Settantesimo anniversario del martirio di Giovanni Gentile
Ricorre quest’anno il settantesimo anniversario del martirio di Giovanni Gentile, assassinato a Firenze il 15 aprile 1944. Alla distanza del tempo trascorso il pensiero di Gentile si rivela non solo nella sua validità dominante nel secolo scorso, ma anche una base etica, politica ed educatrice alla quale fare riferimento per riprendere un cammino di ulteriore civiltà.
Il CESI prende spunto dalla pubblicazione del libro di Primo Siena, Giovanni Gentile. Un italiano nelle intemperie, appena uscito a cura delle edizioni Solfanelli, sia per farne un’ampia recensione sia per delineare i punti salienti di un pensiero che va aldilà delle pur impegnative ed anche tragiche vicende vissute dal filosofo della prima metà del Novecento. L’autore è uno scrittore, filosofo e pedagogista, tutt’ora coerente assertore del pensiero sociale e nazionale. Egli ha pubblicato numerosi libri e, seppur vive a Santiago in Cile, segue attentamente quanto avviene in Italia ed in Europa.
In questo libro Siena, non solo tratteggia i punti essenziali della filosofia gentiliana, ma fa anche riferimento ai numerosissimi commentatori, tutti di elevato livello, che si sono occupati di Gentile e ne hanno interpretato l’opera nei vari aspetti.
L’opera è integrata da un profilo del filosofo: della sua vita, della sua azione politica, del suo pensiero e del suo messaggio postumo, non solo interpretato da intellettuali di varia estrazione. Interessanti poi ed illuminanti i commenti critici nei confronti di coloro che negli ultimi tempi hanno tentato di strumentalizzare il pensiero gentiliano per posizioni politiche di segno opposto.
Il libro è completato da documenti quasi sconosciuti al pubblico italiano, ma di altissima validità interpretativa: il gesuita argentino prof. Leonardo Castellani e il pensatore rumeno-spagnolo prof. George Uscatescu. Chiude il libro una acuta interpretazione del pensiero politico di Giovanni Gentile svolta dal filosofo Armando Carlini.
Il volume è stato presentato il 27 maggio nell’Aula Magna di Palazzo Sora, sede del Sindacato Libero Scrittori Italiani: ne sono stati relatori il Presidente del CESI, prof. Gaetano Rasi e il prof. Lino Di Stefano, illustre studioso dell’opera gentiliana. Ha presieduto l’incontro animandolo ulteriormente con i suoi interventi il prof. Francesco Mercadante. L’autore, prof. Primo Siena, ha alla fine concluso la presentazione con ulteriori validi commenti
Dedichiamo questo numero documentario riportando i punti salienti della relazione del Presidente del CESI.
SOMMARIO DI QUESTO NUMERO
Attualità e futuro nella rivisitazione del pensiero del maggior filosofo del Novecento.
Ripartire da Gentile di Gaetano Rasi
1° – Riprendere il cammino dal pensiero di Gentile
2° – Per Stato etico Gentile intende “senso dello Stato” da parte del cittadino
3° – L’educazione del cittadino come trasmissione etico-conoscitiva ed autoformazione
4° – Il pensiero di Gentile proiettato oltre la sua vita terrena
5° – Sviluppi gentiliani per nuovi orizzonti di civiltà
6° – Il concetto gentiliano di società e di Stato deve influenzare la nuova economia
Riflessioni immediate sull’esito delle elezioni europee
Questo bollettino esce a ridosso dell’esito delle elezioni europee, esito che è stato diverso dalle previsioni della maggior parte dei mezzi di informazione e degli stessi partiti politici interessati. Il CESI ha per propria regola quella di effettuare riflessioni ed analisi non immediate perché vuol evitare valutazioni che potrebbero non essere frutto di adeguato approfondimento. Tuttavia nel caso presente ritiene utile entrare subito nel merito delle questioni che emergono prepotentemente impegnandosi a proseguire nei prossimi numeri de Il Sestante la valutazione dei giudizi espressi dai maggiori editorialisti e commentatori italiani, oltre che da parte dei maggiori esponenti politici.
Come potrà leggersi dagli interventi che seguono, il dato comune è quello di considerare le elezioni del 25 maggio come un punto di partenza dal quale trarre motivo per poi sostanziare proposte e programmi nell’ambito del fondamentale progetto che è quello di preparare un grande movimento costituente al fine di pervenire ad una integrale nuova redazione della Carta costituzionale italiana. Non è possibile, infatti, rimanere imprigionati nella miope, dannosa e superficiale riforma affrettatamente annunciata dal leader che dalle elezioni ha tratto il maggior vantaggio.
In altre parole il CESI apre un’ulteriore fase del dibattito per il quale ha predisposto già un anno fa un Appello agli italiani per l’Assemblea Costituente ed un Manifesto Politico e Programmatico per la Rifondazione dello Stato. Le nuove problematiche che si vanno ponendo, le ulteriori precisazioni di indirizzi finora incerti, la necessità di approfondimento di dati ed indirizzi prima non noti – il tutto unito con il possibile sviluppo di un raggruppamento politico che rilanci una politica nazionale e sociale unitaria e che sia energicamente presente nella legislazione e nel governo europeo – richiedono aggiornamenti ed ampliamenti sia di quell’Appello che di quel Manifesto. Alla fine di questo lavoro ne sarà pubblicata una nuova edizione.
Il CESI pertanto, attraverso il suo bollettino e con convegni e seminari da organizzarsi nei prossimi mesi, cercherà di contribuire affinché quanto auspicato si realizzi perché ormai si tratta di una necessità storica della quale si deve sempre più prendere coscienza (g.r.).
SOMMARIO DI QUESTO NUMERO
- Riflessioni a caldo sulle elezioni europee.
Siamo ancora in alto mare di Innocenzo Cruciani
- Perché un certo tipo di “destra” non sia inutile.
