Urge la Costituente per la rifondazione dello Stato
Sta avviandosi il dibattito che finora è mancato a proposito della crisi del vigente sistema politico italiano. Il CESI, vuol cogliere i punti essenziali della questione che va oltre le astuzie insite in una riforma elettorale che a parole vuol diversificarsi dalla legge precedente, ma che in realtà la ripete ai fini di radicare ulteriormente l’oligarchia partitocratica che ha caratterizzato fin dall’inizio il regime nato con la Costituzione del 1948.
Pertanto se si può affermare che l’attuale dibattito ufficiale consiste in sostanza nel passare dal “Porcellum Padanum” al “Porcellum Italicum” (per usare una espressione spregiativa di sapore goliardico) in realtà va colta più in profondità la diffusa esigenza che è necessario passare concretamente ad una fase Costituente di rifondazione dello Stato.
Il problema ha origini e consapevolezze lontane, ma ora incombe in maniera indilazionabile. In questo numero del bollettino viene analizzato un dibattito che sta mettendo il dito nella piaga. Riteniamo che sia venuto il momento di non distinguere più tra persone con le quali si vuol dialogare perché appartengono preliminarmente ad un dato schieramento e persone con le quali invece non si deve discutere, perché appartenenti ad un diverso ambiente politico. A ciò va aggiunto il fatto che finalmente emergono fresche intelligenze al posto delle consumate abilità rivolte solo al mantenimento dello status quo ante.
Naturalmente non si tratta delle scomposte manifestazioni fine a se stesse suscitate senza un vero e nuovo disegno progettuale. È proprio infatti questo l’elemento distintivo e che rende credibili e quindi meritevoli di consenso soltanto coloro che un tale progetto di rinnovamento lo propongono in tutte quelle articolazioni che sono richieste dalla complessa società nazionale odierna, aperta al mondo e che rifiuta di non essere protagonista in una Europa unita.
Pertanto questo numero del bollettino è articolato su due tipi di analisi: una riguardante un commento sull’ intero Elzeviro pubblicato a firma del ministro Maria Chiara Carrozza su Il Sole 24 Ore del 2 febbraio ed una seconda nella quale Franco Tamassia puntualizza le prospettive, i contenuti e le implicazioni che sono insiti nella modifica del Senato, non più doppione macchinoso, ma sede dell’autentico “saper fare” per lo sviluppo scientifico, produttivo e civile del nostro Paese (g.r.).
SOMMARIO DI QUESTO NUMERO
- Il superamento del bicameralismo perfetto.
Elzeviro del ministro Carrozza: “Sì al Senato del saper fare”(I parte)
La Camera delle Competenze espressione della democrazia completa (II parte)
di Gaetano Rasi
- Anche un ministro del Governo Letta pone il problema di fondo della crisi del sistema.
“Saper[ci] fare” o essere competenti? di Franco Tamassia
“Mai così tanta gente era stata messa in prigione. Il numero dei prigionieri fatti dagli alleati era senza precedenti nella storia. I Sovietici fecero prigionieri circa 3,5 milioni di europei, gli Americani circa 6,1 milioni, i Britannici circa 2,4 milioni, i Canadesi circa 300.000, i Francesi circa 200.000. Milioni di giapponesi furono catturati dagli Americani nel 1945, più altri 640.000 circa dai Sovietici”.
Non appena la Germania capitolò l’8 Maggio 1945, il governatore americano, il Generale Eisenhower, divulgò una “corrispondenza urgente” in tutta la vasta zona sotto il suo comando, facendo diventare per i civili tedeschi un crimine passibile di pena capitale il fatto di dare da mangiare ai prigionieri. L’ordine, tradotto in tedesco, fu inviato ai governi delle province, con istruzioni di trasmetterlo immediatamente alle autorità locali. Copie di questi ordini sono state recentemente rinvenute in vari paesi vicino al Reno. Il messaggio (ripreso da Bacque nel suo libro) diceva fra l’altro: “in nessuna circostanza approvvigionamenti di viveri dovranno essere raccolti fra gli abitanti del luogo con l’intento di darli ai prigionieri di guerra. Coloro che violeranno questa disposizione e coloro che tenteranno di aggirarla consentendo che qualcosa arrivi ai prigionieri, mettono se stessi a rischio di fucilazione”.
