Un mercato del lavoro flessibile richiede un sistema efficiente di politiche attive per chi cerca lavoro e per chi lo perde: in caso contrario la flessibilità si trasforma in precarietà del lavoro – Un lavoratore flessibile negli Stati Uniti, a maggior ragione oggi a crisi superata, è una persona forte nel mercato, e può scegliere.
Tutti i centri di previsione (pubblici e privati, nazionali ed internazionali) stimano ormai che la debolezza del ciclo economico permarrà in Italia anche per il prossimo biennio.
La Bce nel suo ultimo bollettino mensile conferma la prospettiva di un lento recupero, ma ribadisce anche che la disoccupazione resta elevata e che le mancate riforme strutturali, a partire da quella del mercato del lavoro, continueranno a pesare sul ritmo della ripresa.
La lunga fase di crisi e la doppia recessione, con il deterioramento del mercato del lavoro hanno indebolito anche le potenzialità di sviluppo : le gravi incertezze circa le prospettive occupazionali (soprattutto per i giovani, le donne e nel Mezzogiorno), le depresse aspettative per la domanda futura, le magre attese sul fronte degli incrementi del salario reale spingono a rivedere in peggio i
piani di consumo per le famiglie e i piani di investimento per le imprese.
Occorrono dunque azioni forti a sostegno del mondo del lavoro e della produzione perché è da qui che possono innanzitutto arrivare energie e capacità per ridare un futuro al nostro Paese : è indispensabile un profondo e radicale cambiamento culturale nella politica, nei sindacati, tra gli imprenditori, che riconosca al lavoro, al talento e al merito il valore, individuale e collettivo, che è loro attribuito dai modelli sociali occidentali.
La armonizzazione delle regole del mercato del lavoro e del diritto del lavoro con quelle perlomeno dei paesi europei continentali è in questo senso una azione prioritaria.
Negli ultimi vent’anni i Governi, di qualsiasi composizione politica o tecnica fossero, non potendo rimuovere l’ostacolo della flessibilità del lavoro in uscita (la reintegrazione obbligatoria ex art. 18), hanno cercato, prima con la legge Treu, poi con la Biagi e da ultimo con la stessa Fornero, di flessibilizzare il rapporto di lavoro in entrata ampliando le tipologie dei contratti temporanei o a scadenza predefinita, il cui numero è peraltro di difficile quantificazione, variando da una quindicina conteggiati da Confindustria alla quarantina calcolati dalla Cgil.
Un mercato del lavoro flessibile richiede però un sistema efficiente di politiche attive per chi cerca lavoro e per chi lo perde: in caso contrario la flessibilità si trasforma in precarietà del lavoro.
Un lavoratore flessibile negli Stati Uniti, a maggior ragione oggi a crisi superata, è una persona forte nel mercato, è un lavoratore che acquisisce nuove competenze ogni volta che cambia lavoro, è una persona che può scegliere.
In Italia un lavoratore flessibile, o per meglio dire un precario, è una persona che si sente debole e che nel fatto di cambiare lavoro non vede possibilità di crescere ma solo il rischio di restarne privo.
Se è vero che i posti di lavoro non si creano per decreto, né si mantengono in vita le aziende con i sussidi, ma è necessaria, come tutti dicono, la crescita, si devono peraltro creare quelle precondizioni del mercato del lavoro che possano non far perdere il treno della ripresa, attraendo nuovamente gli investimenti o fermando la desertificazione del nostro sistema manifatturiero.
Per far svanire nei giovani precari il senso di incertezza nel futuro e la convinzione che il lavoro è un luogo dove la fortuna o l’appartenenza contano più di altre cose, si deve in particolare riequilibrare un sistema laburistico oggi caratterizzato dalla dualità tra la temporaneità dei precari, in particolare giovani, e la iperprotezione dei lavoratori pubblici o privati con contratto a tempo
indeterminato, riducendo da un lato i garantismi del contratto a tempo indeterminato e, dall’ altro, migliorando la rete di salvataggio del welfare.
