Cosa sono le c.d. riforme. I punti delle proposte
Per facilitare l’inquadramento della problematica oggi sul tappeto, riteniamo utile riassumere qui di seguito i punti essenziali, finora posti sul tappeto programmatico, delle proposte definite come riforme necessarie per l’ammodernamento del sistema politico vigente e il superamento della perdurante crisi economica.
Contro ogni logica si vuol affermare da parte delle forze che sostengono l’attuale governo che con esse si sarà in grado di risolvere le gravi problematiche politiche sociali ed economiche che oggi attanagliano il Paese. Gli articoli che seguono mettono invece in luce come esse siano tutte oltre che insufficienti, gravemente dannose per il futuro dell’Italia.
La miopia del FMI e le armi spuntate della BCE
Mentre in Italia l’opinione pubblica è disorientata dall’attivismo del premier Matteo Renzi e tutti i mass media si interrogano su come egli manterrà le promesse fatte e i programmi proclamati, il dibattito si incentra sulle cosiddette riforme facendole passare per una panacea in grado di risolvere la crisi economica.
Non c’è dubbio che l’Italia attraversi un periodo di profondo disorientamento e di diffuso rigetto del sistema politico vigente sia a causa della invadente e farraginosa legislazione che l’affligge sia perché in balia di una classe dirigente demotivata o improvvisata e spesso anche corrotta. Tutto ciò favorisce un forte desiderio di cambiamento che però ancora non viene individuato in quale direzione esso debba andare. Ci si trova infatti di fronte ad un governo che crea aspettative di svolta epocale e di rinnovo generazionale, ma trascura i veri problemi di politica economica e sociale mentre affronta con pericolose improvvisazioni le problematiche costituzionali che pur abbisognano di radicali mutamenti.
Infatti, le promesse riguardanti poche decine di euro in più sui salari mensili, i cosiddetti risparmi del tutto marginali per la vendita di vecchie auto ministeriali, una nebbiosa spending review dai risultati oltre che incerti, anche modesti e prolungati nel tempo non costituiscono affatto quella politica economica globale e programmata che sarebbe necessaria perché l’Italia possa riprendere il cammino dello sviluppo al quale il suo popolo laborioso ha diritto.
Il CESI ha effettuato alcune puntuali analisi in materia di politica economica cogliendo l’occasione delle dichiarazioni fatte da parte di chi regge superficialmente le sorti del Fondo Monetario Internazionale e da chi, pur personalmente valido ed impegnato a dirigere al meglio la BCE, è costretto ad operare condizionato dagli statuti UE e dagli egoismi di chi dall’Unione vuol trarre esclusivi e non comunitari vantaggi. Naturalmente la problematica va ulteriormente approfondita e quindi il CESI fa appello agli studiosi e a coloro che sono attivamente impegnati nella quotidiana battaglia politica perché contribuiscano ad approfondire la problematica incombente.
SOMMARIO DI QUESTO NUMERO
- Superficialità nelle valutazioni del vertice FMI e i danni di una dottrina superata
Manca una vera e unitaria politica economica di Gaetano Rasi
- Lagarde: sulle donne parla a vanvera
La sparata del Direttore Generale del FMI di Ugo Bertone
- Con la sola buona volontà di Draghi non si risolve la crisi
La BCE deve finanziare direttamente gli Stati della UE di Gaetano Rasi
Carlo Alberto Biggini è uno dei devotissimi di Mussolini.
Si avvicina molto presto al Fascismo: nell’ottobre del 1920 aderisce infatti alle Avanguardie Giovanili del fascio e nel 1925 al Manifesto degli Intellettuali Fascisti.
A metà degli anni Venti frequenta la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Genova.
L’adesione al PNF è del 1928. Fervido sostenitore di Gentile, è anche convinto fautore del corporativismo fascista.
Nel suo volume “Il fondamento dei limiti all’attività dello Stato” del 1929, quando ha 27 anni, arriva ad identificare il diritto privato con il diritto pubblico.
Nel 1934 è eletto deputato e nominato membro della corporazione olearia in rappresentanza dei lavoratori dell’agricoltura. Nonostante Biggini sia oggi tra i personaggi meno declamati del Fascismo, la sua figura è affascinante e certamente tra le più interessanti, sotto molti punti di vista.