Più energia nel passare dalla protesta alla proposta di Mario Bozzi Sentieri
- Manifestazioni CESI: Una nuova Costituzione per un nuovo modello di sviluppo
Due convegni del CESI in Toscana
Conferenza dibattito all’Università di Viterbo
Ho ricevuto una telefonata da un mio caro amico che indicherò con le sue iniziali, E.S.. Al telefono era un “tantinello” incazzato avendo letto un articolo su “Il Corriere della Sera”, articolo a firma di Roberto Marabini. E.S. mi ha inviato in seguito l’articolo in oggetto. Il titolo del pezzo è: “I vicini scomodi – essere ebrei nel 1937”. Tratta di <una famiglia che, “negli anni bui” del fascismo (proprio così ha scritto Marabini) aveva due peccati originali: possedere una villetta a Riccione, vicino alla villa del Duce, ed essere ebrea (…)>. Egiù una serie di contumelie contro il Duce, colpevole, secondo l’Autore, dello sterminio degli ebrei sterminio iniziato, sempre secondo il Signor Marabini, nel 1937. Solo questa data indicata dall’Autore ci fornisce il grado di ignoranza dello stesso. Infatti se avesse studiato la storia dovrebbe sapere che le leggi sulla razza furono varate nel 1938.
Per iniziare riporto “una lettera ricevuta dall’al di là” da il gatto:
Salve, cari posteri,
il mio nome è Joseph Iugasvili Stalin, certamente mi conoscete o per lo meno avete sentito parlare di me, più di qualche volta …
Ho chiesto il permesso a Dio per scrivervi questa lettera, vi scrivo, dove mi trovo poco vi interessa. Può interessarvi dove si trova il vostro statista Benito Mussolini, che nella Storia è ricordato come “Il Duce”, ve lo dico, anche se non dovrei; si trova, bontà del nostro sommo Dante Alighieri (nostro, perché la Poesia, quella vera, seria, appartiene a tutto il mondo) nel Purgatorio, girone dei c … ni!
Eh sì, perché tale luogo meritava.
Come potremmo definire un uomo che in vita ha protetto i suoi avversari mantenendoli con un sussidio all’estero, e poi tutti hanno affermato che erano in esilio, come chiamereste voi un uomo che ha salvato dalla fucilazione da parte dei Tedeschi gente che si professava sua nemica, e lo ha fatto in nome della vecchia amicizia che nutriva per loro; come giudicate oggi il fatto che oggi a quest’uomo attribuiscono la responsabilità delle leggi razziali, quando proprio lui ne ha salvati tanti di quelli!!! (…).
Per confutare, ancora una volta, le malignità scritte su questo argomento dai vari Marabini, mi rifaccio ad un mio precedente articolo, che riporto qui di seguito. E qualcuno mi smentisca.
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Nel contempo ho ricevuto dal Signor X una mail che riporto di seguito.
<Caro Giannini, grazie per il suo impegno a ristabilire una verità storica tanto orrenda che pochi hanno il coraggio di approfondire. Grazie per il suo appassionato e ingrato lavoro, ma nulla fra le innumerevoli stragi precedenti (Caino in un solo colpo, uccidendo Abele, sterminò un quarto dell’umanità dell’epoca) e per citarne qualcuna sotto l’imp. Tito nel ’70 d.c. furono eliminati 600 mila dei 900 mila ebrei di Palestina…
Quanto tempo avrebbe impiegato l’apparato di Himmler a scoprire che la mia bisnonna era ebrea e quindi io, con la mia famiglia, essere destinato ai campi di concentramento ed ai forni crematori? Il fatto di non essere ariano – e neppure Himmler lo era – giustifica tanto orribile accanimento? Se Tamerlano, per fare un solo esempio, ha passato a fil di spada 18 milioni di persone in dieci anni, anche se erano suoi nemici irriducibili, si giustifica per questo? Un conto, caro Giannini, è essere storico e un altro essere politico. Cerchi, se possibile, di rimanere imparziale. Nel nome della verità storica. Grazie. XX>
Forse mi sbaglio, ma se ho ben capito, il Signor X vorrebbe che i miei scritti convalidassero quanto la “vulgata resistenziale” da oltre sette decenni va sostenendo, e cioè che <Mussolini faceva parte della macchina della soluzione finale>. Se questo è quanto il Signor X pretende, mi obbligherebbe a scrivere non solo una falsità, ma addirittura una cosa esattamente contraria alla verità.
Per una volta sola mi voglio avvalere del giudizio di una personalità dichiaratamente fascista, Giorgio Pisanò. Questi nel suo libro “Noi fascisti e gli Ebrei” ha scritto: <Si giunse così al 1939, vale a dire allo scoppio della guerra e fu allora che, all’insaputa di tutti, Mussolini diede inizio a quella grandiosa manovra, tuttora sconosciuta o faziosamente negata anche da molti di coloro che invece ne sono perfettamente a conoscenza, tendente a salvare la vita di quegli ebrei che lo sviluppo degli avvenimenti bellici aveva portato sotto il controllo delle forze armate tedesche>. Giorgio Pisanò: un pazzo? un mentitore fascista? No, Signor X, Giorgio Pisanò ha scritto il vero: non Hitler (è ovvio), né Stalin (per lo stesso motivo, è altrettanto ovvio), non Roosevelt, né Churchill, né Pétain, nessuno di questi ultimi, pur avendo le possibilità di farlo, si adoperarono per mettere in salvo gli ebrei: solo Mussolini lo fece, è assurdo sostenere questa tesi? Allora leggete e, ripeto: smentitemi.
Chi scrive queste note ha un difetto: prima di scrivere si documenta e solo su documenti scrive.