In questo senso,nell’ ambito del lavoro del settore privato, e perché non anche del pubblico impiego , la prevalenza dovrebbe essere data al contratto a tempo indeterminato, così da dare fiducia e motivazione soprattutto ai giovani, ma con la possibilità di risoluzione per giustificato motivo tipizzato (togliendo discrezionalità ai giudici) con il riconoscimento di una indennità proporzionale
alla durata del rapporto di lavoro. La tutela reale della reintegrazione sarebbe prevista solo nel caso di licenziamenti discriminatori.
L’ introduzione del nuovo contratto a tempo indeterminato dovrebbe inoltre semplificare o ridurre, se non addirittura eliminare, le varie forme contrattuali di lavoro temporaneo, tranne poche eccezioni come il lavoro interinale, l’ apprendistato o il contratto a termine su casi specifici, come ad esempio la sostituzione per maternità.
Ma il passaggio da una cultura del lavoro fisso ad una cultura del lavoro flessibile può essere fatto solo se contemperato da scelte precise che aumentino nei lavoratori il senso di sicurezza. Sarà pertanto necessario definire e applicare politiche attive per chi cerca lavoro e per chi lo perde, assicurando servizi efficienti di informazione e adeguate iniziative di formazione, sistemi di reddito
contro la disoccupazione e un quadro moderno di ammortizzatori sociali.
In questo contesto e con la semplificazione annunciata di quel groviglio inestricabile di leggi sul lavoro e relative leggine, regolamenti e circolari, il nostro diritto del lavoro dovrà inevitabilmente spogliarsi dei retaggi del passato come il diritto al posto di lavoro per ricercare nuove vie come il diritto alla formazione permanente o all’impiegabilità, l’ unica vera tutela che il lavoratore dovrà
esigere in un futuro sempre più caratterizzato da una vita lavorativa spezzata tra lavoro e ineludibile aggiornamento professionale.
Tocca ora a Matteo Renzi e al suo governo far seguire i fatti alle parole del suo Jobs Act.
Contrapporre concretezza progettuale ai comizi in Parlamento
Questo numero del bollettino esce mentre sta avviandosi l’attività di un nuovo Governo, quello di Matteo Renzi, che si è presentato all’insegna di una disinvolta improvvisazione piuttosto che della meditata competenza propositiva. Non vogliamo esprimere né giudizi né pronostici sui contenuti perché quanto in precedenza ha affermato il nuovo Presidente del Consiglio ha contenuti diversi, e fra loro contraddittori, rispetto a quelli svolti in sede di dichiarazione alle Camere. La spettacolarizzazione televisiva ha prevalso sull’impegno programmatico.
Il presente numero del bollettino è incentrato su tre tematiche: portare le strutture e i compiti del CNEL entro la Camera delle Competenze, in sostituzione dell’attuale Senato; una legislazione burocraticamente incapace di realizzare obiettivi concreti; superficialità e ipocrisie riguardanti timide proposte legislative per una moderna funzione partecipativa del lavoro.
Il CESI continua la sua attività di analisi e di approfondimento su essenziali materie costituzionali in vista di una necessaria presa di coscienza, più ampia dell’attuale, su questioni incombenti, ma risolutive solo nel medio-lungo periodo. Le preesistenti divergenze sia all’interno del partito di maggioranza che tra le forze politiche che sostengono in Parlamento il nuovo governo faranno della legge elettorale e delle modifiche costituzionali solo argomenti per allungare i tempi di decisione.
Già in passato abbiamo chiaramente individuato come l’attuale regime politico si balocchi passando dal “porcellum padanum” al “porcellum italicum” oppure accettando supinamente il devastante programma di creare al posto del Senato una Camera delle Regioni che sarà fatalmente lacerata dalle risse tra i peggiori localismi, resuscitati da antichi retaggi, e per di più afflitta dalle perduranti tendenze secessionistiche ad opera dei residui del leghismo anti-italiano.
