“Ancor oggi non si sa da dove venisse e chi fosse realmente Mario Lupo, se questo fosse il suo vero nome o, come in molti sostengono, solo un nome di copertura” Così lo storico nettunense Pietro Cappellari, autore di importanti studi sulla guerra civile nel reatino, racconta Mario Lupo, importante protagonista della resistenza sui monti di Rieti nel ’43-’44.
Detto il “partigiano azzurro” perché ufficiale del Regio Esercito, Lupo aveva aderito al movimento clandestino e, nell’inverno 1944 aveva animato un folto gruppo combattente che aveva acquistato subito notorietà sia tra la popolazione sia tra tedeschi e la Guardia Nazionale Repubblicana. Poi, alla fine di marzo dello stesso anno, la scomparsa sul confine tra Lazio ed Umbria. E l’oblio.
Dott. Cappellari, chi è Mario Lupo?
“Certamente è stato il Comandante partigiano più importante del Reatino”.
Qual è stato il suo ruolo nella resistenza in Lazio e Umbria?
“Dopo lo sbarco angloamericano a Nettunia (22 Gennaio 1944), si diffuse l’idea che la fine della guerra fosse ormai questione di giorni. Per questo le decine di renitenti alla leva della RSI e gli “sbandati” del post-8 Settembre del Regio Esercito – che fino ad allora erano vissuti alla macchia senza intraprendere nessuna iniziativa – decisero di entrare in azione. Questo in tutta Italia, provincia di Rieti compresa. Si poteva contare su due cardini: il prossimo arrivo degli Alleati e la fragilità strutturale dei presidi di montagna della GNR che, essendo isolati, non potevano in nessun modo essere difesi (e finirono per essere il bersaglio privilegiato ed esclusivo della guerriglia). E’ infatti nel Febbraio 1944 che inizia l’attività di quella che sarà la cosiddetta banda “Lupo”, dal nome del suo Comandante, Mario Lupo per l’appunto. Nel Marzo seguente sarà a questa unità che si attribuiranno le varie azioni partigiane che si ebbero a contare – sempre con maggiore frequenza – nell’Alto Reatino, a Nord di Rieti, nel settore di Rivodutri. Tra queste anche la strage di Poggio Bustone (10 Marzo 1944) quando – lungi dal verificarsi la famosa “battaglia” che la vulgata antifascista ci propina da decenni – ben tredici uomini della RSI (tra cui il Questore di Rieti) vennero fucilati dopo che si erano arresi e avevano deposto le armi. Tuttavia, le responsabilità della strage sono da addebitarsi ad elementi comunisti sconfinati dal Ternano, giunti in paese dopo l’intervento armato della banda “Lupo”. Ecco, il nocciolo della questione: il ruolo dei bolscevichi di Terni nell’organizzazione della guerriglia nel Reatino. Perché qui si entra nel mistero più completo: del resto, Mario Lupo – che comunista non era e, probabilmente, per via del suo essere un Ufficiale del Regio Esercito, era un monarchico – non gradiva essere assorbito e comandato dagli “ultimi arrivati” che, proprio nel Febbraio 1944, stavano allestendo quella che passò alla storia con il nome di Brigata “Gramsci”. Abbiamo detto mistero, perché Mario Lupo non ebbe la possibilità di dire nulla a tal proposito, “scomparendo” improvvisamente, senza lasciar traccia di sé, durante il grande rastrellamento italo-tedesco del 31 Marzo – 4 Aprile 1944. Un’operazione di bonifica che mise fine alla neonata Resistenza reatina (senza, per altro, sparare un solo colpo: il “conto” fu pagato essenzialmente dalla popolazione civile travolta dal rastrellamento)”.
Nessuna notizia dal marzo 1944: morto o semplicemente sparito?
“Il mistero è tutto qui. Per i responsabili della Brigata “Gramsci”, Mario Lupo si era salvato, ripiegando verso Nord e lasciando per sempre la provincia. Una ricostruzione che ha dell’incredibile che, infatti, fu affiancata da una più “solida” – almeno per l’immaginario collettivo – che narrava della morte in combattimento. Tuttavia, anche questa “soluzione” mostrava tutta la sua inconsistenza all’esame dei documenti e delle testimonianze disponibili. Ma la “storia” – di certo – l’avrebbe scritta il PCI e, di conseguenza, nessuno trovò nulla da obiettare nelle contraddittorie ricostruzioni dei fatti, anche perché Mario Lupo – incredibilmente – scomparve subito non solo fisicamente, ma anche dalla memoria collettiva. Di lui non si parlò più. Punto e basta. Non fu mai riconosciuto partigiano della “Gramsci” (lui che era stato il più importante Comandante della Resistenza reatina e che, a detta dei comunisti, aveva accettato la subordinazione alla Brigata “rossa”). Non venne – altrettanto incredibilmente – nemmeno inserito tra i caduti (sebbene in quei giorni, per infoltire le schiere dei “martiri della libertà”, si insignirono della prestigiosa e remunerativa qualifica di “caduto partigiano” anche semplici civili e fascisti repubblicani che mai nulla avevano avuto a che fare con la guerriglia!). Niente, Mario Lupo doveva essere dimenticato. Per sempre. Perché? La soluzione del mistero sta tutta qui. Ancor oggi non si sa da dove venisse e chi fosse realmente Mario Lupo, se questo fosse il suo vero nome o, come in molti sostengono, solo un “nome di copertura”. Non è probabilmente un caso se durante il processo ad alcuni partigiani accusati della strage di Morro Reatino (19 Maggio 1944), si disse che Mario Lupo fosse stato ucciso proprio dai comunisti perché non avrebbe mai accettato l’uccisione indiscriminata di persone innocenti come gli era stato proposto. Ma nulla fu possibile appurare, ovviamente”.
“Si tratta della partigiana Gianna Angelini, all’epoca una maestra elementare di Vallunga di Leonessa, che fuggì sulle montagne per amore di un partigiano. Durante un interrogatorio sostenne che, nel Marzo 1944, era fidanzata con Mario Lupo”.
“A tanti anni di distanza, con la scomparsa di tutti i protagonisti di quel periodo, ancora nulla è possibile dire sulla sorte di Mario Lupo. E’ evidente che la “consegna del silenzio” che si sono imposti i comunisti è stata granitica e non ci vuole poi molto a comprendere il perché. Certo, se fosse vero che Gianna Angelini fu la fidanzata di Mario Lupo, chi meglio di lei potrebbe contribuire a dipanare il mistero che da settanta anni avvolge la figura dello “scomparso” Comandante partigiano? Ma dubito che il sole della verità potrà mai illuminare questa pagina nera della Resistenza”.