Alla clinica “Madonnina” di Milano è nato il 23 maggio Leonardo Biggini, figlio primogenito di Carlo Alberto Biggini e di Emili Davi. Il piccolo è il pronipote del ministro dell’Educazione Nazionale Carlo Alberto Biggini, illustre docente e uomo politico spezzino degli Anni ‘30 e ‘40, già Rettore Magnifico (più giovane Rettore della storia italiana) dell’Università di Pisa, cui gli storici hanno riconosciuto il merito, tra gli altri, di avere salvato molte vite umane e di aver messo in salvo la maggior parte del patrimonio artistico Italiano . Il padre del neonato è un imprenditore molto noto a La Spezia e nel campo siderurgico nazionale: amministratore unico di “Emmebi srl” e di “Euroambiente srl” e presidente della “Duferco Serbia d.o.o.” (del Gruppo Duferco Italia Holding spa), ha dato vita, a La Spezia, all’ente culturale “Istituto Biggini”, di cui è attualmente vicepresidente (la presidenza è stata assunta dall’on.prof. Gaetano Rasi). La madre, Emili Davi, e imprenditrice a Torino, amministratrice della “FFF Edilizia s.r.l.”, azienda di famiglia. Il nonno del neonato, Carlo Ugo Biggini, figlio del ministro, fu direttore del personale di vari stabilimenti Fiat. L’arrivo del piccolo Leonardo Biggini ha allietato i nonni materni Franco Davi e Bruna Giuglard, e la nonna paterna Gigliola Premoli Biggini figlia del cav. Gerolamo Premoli, che fu direttore del compartimento ANAS di La Spezia. Attualmente, Gigliola Premoli Biggini è impegnata, a La Spezia, nelle aziende di trader nel settore siderurgico che fanno capo al figlio. Tra gli ascendenti del piccolo Leonardo, anche la bisnonna Maria Bianca Mariotti, moglie del ministro Biggini e proveniente dalla nobile famiglia Mariotti di Parma cugini della duchessa Maria Luigia.
Crisi dell’europeismo per l’assenza di politiche adeguate
Le elezioni europee del 25 maggio sono viste in Italia molto più come un’indicazione degli indirizzi degli elettori circa la situazione interna (il futuro delle forze politiche rappresentate ora in Parlamento) che come l’orientamento e quindi il peso che dovrà avere il nostro Paese nei confronti dell’Unione Europea.
Si tratta di un fatto inevitabile se si considera che i maggiori esponenti politici attuali in Italia – Berlusconi, Grillo e Renzi – non siedono in Parlamento e quindi dall’esito delle elezioni si pensa di individuare solo quale potrà essere la durata della legislatura e quale sarà la politica del Governo italiano in questo periodo di crisi continuata. Ma tutto ciò è in contrasto con gli interessi del nostro Paese legato inevitabilmente al destino dell’Europa. Si deve infatti avere la consapevolezza che della crisi non possono essere imputate le singole nazioni del continente, non solo perché essa è nata negli Stati Uniti e da essi si è poi propagata, ma perché il vertice della UE ha dimostrato tutta la sua insufficienza ad affrontarla.
In una dell’ultime indagini dell’Eurobarometro, la percentuale degli europei che non ripone fiducia nel Parlamento supera di 8 punti quella di parere opposto; si tratta di una vera inversione di tendenza se si pensa che qualche anno fa i fiduciosi nel Parlamento europeo erano il 30% in più dei suoi detrattori.
L’impotenza dell’Europa ha prodotto tre conseguenze negative: pericolose fratture all’interno dell’Unione; una perdita di peso nella politica intercontinentale; dubbi sulla sopravvivenza della moneta unica. A tal proposito Joseph Stiglitz, Nobel per l’economia, ha recentemente accusato la classe politica di Bruxelles di non aver «avuto il coraggio di costruire le istituzioni necessarie» e che «non basta una mera unione monetaria».
Infatti non sono state create una legislazione fiscale ed industriale comune, non è stata introdotta una politica rivolta a comuni infrastrutture; la BCE non è una banca centrale dotata di quei poteri istituzionali che dovrebbe avere: prima di tutto quello di emettere moneta a seconda dei bisogni anti-deflazionistici di ciascun Stato, mentre al contrario è stato ratificato un Patto di Stabilità che pone vincoli alle spese per i necessari lavori pubblici e l’ammodernamento delle reti infrastrutturali. È prevalso il finanziamento solo tramite il sistema bancario il quale ha preferito la speculazione finanziaria sugli impieghi nell’economia reale.
Il nuovo Parlamento europeo, che avrà un suo rappresentante nella Commissione Europea, deve accelerare l’acquisizione di poteri tali da legiferare programmaticamente e impegnativamente a favore della politica e dell’economia dell’intero continente. Le accuse all’Italia per il suo debito pubblico sono pretestuose. Le potenzialità del nostro Paese per ridurlo sono reali purché non ci si limiti a politiche di contorno (magari a danno del lavoro) e a tassazioni deprimenti (a danno delle famiglie e delle imprese) ma invece ci si rivolga ai necessari grandi lavori pubblici per creare efficienze esterne per le imprese, occupazione diffusa e adeguati redditi per il riavvio della domanda aggregata (consumi e nuovi investimenti) (g.r.).
SOMMARIO DI QUESTO NUMERO
- Le elezioni europee del 25 maggio. L’Europa? Prima un’entità politica, poi economica di Agostino Scaramuzzino
- Le alte remunerazioni dei vertici aziendali troppo spesso non sono legate all’efficienza produttiva. Gli stipendi dei top manager come nuova frontiera della “questione sociale” di Mario Bozzi Sentieri
- A proposito di una classe politica irresponsabile e incapace. Marò inappuntabili, Governo vergognoso di Innocenzo Cruciani
- Responsabilità politica e competenza realizzativa. L’inefficienza legislativa del bicameralismo paritario di Alessio Brignone
Morro Reatino, piccolo paese abbarbicato sulle montagne a Nord di Rieti, aveva vissuto tranquillamente quell’ennesimo inverno di guerra 1943-1944. Uniche novità di rilievo, la sempre più frequente presenza di partigiani che qui avevano trovato un tranquillo rifugio. Proprio a queste presenze sono da ricollegarsi alcune violenze (essenzialmente minacce, qualche aggressione e – ovviamente – furti) che videro come vittime alcuni cittadini, ben lontani dal compromettersi con il Partito Fascista Repubblicano, sia chiaro. Tutto, sembrava limitarsi a dissapori personali, odi paesani e, naturalmente, alle “necessità” della guerriglia partigiana (che ben pochi ribelli facevano).