È necessario che si rafforzino, trovando unità, identità ed autonomia, quelle forze nazionali e sociali, disperse da una sciagurata politica passata ed ora forse in fase di cammino per riacquistare la consapevolezza dei loro compiti odierni e la coscienza del ruolo storico che possono avere. (g.r.)
SOMMARIO DI QUESTO NUMERO
- È incominciata l’offensiva contro il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro
Abolito il Senato facciamo del CNEL la Camera delle Categorie di Mario Bozzi Sentieri
- Ipertrofia legislativa e burocraticismo paralizzante
I risultati negativi per il “mercato del lavoro” della Riforma Fornero di Ettore Rivabella
- Ancora una volta ipocrisie sulla partecipazione dei lavoratori Occupazione, produttività e redditi: obiettivi traditi di Ettore Rivabella
- Rubrica “dibattito”.
Proposte di riforma costituzionale di Nazzareno Mollicone
Ripresa identitaria, riforma del Senato, politica delle infrastrutture. Lettera di Gian Galeazzo Tesei
Il 26 Febbraio 1944, la provincia di Rieti venne sconvolta dall’uccisione del Commissario del Capo della Provincia in Leonessa Francesco Pietramico, reggente il locale Fascio Repubblicano. Uccisione avvenuta per opera di partigiani mai correttamente identificati. Quello di Pietramico fu il primo omicidio politico registrato nella provincia e rappresentò il “salto di qualità” della guerriglia nella sua lotta contro la Repubblica Sociale Italiana. Fino ad allora, infatti, il movimento partigiano non aveva destato particolari preoccupazioni, anche se dopo lo sbarco angloamericano a Nettunia (22 Gennaio 1944), in tutta la provincia si era assistito al crescere delle azioni dei ribelli (soprattutto “prelievi proletari”). Tuttavia, nulla faceva pensare al dramma. Così, quando a Rieti si sparse la notizia dell’uccisione di Francesco Pietramico, molti rimasero basiti davanti a tale evento, primo fra tutti il Capo della Provincia Ermanno Di Marsciano che conosceva e stimava il fascista leonessano.
Il Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti, in occasione del settantennale della morte di Francesco Pietramico, recandosi sui luoghi dei fatti, ha ufficialmente chiesto al Sindaco di Leonessa di poter erigere una croce in memoria del caduto in località Fuscello, ove il Commissario del Capo della Provincia venne catturato prima di essere sommariamente passato per le armi.
«A 70 anni da questa uccisione – ha dichiarato il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti – è doveroso ripensare a quanto avvenuto a Leonessa quel 26 Febbraio 1944. Per decenni la figura di Francesco Pietramico è stata diffamata per solo odio politico. I documenti in nostro possesso e una più corretta analisi degli eventi che portarono a quell’uccisione dimostrano che il Commissario del Capo della Provincia in
Leonessa non si era macchiato di nessun crimine, ma venne fucilato solo perché fascista o, meglio, perché aveva combattuto la borsa nera e i “mercati clandestini” che fiorivano sull’altipiano. Alla luce di tutto ciò abbiamo chiesto la sua riabilitazione. Una riabilitazione necessaria a 70 anni da quel drammatico evento, in vista di una definitiva pacificazione nazionale, ove l’odio politico non abbia più tribuna. Ancor oggi, infatti, di questa “legittima azione di guerra” nessuno conosce i particolari; chi fu a sparare; perché venne ucciso Francesco Pietramico e, soprattutto, chi furono i mandanti della spedizione punitiva. Chi partecipò all’imboscata? Perché i vari racconti si contraddicono a vicenda? Che ruolo ebbe l’enigmatico partigiano Volfango Costa? Sono domande a cui dobbiamo dare una risposta, non solo per ricostruire la realtà storica dell’evento, ma anche per il profondo rispetto che abbiamo per i caduti per la Patria. Una cosa deve essere sottolineata, all’epoca tutti condannarono l’uccisione di Francesco Pietramico e lo stesso Don Concezio Chiaretti fu il primo ad accorrere sul luogo del triste evento, inginocchiandosi a pregare sulla salma senza vita del Commissario del Capo della Provincia. Quel 26 Febbraio 1944 iniziava così la lotta armata contro la RSI. Una lotta che porterà, inevitabilmente, alle stragi germaniche della Primavera 1944».
Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario
della RSI in Provincia di Rieti
Dopo i grandi successi del corteo in ricordo della tragedia della popolazione giuliano-dalmata organizzato da CasaPound (8 Febbraio) e della Giornata per l’italianità dell’Istria e della Dalmazia (11 Febbraio), il Comitato Nettunese Pro Gabriele d’Annunzio ha ufficialmente chiesto ai Sindaci di Anzio e Nettuno l’istituzione di una via per i Martiri delle Foibe.
Per Anzio è stata chiesta la sostituzione dell’attuale Via Antonio Gramsci, mentre a Nettuno si è valutata come più che opportuna la sostituzione di Via Palmiro Togliatti. Non solo. Sempre a Nettuno è stato chiesto di intitolare alla martire istriana Norma Cossetto (stuprata e infoibata dai partigiani; Medaglia d’Oro al Merito Civile della Repubblica Italiana) l’attuale Via Rosa Luxemburg.
Tale iniziativa si è resa necessaria come “parziale riconoscimento morale” per le sofferenze patite dalla popolazione istriano-dalmata, dimenticata e vilipesa per oltre mezzo secolo da una classe politica corrotta, omertosa e complice; un genocidio dimenticato che rappresenta la più grande tragedia subita dall’intero popolo italiano nel corso della sua storia.
Da diversi anni, alcune associazioni culturali e movimenti politici chiedono che le nostre città onorino i fratelli dell’Istria e della Dalmazia rivendicando l’italianità di quelle terre di millenaria cultura romana e veneta. Purtroppo, nessuno ha mai voluto raccogliere queste proposte volte a riprenderci un passato che la vulgata antifascista e anti-italiana ha colpevolmente strappato dal “grande libro” della storia per opportunismo, cupidigia, servilismo, complicità, omertà e viltà.
Aspettiamo la risposta dei Sindaci, in particolare di quello di Nettuno dal quale attendiamo ancora l’autorizzazione per restaurare la lapide di d’Annunzio presente all’interno del cimitero civile e il ripristino della legittima Via Gabriele d’Annunzio (oggi erroneamente indicata come Via Cristoforo Colombo). Speriamo che i rappresentanti delle cosiddette “istituzioni democratiche” si pronuncino con chiarezza su delle proposte patriottiche e civili, senza chiudere gli occhi come troppo sovente avviene. Dalle risposte che riceveremo sapremo valutare il loro spessore morale.
Ufficio Stampa
Comitato Nettunese
Pro Gabriele d’Annunzio
Il 22 Febbraio 1944, era un giorno particolare per la popolazione di Nettunia, occupata da un mese dagli eserciti angloamericani. Fallita oramai, in modo clamoroso, ogni velleità offensiva contro le difese germaniche di Cassino, gli Alleati si trovarono bloccati sulla testa di sbarco di Nettunia, impossibilitati a muoversi. L’operazione anfibia, che avrebbe dovuto portare gli Angloamericani sui Colli Albani e, quindi, permettere agevolmente di conquistare Roma, era fallita e ci si trovò bloccati in quello che i Tedeschi, con sarcasmo, definirono il più grande “campo di concentramento” autogestito del mondo. In questa situazione di stallo, la popolazione civile rimasta bloccata all’interno della testa di ponte dovette essere – con le buone e con le cattive – espulsa dal territorio: iniziava così la deportazione di intere famiglie nel Merdione già occupato. Il 22 Febbraio 1944, fu la volta dello sfollamento obbligatorio per la famiglia Tartaglia. La giovane Giulia, di appena 17 anni, prima di raggiungere il punto di imbarco, volle salutare per l’ultima volta la sua casa, magari prendere un piccolo ricordo da portare con se in quel viaggio pieno di incognite e di speranze. Mai decisione fu più funesta. Giunta nei pressi della sua abitazione, posta all’incrocio tra Via Gorizia e Via Monte Grappa in Nettunia Centro (l’attuale Nettuno), incontrò dei soldati afroamericani. Fu l’inizio di un lungo calvario: stuprata e poi sventrata con un grosso pugnale. Subito soccorsa dalla Military Police, venne tentato il possibile per salvarla, ma i sanitari dell’ospedale militare da campo USA non poteron far altro che costatarne la morte. Il suo corpo, avvolto in bende come una mummia e sommariamente composto in una cassa di legno provvisoria, fu tumulato senza tante cerimonie nel locale cimitero e la sua storia dimenticata – volutamente – da tutti. A 70 anni da quell’evento luttuoso, il Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia ha posto sul luogo della morte di Giulia Tartaglia un mazzo di fiori, per ricordare alle Istituzioni assenti un dramma tenuto nascosto per interi decenni.
