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ISTITUTO CULTURALE ITALO-TEDESCO

1813-2013

Duecento anni di storia della musica

Giuseppe Verdi, il musicista che svelò l’uomo

Richard Wagner, il musicista che sfidò gli dei

La S.V. è inviata

Martedì 11 Giugno 2013

Ore 18:30

Al Forte Sangallo di Nettuno (Roma)

Per le conferenze

Wagner, Verdi e il Risorgimento nazionale

del Dott. Pietro Cappellari

(Fondazione della RSI – Istituto Storico)

Wagner e Fortuny,

il wagnerismo nelle arti visive

del Prof. Alberto Sulpizi

(Accademia Delia)

https://www.facebook.com/events/581854948503287/

Precarietà e disoccupazione rappresentano il vero dramma sociale ed economico per il nostro Paese, un’autentica emergenza che il governo Letta dovrà affrontare proponendo riforme difficili, ma il cui punto cruciale dovrà essere l’abrogazione dell’articolo 18.

Un tasso di disoccupazione che ormai sfiora il 13%, qualche centinaio di migliaia di posti di lavoro obsoleti o spariti e coperti soltanto dalla cassa integrazione straordinaria e in deroga, oltre il 40% dei giovani che non studiano o lavorano, questa la drammatica fotografia della terza economia europea: l’ Italia.
Un dramma inarrestabile: precarietà ed impoverimento allagano i più svariati settori, affogando professionalità a tutti i livelli, dagli operai agli impiegati ai professional, mentre chi è fuori dal sistema produttivo non intravede la minima speranza di entrare a farne parte.
“La lotta alla disoccupazione sarà la stella polare del nostro governo, un’ossessione
quotidiana” è il mantra di Enrico Letta, ma la questione è come aggredire un sistema
Paese completamente inceppato, con un ritardo di 25 anni sulla globalizzazione e sulle trasformazioni internazionali dei mercati come ha recentemente sottolineato il Governatore Visco, ed imboccare la via della logica di lungo periodo della piena occupazione.

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E’ da un po’ di tempo che negli incontri e nei dibattiti a cui mi capita di partecipare affiora l’idea che il  “signoraggio bancario”  sia la causa dell’attuale crisi finanziaria. A rilanciare sui mass media un tema, quello del signoraggio bancario e della sua incidenza sulla crescita economica ma caro a molti amici, c’è stato sicuramente lo scalpore suscitato dall’Avv. Marra e le bellezze mostrate (senza particolare pudore) dalla Dottoressa Sara Tommasi, oltre che naturalmente la convinta battaglia di alcuni affezionati.

Dirò subito, a scanso di equivoci con quello che seguirà, che a parere di chi scrive l’attuale crisi ha poco a che vedere con la questione del signoraggio in senso stretto[1],  ma ha, invece, molto a che fare con lo scellerato comportamento del sistema bancario che ha approfittato del clima da farwest  che ha dominato  l’intermediazione finanziaria degli ultimi anni.  Forse con più efficacia la critica andrebbe mossa al comportamento delle banche piuttosto che a quello dell’Istituto di emissione.

Ma andiamo con calma e vediamo di meglio chiarire le questioni in ballo.

Quando parliamo di signoraggio bancario, comunemente intendiamo l’insieme dei redditi derivanti dall’emissione di moneta ed, in particolare, in rapporto all’euro, facciamo riferimento al reddito originato dagli attivi detenuti in contropartita delle banconote in circolazione che viene ricompreso nel calcolo del reddito monetario; ne fa menzione anche l’articolo 32.1 dello Statuto del SEBC, secondo cui il signoraggio è “Il reddito ottenuto dalle Banche Centrali Nazionali nell’esercizio delle funzioni di politica monetaria del Sistema Europeo delle Banche Centrali”.  Come si vede, già da queste prime battute, il potere dalla Banca Centrale di “battere moneta” è garantito in sede di Statuto, e ad essa si riconosce il diritto al signoraggio che risulta essere il ricavo dell’attività delle funzioni di politica monetaria da questa svolta. Insomma, una precisa esplicitazione del ruolo attribuito all’Istituto di emissione e  del compenso riconosciutogli e, soprattutto, come emerge ad una attenta lettura dello stesso statuto e dei trattai , incardinata in un sistema di pesi e garanzie,  che marcano la  distanza tuttavia al diritto riconosciuto al Principe di emettere moneta in funzione dei suoi bisogni.