Nulla fece presagire l’uragano di violenza che si scatenò durante il rastrellamento italo-tedesco del 31 Marzo – e dei giorni seguenti – che misero fine alla guerriglia in queste zone (senza, per altro, che si verificassero scontri!).
Proprio durante questo rastrellamento avvenne un primo episodio che si prestò al plagio della vulgata antifascista e anti-italiana. Tra le molte vittime dell’operazione di controguerriglia italo-tedesca si ritrovò il corpo di Pietro Giuseppe Di Lorenzo che, logicamente, venne inserito tra i “caduti della Resistenza”, sebbene mai nulla avesse avuto a condividere con il movimento di guerriglia. Ma, al tempo, serviva inventarsi “martiri della libertà” e perciò nessuno obiettò nulla, così come nessun “ribelle patentato” disse che ad uccidere il povero Di Lorenzo era stato un Commando partigiano che lo aveva indicato – falsamente – come una “spia”.
E’ questo il clima che generò la spedizione punitiva di un gruppo di guerriglieri comunisti nella notte tra il 18 e il 19 Maggio 1944, quando Morro Reatino fu sconvolto da una “legittima azione di guerra” condotta, però, contro civili innocenti, cui nulla era imputabile. Le vittime, alla fine, saranno solo quattro perché il Commando indugiò troppo a lungo nel consuetudinario “prelievo proletario” nelle case di poveri contadini locali. Essendosi fatto troppo tardi, ci si accontentò di solo quattro sventurati che vennero portati in montagna e dopo atroci torture, amputazioni di genitali ed enucleazione delle orbite vennero finiti a colpi di pietre sul capo. Questi i loro nomi: Mario Sansoni, Antonio Molinari, Romeo Pellegrino e Pietro Palenca.
Scrisse, nel primo dopoguerra, l’antifascista Giuseppe De Mori: “Il corpo di Romeo Pellegrino mostrava gli occhi strappati, la lingua mozzata e il corpo sfregiato. La salma di Pietro Palenca presentava ventidue pugnalate e altrettanto seviziati apparivano i cadaveri degli altri due disgraziati. La popolazione, convinta che in tanta efferatezza non ci fosse stato un vero movente politico, era costretta a soffrire tutto in silenzio per timore del peggio”.
La strage ebbe un triste epilogo qualche settimana dopo, quando morì Don Mariano Labella: durante la “legittima azione di guerra” dei partigiani era stato brutalmente malmenato e lasciato sanguinante a terra, nei pressi della chiesa parrocchiale. Dal pestaggio non si era più ripreso.
Il Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti ha chiesto al Sindaco di Morro Reatino che nella piazza principale del paese, al fianco di quella che ricorda le vittime del rastrellamento italo-tedesco, sia affissa una lapide che ricordi anche le sei vittime innocenti dell’odio antifascista.
«Dopo 70 anni – ha dichiarato il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti – è legittima una riflessione su quanto avvenuto nella nostra provincia durante la guerra civile scatenata dai partigiani. Ancor oggi, troppi politici o politicizzati ci parlano di una Resistenza “immaginaria” fatta di democrazia e “libertà”, anche se, quando osserviamo queste “legittime azioni di guerra” noi non possiamo non rimanere più che perplessi davanti alla politicizzazione di fatti che nulla hanno a che fare con la democrazia e la tanto sbandierata “libertà”. Pensare di cancellare certe pagine di storia, così come tacere sul vero volto della guerriglia comunista, è un’operazione che non condividiamo. Per amore davanti alla giustizia. Quando i nostri “cattivi maestri” vanno nelle scuole a parlare di lotta partigiana, di democrazia e di “libertà”, hanno mai detto che cosa fu la guerriglia? Hanno avuto mai il coraggio di parlare delle stragi partigiane? Hanno parlato anche del comunismo? Hanno ricordato le vittime innocenti dell’odio antifascista di Morro Reatino? La risposta a queste domande, dia la misura della loro moralità. Dal punto di vista storico, quello che più ci interessa, l’eccidio di Morro Reatino presenta ancora molti lati oscuri. Fermo restando che le cronache giudiziarie hanno escluso chiaramente e senza timore di smentita che le vittime dell’odio partigiano fossero delle “spie”, ancor oggi non si conoscono i nomi di tutti coloro che parteciparono a questa “legittima azione di guerra”. Ma non solo. La strage comunista richiama direttamente anche la misteriosa scomparsa del Comandante partigiano Mario Lupo (cancellato dal PCI dai libri di storia, nonostante fosse stato il migliore capo guerrigliero di tutto il Reatino). Proprio durante il processo agli autori dell’eccidio di Morro, infatti, venne fuori la storia che Mario Lupo fu ucciso dai comunisti che mal tolleravano la sua indipendenza, scottati anche dal fatto che il famoso e carismatico Comandante partigiano si era opposto a una spedizione punitiva contro le “spie” di Morro, perché sapeva che in paese non vi erano collaboratori dei fascisti. Disse chiaramente che fino a che fosse stato vivo lui, certe cose non sarebbero mai avvenute. Appunto».
Claudio Cantelmo
Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario
della RSI in Provincia di Rieti
Il lettore ci perdonerà il titolo che alcuni potrebbero interpretare come una provocazione. Non ci troviamo davanti a una Madonna “politica”, come sono la Madonna del manganello di Vibo Valentia, la Madonnina dei Martiri Fascisti di Girifalco o la Madonna del Fascio di Predappio. Vogliamo parlare di un fenomeno che si verificò nel Maggio 1944, in un piccolo paese della provincia di Bergamo, più precisamente nella sottofrazione di Torchio di Ghiaie, nel Comune di Bonate Sopra, del quale poco o nulla si conosce. Nel pomeriggio del 13 Maggio 1944, proprio nel XXVII anniversario dell’apparizione della Madonna di Fatima, la Sacra Famiglia apparve a una bambina del luogo, tale Adelaide Roncalli, di 7 anni. Fu l’inizio di una serie di eventi eccezionali, distinti in due cicli di apparizioni: il primo dal 13 al 21 Maggio e il secondo dal 28 al 31 Maggio, per un totale di tredici fenomeni in cui alla piccola si presentarono la Sacra Famiglia o la Beata Vergine Maria, una volta accompagnata da due Santi, altre da Angeli.