«E’ con particolare tristezza – ha dichiarato il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia – che adempiamo ad un opera di supplenza istituzionale. A 70 anni da quegli eventi, la povera Giulia non ha ancora la dignità di un ricordo. Certo, si trattò di un episodio marginale nel contesto dell’immane conflitto che sconvolse i continenti, ma l’opera di occultamento di questo crimine di guerra non ha giustificazione di sorta, se non nell’omertà e nel servilismo di troppi che si sono piegati alla falsa mitologia dei “liberatori”. Abbiamo proposto all’Amministrazione comunale di ricordare Giulia Tartaglia con una lapide posta sul luogo del suo assassinio. Non abbiamo mai ricevuto risposta.
Speriamo che nessuno, come oggi va di moda, pensi di dare la cittadinanza onoraria delle nostre città anche a quei barbari che con tanta violenza infierirono sulla nostra piccola concittadina».
Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia
Banca d’Italia e sovranità monetaria nel contesto europeo
Non si può perseguire una politica di autentico protagonismo dell’Italia in Europa se non si conta (se non si ha un “peso consistente”) come Stato che ha in mano le leve della politica monetaria e della politica bancaria. Con ciò, naturalmente non si intende affatto affermare che l’Italia per ricuperare una parvenza di “sovranità” ritorni alla lira, ma esattamente il contrario. E cioè che, per quanto riguarda il “governo” dell’euro e della politica del risparmio, del credito, dei flussi finanziari dell’Italia, lo Stato italiano deve agire attraverso propri forti ed autorevoli organi di diritto pubblico affatto condizionati da logiche particolari di attività finanziaria private.
La struttura dell’UE è inevitabilmente ed intrinsecamente unita alla politica riguardante l’euro, e viceversa. Chi sostiene la tesi dell’uscita dall’Eurozona, ma non dalla EU non ha alcuna consapevolezza della dinamica geopolitica, geoeconomica e geomonetaria che regola ormai la vita del mondo.
Per questo, nell’articolo che apre il presente numero de Il Sestante, abbiamo chiamato “colpo di Stato” a danno dell’Italia e della sua politica europea, l’essere improvvisamente intervenuti e in maniera così superficiale nell’aumentare il peso privatistico delle quote del capitale della Banca d’Italia (e ciò per ottenere un precario cespite fiscale sostitutivo dell’IMU).
Il numero attuale riporta, poi, due pregevoli note di Mario Bozzi Sentieri sul problema della casta burocratica italiana e sulla deriva del localismo. Quest’ultimo scritto individua, sia dal punto di vista funzionale attuale che nella sua realtà storica, il pericolo del disordine derivante dai micro particolarismi esistenti che risulterebbero devastanti se addirittura dovessero essere rappresentati in sede parlamentare, ossia legislativa. Significativo al riguardo è l’influenza su Renzi del politologo americano Benjamin Barber che sostiene le tesi favorevoli all’esaltazione localistica.
