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Alla foce del Serchio, tra Viareggio e Marina di Pisa, una casa abbandonata sta cadendo in rovina. «In quella casa», ha scritto Alessandro Botré sulla rivista «Monsieur», «si stabilì, tra il 1936 e il 1944, il nucleo segretissimo di assaltatori subacquei della Prima Flottiglia MAS, che nel 1941 sarà ribattezzata Decima Flottiglia MAS: il reparto italiano che fece disperare gli inglesi, che non riuscivano a capire come fosse articolato, dove si addestrasse, come fosse pronto ad elaborare tattiche e tecnologie belliche  tanto irrazionali quanto geniali. Ma soprattutto efficaci. In questo casolare, i primi incursori della Regia Marina si preparavano per le azioni contro le navi inglesi (non contro gli equipaggi), dove il nemico si sentiva invulnerabile, cioè nei porti».
Ebbene, quel mitico fabbricato sta andando in rovina. Il tetto rischia di crollare da un momento all’altro. Dovrebbe invece essere un tempio di culto, un monumento nazionale, un museo dedicato alla storia degli incursori della Marina, i padri dell’attuale ComSubIn, il «Comando Subacquei e Incursori Teseo Tesei», intitolato al nome dell’eroe medaglia d’oro sacrificatosi a Malta. Poiché a questi grandi italiani ho dedicato un libro, scritto per la Casa editrice Lindau con Gaspare Di Sclafani e intitolato «Così affondammo la “Valiant”», mi associo alle proteste dell’Anaim (l’Associazione nazionale arditi incursori della Marina), che da anni lotta per dare alla casa del Serchio il decoro che merita, e voglio qui ricordare il sacrificio di Teseo Tesei – l’eroe della Decima Flottiglia MAS dimenticato dall’Italia – e dei suoi compagni.
Nel 1941 l’isola di Malta era il punto strategico di appoggio per le navi inglesi in transito sulla rotta Alessandria-Gibilterra. Bisognava dunque neutralizzarla. Il piano fu messo a punto entro il 20 luglio di quel 1941. Era un piano audace. Prevedeva che il maggiore del Genio Navale Teseo Tesei, l’ideatore dei siluri a lenta corsa, distruggesse con i suoi “maiali” le difese esterne del porto, consentendo così ai “barchini esplosivi”, alias MTM (motoscafi turismo modificati), di entrarvi e affondare le navi che vi erano all’ancora.
Teseo Tesei si rese conto che l’azione era disperata. L’importante, per lui, era dimostrare agli inglesi e al mondo intero che vi erano degli italiani capaci delle imprese più temerarie. L’attacco doveva essere preceduto da un pesante bombardamento da parte della Regia Aeronautica. Supermarina, in effetti, aveva concordato con la Regia Aeronautica tutta una serie di azioni di concorso e diversive.
In particolare: «Bombardamento di disturbo su La Valletta alle ore 01.45 del giorno X; seconda ondata di bombardamento più intenso su La Valletta alle ore 02.30; terza ondata di bombardamento anch’essa intensa su obiettivi interni; difesa con velivoli da caccia a partire dalle 05.30 del giorno X sulla rotta di rientro dei MAS e delle altre unità italiane».
Il giorno X scattò il 25 luglio. Alle 18, dopo che la ricognizione aerea aveva accertato la presenza di unità inglesi a Malta, salparono dal porto siciliano di Augusta i MAS 451 e 452, assieme alla Regia Nave “Diana” che aveva a bordo dieci “barchini” e al rimorchio un MTL (motoscafo turismo lento) che, a sua volta, trasportava due siluri a lenta corsa (SLC). Il mare era calmo. Guidava la spedizione il capitano di Fregata Vittorio Moccagatta, comandante della Flottiglia (al quale sarebbe poi succeduto Junio Valerio Borghese) imbarcato sul MAS 452. All’inizio tutto procedette senza problemi. Attorno alle 23, nel punto stabilito – a circa 20 miglia da Malta – la nave “Diana” mollò il rimorchio mentre venivano messi in mare i “barchini” e, successivamente – a 5 miglia dall’obiettivo – i “maiali”.
