L’ampiezza dello spazio decisionale e la piena autonomia del giudice, che sono sicuramente valori fondamentali della nostra vita democratica, determinano però nelle questioni economico-industriali e del lavoro la variabilità più assoluta e riducono la certezza nell’applicazione della legge – L’esempio dello scontro sull’Ilva.
Il caso Ilva è il più recente esempio di quella furia iconoclasta che in Italia permea certi magistrati, indifferentemente civili e penali, quando si trovano ad affrontare questioni relative alle imprese, in particolare dei grandi gruppi industriali, che possono avere, sotto l’ effetto delle loro decisioni, forti implicazioni sul piano economico, sociale, politico o sindacale.
L’ampiezza dello spazio decisionale e la piena autonomia del giudice, che sono sicuramente valori fondamentali della nostra vita democratica, determinano peraltro nelle questioni economicoindustriali e del lavoro la variabilità più assoluta e riducono la certezza nell’applicazione della
legge.
Da parte di molti osservatori è stato sottolineato che il coesistere nel tempo di diverse e contrastanti interpretazioni adottate da questo o quel giudice (si pensi solo all’ art. 18) mette in discussione la stessa legge e determina una inaccettabile imprevedibilità strutturale.
La grave situazione di incertezza nell’ applicazione della legge, che oggi è addirittura sfociata con l’ ILVA in un durissimo scontro della magistratura nei confronti del Governo, costituisce un’ulteriore forte penalizzazione per le aziende italiane che ogni giorno sui mercati internazionali si confrontano con concorrenti agguerriti e assai meno vincolati nella loro operatività.
Le imprese, come tutti i cittadini, hanno bisogno di conoscere con certezza le regole del gioco, ma non sempre è così. Prendiamo il caso di quelle sentenze che hanno stabilito che nelle aziende metal meccaniche associate a Federmeccanica non possa essere applicato agli iscritti Fiom-Cgil il contratto nazionale sottoscritto, sulla base delle rinnovate regole interconfederali sui livelli di contrattazione, da Fim-Cisl e Uilm-Uil e debba invece essere applicato il contratto nazionale precedente del 2008 sottoscritto anche da Fiom. Questo ha comportato che per tre anni, dal 2009 al 2012, nella stessa azienda sono esistiti due contratti nazionali diversi e, quindi, lavoratori che a parità di mansione potevano avere trattamenti
economici e normativi differenti. Una situazione di difficile gestione peraltro con il rischio di non essere del tutto superata, visto che il nuovo contratto nazionale dei metalmeccanici in vigore da gennaio di quest’ anno, firmato da Federmeccanica e Fim e Uilm, è contestato dalla Fiom.
Ancora più clamoroso è il caso della Fiat che negli ultimi due anni è stata oggetto di una campagna giudiziaria senza precedenti.
Dopo che l’ accordo di Pomigliano, approvato dalla maggioranza dei lavoratori, è diventato la base per il nuovo Contratto di Lavoro applicato a tutti i lavoratori Fiat in sostituzione del CCNL dei metalmeccanici, la Fiom ha avviato un complesso contenzioso giudiziario verso l’azienda (oltre
sessanta denunce per attività antisindacale ex art. 28 Statuto dei Lavoratori), qualificando il nuovo Contratto di Lavoro Fiat, da essa non sottoscritto, come estorsivo, contrario alla Costituzione e financo lesivo della dignità di chi lavora.
Anche nell’ esame di questa valanga di ricorsi non sono mancate pronunce singolari, tali da confermare che è sempre un azzardo nel nostro Paese fare impresa senza un ragionevole margine di non incorrere in qualche provvedimento giudiziario, il più delle volte di “chiaro” orientamento.
Prendiamo ad esempio la questione riguardante la rappresentanza sindacale in azienda. La norma dello Statuto dei Lavoratori, art.9, sulla rappresentanza sindacale, come voluta dal popolo sovrano nel referendum del 1995, è di chiara dizione letterale : rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite solo nell’ ambito di associazioni sindacali che abbiano firmato contratti collettivi di lavoro applicati nell’ unità produttiva.
La Fiom-Cgil ,non avendo sottoscritto il contratto collettivo di lavoro applicato a tutti i dipendenti Fiat, si è trovata nella condizione legale di non poter nominare propri rappresentanti all’ interno delle fabbriche. Ciò non le ha impedito comunque di scatenare una battaglia giudiziaria nei confronti di tutte le società Fiat, volendo egualmente che le venisse riconosciuto il diritto a costituire proprie rappresentanze sindacali.
Pur di assecondare le posizioni della Fiom, alcuni magistrati, a Torino come a Modena o a Melfi, hanno ritenuto che, anziché decidere, come fatto da altri magistrati, applicando la norma dell’ art. 19 nella sua semplice e lineare portata, la vicenda meritasse un coinvolgimento della Corte
Costituzionale. Peccato che sui motivi di incostituzionalità dell’ art.19 sollevati da questi giudici la Corte Costituzionale abbia già espresso, fin dal 1995, in due sentenze la propria valutazione di piena legittimità dell’ attuale testo dell’ art. 19. In sostanza la Corte Costituzionale è di nuovo investita della questione solo perché a chiederlo è un asse giudiziario-sindacale in nome di un presunto mutamento nello scenario della relazioni sindacali derivante dal caso Fiat (tutte le ordinanze di remissione si poggiano su tale premessa di fatto), quasi come se la costituzionalità di una legge, destinata a disciplinare la rappresentanza sindacale su decine di migliaia di imprese e milioni di lavoratori, possa misurarsi su uno scontro – oltre tutto congiunturale e reversibile – che riguarda una singola impresa (Fiat), un solo sindacato (Fiom), di una sola categoria (metalmeccanici) e poche centinaia di lavoratori (i dipendenti Fiat iscritti alla Fiom).
Sono solo alcuni esempi che portano comunque a trarre una sola sconfortante conclusione: fare impresa in Italia è molto più complicato e la possibilità di incontrare ostacoli è molto più alta che negli altri paesi. Per favorire la crescita economica, la ripresa degli investimenti e dell’ occupazione, uno dei compiti del prossimo Governo non potrà dunque che essere quello di dare certezze sull’ applicazione e sulla interpretazione delle norme di legge, a partire da quelle sul mercato del lavoro e sulla contrattazione.