L’ordine di Eisenhower fu esposto anche in inglese, tedesco e polacco nella bacheca del quartier generale del governo militare in Baviera, firmato dal Capo di stato maggiore del governatore militare di Baviera. In seguito fu affisso in polacco a Straubing e a Regensburg, dove si trovavano numerose compagnie di soldati polacchi nei campi vicini. Un ufficiale dell’Esercito americano che lesse quest’ordine nel Maggio 1945, scrisse che “era l’intenzione del comando d’armata, per quanto riguarda i campi dei prigionieri di guerra tedeschi nella zona americana, dal Maggio 1945 fino alla fine del 1947, di sterminare il più alto numero possibile di prigionieri di guerra fintanto che la cosa rimaneva al di fuori del controllo internazionale”.
La politica dell’esercito americano era di affamare i prigionieri, secondo il parere di numerosi soldati americani che si trovavano sul posto. Martin Brech, professore di filosofia in pensione del Mercy College di New York, che fu guardiano ad Andernach nel 1945, ha raccontato che un ufficiale gli disse che “era la nostra politica di non dare da mangiare a questi uomini”. I 50 – 60.000 uomini ad Andernach morivano di fame, vivendo senza ripari in buche scavate nella terra, tentando di nutrirsi con dell’erba. Quando Brech passò loro di nascosto del pane attraverso il filo spianto, un ufficiale gli ordinò di smettere. In seguito Brech vece avere loro dei viveri, si fece catturare e lo stesso ufficiale gli disse: “se lo rifai verrai fucilato”. Brech vide dei cadaveri venire portati via dal campo “dal camion di servizio”, ma non gli dissero mai quanti erano, dove venivano sepolti e come.
Il prigioniero Paul Schmitt fu ucciso nel campo americano di Bretzenheim dopo essersi avvicinato al filo spianto per vedere sua moglie ed il figlioletto che gli portavano un cesto di viveri. I Francesi non furono da meno: Agnès Spira fu uccisa da sentinelle francesi a Dietersheim nel Luglio 1945 per aver portato del cibo ai prigionieri. Il suo memoriale vicino a Budesheim, scritto da uno dei figli, dice: “il 31 Luglio 1945, mia madre mi fu strappata improvvisamente e inaspettatamente a causa delle sue buone azioni nei confronti dei soldati prigionieri”. La nota nel registro della chiesa cattolica dice semplicemente: “una morte tragica, uccisa a Dietersheim il 31.07.1945. Sepolta il 3.08.1945”. Martin Brech vide con sorpresa un ufficiale appostato su di una collina ad Andernach che sparava su donne tedesche che fuggivano correndo nella vallata sottostante. Il prigioniero Hans Scharf vide una donna tedesca con i suoi due bambini venire verso una sentinella americana nel campo di Bad Kreuznach, portando una bottiglia di vino. Lei chiese alla sentinella di dare la bottiglia a suo marito che si trovava appena oltre il filo spinato. La sentinella si portò alla bocca la bottiglia e quando fu vuota la gettò a terra ed uccise il prigioniero con cinque colpi d’arma da fuoco.
Numerosi prigionieri e civili tedeschi videro le sentinelle americane bruciare il cibo portato dalle donne. Di recente, un ex prigioniero descrisse quanto segue: “Le donne della città più vicina portarono del cibo nel campo. I soldati americani lo confiscarono facendone un solo mucchio, versandovi sopra della benzina bruciandolo”. Eisenhower stesso ordinò che il cibo venisse distrutto, secondo lo scrittore Karl Vogel che era il comandante del campo tedesco, nominato dagli americani nel campo N° 8 a Garmisch-Partenkirchen. Nonostante i prigionieri ricevessero soltanto 800 calorie al giorno, gli americani distruggevano il cibo davanti al cancello del campo.