La notizia della manifestazione ad Adelaide si sparse in un baleno e decine di migliaia di persone si riversarono su Ghiaie, chi per curiosità, chi per fede, chi in cerca di un miracolo. All’ultima apparizione, si stima, parteciparono circa 90.000 persone. Questo “movimento” provocò allarme tra le Autorità della RSI che riuscirono sempre a far fronte alla situazione di emergenza, anche grazie all’ausilio di decine di Agenti della Polizia Repubblicana e Militi della GNR che assicurarono l’ordine pubblico e l’assistenza ai pellegrini durante queste manifestazioni.
All’ultima apparizione assistette anche il Prof. Ferdinando Cazzamalli, medico e parapsicologo, membro della Società Italiana di Metapsichica. Arrestato dai Germanici per sospetto favoreggiamento della guerriglia, fu scarcerato il 30 Maggio “per mancanza di prove” – più precisamente per effetto del “bando di perdono” del Duce – e subito raggiunse Ghiaie per studiare il fenomeno.
Qui siamo costretti a fermare il racconto per non addentrarci in ardite interpretazioni esoteriche o in speculazioni politiche tipiche della vulgata antifascista e anti-italiana che ha voluto manipolare anche questi episodi. Secondo alcuni, infatti, le Autorità della RSI cercarono di far pressioni sul Vescovo di Bergamo Adriano Bernareggi per far finire le manifestazioni di Ghiaie, in quanto considerate antifasciste. Questo perché, durante la terza apparizione, quella del 15 Maggio 1944, la Madonna avrebbe detto alla piccola che la guerra sarebbe finita entro due mesi se «gli uomini faranno penitenza». Tutto qui. Non capiamo quale sia il “messaggio antifascista” contenuto in tale annuncio, che si differenzia molto da quello chiaramente antibolscevico di Fatima, a cui molti collegano la Madonna di Ghiaie. Durante le apparizioni non vi fu nessun messaggio politico. In molti, invece, ricordano lo spiegamento di forze della RSI in servizio d’ordine pubblico e di assistenza ai pellegrini; i messaggi mariani annunciati alla folla da un Vicebrigadiere delle Camicie Nere. Ancor oggi, come ha ricordato Fabio Corsaro – uno dei più importanti studiosi del fenomeno – in alcuni paesi della Bergamasca, la Madonna delle Ghiaie – più volte descritta in abiti tricolori – è detta la “Madonna dei repubblichini”…
Nel Maggio 1944, sul luogo delle apparizioni, venne eretta una cappella che rimase inviolata per tutta la RSI. Sarà “smantellata” dalla Curia – rimuovendo gli ex-voto e ogni riferimento alle apparizioni – nel 1948…
Comunque sia, tutte le “accuse politiche” hanno il chiaro sapore della speculazione. Si pensi solo che alcuni sostengono – senza esibire nessun documento, ma solo testimonianze di seconda mano – che addirittura Hitler si interessò del caso, arrivando a minacciare – con le SS, naturalmente! – la distruzione della città di Bergamo in caso fossero perdurate le manifestazioni. Non solo. Si parlò anche di progetti di deportazione, nei campi di “sterminio”, naturalmente! Dulcis in fundo, si è parlato anche di una “ispezione corporale” subita dalla bambina il 5 Luglio 1944. Un’ispezione che viene definita da un cronista come “visita ginecologica nazista”! Don Cortesi e il Prof. Cazzamalli – che qualcuno ha voluto dipingere come gli “uomini neri” di questa storia e, quindi, “intimamente fascisti” – erano, in realtà, ben lontani da simpatie per Mussolini, almeno nel 1944. Tanto è vero che il noto Professore fu arrestato per favoreggiamento della guerriglia – farà 23 giorni di carcere! – e il Sacerdote sarà riconosciuto, nel dopoguerra, come Patriota del Corpo Volontari della Libertà!
Si aggiunga, poi, il fatto, su cui tutti sorvolano, che la famiglia Roncalli non era antifascista. Il fratello di Adelaide, tale Luigi, aveva aderito alla RSI e prestava servizio nelle Forze Armate Repubblicane… Alcuni lo indicano come “richiamato”, anche se la data di nascita – 30 Luglio 1926 – non lo inserisce tra i “richiamati” ma, bensì, tra i Volontari!
Come spesso capita in questi casi, Adelaide Roncalli fu sottoposta dalle Autorità ecclesiastiche a una serie di pressioni e violenze psicologiche che la indussero, nel Settembre 1945, anche a una momentanea ritrattazione, poco dopo sconfessata per riconfermare l’autenticità delle manifestazioni. Fu così che il culto della Madonna di Ghiaie fu proibito, secondo le leggi canoniche.
Tuttavia, il 7 Aprile 1949, Pio XII volle incontrare Adelaide e, durante questo incontro, la bambina mise al corrente il Santo Padre del segreto che la Madonna le aveva affidato nell’apparizione del 17 Maggio 1944. Nessuno sa cosa i due si dissero, ma oggi le apparizioni sono considerate da chi vi crede come “l’epilogo di Fatima”.