Nella rubrica “dibattito” abbiamo ritenuto di particolare interesse ospitare una segnalazione relativa al significato politico e alla metodologia necessaria per la realizzazione dell’unificazione identitaria delle forze nazionali e sociali finora disperse e senza capacità di influire sullo sviluppo del Paese (g.r.).
SOMMARIO DI QUESTO NUMERO
- Bisogna sollevare il velo che copre un’operazione pericolosa
Il colpo di Stato della “privatizzazione” della Banca d’Italia di Gaetano Rasi
- Oltre il “caso Mastrapasqua”
La vera casta é la burocrazia di Mario Bozzi Sentieri
- Coniugare l’identità territoriale con il più ampio e complesso interesse nazionale
La “deriva” del localismo di Mario Bozzi Sentieri
- Rubrica “dibattito”. Le tre “c” indispensabili : costanza, coerenza, coraggio
L’11 Febbraio 2014, a pochi giorni dallo storico corteo in memoria dei martiri delle foibe che ha intimamente coinvolto tutta la popolazione di Nettuno, si è celebrata la “Giornata per l’italianità dell’Istria e della Dalmazia” organizzata dal Comitato Nettunese Pro Gabriele d’Annunzio.
La manifestazione ha visto la partecipazione di un numeroso e selezionato pubblico, accolto dal Prof. Eugenio Bartolini con una lectio brevis che ha rapito i presenti per l’accuratezza dei dettagli e la precisione espositiva. Attenzione che si è trasformata in uno scrosciante applauso quando al termine del suo intervento il Professore ha evidenziato: «Fino a quando pervicacemente si continueranno a sostenere altri teoremi come ritenere il nazismo unico male della storia dell’uomo, allora è il caso di rimarcare come quanto avvenuto nelle foibe sia il frutto dell’ideologia comunista».
Ha preso poi la parola il Prof. Alberto Sulpizi – Presidente del Comitato organizzatore – che, ricordando più volte il recente corteo nettunese in ricordo delle stragi antifasciste e anti-italiane avvenute nelle terre d’Istria e della Dalmazia, ha narrato le vicende di cui furono protagonisti gli istriano-dalmati, ponendo in evidenza il sacrificio dei combattenti della Repubblica Sociale Italiana in difesa del nostro confine nord-orientale e della civiltà italiana sulle coste adriatiche.
La giornata si è conclusa con l’intervento dell’attore Umberto Fabi che ha recitato alcuni passi della Storia tragica istriana, un monologo scritto in memoria della martire Norma Cossetto, violentata, trucidata e infoibata dai partigiani comunisti nell’Ottobre 1943.
«Con la “Giornata per l’italianità dell’Istria e della Dalmazia” – ha dichiarato il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del Comitato Nettunese Pro Gabriele d’Annunzio – intendiamo andare ben oltre il semplice “ricordo” fine a se stesso in cui si esibiscono le Amministrazioni comunali, spesso con imbarazzo e solo per obbligo istituzionale. La nostra è un’iniziativa che serve a “riportare l’Italia” in quelle terre, denunciando non solo i crimini commessi dai partigiani comunisti (sia slavi che italiani), ma anche la complicità morale dei Governi italiani, iniziando da quello di De Gasperi. Se i comunisti usano sfruttare le “giornate della memoria” per speculare sui morti e diffondere odio, il ricordo dell’olocausto per la Patria della popolazione istriano-dalmata serva a diffondere invece amore, l’amore per la Patria che queste genti hanno simboleggiato con il proprio martirio. In questo noi ci distinguiamo da coloro che, ancor oggi, si sentono eredi di quelle bestie che stuprarono l’anima dei propri connazionali in nome di un’ideologia falsa, portatrice di miseria e terrore. Ringraziamo il Dott. Marco Formato di “Scenari Armonici” per l’organizzazione e l’Associazione Nazionale Combattenti Italiani in Spagna, nella persona dell’Avv. Juan Carlo Gentile, per aver patrocinato la manifestazione».