[1] Maurice Obstfeld, Kenneth S. Rogoff, Foundations of International Macroeconomics, Massachussetts Institute of Technology, 1996, (chapter 8, Money and Exchange Rates under Flexible Prices, section 2, The Cagan Model of Money and Prices, paragraph 6, Seigniorage, pag. 52, e Paul R. Krugman, Maurice Obstfeld, International Economics: Theory and Policy, Addison Wesley, 2009, (Part IV, International Macroeconomic Policy, chapter 22, Developing Countries: Growth, Crisis, and Reform, pag. 626),  definiscono  il signoraggio come il flusso di risorse reali che un governo guadagna quando stampa moneta che spende in beni e servizi.

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Tratto da Il Giornale

L’Ilva, la fabbrica che produce acciaio con base a Taranto, è un caso perfetto per raccontare l’atteggiamento schizofrenico che abbiamo nei confronti del garantismo. Lo invochiamo in ogni dove, ma pensiamo di applicarlo solo ai nostri amici. Fino a questo momento non c’è una, che sia una, sentenza che decreti gli effetti inquinanti del complesso industriale. Non c’è una sentenza che certifichi le colpe dei suoi proprietari e dei suoi manager. Non c’è una sentenza che dimostri la frode fiscale della famiglia Riva. Il solo porsi una domanda sulla correttezza delle tesi accusatorie sembra sacrilego. Eppure nell’immaginario collettivo Taranto è come Chernobyl, i Riva come Al Capone e i dirigenti della fabbrica dei complici in disastro ambientale. Esageriamo? Sentite qua. La fase delle indagini preliminari (che è quella in cui siamo) ha portato alla carcerazione preventiva da un anno, tra gli altri, di Emilio Riva. I magistrati hanno sequestrato le aree a caldo (il cuore) dell’acciaieria. E, sempre in misura cautelare, hanno sequestrato anche un miliardo di suoi prodotti finiti. Una legge fatta dal governo Monti e che avrebbe permesso all’impresa di lavorare è stata bloccata dai magistrati di Taranto con un ricorso alla Corte costituzionale. Perso il ricorso, i magistrati otterranno più o meno lo stesso effetto grazie ad un sequestro monstre di 8,1 miliardi in capo all’azienda. In cui i capi reparto della fabbrica vengono accusati di complicità in reati ambientali. Per sovrammercato, un’altra Procura ha imputato ai medesimi Riva una frode fiscale di 1,2 miliardi. Tutto da dimostrare, davanti ad un giudice di primo grado. E poi, eventualmente, su per li rami della nostra giustizia. Nel frattempo, il governo Letta per tenerla in piedi ha dovuto commissariarla, un escamotage pericolosissimo per chi non considera la proprietà privata un furto.
L’Ilva è diventata il male assoluto. Questo articolo procurerà a chi scrive minacce e insulti di ogni tipo. Ma chiediamo soltanto e laicamente una cosa: siamo sicuri? Siamo certi? L’Ilva, i Riva e i loro dirigenti sono davvero indifendibili. La Confindustria fischietta e ci racconta le solite menate sindacali buone per un convegno a via Ripetta. Un suo uomo del Nord scriveva ad uno dei potenti vicepresidenti romani: «Sull’Ilva dobbiamo fare un casino. Ne va del futuro manifatturiero del nostro Paese. Una Confindustria seria dovrebbe capire che non si può bloccare un settore che vale 7 miliardi. Rischiamo un nuovo caso Fastweb, doveva essere la truffa del secolo e poi si è rivelata un robetta». La risposta del notabile romano: «Appunto. Una Confindustria seria».
L’Ilva è in coma. Ma ciò che in Italia è morto è un minimo senso garantista verso persone e cose oggetto di una così invasiva attività giudiziaria. Per poi ritrovarci tra qualche anno a piangere sulla perdita di un settore industriale strategico e magari con sentenze definitive che ridimensioneranno colpe e pregiudizi.

Carissimi Amici,

vi riporto le considerazioni del dott. Cassano davanti alla tragedia industriale che sta vivendo il Gruppo Riva Ilva e tutti i fornitori e dipendenti, dopo che la magistratura ha sequestrato la cassa della holding Riva Fire bloccando di fatto qualunque movimento finanziario dell’intero gruppo,nessun fornitore da questo fine mese è stato pagato con il rischio che in pochi giorni si arrivi a una reazione a catena di fallimenti/concordati, vista la notevole mole di denaro che si sposta nella vendita del rottame e materie prime della Siderurgia, ci si augura che nei prossimi giorni le associazioni di categoria, le istituzioni intervengano immediatamente per evitare un disastro che potrebbe creare un effetto domino con conseguenze catastrofiche, in una situazione  economico, finanziaria, sociale italiana  già gravissima .