Nonostante egli abbia buoni rapporti con tutti, in seno al PNF, nel 1935 è oggetto di polemica da parte di Danese, direttore dell’Opinione di Sarzana. Una piccola bega locale, a dire il vero, che però incentra la sua attenzione sul fatto che Biggini in una conferenza ha sostenuto che il fascismo non costituisce una completa cesura con il liberismo. La polemica giunge fino a Mussolini, che non dà alcun peso alla vicenda.
Nel 1937 è membro parlamentare per la riforma dei codici, presidente di commissione nell’Istituto di Rapporti Culturali con l’Estero, presidente del Consiglio direttivo delle scuole superiori del partito, consulente giuridico del Ministero Affari Esteri per l’Albania. Nel 1939 è Consigliere nazionale nella Camera dei Fasci e delle Corporazioni.
Partecipa alla Campagna d’Africa e a quella di Grecia, è ispettore generale del Partito Nazionale Fascista. Nel 1943 Ministro dell’Educazione Nazionale, membro del Gran Consiglio e del Direttorio Nazionale del Partito.
Come ministro il suo proposito è di riformare la scuola accentuandone il carattere selettivo, intende istituire il giudizio globale al posto della votazione, accrescere lo studio del latino ed inserirlo in tutte le scuole medie superiori ad indirizzo tecnico e professionale.
Carlo Alberto Biggini non ama le lotte interne al fascismo: crede fermamente nella necessità di conservare l’unità della classe dirigente, crede nella fedeltà agli uomini e alle idee. Inoltre è estremamente devoto a Mussolini. Quindi durante la seduta del 25 luglio ’43, non firma l’ Ordine del Giorno Grandi, contestandone la validità giuridica. Riafferma la sua lealtà a Mussolini ed esprime dubbi circa il fatto che gli oppositori del Duce possano scindere le proprie responsabilità da quelle del loro capo. Grandi, nella replica finale, dedica alla posizione di Biggini una certa attenzione. Il Duce lo incarica di redigere un memoriale atto a dimostrare l’incostituzionalità e l’irrilevanza giuridica del voto del Gran Consiglio, che porta con sé quando si reca dal Re.
Emma Moriconi
Nel centenario della nascita di Giorgio Almirante:
Una anticipazione riguardante la costruzione di una nuova identità
Il giorno 24 marzo a Roma, nella sala Capranichetta di Piazza Montecitorio, nel Centenario della nascita di Giorgio Almirante (1914-2014), ad opera di Geremia Mancini, Segretario Confederale della Ugl, si è presa occasione del contemporaneo 64° anniversario della nascita della Cisnal (24.3.1950) per tenere una manifestazione dal titolo “Giorgio Almirante e la Cisnal”.
Sono intervenuti come relatori il Presidente del CESI prof. Gaetano Rasi, il sen. avv. Romano Misserville, il giornalista Massimo Magliaro (già capoufficio stampa di Almirante) e il prof. Roberto Chiarini (docente di storia contemporanea e dei partiti all’Università Statale di Milano). Hanno inoltre rivolto saluti e svolto commenti il Segretario Nazionale dell’Ugl Giovanni Centrella e la dott. Giuliana de’Medici.
Pubblichiamo qui di seguito il testo dell’intervento di apertura del prof. Rasi che – oltre a contenere interessanti riferimenti storici ed attualissimi spunti per la soluzione delle problematiche attuali – costituisce una anteprima del primo volume della sua opera Il Progetto Politico Alternativo (Msi-Msi-dn –An), che è in corso di pubblicazione.
Già il titolo dell’intervento di Rasi: “Msi e Cisnal: la comune costruzione dell’identità” (che fa riferimento all’ideologia che si è andata formando nel primo ventennio della vita delle due organizzazioni, quella politica e quella sindacale), indica una serie di contenuti spesso trascurati nell’interpretazione di un pensiero e di una azione che vanno aldilà della contingenza storica.