Ufficio Stampa
Comitato Nettunese
Pro Gabriele d’Annunzio
Riforma del Senato, investimenti infrastrutturali, efficienza degli enti locali
È altamente improbabile che, nella congenita inerzia dell’attuale sistema politico italiano, si giunga ad una qualche riforma costituzionale nell’ambito della legislatura in corso e nemmeno in quella che potrebbe derivare dalla impudente struttura della legge elettorale “concordata”.
Quindi a maggior ragione la forza politica che rivendica continuità e coerenza con un passato politico fondato sull’alternativa al sistema deve sentirsi impegnata a presentare una riforma costituzionale, in particolare del Parlamento, che la caratterizzi per originalità, funzionalità ed adeguatezza alle esigenze della moderna società. L’articolo del prof. Vincenzo Pacifici affronta il problema nelle sue dimensioni storiche, di continuità col pensiero costituzionale italiano e prospetta concrete soluzioni.
Un altro aspetto che dovrebbe costituire uno dei pilastri del dibattito da proporre alla pubblica opinione, anche al fine di una caratterizzazione elettorale, è quello del ritardo infrastrutturale che si è andato accumulando negli ultimi decenni in Italia per cui si impone la necessità di applicare alla politica economica nazionale il moderno concetto per cui gli investimenti di interesse pubblico debbono essere commisurati appunto alle necessità dei cittadini e non imprigionati nella miope contabilità di un pareggio di bilancio. Senza investimenti pubblici di forte consistenza, quest’ultima politica è fatalmente destinata a diventare illusoria: se mancano infrastrutture efficienti, da cui derivare distribuzione di redditi in periodo di disoccupazione e di recessione, non aumentano la produzione e le retribuzioni che costituiscono la base per cui aumentano pure le entrate dello Stato.
In questo numero viene poi sottolineata nell’articolo di Mario Bozzi Sentieri la grottesca contraddizione nel proporre il “Senato delle autonomie” quando gli enti locali pagano un generale discredito istituzionale, frutto della scarsa credibilità delle classi dirigenti e della debolezza dei sistemi rappresentativi, che insieme con le inefficienze, favoriscono alti costi e corruzioni.
Con questo numero, inoltre, inizia la rubrica “dibattito”in quanto sempre più ampio è l’interesse suscitato dalle analisi e dalle tesi del CESI che vengono esposte in questo bollettino (g.r.).
SOMMARIO DI QUESTO NUMERO
– Riflessioni e proposte per un nuovo sviluppo dell’Italia.
Il Senato ieri, oggi e … domani di Vincenzo Pacifici
- L’Italia competitiva non esiste.
Mancano gli investimenti infrastrutturali di Gaetano Rasi
- Crisi “di sistema”: dal governo centrale alla periferia del Paese.
Al tramonto la stagione dei sindaci e dei “governatori” di Mario Bozzi Sentieri
- Rubrica “dibattito”: A proposito di federalismo
Il Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia ha ufficialmente protocollato la proposta di insignire con la cittadinanza onoraria di Anzio, Nettuno ed Aprilia il combattente della Repubblica Sociale Italiana Umberto Bisaccioni. Classe 1927, sebbene minorenne si arruolò per difendere la Patria dall’invasore angloamericano. Venne inserito nel Reggimento Arditi Paracadutisti “Folgore” e si distinse in combattimento, nei primi giorni del Giugno 1944, nella zona di Malpasso e Castel di Decima contro unità corazzate britanniche che marciavano verso la Capitale. Umberto Bisaccioni, Cavaliere Ufficiale dell’Ordine dell’Aquila Romana, vive a Spoleto ed è oggi uno degli ultimi combattenti della Repubblica Sociale Italiana reduci dal fronte di Nettunia. Proprio per questo è stato nominato Presidente onorario del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti e del Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia. Sulla sua straordinaria figura di combattente, uomo e nonno, lo scrittore Gianni Bianchi ha anche scritto un libro: Per l’Onore d’Italia, Folgore! La storia di Umberto Bisaccioni nelle battaglie di Anzio-Nettuno, Castel Decima, Passo del Giogo (Sarasota, 2012).