Giovedì 30 Gennaio 2014, nel settantesimo anniversario della morte in combattimento dello studente universitario Aldo Bormida, si è tenuta una manifestazione in ricordo del sacrificio del giovane torinese. Bormida si era arruolato volontario nell’Autunno 1943 in un reparto della Luftwaffe, nella speranza di poter raggiungere il fronte al più presto per combattere gli invasori della Patria che marcivano speditamente su Roma.
Il suo desiderio venne appagato dopo lo sbarco di Nettunia, quando la sua unità fu una delle prime a correre sul litorale romano per fermare il “rullo compressore” angloamericano che, ovunque, seminava morte con le sue fortezze volanti. Il 30 Gennaio 1944, il reparto di Aldo Bormida fu inviato in emergenza nei pressi di Borgo Carso (Littoria), sul Canale Mussolini, contro un reparto di Paracadutisti statunitensi intenti a tentare un’azione di sfondamento laterale, nella zona di Cisterna. Mentre i Rangers americani, cui era affidato il settore centrale, venivano circondati dai mezzi corazzati della Divisione “Hermann Göring” e costretti ad una umiliante resa di massa, i Paracadutisti statunitensi vennero bloccati sul Canale Mussolini dall’impeto dei ragazzi della Luftwaffe, tra cui militavano diversi Italiani. Aldo Bormida venne falciato da una raffica di mitragliatrice durante un assalto. La sua morte non fu vana: i nemici non riuscirono a passare e dovettero ripiegare, segnando la fine della prima Battaglia di Cisterna (30-31 Gennaio 1944).
Il 30 Gennaio 2014, il Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia, rappresentato dal Dott. Giampaolo Costa (organizzatore della manifestazione) e dal Dott. Pietro Cappellari (Responsabile culturale del Comitato), ha reso gli onori ad Aldo Bormida e a tutti i caduti italiani dello scontro del 30-31 Gennaio 1944. Dopo 70° anni, sul cippo che ricorda il sacrificio per la libertà della Patria di Aldo Bormida è tornato a garrire il tricolore italiano.
Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario
dello Sbarco di Nettunia
Regionalismo e localismo: cancro istituzionale e costituzionale
I mass media italiani hanno quasi sempre stigmatizzato soprattutto i costi dell’Istituto della Regione e gli sperperi di cui i loro amministratori si sono resi colpevoli. Famose, a tal proposito, le inchieste di Gian Antonio Stella e di Sergio Rizzo (e non solo di loro). Ma non è stato un buon giornalismo. Le inchieste, infatti, hanno parlato soprattutto alla “pancia” degli italiani e dello sperpero dei soldi presi dalle loro tasche. In realtà i maggiori e più gravi danni ai cittadini italiani sono venuti, per il presente e per il futuro, dalle inefficienze procurate con la creazione di barriere territoriali, artificialmente suscitate e pervicacemente attuate.
Già nella Costituzione del ’48 era previsto l’Istituto della Regione, ma con la riforma del Titolo V nel 2001, introdotta dalla maggioranza del centro-sinistra che sosteneva il governo Amato, è avvenuta l’attribuzione legislativa ed esecutiva alle Regioni, in concorrenza con lo Stato, di materie che dovevano invece essere di sua esclusiva competenza, e quindi ugualmente valide per tutti gli italiani su tutto il territorio nazionale
Fra le molte disfunzioni, oltre gli esorbitanti costi diversificati, vi è stato quella del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Invece di operare come un apparato organico unitario, la sua organizzazione è stata frantumata in 20 servizi sanitari tanti quante sono le Regioni italiane. Purtroppo le disfunzioni regionali non solo queste: basti pensare, per esempio, al pessimo funzionamento dei trasporti regionali (autolinee e treni), alla ostilità sistematica riguardante l’installazione di ulteriori pur necessarie fonti di energia, alla frantumazione della promozione turistica e all’aver addirittura aperto all’estero, ciascuna Regione, una propria ambasciata.
Ora, nel confuso dibattito riguardante sia la riforma della legge elettorale che le modifiche costituzionali, si aggiunge un ulteriore elemento di disgregazione dello Stato: quello previsto al suo vertice, della trasformazione del Senato della Repubblica in Camera delle Regioni e/o delle Autonomie.