SOMMARIO DI QUESTO NUMERO
Centenario della nascita di Giorgio Almirante (1914-2014)
Msi e Cisnal: la comune costruzione dell’identità di Gaetano Rasi
Il sistema vigente determina il non funzionamento dello Stato
Questo numero de Il Sestante è dedicato a riflessioni di diversa natura e vuol essere l’espressione – pur legate da un sottile comune intento – della varietà degli stati d’animo procurati dall’attuale fase politica. Chi attualmente ha la responsabilità del governo del nostro Paese mescola precipitose intenzioni di radicali riforme senza tener conto delle forti insoddisfazioni che pervadono la società nazionale. Ancora una volta emerge come nel mondo contemporaneo, più che nel passato, a causa della Costituzione materiale il sistema politico determini il non funzionamento delle strutture statali e il profondo disorientamento dei cittadini.
Le analisi che seguono colpiscono settori che dovrebbero costituire le articolazione di un organico sistema, mentre invece diventano nella pratica del regime vigente in Italia, di volta in volta solo argomenti di aspre lamentele, costantemente caratterizzate da caducità e precarietà rispetto ai fatti che dovrebbero aver luogo..
Ciascuno degli autori che qui si esprimono affronta con riflessioni particolari problematiche incombenti: il prof. Carlo Vivaldi-Forti sottolinea l’insofferenza per una sostanziale illegalità legata alla metodologia derivante dal vecchio totalitarismo di origine marx-lenilista; lo scrittore Bozzi Sentieri, pone l’accento sulla improvvisazione dell’effervescenza renziana che emerge in particolare, dopo la visita in Germania, nel non conoscere l’intima ragione sociale del successo economico tedesco; il prof. Vincenzo Pacifici, ci ricorda con una nota di carattere storico come deve essere inquadrata la questione riguardante la riorganizzazione degli enti locali ed in particolare dei Comuni posti oggi di fronte a necessari collegamenti funzionali per far fronte alle esigenze dell’attuale complessa evoluzione della società.
Infine, il prof. Lucio Zichella, come studioso di filosofia e di antropologia, riflette in una lettera al CESI sugli equivoci contenuti nelle espressione “bicameralismo perfetto” in un momento in cui si vuole improvvisare una riforma costituzionale senza tener presente la necessità che i cittadini organizzati oggi debbano essere rappresentati in tutti i complessi aspetti del vivere contemporaneo.
Il CESI si riserva nei prossimi numeri di affrontare in maniera organica queste ed altre tematiche in relazione a ciò che in sede parlamentare, oltre che pubblicistica, verrà improvvisato senza valutare le conseguenze e senza tener presente quanto già è stato finora elaborato.
SOMMARIO DI QUESTO NUMERO
- La manipolazione dei responsi elettorali
Illegalità di Stato e totalitarismo da fronte popolare di Carlo Vivaldi-Forti
-Incontri internazionali senza riflessione sui problemi strutturali
Renzi doveva farsi spiegare dalla Merkel perchè funziona il sistema tedesco di Mario Bozzi Sentieri
- Necessario il potenziamento di servizi consortili
Il Comune: passare dalla passività burocratica ad una funzionalità efficiente di Vincenzo Pacifici
- La ricognizione di un uomo della strada tra storia, logica e linguistica
Dal bicameralismo paritario al vero bicameralismo perfetto di Lucio Zichella
Dal 26 Febbraio 1944, dopo l’uccisione del Commissario del Capo della Provincia in Leonessa Francesco Pietramico, la situazione dell’ordine pubblico sull’altopiano leonessano andò progressivamente peggiorando. La pressione della guerriglia che sconfinava dall’Umbria fece si che, il 14 Marzo seguente, il Distaccamento della GNR – che assicurava la sicurezza in tutta la zona – venisse ritirato in quanto considerato indifendibile. Il giorno dopo, andati via i fascisti, su Leonessa calarono i partigiani. Dopo un corteo festoso e le solite violenze, tornarono sui monti. Ormai, l’ordine era definitivamente compromesso. In questo scenario maturò uno dei più gravi e ingiustificati episodi di sangue che colpirono la provincia di Rieti in quel drammatico 1944. Il 16 Marzo, sei-sette ribelli con passamontagna e fazzoletti al viso penetrarono nell’abitazione della famiglia Vannozzi nella frazione di Capodacqua di Leonessa. Aggredirono i presenti e si scagliarono contro la giovane mamma Assunta Vannozzi di 29 anni, a letto febbricitante, accusandola di essere una “spia”. Le strapparono il figlioletto Luigino di due anni e la strascinarono in strada tra grida strazianti che fecero eco in tutta la vallata. Poi, con una spietatezza unica nel suo genere, un partigiano estrasse una pistola scaricandola contro il corpo della disgraziata piangente. Infine, il colpo di grazia alla nuca. “Giustizia” era fatta.
