Non dovrebbe stupire l’uso improprio ed esorbitante della parola “boia”, cui si è abbandonato l’esponente di un partito concepito durante l’incontro dell’anarchia elettronica con l’umorismo da Suburra.
Stupisce, invece, l’uso ristretto dell’insulto “boia” agli esecutori di sentenze scritte in nome del sovrano di passaggio.
Boia, infatti, è un termine strisciante tra gli eccessivi rigori della legge e i suoi demenziali abusi: da un lato sta l’esecutore della condanna a carico di assassini seriali, dall’altro il legale sterminatore di innocenti a Compiègne o a Auschwitz.
L’esecutore di condanne legittime a carico di spaventosi criminali è un funzionario altamente sgradevole, che agisce in nome di una legge discutibile. L’assassino degli innocenti in quanto tali, ancorché patentato da un legittimo governo, è un ripugnante criminale. Definirlo boia è un insulto al boia propriamente detto.
Si pensi per un attimo a una pagina di storia contemporanea, il vertiginoso calo demografico nella città di Genova: alla fine degli anni Sessanta si contavano quasi novecentomila abitanti oggi seicentomila.
La scomparsa di trecentomila viventi costringe a porre la domanda sulla causa di una ingente moria avvenuta in tempo di pace e in concomitanza con gli ammirati progressi della medicina e con il sensibile incremento delle aspettative di sopravvivenza.
Dove sono finiti i trecentomila (e più) genovesi mancanti all’appello? Le statistiche sugli aborti ci dicono che sono finiti nel sacco dei rifiuti e ultimamente nell’inceneritore.
Si incontra infine l’esatta definizione del boia del terzo e più odioso grado: il procuratore di aborti. Lo stato boia, in ultima analisi.
Siamo dunque davanti a un curioso dilemma: è criminale lo stato sanitario, che giustifica la morte (salutare?) degli innocenti oppure è criminale chi osa denunciare il crimine del sovrano? Ecco una sfida interessante e un’occasione per uscire dal pigolio dei sacrestani al rosolio.