La campagna elettorale è un’occasione unica per lanciare slogan e incrociare le spade per mezzo di programmi che come tutti sappiamo non verranno mai applicati.
Stavolta la situazione è particolarmente favorevole per accapigliarsi, visti la pressione fiscale, il blocco dei crediti, il crollo dei consumi, la liquidazione dello stato sociale e l’attacco a salari, risparmi e pensioni. E considerata, sempre che ce ne accorgiamo, la cessione di sovranità.
Il guaio è che non si vede come vi si possa far fronte mediante un eventuale cambio di governo, né s’indovina chi si possa candidare come classe dirigente alternativa.
Difatti, pur tra cento sfumature, sono solo due le posizioni di fondo, di cui peraltro gli stessi sostenitori non sempre sono pienamente consapevoli.
Da una parte abbiamo le concezioni meccaniciste e materialiste che condividono i marxisti e i cosiddetti mercatisti, o se vogliamo i liberisti mondialisti.
Per entrambi il potere politico è un puro e semplice involucro del potere economico, dunque del capitale internazionalizzato e del mercato unificato. Ragion per cui Napolitano come Monti ritengono naturale e salutare la cessione di sovranità. Ragion per cui Fassina e Vendola si contrappongono a Montezemolo e Albertini sul taglio delle riforme e sulla distribuzione fiscale, ma sono tutti Draghi-dipendenti.
Dall’altra parte abbiamo i pindarici, o i reazionari utopistici, che si differenziano tra loro sul come intendono il ruolo dello Stato e la politica del lavoro ma concordano tutti nell’attribuire superficialmente alla sottomissione, alla corruzione e all’incapacità della classe dirigente il portato di una crisi che, cambiando la classe dirigente e quindi la linea politica, secondo loro si andrebbe a risolvere potenziando la sovranità nazionale o regionale.
A questo secondo gruppo appartengono quasi tutti i partiti populisti del centrodestra, dell’estrema destra, dei leghisti secessionisti e di una buona fetta del populismo qualunquista grillino.
A contrapporre i primi ai secondi è poi la posizione, sempre estremistica ed irrazionale, sull’Europa. I meccanicisti la esaltano, i pindarici ne fanno un’ossessione.
Gli uni e gli altri alla fin fine fanno pari
Se prevalgono i primi, la continuità del cappio fiscale e del disgregamento sociale è assicurata; ma se emergono i secondi non riusciranno a cambiare assolutamente niente.
E questo non perché non siano in grado di cambiare classe dirigente e di sostituirla con una meno corrotta o più competente (il che è comunque tutto da provare) ma perché aggirano costantemente il nodo al quale invece si aggrappano i liberalcomunisti: ovverosia l’internazionalizzazione dei poteri reali.
Intendiamoci: non è vero quel che sostengono tutti i fatalisti, ovvero che non sia possibile recuperare quote di sovranità e trattare con i poteri internazionali. Ma ciò non è realizzabile esprimendo intenzioni o delineando soluzioni mediante programmi elettorali e neppure con il varo di programmi governativi che, oggi come oggi, si rivelerebbero assolutamente impraticabili.
Se il meccanicismo materialista ha i suoi limiti, i suoi difetti e le sue devianze, ciò non vuol dire che non metta in luce realtà inaggirabili che non si cancellano ignorandole o prendendole sotto gamba.
Non è con nessuna dichiarazione d’intenti che si riafferma una sovranità nazionale e statale, lo si può fare solo contrastando, contrattando, minacciando, litigando e infine risolvendo e imponendo, ossia governando.
Se è vero che noi non possediamo alcuna classe dirigente politica e che abbiamo da vergognarci nel confronto con tutti gli altri Paesi industrializzati (e non solo) è pur vero che i politici tutti debbono mediare tra poteri, altrimenti, per competenti e onesti che siano, non hanno alcuna possibilità di muoversi tra un potere da una parte e il nulla dall’altra. E il problema centrale è che non esistono poteri italiani consapevoli di essere poteri e di essere italiani.
Nodi al pettine
Sicché da noi vengono ora al pettine i nodi della devastazione prodotta dalla somma della democrazia parlamentare e del consociativismo.
Una società sana si articola in corpi sociali. Se la si atomizza seguendo l’ideologia democratica dell’individualismo e la si disarticola seguendo la logica liberista, essa viene meno.