Carlo Alberto Biggini

Siamo in molti a rimanere attoniti dalle vicissitudini che stanno attraversando i Riva. Ora si apprende che l’ultima azione di sequestro della “Magistratura?” ha reso impossibile per tutto il gruppo il pagamento puntuale delle scadenze del mese, causando nel mercato una comprensibile anche se immotivata apprensione.

Certo bisogna considerare che tali situazioni stanno pesantemente compromettendo non più solo i mercati riguardanti l’Ilva e Taranto, ma tutto il ns. comparto da nord a sud, tutta la siderurgia italiana, il commercio interno e le transazioni con l’estero.

Tale follia a cosa mira e a cosa ci porterà? Ci si rende conto che le accuse, le condanne già pronunciate e le pene già inflitte anche se non si è neanche ancora aperto il processo, stanno “uccidendo” non solo i Riva ma anche tutti i ns. già fragili equilibri e bilanci?

Cosa possiamo fare per farci ascoltare e per ottenere un minimo di ragionevolezza dai “potenti”? Da quel potere che ormai rimane l’unico a disporre come meglio crede delle nostre vite e dei nostri soldi e che non deve rendere conto a nessuno delle proprie azioni?

Oltre al carattere di sfogo personale, questa mail cerca di essere anche uno stimolo per tutti a meditare se è veramente arrivato il momento di compiere azioni incisive per ottenere qualche risultato, oppure se rimane qualche spiraglio per la discussione e il ragionamento.

La smettiamo di farci prendere in giro da dei mascalzoni ? Stanno distruggendo le ns. ambizioni e polverizzando il futuro dei ns. figli ! Rimarrà qualcuno in Italia a cui continuare a rubare e infierire?

Cosa pensa in proposito la ns. Associazione Assofermet ? Quali azioni pensa di intraprendere per arginare il disastro?

Resto in attesa di Vs. urgenti considerazioni.

Dott. Giovanni Cassano

Incontri nella Terra di Mezzo, il nuovo libro del Prof. Primo Siena. Clicca sull’immagine per ingrandire

E’ invece dello scorso anno la Perestroika di Mussolini, pubblicazione nella quale si parla ampiamente del Prof. Biggini. Clicca sull’immagine per ingrandire

Certamente il mondo resterebbe, per usare un eufemismo, meravigliato se i giornali, i telegiornali, i twitter annunciassero che Papa Francesco ha dichiarato guerra.

   Eppure, fin dalla sua elezione, nei suoi discorsi, nelle sue omelie è ricorrente il tema della guerra, della guerra al diavolo, con il quale, ancora recentemente, ha dichiarato, in modo perentorio, che non ci può essere dialogo, e che, non senza ironia, ha definito un “cattivo pagatore”.

   Proprio su questi temi della predicazione di Papa Francesco è uscito, sull’Osservatore Romano, un bell’articolo il 4 maggio scorso di Inos Biffi, il quale ha messo in evidenza come il Nuovo Testamento, non solo i Vangeli, ma le Lettere paoline, le Lettere di Giovanni, l’Apocalisse, sia tutto caratterizzato proprio dalla rappresentazione di questa grande battaglia, che è iniziata prima della storia e si prolungherà fino alla fine dei tempi.

   Ancora prima della sua elezione a Vescovo di Roma, l’allora Cardinale Bergoglio, a proposito delle proposte di legge sul matrimonio omosessuale, le attribuiva all’invidia del demonio, attraverso la quale – così scriveva ai monasteri carmelitani di Buenos Aires – il peccato entrò nel mondo: “un’invidia che cerca astutamente di distruggere l’immagine di Dio, cioè l’uomo e la donna che ricevono il comando di crescere, moltiplicarsi e dominare la terra”.

   In altre parole non si trattava, per il Cardinale Bergoglio, di una battaglia politica, ma del tentativo distruttivo del disegno di Dio, tentativo voluto dal demonio per confondere e umiliare gli uomini.

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signoraggioSo bene che chi scrive su questo argomento (il signoraggio) rischia la vita. Perché?  Leggete avanti.

Quante volte ho confessato che di  economia ne capisco poco. Tuttavia, quando in un giorno del 2003 mi fu chiesto di organizzare un MANIFESTO DEL XXI SECOLO, aderii con entusiasmo, con l’idea di riaccendere quella fiamma che animò tanti uomini e donne, in quel 14 novembre 1943, quando a Castelvecchio a Verona si celebrò il congresso del Partito Fascista Repubblicano. E in quel contesto vennero fissati i punti cardini di un Manifesto che avrebbe dovuto essere la premessa della nuova Costituzione dello Stato Repubblicano. Poi fummo sopraffatti dalla più grande coalizione liberal-capitalista e l’idea della socializzazione dello Stato andò a morte prima della nascita.

Ma torniamo al 2003. Quando mi fu affidato l’incarico contattai Rutilio Sermonti, Alberto Spera, Stelvio Dal Piaz, Carlo Morganti e, Manlio Sargenti che essendo lontano e piuttosto malato non poteva intervenire direttamente, tuttavia mi garantì l’assistenza. Tutti aderimmo con entusiasmo. Ho tralasciato di ricordare, a ragion veduta, la presenza attiva di Giacinto Auriti. Così nacque il Manifesto del XXI secolo. “Ho tralasciato”, come ho scritto, “a ragion veduta”, la collaborazione di Giacinto Auriti perché in quel periodo di economia ne capivo ancor meno di quanto ne capisco oggi. Quando questo maestro (Giacinto Auriti) mi parlava di signoraggio, non lo capivo e, probabilmente non capivo perché mi sembrava impossibile (come mi sembra impossibile ancora oggi) che una truffa di questa portata possa aver preso vita senza che gli organi di uno Stato, che si dice dei diritti e della libertà, non sia intervenuto (e ancora oggi non interviene) a bloccare quella che alcuni sostengono essere la più grande truffa mai perpetrata.

Per essere più chiari riporto il Punto 13 delle Proposte ideali, voluto e imposto proprio dal (Grande) Giacinto Auriti: <Il popolo crea la ricchezza col proprio lavoro. La moneta nasce dunque di proprietà dei cittadini. Essa è di proprietà del popolo e la sovranità di essa appartiene al popolo>. Inutile ripetere che allora, in quel contesto, mi sembrava fissare un punto di grande ovvietà. Invece… Sì, invece approfondendo l’argomento ho cominciato (finalmente) a capire qualcosa.

Qualche giorno fa ho ricevuto una mail da Excalibur Italia contenente un articolo di Gianfredo Ruggiero, articolo dal quale riporto molti concetti.

Gianfredo Ruggiero inizia ricordando che all’origine del debito pubblico (chiamiamolo  così, anche se questo è il frutto della grande truffa), che ha generato nei conti dello Stato una voragine in continuo aumento, vi è un meccanismo ben congeniato definito “signoraggio”.

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Verso una Assemblea costituente

Il CESI sta terminando il lavoro di elaborazione di un Appello agli italiani per una nuova Costituzione e di un Manifesto per la rifondazione dello Stato. Ne uscirà un volume articolato, non solo nelle proposte di indirizzo, ma anche in numerosissime e corpose note esplicative.

Non si tratta di una bozza di articolato per la necessaria nuova Costituzione, che dovrà sostituire quella superata del 1948, ma una serie di sostanziosi indirizzi tali da focalizzare le problematiche incombenti ed indicare i contenuti del lavoro di una Assemblea costituente.

Sull’argomento pubblichiamo un articolo del Consigliere CESI, Innocenzo Cruciani, noto giornalista già direttore per lungo tempo del Giornale Radio Rai ed ora Presidente della Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo.

In esso, Cruciani delinea il travagliato ed inutile percorso della classe dirigente partitocratica che per decenni ha tentato di affrontare le necessarie riforme costituzionali, senza però essere capace di dare quei risultati che già da tempo erano indispensabili e che ora finiscono per essere inutili persistendo l’attuale sistema politico.

 

(G.R.)

 

Necessità di una fase costituente

 

 

Strutturale incapacità riformatrice

dell’attuale sistema politico

di Innocenzo Cruciani

Una questione più di tante altre salda la storia della prima repubblica a quella attuale  della seconda repubblica o repubblica di mezzo: la pertinace riluttanza a fare le riforme, la latitanza dei partiti dinanzi alla necessità di aggiornare le regole dello stare insieme.

Il cronista, o lo studioso, che voglia ricostruire la vicenda delle riforme mancate, negate oppure omesse si trova a percorrere una sentiero tortuoso lastricato di dichiarazioni solenni, di buone intenzioni, di

appuntamenti mancati e di promesse non mantenute, mentre circoli politici e costituzionalisti continuano a dividersi tra quanti considerano la Costituzione moderna e intoccabile e quelli che invece la giudicano datata , in ritardo, inadeguata a garantire l’agile funzionamento di una grande democrazia europea.

C’è oggi più di ieri una pressante richiesta di riforme che viene dai settori produttivi della società: una domanda di riforme grandi e piccole, capaci di riscrivere le norme che disciplinano il funzionamento della democrazia, di allentare i vincoli che rallentano e in troppi casi bloccano lo sviluppo, di favorire chi vuole fare impresa e creare occupazione e ricchezza.