È necessario che l’argomento venga affrontato in tutta la sua pericolosità perché al funzionamento periferico disomogeneo e contraddittorio si aggiungerebbe quello legislativo e governativo centrale della nazione italiana. Il suo avvenire sarebbe definitivamente compromesso.
Non possiamo perciò che condividere l’auspicio, come al solito sornione, ma intelligente, di Giovanni Sartori che fin dal novembre scorso aveva concluso un suo fondo sul Corriere della Sera con le seguenti parole: «Il federalismo di Bossi per fortuna è morto; ed ora potremmo senza danno (lo sussurro e basta) sopprimere anche le Regioni. Ma lo dico di sfuggita. Una scarica di “vaffa” alla volta» (g.r.).
SOMMARIO DI QUESTO NUMERO
- I pericoli del ritorno del federalismo costituzionale.
Suicida la trasformazione del Senato in Camera delle Regioni e/o delle Autonomie locali.
- A proposito dell’accordo Berlusconi-Renzi
Assurda una Camera di non eletti, ma di delegati dal lobbismo localistico.
- Per chi vuole una Italia unita ed efficiente
Imprescindibile la radicale riforma del Titolo V della Costituzione
Squilla il telefono. Un giovane e pio architetto, nato a Lubecca e vivente a Roma, mi chiede di risolvere un dubbio teologico.
“Se posso…”
“Caifa era cattolico?”
“Curiosa domanda… La vecchia teologia direbbe di no”.
“Quindi avrebbe dovuto convertirsi, secondo lei?”
“Io desidero il bene della sua anima e perciò spero che si sia pentito”.
“Purtroppo la sua speranza è superflua e teologicamente infondata”.
“Perché infondata?”
“Perché Caifa non aveva bisogno di convertirsi”.
“Il suo è un evidente paradosso”.
“Le sembra un paradosso perché non ha capito il Vangelo”.
“Il magistero…”
“Quale magistero?”
“Il magistero cattolico…”,
“Quello preconciliare. Il regnante pontefice …”
“Se non che il magistero di sempre…”
“Intende dire che il tempo è immobile e con esso il pensiero?”
“Intendo dire che Caifa (lo rammenta il Vangelo secondo San Matteo al c. 26, 65): “stracciandosi le vesti accusò Gesù di bestemmia“.
“La teologia preconciliare non ha capito che tra Gesù e Caifa ci fu un profonda intesa”.
“Lei crede?”
“Il Vangelo su questo punto è chiaro. Se si legge nella luce del Vaticano II e della teologia di Karl Rahner”.
“Ascolto le sue parole”.
“Caifa aveva detto: conviene che muoia un solo uomo per il popolo, Vangelo secondo San Giovanni 18, 14″.
“Se non che Caifa accusava Gesù di bestemmia, Vangelo secondo San Matteo, 26. 65″.
“Caifa agiva in vista della Redenzione”.
“Redenzione di chi?”
“Del popolo”.
“L’umanità?”
“No, il popolo. Come è possibile che lei tardi tanto a capire che Caifa voleva il bene del popolo?”
“Quindi solamente il popolo di Caifa si è convertito a Gesù? E’ questo che vuole dire? E gli altri popoli? E i cristiani?”
“Gli altri popoli e i cristiani devono convertirsi a Caifa, se intendono bene il recondito significato delle parole pronunciate dal regnante pontefice: Gli ebrei non devono convertirsi“.
“In conclusione Caifa era il vero cattolico?”
“Il più attuale, il più moderno, il più aggiornato, il più normalizzato fra i cattolici”.
Non dovrebbe stupire l’uso improprio ed esorbitante della parola “boia”, cui si è abbandonato l’esponente di un partito concepito durante l’incontro dell’anarchia elettronica con l’umorismo da Suburra.
Stupisce, invece, l’uso ristretto dell’insulto “boia” agli esecutori di sentenze scritte in nome del sovrano di passaggio.