Sta di fatto che il messaggio antiabortista e antidivorzista delle apparizioni di Ghiaie risulta del tutto indigesto a molti. Il possibile “richiamo a Fatima”, inteso come denuncia dell’apostasia interna alla Chiesa dopo il Concilio Vaticano II, non può che impensierire le “alte gerarchie”. Non è un caso che Papa Giovanni XXIII – colui che indisse il Concilio Vaticano II – consigliò ad Adelaide di non parlare più, “per non creare ulteriore disordine sul contenuto dei messaggi”…
Adelaide, che era entrata in convento nel Settembre 1951, fu costretta alla svestizione e a ritornare a vita civile nel Dicembre 1953. Le venne imposto così anche il silenzio, a cui lei si sottomise. Un silenzio che ancora avvolge questa storia sulla quale non pochi avvoltoi politicizzati hanno cercato di banchettare. Abusivamente.
Pietro Cappellari
Per approfondimenti:
P. Cappellari, La Fatima della RSI. Maggio 1944: le apparizione mariane di Ghiaie di Bonate, tra speculazione politica e realtà storica, Fondazione della RSI – Delegazione di Mantova, Mantova 2011
A lui Mussolini consegna il suo epistolario con Churchill, che scompare misteriosamente tra Como e Padova
Carlo Alberto Biggini è uomo di cultura: laureato in legge all’università di Genova, in scienze politiche a Torino e in scienze corporative a Pisa, è vicino alla concezione giolittiana dell’educazione nazionale, che mette in pratica durante la sua carriera. Il capo delle formazioni partigiane socialiste Corrado Bonfantini è suo amico. Mussolini lo sa, si fida di Biggini tanto che gli conferisce l’incarico di redigere la nuova Carta costituzionale del nuovo Stato repubblicano. La completa in due settimane. Le vicende di quegli anni sono note: i fascisti sono tenuti d’occhio e l’epilogo della vicenda non è dei più rosei. Così, il 23 aprile 1945 Biggini abbandona la sua residenza nei pressi di Como e si rifugia nella Basilica di Padova. Non porta con sé, però, il famoso carteggio tra Mussolini e Churchill, che il Duce gli ha consegnato probabilmente per due ordini di motivi: il primo, perché la sua fiducia in Biggini è smisurata, il secondo, perché riteneva che i buoni rapporti dello stesso Biggini con alcuni antifascisti come Bonfantini lo avrebbero salvato nell’ora suprema. Mussolini aveva ragione: sull’Aprilia di Biggini, che ogni giorno percorreva la strada verso la residenza del Duce, i partigiani non hanno mai fatto fuoco. Anche perché su quell’Aprilia, insieme a Biggini, viaggiavano spesso liste di nomi da “salvare”. E infatti Biggini è, per dirla con le parole di Festorazzi, “un galantuomo, un pacifista, un intellettuale illuminato”. Ed è proprio per questo che i religiosi di Padova non si tirano indietro quando bussa alla loro porta. Durante il suo soggiorno presso la struttura padovana, Biggini comincia a stare molto male. Il medico gli diagnostica un cancro. Il suo trasferimento presso la clinica San Camillo di Milano avviene rapidamente. Quando vi giunge, ha dati anagrafici nuovi di zecca: è il professor Mario De Carli. La diagnosi è confermata: tumore al pancreas. Ma c’è un referto di padre Agostino Gemelli, amico di Biggini, che dice esattamente il contrario. La cosa non convince, la contraddizione è evidente, al punto che ancora oggi la sua morte è considerata un mistero. Biggini viene tenuto al sicuro, nessuno è ammesso alla sua presenza, eccezion fatta per il suo segretario Dino Campini, al quale l’ex ministro confida la vicenda del carteggio dimenticato. Biggini muore pochi mesi dopo, il 19 novembre 1945. Una morte che lascia intorno a sé un alone di mistero, tanto che Vanni Teodorani, genero di Arnaldo Mussolini e capo della Segreteria Militare della Rsi scrive: “Circolano incerte notizie sulla morte di Biggini. Pare che sia difficile stabilire la verità giacché il povero Carlo Alberto, ultimo ministro dell’Educazione Nazionale della Repubblica, è stato costretto a morire in strettissimo incognito per evitare di essere sottoposto ad angherie magari durante l’agonia …”.
Del carteggio non si è saputo più nulla. Festorazzi ipotizza che sia finito nelle mani dei servizi inglesi. Ma non è la sola ipotesi a circolare. Secondo Baima Bollone, Biggini quando fugge a Padova porta con sé le carte. Ed è a Padova che rimangono quando l’uomo viene portato d’urgenza al San Camillo. Questa tesi non trova d’accordo il biografo di Biggini, Luciano Garibaldi, secondo cui la cartella di marocchino rosso in cui erano contenuti i documenti è finita nelle mani di Michele Tumminelli, vicino di casa e amico di Biggini, poi senatore democristiano vicinissimo a De Gasperi. Dunque l’ipotesi è che quel carteggio, proprio attraverso De Gasperi, sia tornato allo stesso Churchill.
Certo, i dubbi restano. Sparisce la cartella di marocchino rosso contenente documenti importantissimi che il Duce aveva consegnato nelle mani di Biggini. Scompare Biggini. Ci sono due sparizioni di troppo, in questa storia. Molte altre teorie vengono fuori nel corso degli anni, e molti investigatori cercano tracce del carteggio, tra cui lo stesso Churchill, che spesso e volentieri si reca a Como, nei pressi della residenza di Biggini, nell’immediato dopoguerra con pretesti vari. Il mistero del carteggio non è mai stato svelato. E, in fondo, neppure quello della morte di Biggini.
Emma Moriconi
Nella parte finale della “Preghiera del Legionario” è inserita questa invocazione all’Onnipotente, ma Iddio non ha ritenuto opportuno non salvare né il Duce, né l’Italia. E siamo nella “cacca”.
Così, anche se nel “mai sufficientemente deprecato, infausto Ventennio” (Va bene questa condanna, Presidente Napolitano?) furono compiuti dei veri miracoli, ma “la sua condanna deve essere severa e definitiva” (mi auguro che anche questa sentenza vada bene, Signor Presidente, oppure non è suficiente?).