L’equipaggio di uno di essi era composto da Teseo Tesei e dal capo palombaro Alcide Pedretti: il loro compito era quello di attaccare e fare saltare le reti metalliche di protezione poste sotto il ponte S. Elmo, all’ingresso del porto di La Valletta, per aprire un varco che consentisse il passaggio dei “barchini”. Il secondo equipaggio era formato dal tenente di Vascello Francesco Costa e dal sergente palombaro Luigi Barla che, con il loro SLC, dovevano invece attaccare i sommergibili ormeggiati nella baia di Marsa Musetto, accanto al porto di La Valletta. Secondo il piano, gli altri mezzi d’assalto sarebbero dovuti entrare in funzione dopo che Tesei fosse riuscito a far saltare l’ostruzione del ponte.
Per un po’ si restò in attesa del “massiccio” bombardamento aereo dell’isola concordato con la Regia Aeronautica italiana. L’azione, in realtà, si risolse con un unico, striminzito attacco condotto da due o tre caccia. Imperizia? Tradimento? Non restava che rassegnarsi e continuare. Quando gli autori del raid erano ormai arrivati a poche centinaia di metri dal porto, però, gli inglesi, che attraverso il radar li avevano individuati già da tempo lasciandoli avvicinare senza reagire, passarono all’attacco. Erano le 4 della notte. Contemporaneamente, le batterie dei tre forti posti a difesa del porto (S. Elmo, Ricasoli, Tigne) aprirono il fuoco, mentre i proiettori illuminavano la scena a giorno. Teseo Tesei e Costa decisero comunque di continuare l’assalto. Il “maiale” di Costa ebbe però un’avaria che lo costrinse a desistere. Tesei, rimasto solo con il suo “secondo”, puntò deciso con il suo “maiale” verso il ponte. Pochi attimi dopo, ecco lo scoppio. Teseo Tesei – si saprà dopo – aveva sacrificato la sua vita per permettere ai suoi compagni di portare a termine l’impresa. Purtroppo invano: l’esplosione aveva provocato il parziale crollo del ponte, senza aprire alcun varco. Non potevano saperlo, però, i sottotenenti di Vascello Carlo Bosio e Roberto Frassetto che partirono all’attacco con i loro “barchini”, assieme al sottotenente delle Armi Navali Aristide Carabelli, seguito dagli altri motoscafi, mentre le batterie inglesi continuavano a sparare senza tregua. A un certo punto, anche gli aerei da caccia britannici iniziarono un sistematico mitragliamento dello specchio d’acqua e gli idrovolanti lanciarono bombe di profondità. Impossibile proseguire. Bosio ordinò la ritirata. Secondo alcune testimonianze, quasi contemporaneamente il sottotenente Carabelli si lanciò con il suo “barchino” contro l’estremità del molo, deciso ad aprire un varco a tutti i costi. E pure lui pagò il suo eroico gesto con la vita: non fece in tempo a lanciarsi in mare e Frassetto lo vide, nitidamente, volare in alto, con le braccia levate. L’esplosione del “barchino” di Carabelli, purtroppo, ebbe l’effetto opposto a quello voluto: finito contro un pilone del ponte, lo fece precipitare ostruendo definitivamente l’entrata.
A questo punto l’impresa era decisamente fallita; non restava agli incursori che la fuga. Gli aerei inglesi però non mollarono la presa, continuando con i loro attacchi. Tutti i “barchini” (tranne uno che sarà catturato dagli inglesi intatto) furono affondati. Anche il MAS 452 fu ripetutamente colpito: in coperta, fra i primi a cadere,  il comandante Moccagatta. Poi morirono, uno dopo l’altro, il capitano di Corvetta Giorgio Giobbe, capo dei mezzi di superficie della Flottiglia, il medico dei mezzi d’assalto, Falcomatà, e poi altri ancora, ufficiali, sottufficiali, marinai. Alla fine, si conteranno quindici  Caduti e diciotto prigionieri tra cui molti feriti. Soltanto undici i superstiti. Resteranno per sempre scolpite nei loro cuori le parole scritte da Teseo Tesei prima dell’eroica e sfortunata impresa: «Occorre che tutto il mondo sappia che vi sono italiani che si recano a Malta nel modo più temerario. Se affonderemo qualche nave, oppure no, non ha molta importanza. Quel che importa è che noi si sia capaci di arrivare con il nostro apparecchio sotto l’occhio del nemico».

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