Boia, infatti, è un termine strisciante tra gli eccessivi rigori della legge e i suoi demenziali abusi: da un lato sta l’esecutore della condanna a carico di assassini seriali, dall’altro il legale sterminatore di innocenti a Compiègne o a Auschwitz.
L’esecutore di condanne legittime a carico di spaventosi criminali è un funzionario altamente sgradevole, che agisce in nome di una legge discutibile. L’assassino degli innocenti in quanto tali, ancorché patentato da un legittimo governo, è un ripugnante criminale. Definirlo boia è un insulto al boia propriamente detto.
Si pensi per un attimo a una pagina di storia contemporanea, il vertiginoso calo demografico nella città di Genova: alla fine degli anni Sessanta si contavano quasi novecentomila abitanti oggi seicentomila.
La scomparsa di trecentomila viventi costringe a porre la domanda sulla causa di una ingente moria avvenuta in tempo di pace e in concomitanza con gli ammirati progressi della medicina e con il sensibile incremento delle aspettative di sopravvivenza.
Dove sono finiti i trecentomila (e più) genovesi mancanti all’appello? Le statistiche sugli aborti ci dicono che sono finiti nel sacco dei rifiuti e ultimamente nell’inceneritore.
Si incontra infine l’esatta definizione del boia del terzo e più odioso grado: il procuratore di aborti. Lo stato boia, in ultima analisi.
Siamo dunque davanti a un curioso dilemma: è criminale lo stato sanitario, che giustifica la morte (salutare?) degli innocenti oppure è criminale chi osa denunciare il crimine del sovrano? Ecco una sfida interessante e un’occasione per uscire dal pigolio dei sacrestani al rosolio.
La miope insistenza del vecchio “laissez faire”
È del tutto fuori luogo l’ottimismo espresso dal Governo, ed in particolare dal Presidente del Consiglio Letta e dal Ministro dell’Economia e delle Finanze Saccomanni, circa l’uscita a breve tempo dell’Italia dalla crisi economica. Gli indicatori economici citati a questo riguardo, oltre che ad essere di minima consistenza hanno le caratteristiche intrinseche della caducità. Infatti le registrazioni reali rimangono negative – deflazione, non investimenti, riduzione dei redditi, vendite ed ordini in continua diminuzione – mentre gli indicatori economici cosiddetti “anticipatori di previsioni” sono solo illusorie speranze non suffragate da reali andamenti e soprattutto non legati ad impegnativi programmi di politica economica antirecessiva e impostata allo sviluppo. Il problema che si pone è quello di fondo: siamo ancora dentro in un fenomeno ciclico tipico degli andamenti dell’economia capitalistica o siamo dentro una crisi endemica di un sistema che esige un cambiamento?Appare ormai chiaro che le alternative delle vecchie impostazioni ideologiche non sono più sufficienti a inquadrare i fenomeni di questi anni: la scelta non può più essere tra capitalismo o lavorismo, tra liberalismo e socialismo, tra privatismo o statalismo. Sono alternative superate e del tutto incapaci di descrivere e poi dar luogo a scelte radicali su questi concetti contrapposti. Non si tratta di trovare posizioni intermedie ed oscillanti fra poli estremi (“economia mista”, oppure “economia sociale di mercato”), ma di introdurre un sistema organico di politica sociale ed economica che produca non soltanto la crescita quantitativa, ma soprattutto lo sviluppo qualitativo delle moderne società aperte. Bisogna introdurre una politica di interventi pubblici a carattere infrastrutturale senza cadere in un regime economico statalista di tipo social-comunista e di rendere effettivo il confronto competitivo per i beni fungibili (produzione di merci e prestazione di servizi in libera concorrenza).
L’argomento della persistente crisi odierna italiana è ovviamente oggetto di attenzione sia da parte dei giornali più specificatamente economico-finanziari (come Il Sole 24 Ore, Italia Oggi, Milano Finanza), sia delle pagine economiche di tutti i quotidiani (come per esempio quelle del Corriere della Sera, La Stampa, Repubblica, Messaggero, etc). Tuttavia, le analisi rimangono sempre totalitariamente legate alla vecchia ideologia del capitalismo liberistico per cui si ritiene che la soluzione dei problemi consista soprattutto nel riaffermare il vecchio principio del “laissez faire”. Questo atteggiamento passivo e misure puramente sono orma del tutto inconcepibili: è necessaria una attiva e diretta politica economica anticrisi che impegni non solo l’esecutivo, ma tutte le categorie economiche, professionali e sociali del Paese (g.r.).