Anche se la risposta sarebbe ovvia, come vedremo più avanti, desidero aprire un solo spicchio di quel Ventennio (da incubo è ovvio. E inizio. Molti economisti e storici (così si fanno chiamare) attestano che la famosa crisi congiunturale iniziata nel 1929 fosse peggiore di quella che stiamo vivendo in questi anni. Con la Carta del Lavoro (derivazione della Carta del Carnaro) per la prima volta nel mondo, venivano fissati dal truce tiranno, i cardini del rapporto fra lavoro, produzione ed economia nazionale. Premessa essenziale per giungere alla Socializzazione dello Stato.
Se a causa della crisi internazionale, appunto del 1929, nei Paesi ad economia liberale i suicidi per la disperazione si contavano a decine (oggi in Italia sono centinaia), nel Paese governato dalla perfida tirannia fascista la congiuntura veniva superata senza eccessivi drammi. Mentre Franklin Delano Roosevelt eletto Presidente degli Stati Uniti a marzo del 1933, periodo nel quale un americano su quattro era disoccupato in Italia veniva concepito l’IRI, Istituto con il quale vennero gettate le premesse dello Stato imprenditore così da definire le linee di demarcazione tra l’area pubblica e quella privata. Tutto questo mentre l’Italia era impegnata nei grandi lavori e poteva lamentare solo 403 mila disoccupati, dei quali almeno la metà a carattere stagionale: cifra trascurabile se consideriamo che, ad esempio, la Gran Bretagna ne lamentava un milione e mezzo, la Germania era giunta a sei milioni e mezzo.
Possiamo tranquillamente riportare un pensiero di Pino Rauti (Le idee che mossero il mondo, pag 326) <L’Italia più che uno Stato del vecchio continente era una meschina provincia in una grande Europa ma dettava leggi al mondo). Tornando a Roosevelt, ricordiamo che questi aveva impostato la campagna elettorale all’insegna del New Deal, ossia un vasto intervento statale in campo economico, in altre parole proponendo un’alternativa al liberismo capitalista. Una volta eletto, Roosevelt (E QUESTO NEL DOPOGUERRA FU ACCURATAMENTE CELATO; E I MOTIVI SONO OVVII) inviò nel 1934, in Italia Rexford Tugwell e Raymond Moley, due fra i più preparati uomini del Brain Trust (“cervelloni”), per studiare il miracolo italiano. In merito lo studioso Lucio Villari osserva: <Tugwell e Moley, incaricati alla ricerca di un metodo di intervento pubblico e di diretto impegno dello Stato, ne colpisse la degenerazione e trasformasse il mercato capitalistico anarchico, asociale e incontrollato, in un sistema sottoposto alle leggi e ai principi di giustizia sociale e insieme di efficienza produttiva>.
Roosevelt inviò Tugwell a Roma per incontrare Mussolini (il Truce) e studiare da vicino le realizzazioni del Fascismo. Ecco come Lucio Villari ricorda l’episodio, tratto dal diario inedito di Tugwell in data 22 ottobre 1934 (anche l’Economia Italiana tra le due Guerre ne riporta alcune parti, pag. 123): <Mi dicono che dovrò incontrarmi con il Duce questo pomeriggio… La sua forza e intelligenza sono evidenti COME ANCHE L’EFFICIENZA DELL’AMMINISTRAZIONE ITALIANA, È IL PIU’ PULITO,IL PIU’ LINEARE, IL PIU’ EFFICIENTE CAMPIONE DI MACCHINA SOCIALE CHE ABBIA MAI VISTO> Esattamente come oggi in regime di democrazia antifascista)….
Il documento relativo a questo contattto Mussolini-Roosevelt, ci fa sapere Villari, è custodito in copia nell’Archivio Jung, il cui originale, come il diario inedito di Tugwell, si trova nella Roosevelt Librery.
Nel 1933 Roosevelt emanò il First New Deal, il Second New Deal venne firmato nel 1934-1936. Quindi fu Franklin D. Roosevelt a istituire il Social Security Act, una legge che introduceva, nell’ambito del New Deal., indennità di disoccupazione, di malattia e di vecchiaia. Contemporaneamente nacque anche il programma Aid to Family with Dependent Children (Aiuto alle famiglie con figli a carico). Glielo facciamo sapere al Signor Presidente Giorgio Napilitano che tutti questi provvedimenti avevano già visto la luce in Italia al tempo del Ventennio fascista? Chiedo venia, dovevo scrivere: al tempo dell’infame Ventennio fascista, ma sapete avevo trascurato di ricordare che il nostro Presidente era un iscritto ai GUF (Gruppi Universitari Fascisti) e osannava, su varie riviste, il Fascismo e il suo Capo.
Torniamo al New Deal di Roosevelt: subito dopo l’emanazione di queste leggi, sotto la spinta del grande capitale, la Corte costituzionale degli Usa decretò l’incostituzionalità di alcune di queste leggi. Da questo momento Italia e Usa presero, non solo economicamente, strade diverse.
A questo punto è opportuno ricordare quanto ebbe a dire Bernard Shaw nel 1937: <Le cose da Mussolini già fatte lo conducano prima o poi ad un serio conflitto con il capitalismo>. Non si dovranno attendere molti anni prima che la profezia del celebre scrittore si avveri. Non a caso di fronte alla confermata crisi del liberismo e delle utopie del marxismo, un autorevole personaggio democratico inglese Michael Shanks, già direttore della Commissione Europea degli Affari Sociali, nonché presidente del Consiglio dei Consumi, indica nel suo libro “Wath is the wrong with the modern World?” che <Non c’è alternativa: o lo Stato Corporativo o lo sfascio dello Stato>. D’altra parte lo stesso Gaetano Salvemini, circa la validità della proposta corporativa mussoliniana, ha attestato: <L’Italia (attenzione, amico lettore parliamo del periodo dell’”infame Ventennio!!!!) è diventata la Mecca degli studiosi della scienza politica, di economisti, di sociologi, i quali si affollano per vedere con i loro occhi com’è organizzato e come funziona lo Stato Corporativo fascista (…)>. E ancora; J.P. Diggins (L’America, Mussolini e il fascismo, pag. 45) ha scritto: <Negli anni Trenta (attenzione! Stiamo parlando degli anni della più pesante crisi congiunturale) lo Stato corporativo sembrò una fucina di fumanti industrie. Mentre l’America annaspava, il progresso dell’Italia nella navigazione, nell’aviazione, nelle costruzioni idroelettriche e nei lavori pubblici offriva un allettante esempio di azione diretta e di pianificazione nazionale. In confronto all’inettitudine con cui il Presidente Hoover effrontò la crisi economica, il dittatore italiano appariva un modello di attività>. La liberale e antifascista Nation arrivava ad auspicare un Mussolini anche per gli Stati Uniti.