I ribelli, infine, “prelevarono” dall’abitazione tutto quanto era asportabile e tutto quanto avesse un valore, dal corredo di nozze ai gioielli, per poi scomparire per sempre nella boscaglia dalla quale erano venuti.
Una normale spedizione partigiana diranno i più, se non fosse che la povera Assunta Vannozzi non era imputabile di nulla. Si trattò di un’esecuzione ingiustificata. Nel dopoguerra, vennero accusati dell’assassinio tre partigiani locali (gli altri non furono mai identificati): Concezio Antonelli, Mario Romano e Enzo Lucci (l’esecutore materiale). I primi due negarono ogni addebito, mentre Lucci affermò di aver agito su ordine della Brigata “Gramsci”. Come era ovvio, date le chiare disposizioni in materia che consideravano “legittimi atti di guerra” tutte le azioni compiute dai ribelli nel corso della guerriglia, i tre vennero scarcerati. Comunque, la Magistratura accertò che Assunta Vannozzi era innocente e che il suo assassinio fu un “errore di valutazione”.
Sul drammatico episodio di sangue cadde una fitta coltre di omertà (ancor oggi riscontrabile) e quelle rare volte che si parlò della morte della Vannozzi si volle addirittura infangare la moralità della povera mamma, uccidendola così una seconda volta. E pensare che Assunta – che non si era mai occupata di politica – aveva aiutato in quei mesi anche numerosi soldati “sbandati” del Regio Esercito che non volevano aderire alla RSI. Ma tutto ciò fu vano. Ancor oggi, nessuno sa il motivo perché la giovane mamma venne uccisa e i nomi di tutti coloro che parteciparono alla spedizione punitiva, all’assassinio e al saccheggio della casa.
Nel settantennale dalla tragedia che lasciò a un piccolo orfano una cicatrice mai rimarginata, il Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti si è recato sul luogo del luttuoso evento e nel cimitero di Vallunga dove riposa Assunta Vannozzi per omaggiare una vittima dell’odio antifascista, uccisa innocente e vigliaccamente vilipesa dopo la morte.
«A tanti anni da questo dramma – ha dichiarato il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti – siamo venuti a Leonessa con l’intento di chiedere una pubblica riabilitazione della giovane mamma di Capodacqua. Per questo abbiamo chiesto ufficialmente al Sindaco di Leonessa che la via che congiunge Ocre a Capodacqua venga dedicata alla memoria di Assunta Vannozzi e che sul luogo dell’uccisione sia eretta nuovamente una croce (divelta a seguito di lavori stradali e mai ripristinata). Un atto dovuto che l’intera comunità leonessana deve a una sua concittadina uccisa troppe volte, fisicamente e moralmente. Essere qui oggi per noi è un atto non solo di carità cristiana. Siamo qui non solo per un giusto tributo ad un’innocente che oltre ad essere stata ingiustamente uccisa e strappata all’affetto dei cari, è stata vilmente vituperata per decenni da personaggi senza scrupoli; ma anche per un dovere morale che avevamo con Luigino Montini, il figlio di Assunta, che per tutta la vita ha portato nel suo cuore i segni indelebili di quella tragedia ingiustificata. Oggi che Luigino non è più con noi, ma è tornato tra le braccia della mamma che gli fu strappata dall’odio politico quando aveva solo due anni, siamo qui per ricostruire quello che realmente avvenne, abbattendo definitivamente il muro di omertà costruito dalla vulgata antifascista. Speriamo che Assunta e Luigino, da lassù dove ci guardano, finalmente, possano ora riposare in pace».
Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario
della RSI in Provincia di Rieti
Il significativo avvio della riunificazione identitaria
Come è noto, si è svolto a Fiuggi il 1° Congresso Nazionale del nuovo partito Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale. Dopo una incubazione di un anno è stata realizzata la sostanziale convergenza della maggior parte delle forze nazionali e sociali andate disperse dopo la fusione con Forza Italia nel Popolo della Libertà avvenuta nel marzo del 2009. Il CESI – che è nato con il compito di effettuare analisi e di studiare progetti e programmi coerenti con quella dottrina politica nazionale e sociale che fin dagli inizi del secolo scorso indicò una strada di progresso civile per l’Italia – ha seguito e partecipato, tramite il suo Presidente, all’evento. La manifestazione di Fiuggi si è rivelata di forte consistenza sia per la qualità degli interventi di esponenti giovani e meno giovani, nonché di nuove personalità aderenti, sia per la enorme partecipazione di delegati da tutta Italia (oltre gli ospiti, 3.150 sono stati i delegati, la maggior parte dei quali appartenenti alle giovani generazioni).
Dopo aver cantato tutti in piedi l’Inno di Mameli Fratelli d’Italia, ha aperto i lavori con un lungo intervento l’on. Giorgia Meloni, che è stata eletta alla fine del Congresso Presidente del partito. I suoi interventi, all’inizio e alla fine, sono stati di notevole spessore politico sia per quanto riguarda le analisi che per quanto ha riguardato le finalità della nuova forza politica che si presenta con forti tinte di alternativa al sistema vigente. Giorgia Meloni ha chiuso il Congresso promettendo, all’interno del partito, «partecipazione, regole e trasparenza». Riferendosi al suo ruolo, ha affermato «… ci siamo assunti una responsabilità enorme, ci siamo caricati sulle spalle una tradizione straordinaria … io non avrò mai la presunzione di essere all’altezza di Giorgio Almirante, io sono una persona che semplicemente farà la sua parte. Prendiamoci per mano e facciamo insieme il percorso. Non lasciateci soli. Non lasciatemi sola». E a coloro che non si sono ancora riuniti ha lanciato l’appello: «Volete stare seduti o volete alzarvi? Perché se non volete stare seduti, se volete alzarvi, Fratelli d’Italia è la vostra casa. Buon viaggio, fratelli ! ».
Al termine del Congresso è stato eletto un ufficio di presidenza che ha il compito di coadiuvare l’attività del Presidente Giorgia Meloni. Ne fanno parte: Ignazio La Russa, Guido Crosetto, Gianni Alemanno, Fabio Rampelli, Massimo Corsaro, Edmondo Cirielli, Magdi Cristiano Allam e Antonio Guidi.
Per la necessaria informativa e l’opportuna valutazione pubblichiamo in questo numero alcuni brani essenziali dell’intervento del Presidente di Fdi-An, on. Giorgia Meloni; l’articolo di Donna Assunta Almirante apparso in prima pagina su Il Tempo il giorno del Congresso; nonché il testo integrale dell’intervento del Presidente del CESI, prof. Gaetano Rasi.
SOMMARIO DI QUESTO NUMERO
- Congresso Nazionale Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale, Fiuggi 8-9 marzo 2014. Il discorso di apertura del Presidente Giorgia Meloni
- “Guardiamo oltre…per ricostruire ancora una volta l’Italia”.
Ridate vita al sogno di Giorgio di Assunta Almirante
- L’intervento al Congresso del Presidente del CESI
Un progetto politico per una ripresa unitaria e coerente di Gaetano Rasi
- Alcuni titoli delle cronache giornalistiche
A pochi giorni dalla manifestazione in cui una delegazione del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti si è recata a Poggio Bustone per rendere omaggio ai tredici caduti della Repubblica Sociale Italiana uccisi il 10 Marzo 1944 dai ribelli dopo che si erano arresi, per la città di Rieti sono stati affissi dei manifesti in ricordo dei combattenti della RSI.