«E’ con particolare orgoglio – ha dichiarato il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia – che avanziamo questa proposta. Durante le ultime manifestazioni del 22 Gennaio abbiamo visto come sono stati accolti i reduci stranieri. Nei prossimi giorni, il Paracadutista della RSI Umberto Bisaccioni sarà in visita alle città di Anzio, Nettuno ed Aprilia e per questo abbiamo chiesto alle locali Amministrazioni comunali non solo di accoglierlo con gli onori dovuti ad un combattente italiano, ma anche di riconoscere in lui un simbolo: quello della Patria. Sulla scia di questa iniziativa, il 16 Febbraio prossimo ci recheremo insieme a diverse sezioni dell’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia al cavalcavia di Campo di Carne, per ricordare i caduti dell’Operazione “Fishfang” (16-20 Febbraio 1944). E’ per noi un motivo di particolare onore essere presenti, in quanto durante quell’offensiva contro la testa di ponte di Nettunia venne impiegato il Battaglione Paracadutisti “Nembo” della RSI, che con il suo impeto ed eroismo travolse le linee britanniche, raggiungendo tutti gli obiettivi assegnatigli, ripiegando solo dopo aver perduto il 70% degli effettivi. Andremo a Campo di Carne per ricordare soprattutto gli Italiani che combatterono per la libertà della propria terra e per l’Onore d’Italia. Italiani abbiamo detto. Perché, in quel lontano 1944, ci furono degli Italiani che scelsero di combattere e combatterono valorosamente. Per la Patria italiana».
Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia
Il 10 Febbraio 1944, il territorio reatino veniva sconvolto da una strage troppo in fretta cancellata dai libri di storia. Come ogni mattino, un’autocorriera della SAURA partita da Amatrice percorreva la Salaria in direzione Sud, quando, verso le 8:00, mentre attraversava il piccolo abitato di Bacugno di Posta fu avvistata dai caccia angloamericani in cerca di “prede”. Fu un attimo. L’automezzo fu subito centrato da una scarica di proiettili che lo fece sbandare paurosamente tra le grida dei passeggeri. L’autobus si fermò sul ciglio della strada, immobile e fumante. Al suo interno v’era il caos più totale, tra i morti e i feriti agonizzanti, tra il sangue sparso ovunque e i corpi sovrapposti aggrovigliati in un ultimo abbraccio, si distinsero gli autisti Evaristo Rauco e Mario Piccioni che tentarono con tutti i mezzi di aprire le porte rimaste bloccate. Sembrava tutto passato quando, con la solita tattica, gli aerei angloamericani si avventarono nuovamente sulla corriera immobile e fu strage. Con il solito sadismo, quelli che, nel dopoguerra, un certo servilismo appellò come “liberatori”, si macchiarono di un altro crimine di guerra rimasto impunito. Dalla corriera in fiamme furono estratti tredici morti – tra cui il Commissario Prefettizio e Commissario di Fascio di Amatrice Giovanni Mezzetti, l’autista Evaristo Rauco e il secondo autista Mario Piccioni – e diciassette feriti tra cui il Brigadiere dei Carabinieri Adamo Silvestri e il Milite della GNR Romolo Glassetti.
«A 70 anni da questa strage impunita – ha dichiarato il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti – è doveroso ritornare su una pagina di storia cancellata per servilismo e viltà. Il nostro Comitato vuole ricordare quel vile crimine di guerra compiuto dagli Angloamericani contro la popolazione civile italiana, perché le vittime di tanto sadismo siano ricordate degnamente. Proprio per questo abbiamo proposto ai Sindaci di Posta e di Amatrice di erigere un monumento sul luogo della strage a perenne memoria della violenza degli Angloamericani e perché si istituisca – finalmente – una “giornata della memoria” per le vittime dei cosiddetti “liberatori”».
Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario
della RSI in Provincia di Rieti