Per fare un dispettuccio ad un Signore, già citato in questo articolo, riportiamo due giudizi (attenzione di nuovo: di simili giudizi ne potremmo citare mille e mille), addirittura di Winston Churchill, nel 1933: <Il genio romano impersonato da Mussolini, il più grande legislatore vivente, ha mostrato a molte nazioni come si può resistere all’incalzare della crisi>. E nel 1947: <Le grandi strade che egli tracciò resteranno un monumento al suo prestigio persoanale e al suo lungo governo>.
Concludo ponendo una domanda: “se tutto ciò è vero, PERCHE’ i nostri politicastri non studiano quanto fu fatto in “quel periodo” e vedere se alcuni punti possono essere riproposti oggi? La risposta sarebbe ovvia: perché i nostri “politicastri” pensano solo ad arricchirsi e se ne fregano altamente del popolo italiano; al contrario dell’”infame tiranno”.
Questo articolo è dedicato ai grandi falsificatori della Storia e ci riferiamo principalmente a RAI STORIA.
Terminiamo con alcune osservazioni storiche dell’amico Alessandro Mezzano.
QUANDO C’ERA IL FASCISMO.. di Alessandro Mezzano
-Quando c’era il Fascismo la mafia era dovuta fuggire in America.
-Quando c’era il Fascismo i ragazzi non si drogavano.
-Quando c’era il Fascismo le città erano sicure.
-Quando c’era il Fascismo la scuola italiana era ai primi posti nel mondo.
-Quando c’era il Fascismo non ci si doveva vergognare di essere italiani.
-Quando c’era il Fascismo il potere non era corrotto e non corrompeva.
-Quando c’era il Fascismo non c’era il “Paese”, ma la Patria.
-Quando c’era il Fascismo anche i figli degli operai andavano nelle colonie al mare o in montagna.
-Quando c’era il Fascismo non c’erano né tante auto blu, né tanti stipendi e pensioni scandalose come oggi.
-Quando c’era il Fascismo c’era l’orgoglio di essere onesti e non, come oggi, quello di essere “furbi”.
-Quando c’era il Fascismo le grandi crisi economiche ( 1929 ) si affrontavano così bene che dal resto del mondo
venivano in Italia per vedere come avevamo fatto ..!
-Quando c’era il Fascismo l’Italia era ammirata e invidiata in tutto il mondo come dimostrano i giornali dell’epoca.
-Quando c’era il Fascismo non c’era questa casta politica infame, disonesta, corrotta, mafiosa e sporcacciona ..!!
E Filippo Giannini aggiunge: -Quando c’era il Fascismo quanto accaduto sabato 3 maggio scorso, a seguito della partita Napoli Fiorentina, sarebbe stato semplicemente impensabile.
Ecco perché nell’altro secolo le più potenti lobby si coalizzarono per abbattere il Fascimo.
In occasione del 69° anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale in Italia (2 Maggio 1945), circa 500 persone si sono riunite al Campo della Memoria di Nettuno (Roma) per rendere gli onori militari agli ultimi combattenti italiani di quel conflitto, quelli della Repubblica Sociale Italiana.
La manifestazione, organizzata dal Dott. Alberto Indri, ha visto la partecipazione delle bandiere di guerra e dei labari dell’Unione Nazionale Combattenti della RSI, dell’Associazione Nazionale Combattenti X MAS – RSI, dell’Associazione Nazionale Combattenti Italiani di Spagna, dei Volontari di Guerra (Sezione “Enrico Toti” di Roma, Federazione “Annibale Noferi” del Carnaro e Federazione “Giovanni Grion” dell’Istria) e dell’Associazione Nazionale Rimpatriati e Reduci d’Africa Sezione “Ten. Alessandro Del Rio” di Latina. Presenti anche le delegazioni ufficiali dell’Ordine dell’Aquila Romana, dell’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia e dell’Associazione Nazionale Arditi d’Italia, nonché gli ultimi reduci della RSI che, con la loro presenza, hanno inteso trasmettere il testimone dell’Ideale ai numerosi giovani presenti. Ha partecipato alla manifestazione anche l’On. Mario Borghezio che, in questi ultimi giorni, ha chiesto ufficialmente al Governo italiano di desecretare gli atti relativi alle stragi partigiane compiute in Istria, sulle quali ancor oggi vige un vergognoso silenzio. Si tratta di crimini contro l’umanità che non temono paragoni, ai quali le democrazie occidentali hanno concesso una scandalosa indulgenza. E’ giunta l’ora di fare chiarezza e denunciare, davanti alla storia, i responsabili del genocidio del popolo italiano in Istria e Dalmazia.
La cerimonia religiosa nell’antico rito latino è stata solennemente celebrata da un Sacerdote della Fraternità San Pio X che ha elogiato l’alto spirito patriottico in difesa della Madre Patria dimostrato dai combattenti della RSI e ha spronato i presenti a non dimenticare il loro sacrificio, ad ereditare i loro valori e a difendere la Santa Messa tradizionale, come retaggio storico dell’unica religione universale del popolo italiano.
Sulle note della Preghiera del Legionario si è conclusa l’imponente manifestazione patriottica in ricordo di coloro che, 70 anni fa, scelsero la via dell’onore, combattendo per la libertà dell’Italia.
Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario
dello Sbarco di Nettunia