Il manifesto, preceduto dalla frase oraziana “dulce et decorum est pro Patria mori”, è stato stampato dal Comitato sotto l’alto patrocinio morale dell’Associazione Nazionale Famiglie Caduti e Dispersi della RSI ed ha avuto lo scopo di portare a conoscenza della popolazione il tributo di sangue dato alla Patria dai combattenti della Repubblica Sociale Italiana, con particolare riferimento ai caduti della strage di Poggio Bustone, i cui nomi – per la prima volta dal 1944! – sono stati riportati nel manifesto per tutelarne la memoria.
E’ finalmente caduto un muro di omertà, paura e servilismo. Dopo tanti anni si torna a parlare liberamente della Repubblica Sociale Italiana, dei suoi uomini e dei suoi caduti. Un percorso necessario per abbattere l’odio antifascista e costruire un futuro dove l’amore per la Patria unisca tutti gli Italiani in un solo Popolo. Contro chi per 70 anni ha speculato sui morti per costruirsi dorate carriere politiche, si erge la realtà storica che illumina un passato straordinario fatto di sacrifici, sogni e soprattutto amore. Amore per la propria Patria, oggi umiliata e offesa da chi ha fatto della storia, ammantandosi di una inesistente “superiorità morale”, uno instrumentum regni, manipolandola per mere esigenze ideologiche. E’ l’ora che le giovani generazioni rigettino gli insegnamenti di questi “cattivi maestri” e si incammino verso un futuro radioso, dove regni la libertà e il nostro passato possa essere finalmente studiato con serenità.
Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario
della RSI in Provincia di Rieti
L’8 Marzo 2014, una delegazione del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti si è recata a Poggio Bustone per rendere omaggio ai tredici caduti della Repubblica Sociale Italiana uccisi il 10 Marzo 1944 dai ribelli dopo che si erano arresi, una delle prime stragi partigiane registrare in quel lontano 1944. Nel settantennale dell’eccidio, il Comitato ha chiesto ufficialmente al Sindaco di Poggio Bustone di erigere sul luogo dell’esecuzioni sommarie un monumento che ricordi chi si è sacrificato per la Patria, in modo che mai più possano esserci discriminazioni tra morti di “serie A” e morti di “serie B”, perché si possa – finalmente! – giungere ad una vera pacificazione nazionale, dove l’odio antifascista non possa avere più tribuna civile e politica.
Successivamente, la delegazione si è recata al cimitero civile di Rieti dove riposano diversi caduti della RSI della strage di Poggio Bustone. Qui è stata effettuata una pulizia di alcune tombe abbandonate da anni e ripristinato il livello di decoro che si deve a chi ha immolato la propria esistenza per la libertà dell’Italia.
Al termine della breve, ma sentita manifestazione un raggio di sole ha illuminato Poggio Bustone, come a suggellare la sconfitta dell’odio antifascista, battuto sul campo dall’amore per la Patria che il Comitato ha voluto trasmettere alle giovani generazioni perché la loro coscienza non sia più in balia di una storia manipolata per esigenze politiche.
«A 70 anni da questo drammatico evento di sangue – ha dichiarato il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti – c’è chi ancora tenta di speculare politicamente parlando di una “battaglia” di Poggio Bustone che, in realtà, non vi è mai stata. I soldati repubblicani giunti in paese per un’opera di dissuasione contro la renitenza alla leva avevano già terminato il loro compito ed era stato dato il “rompete le righe”, sicché numerosi fascisti, quando sopravvenne l’attacco partigiano, erano in giro per il paese, ospiti di qualche conoscente e, addirittura, a prendere il sole nella piazza centrale. Quello che si registrò fu solamente un fuggi-fuggi generale, nessuna battaglia, sia chiaro. Coloro che non riuscirono a fuggire, come il gruppo del Questore Bruno Pannaria, rimasero imbottigliati nel paese e vennero uccisi dopo che si erano arresi e avevano deposto le armi. Anche per i feriti non ci
fu pietà. Vennero trascinati in strada e falciati sommariamente. Due prigionieri vennero portati sulle montagne e lì uccisi il giorno successivo. Sui cadaveri dei poveri caduti ci si accanì con furia selvaggia. Parlare di “superiorità morale” davanti a tanta sconcezza è a dir poco volgare. A tanti anni di distanza, ancora non vi è chiarezza sui fatti e sul ruolo che ebbero i vari partigiani che si alternarono come protagonisti quel 10 Marzo. Certamente, vi fu un’opera di manipolazione della realtà e già il fatto che il Comandante Mario Lupo sia stato letteralmente cancellato dai libri di storia dovrebbe far meditare più di qualcuno che, anche quest’anno, vorrebbe speculare sui morti per meri fini di propaganda politica. Quella fu una delle più gravi stragi partigiane registrate nell’Italia centro-settentrionale (con l’esclusione della Venezia Giulia). A Poggio Bustone, quel 10 Marzo 1944, si registrò anche il primo Questore della RSI caduto in un’operazione di polizia. Le conseguenze di questo eccidio si vedranno venti giorni dopo, quando i ribelli vennero spazzati via da un massiccio rastrellamento italo-tedesco (senza, per’altro, sparare un sol colpo). Come sempre, a pagare il conto fu la popolazione civile, in gran parte estranea alla guerriglia».
Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario
della RSI in Provincia di Rieti
Il 1° Marzo 1944, un aereo britannico colpì per la seconda volta la Città del Vaticano. Erano i giorni in cui ancora non si erano spente le polemiche per l’insensato sacrilegio della distruzione dell’Abazia di Montecassino e gli Alleati arrancavano disperatamente sia sulla Linea Gustav, sia nella sacca di Nettunia. I nervi erano alle stelle e, in questo clima, “per la seconda volta un aereo americano sganciò alcune bombe nelle immediate vicinanze della Città del Vaticano”.
La posizione neutralista della Santa Sede non andava certamente giù a chi si era arrogato il diritto di dipingersi come un nuovo “crociato”, della democrazia, ovviamente. Anzi, il Vaticano non faceva mistero di condannare la richiesta della resa incondizionata fatta alla Germania dagli Angloamericani, facendo comprendere come questo diktat avrebbe costretto i Tedeschi a combattere fino all’ultimo uomo. A chi sosteneva che gli Alleati combattevano per evitare un’egemonia germanica in Europa, la Santa Sede aveva risposto che così facendo, però, si stava promuovendo un’altra egemonia, quella sovietica. Si può ben capire allora l’imbarazzo degli Angloamericani e la loro rabbia. In questo clima di “incomprensione dei doveri del momento”, maturò l’incursione del 1° Marzo 1944.
Questa volta ci scappò pure il morto: Pietro Piergiovanni. Un operaio sventrato da una scheggia, mentre cercava di rifugiarsi nell’Oratorio di San Pietro. Sfortuna volle che morì per una bomba “democratica” e, quindi, la sua morte fu occultata. Se fosse stato ucciso dai Germanici, oggi, quel disgraziato operaio avrebbe una via in suo nome, in qualità di “martire della libertà” e magari anche una Medaglia al Valore, d’Oro naturalmente.
Abbiamo detto secondo bombardamento, in quanto già il 5 Novembre 1943 aerei angloamericani avevano colpito vigliaccamente il perimetro vaticano, per poi negare decisamente ogni addebito (magari erano stati gli alieni?). Tanto è vero che ancor oggi gli istituti della Resistenza e le associazioni partigiane cercano di sfruttare tali crimini di guerra per la loro propaganda politica, accusando niente meno che i fascisti della RSI di aver attaccato la Sante Sede, sebbene sia appurata la vera nazionalità di chi bombardò il Vaticano.
Ma la storia dei terroristici bombardamenti degli Angloamericani sulle popolazioni italiane rimane ancor oggi una pagina tabù. Si pensi che il 3 Marzo 1944, la Casa delle Madri Pie, in Via del SS. Crocefisso, a Roma, fu colpita da una bomba molto particolare. Si trattava di un “fusto di benzina”,
cioè Napalm che fino ad oggi si credeva utilizzato contro i civili italiani solo dall’Ottobre 1944. Ebbene, pensiamo che a Roma, quel 3 Marzo, avvenne la prima sperimentazione di un’arma vietata dalle convenzioni internazionali. Sperimentazione, naturalmente, contro gente indifesa che così veniva definitivamente “liberata”.
Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia