Ai primi di dicembre del 2001, su richiesta di un mio lettore e amico di Roma, firmai una petizione al Consiglio d’Europa affinché Erich Priebke, l’ex capitano nazista condannato all’ergastolo per aver fatto parte del plotone d’esecuzione che commise il massacro delle Fosse Ardeatine nel 1944, fosse restituito alla sua famiglia. Erich Priebke aveva allora 87 anni, ed era stato condannato all’ergastolo due anni prima, quando ne aveva 85. Non era mai accaduto, in un Paese del mondo civile, che un vecchio di 85 anni fosse condannato all’ergastolo per un fatto di guerra. Il destino di Erich Priebke era dovuto al sopruso e alla viltà di tre Paesi che si autodefinivano (e si autodefiniscono) civili: l’Argentina, l’Italia e la Germania.
Nella petizione – che, oltre a me, era stata firmata anche da altri studiosi e storici – si sosteneva che la detenzione di Priebke era dovuta ad un fatto di discriminazione razziale. Egli era perseguitato non in quanto ex nazista, non in quanto esecutore di una rappresaglia sicuramente vergognosa e infame, ma in quanto tedesco, e, come tale, appartenente a un popolo demonizzato, un popolo ritenuto capace di tutti i mali possibili, un popolo ritenuto geneticamente portato al crimine. Non c’erano altre spiegazioni valide per la serie infinita di illegalità e di soprusi cui quest’uomo era stato sottoposto.
Ricordo i più macroscopici:
– quando l’Italia, nel 1994, ne aveva chiesto l’estradizione al governo argentino, il reato di cui egli era accusato, in base al codice penale vigente in Argentina, era prescritto da anni;
– per lo stesso reato, cinque commilitoni di Priebke erano stati processati e assolti in Italia nel 1948. I giudici avevano sentenziato che essi si erano limitati ad eseguire un ordine. Ordine certamente illegale, per cui colui che lo aveva impartito, il colonnello Kappler, fu condannato all’ergastolo. Ma gli esecutori erano stati assolti;
– durante il primo processo, il PM aveva tenuto nei confronti di Priebke un atteggiamento di personale livore, trattandolo come si tratta un nemico politico;
– dichiarato non punibile dal Tribunale Militare di Roma nel 1996, e dunque automaticamente libero di alzarsi dal banco degli imputati e allontanarsi dall’aula, era stato inauditamente arrestato, «a furor di popolo», per ordine del ministro della Giustizia Flick.
Questi i motivi che mi avevano spinto a sottoscrivere la petizione. Ma, sul piano storico, avrei qualcosa da aggiungere. Durante la seconda guerra mondiale, per liberare il mondo da un uomo, Hitler, da un partito, il partito nazionalsocialista, da un’ideologia che avevano stregato un popolo, si diede per scontato che dovessero essere mandati al macello milioni di uomini. Così fu. Alla fine, la testa del drago fu mozzata. I capi nazisti che non si suicidarono, finirono sulla forca a Norimberga. Ma, ovviamente, nemmeno ai vincitori, pur nell’imminenza dell’immane carnaio, venne mai in mente di processare, condannare ed eventualmente impiccare i milioni di esecutori dei criminali ordini hitleriani. Un’idea del genere non passò per la testa neppure a Stalin, che difatti si limitò a proporre (senza peraltro ottenere soddisfazione) l’eliminazione della parola «Germania» dagli atlanti geografici, con il suo frazionamento e l’incorporazione dei vari spezzoni negli Stati confinanti.
Come si spiega dunque che, a più di mezzo secolo dai fatti, uno dei milioni di esecutori dell’orrore hitleriano venisse arrestato in Argentina, estradato in Italia e qui processato, con tutto ciò che ne conseguì? Perché proprio lui, e non altre migliaia di ex ufficiali nazisti allora viventi e residenti in parte in Germania e in parte in altri Paesi tra cui l’Italia?
La risposta sta nel fatto che, quando i giornali riportarono la notizia che a Bariloche, cittadina argentina, una televisione americana aveva filmato un ex ufficiale delle SS che aveva partecipato alla strage delle Fosse Ardeatine, al governo, a Roma, si trovava la brancaleonica armata del Polo prima maniera. Se vi fosse stata una qualunque coalizione di centro sinistra, non sarebbe successo proprio nulla. Ma c’era l’armata “neodestrica” guidata da condottieri provenienti in gran parte dall’ultrasinistra sessantottarda, cui non pareva vero di poter dimostrare urbi et orbi le proprie credenziali antifasciste. Come? Impostando forse una seria revisione culturale sulla nostra storia recente, e magari rivalutando il significato della lotta antifascista condotta dai soldati del Regio Esercito? Macché. Troppo complicato.
Molto più semplice e redditizio (date anche la malafede e l’ignoranza generalizzate del mondo giornalistico e culturale) cavalcare il caso Priebke. Prendersela, cioè, con un povero vecchietto che non era in grado di mobilitare nessuno in sua difesa. Ed ecco le infuocate dichiarazioni del ministro della Giustizia Alfredo Biondi: «Ne chiederemo l’estradizione e la otterremo!». Biondi si sostituì al boia, pur non essendo un boia, ma cercando – sulla scia del suo capo Silvio Berlusconi – una «captatio benevolentiae» di cui chi non ha nulla da farsi perdonare non sente il bisogno. «Captatio benevolentiae» nei confronti di chi, poi? Dei campioni della sinistra? Degli esaltatori delle foibe? Degli ammiratori del più disumano e sanguinario sistema oppressivo di tutti i tempi? Che squallore!
Detto fatto, fu mobilitata la Procura militare, si firmò l’ordine di cattura internazionale, si fecero pressioni sull’argentino Menem, al quale – a sua volta – non parve vero di rifarsi una verginità a sinistra sulla pelle del vecchio Priebke, per trent’anni preside di una scuola argentina. E così l’Argentina decise di consegnarcelo, nel silenzio anch’esso complice del governo tedesco, già sulla china dello scivolamento verso una scelta di sinistra che ha avrebbe regalato alla Germania un ministro degli Esteri ex estremista di sinistra e picchiatore di poliziotti in nome di Marx, di Lenin e di Mao-Tse-Tung.
Nel frattempo, Bossi piantò la famosa coltellata nella schiena degli alleati, il governo si sfasciò, fu la volta di Dini. Al quale, per la verità, del caso Priebke non importava più di tanto. Lui non aveva bisogno di rifarsi una verginità a sinistra sulla pelle di un povero vecchio. Ma ormai la macchina si era messa in moto. Fu il procuratore militare Intelisano, emerso dal nulla alle prime pagine dei giornali, a prendere la palla in mano. Erich Priebke non era più un’«affaire» di politica internazionale, era tornato ad essere un caso giornalistico. Come si evinse anche dalle comparsate televisive e dalle interviste dispensate a piene mani dal procuratore. E tale rimase per tutta la durata del primo processo.
Tornò a diventare un caso politico un attimo dopo la sentenza assolutoria, con l’«assedio» della folla ai giudici, la corsa affannosa di Prodi alle Fosse Ardeatine, l’intervento del ministro Flick, che scoprì miracolosamente un nuovo articolo del codice di procedura penale, un articolo che era sfuggito a tutti (infatti non esisteva): quello che autorizza i ministri della Giustizia ad emettere mandati di cattura.
Di quella farraginosa giornata c’è una cosa, sopra a tutte le altre, che non mi convinse mai: la presenza, nei corridoi e nelle adiacenze del tribunale militare, frammisti ai rappresentanti della Comunità ebraica di Roma (più che legittimati), di elementi autodefinitisi, orgogliosamente, “comunisti”. Con quale diritto questi comunisti si permettevano di contestare una sentenza, giusta o sbagliata che fosse?
Fosse pur stata vergognosa (e tale non era) la sentenza del tribunale militare, va detto a chiare lettere che i comunisti, i pre-comunisti, i post-comunisti e tutti i loro consimili sono gli ultimi, ma gli ultimi al mondo a poter interloquire in tema di massacri, olocausti e scempio dell’uomo. La strage delle Fosse Ardeatine è sacra alla memoria di tutti gli italiani: atei, cattolici ed ebrei. Di tutti, meno che dei comunisti, che la provocarono volontariamente, puntando, a freddo, sulla sadica ferocia nazista, per soddisfare la loro vocazione cimiteriale alla violenza, alla strage, al terrorismo e al sangue, e soprattutto per decapitare la Resistenza monarchica i cui esponenti furono infatti, e non a caso, trucidati al completo alle Fosse Ardeatine. Questa è storia. La storia che fino a oggi è stata negata, e che finalmente gli italiani devono esser posti in condizione di conoscere.
Luciano Garibaldi