale raccogliere consensi.

Il CESI pubblica qui di seguito due articoli: uno del Presidente Rasi che riassume la documentazione in materia, sia per quanto riguarda i precedenti storici, sia per quanto riguarda i recenti, significativi indirizzi di importanti organismi di categoria e di imprese italiane che hanno anticipano al loro interno l’introduzione dell’istituto della partecipazione dei lavoratori ai risultati economici dell’impresa.

Un secondo articolo, di notevole interesse, è quello dell’esponente del nostro Centro Studi, il dott. Gian Galeazzo Tesei, un manager di vaste esperienze aziendali e di forte sensibilità politica, il quale, fa una rapida, ma incisiva panoramica della problematica pendente.

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