Se mantiene sullo sfondo una logica sociale e nazionale, com’è il caso della società tedesca e dei suoi Länder, può comunque esprimere un potere politico anche in un democrazia parlamentare liberale. In altri casi è invece impossibile.
Come lo è da tempo in Italia dove la disarticolazione dei corpi sociali è stata ammortizzata solo dalla costruzione di enormi contenitori assistenziali (sindacati, associazioni) e dall’escamotage della sussidiarietà.
In poche parole la classe politica italiana si è contraddistinta nell’eseguire input provenienti dai poteri internazionali adattandoli a modo proprio per garantirsi la pace sociale.
Fino a quando i poteri internazionali non hanno deciso che non ci fosse più concessa la disponibilità dei capitali per ammortizzare e ci hanno rifilato l’Agenda Monti.
Un collasso sociale e giuridico
Finché questo resterà il quadro non sarà possibile per nessuna classe politica, per onesta, competente e ideale che sia, di fare alcunché.
Difatti anziché verso il modello tedesco di democrazia liberale ci siamo avviati verso quello Wasp e se l’osserviamo bene quel modello ci rendiamo agevolmente conto che i corpi sociali lì sono stati disintegrati e che le sole possibilità di rappresentatività che restano ai sudditi sono quelle di far parte di una lobby, oppure di essere partecipi di una minoranza in lotta per “i” diritti.
Si è giunti al paradosso, che oramai conosciamo bene anche noi, per il quale essere un semplice cittadino non solo non offre garanzie ma è un handicap, e l’handicap degli handicap è essere maschio, bianco, eterosessuale e produttore.
L’ideologia dell’uguaglianza ha insomma prodotto un collasso sociale e giuridico per il quale la società è una jungla o se vogliamo una palude in cui per galleggiare bisogna esprimere una qualche “diversità”, data la quale però al massimo appunto si galleggia.
E mentre qualcuno galleggia e molti affogano, la banca gode e le multinazionali ridono.
Riallacciare tra loro le categorie sociali
E’ per effettuare un radicale cambio di società che si deve agire, un cambio di società che si vada a imporre nel quotidiano, dal basso, prescindendo dalla politica intesa in senso stretto, mettendo a frutto proprio la dismissione degli ammortizzatori sociali e il blocco dei crediti, due scelte i cui effetti hanno prodotto un sentimento d’emergenza come mai si era avvertito prima.
Si tratta di riallacciare subito tra di loro le categorie sociali, di far sì che queste divengano consapevoli che, cooperando a tutto campo e facendo convergere e fruttare i risparmi, hanno la possibilità di rilanciare la produzione e di far rete locale, in particolare a livello provinciale, non a caso quello più detestato dai liberisti.
A lato della fiction politica e a prescindere da essa e dai suoi esiti, la ricostruzione di una realtà basata sul corporativismo delle competenze e sulla produttività responsabile e socialmente partecipativa è l’unica possibilità concreta d’imprimere una svolta decisa. Senza la quale nessun ministro, governatore, assessore, parlamentare, senatore, europarlamentare, sarà mai in condizioni di fare nessuna cosa per cambiare la tendenza sociale né per attutire, modificare o capovolgere la tendenza di cessazione di sovranità.
Non preoccupiamoci quindi più di tanto di quello che dovrebbe fare una classe dirigente in Italia o di che programma dovrebbe attuare: imponiamoglielo con la forza delle cose.
Ovvero con la volontà di chi, tenendo lucidamente conto del meccanicismo, interviene a modificarlo fino a metterlo a frutto anziché fingere di non vederlo perché gli è più comodo così.
Si potrà cambiare allora anche la politica nazionale in senso stretto, a questo punto ma solo a questo punto, con un programma concreto, realistico, esecutivo, che sia radicato e ancorato al locale, che sia sociale non negli intenti ma nel suo stesso tessuto, che imponga delle modifiche istituzionali e che abbia una linea europea alternativa. In linea puramente teorica un programma del genere di certo non manca, a differenza della sua realistica fattibilità che va invece costruita.
Che dipende dall’articolazione sociale che la rende fattibile, mentre l’inverso, ovvero il cambiamento della società per effetto di un cambio di uomini politici e di orientamenti, è del tutto impossibile.
Teniamone sempre conto per evitare di affidarci sempre e soltanto a voli pindarici.
Ripartiamo da Leonardo dalla cui fantasia strutturata nacque l’aereo che ci permise di librarci davvero.