SOMMARIO DI QUESTO NUMERO
– Fabrizio Galimberti, “Perché l’ottimismo è ancora fuori luogo ?”. Passare dalla sola spesa di breve periodo a massicci investimenti di utilizzazione duratura“ di Gaetano Rasi
- Massimo Anderson, presidente Federproprietà: “Un Governo nel Caos”. La denuncia delle categorie produttive per un cambiamento di sistema.
- Agostino Scaramuzzino su Scuola e Lavoro: “Rappresentatività sindacale nelle aziende. Andare oltre i parametri della rappresentatività contrattuale per essere soggetti politici.
- Anche nelle autonomie locali esiste una crisi di sistema. Al tramonto la stagione dei sindaci e dei “governatori” di Mario Bozzi Sentieri
Martedì 21 Gennaio 2104, una delegazione ufficiale del Comune di Anzio guidata dall’Assessore Sebastiano Attoni ha reso omaggio al Campo della Memoria, il sacrario militare che raccoglie i resti dei combattenti della Repubblica Sociale Italiana.
Hanno partecipato alla sentita manifestazione l’Associazione Nazionale Volontari di Guerra, il gonfalone del Comune di Anzio, l’Associazione Xa Flottiglia MAS – RSI, l’Associazione Nazionale Arditi d’Italia, una rappresentanza dell’Associazione Nazionale Carabinieri e una delegazione del Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia.
Presenti, tra gli altri, Anna Maria Ricci Mussolini e Fiorella Cencetti, figlia di un Ufficiale Comandante della Decima MAS, impiegato anche sul fronte di Nettunia.
Importanti sono state le parole dell’Assessore di Anzio Sebastiano Attoni che, a nome del Sindaco, ha espresso il riconoscimento ufficiale dell’Amministrazione a chi si è immolato per l’Onore d’Italia. Sul fronte di Nettunia, infatti, vennero impiegate diverse unità della RSI, come il Battaglione Paracadutisti “Nembo” (poi conosciuto con il nome di Compagnia “Nembo-Nettunia”); il Battaglione “Barbarigo” e il Gruppo d’Artiglieria “San Giorgio” della Decima MAS; il II Battaglione SS italiane “Vendetta” (poi conosciuto con il nome “Nettuno”); il I Battaglione M “IX Settembre”; la 5a Compagnia Studenti Volontari dei Granatieri di Sardegna; il Reggimento Arditi Paracadutisti “Folgore”; senza dimenticare il contributo dei Carabinieri e dei Militi della GNR a ridosso della testa di ponte e nelle immediate retrovie. Non a caso il primo caduto della RSI sul fronte di Nettunia è un Carabiniere, il Brig. Giuseppe Pitruzzello ucciso da un soldato statunitense nelle prime ore dello sbarco.
Con la Preghiera del Marinaio si è conclusa la manifestazione patriottica che ha avuto il compito di ricordare le unità italiane schierate in prima linea contro gli Angloamericani, per l’Onore d’Italia.
Pietro Cappellari
Responsabile culturale del
Comitato Pro 70° Anniversario
dello Sbarco di Nettunia
Martedì 21 Gennaio, nella serata del 70° Anniversario dello Sbarco di Anzio e Nettuno, il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia, sarà ospite della trasmissione “Revolution” di Giancarlo Testi in onda alle 22:30 su www.youngtv.tv
“In ogni guerra, la questione di fondo non è tanto di vincere o di perdere, di vivere o di morire; ma di come si vince, di come si perde, di come si vive, di come si muore.
Una guerra si può perdere, ma con dignità e lealtà.
La resa ed il tradimento bollano per secoli un popolo davanti al mondo”.
Comandante Junio Valerio Borghese