Che qualcosa non funzioni e abbia urgente bisogno di revisione lo dice con parole nette anche colui che della Costituzione è il supremo custode, il presidente della Repubblica. Nel discorso del giuramento che ha segnato l’inizio del suo secondo mandato, Napolitano ha definito  “imperdonabile il nulla di fatto in materia di sia pur limitate e  mirate riforme della seconda parte della Costituzione, faticosamente concordate e poi affossate, e peraltro mai giunte a infrangere il tabù del bicameralismo paritario”. I tentativi di modificare la Carta sono stati puntualmente vanificati dalla “sordità” delle forze politiche. Neppure la grave crisi economica e sociale che attraversiamo ha smosso i partiti e “hanno finito per prevalere contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi: ecco che cosa ha condannato alla sterilità o ad esiti minimalistici i confronti tra le forze politiche e i dibattiti in Parlamento”.

La critica che il presidente della Repubblica ha rivolto al “tabù” del bicameralismo, questione dibattuta da decenni,  trova conferma nel documento preparato dai “saggi” messi al lavoro dal Quirinale mentre Bersani girava a vuoto attorno al tentativo di comporre una maggioranza ignorando i rapporti di forza parlamentari.

 

Scrivono i “saggi”: “Il gruppo di lavoro ritiene che l’attuale modello di bicameralismo paritario e simmetrico rappresenti una delle cause  delle difficoltà di funzionamento del nostro sistema istituzionale. A tal fine propone che ci sia una sola Camera politica  ed una seconda Camera rappresentativa delle autonomie regionali (Senato delle Regioni)”.

Mentre ascoltavamo nell’aula di Montecitorio il discorso di Napolitano, la mente ripercorreva la sequela degli appuntamenti mancati, il lungo elenco delle riforme promesse e poi omesse.

Errori ed omissioni vanno distribuiti tra i partiti, a cominciare da quelli “storici” che hanno condotto il gioco nella prima Repubblica. Fu per il centrodestra un errore grave la decisione di ribaltare il tavolo della Bicamerale costituita nel 1997 e presieduta da D’Alema.

Il 24 gennaio 1997 venne promulgata la legge costituzionale che prevedeva l'”Istituzione di una Commissione parlamentare per le riforme costituzionali”. Alla presidenza , oltre a D’Alema, furono eletti tre vice presidenti: Leopoldo Elia (PPI), Giuliano Urbani (Forza Italia), Giuseppe Tatarella (AN). Ma il 1 febbraio 1998 Berlusconi sconfessa la Bicamerale e chiede un cancellierato con sistema proporzionale. Il 9 giugno il presidente della Camera, Violante, annuncia all’aula che D’Alema gli ha comunicato che l’ufficio di presidenza della commissione ” ha preso atto del venire meno delle condizioni politiche per la prosecuzione della discussione”.

Fu una grande occasione mancata. Si sarebbero potute fare le riforme che il paese aspettava, i partiti avrebbero  dato le risposte che la gente chiedeva, le maggiori forze parlamentari in campo si sarebbero reciprocamente riconosciute e legittimate superando così le divisioni e i sospetti che avevano circondato e intriso la Costituzione dell’immediato dopoguerra.

Ma anche a sinistra furono in molti a fare sabotaggio dietro le linee. L’antiberlusconismo ideologico fu pessimo consigliere di chi temeva di non potere più combattere Berlusconi avendolo come interlocutore e collaboratore in una epocale riforma della Costituzione. Anche in quella occasione la parola d’ordine fu “Mai con Berlusconi”.

La storia delle mancate riforme è li ad inchiodare partiti e uomini alle rispettive responsabilità. Ci provarono tra il 1983 e l’85 con la bicamerale presieduta da un galantuomo, il liberale Bozzi. Ci riprovarono nel ’93 con la bicamerale De Mita-Iotti. Poi fu la volta della bicamerale D’Alema del ’97 finita come abbiamo detto.

Ora Enrico Letta, nel discorso con cui ha presentato il governo “di servizio” o delle larghe intese, ha immaginato una Convenzione per riprendere il cammino incerto e più volte interrotto della riforma costituzionale. Al momento è difficile prevedere se ci saranno le decisioni politiche e il tempo,  nella legislatura appena cominciata, per rivedere una Costituzione pensata e scritta quando da poco era finita la guerra ma non del tutto la guerra civile.

In mancanza di risposte tempestive e concrete, chieste con insistenza per primo dal capo dello Stato, resta una sola possibilità per dare alla Nazione le regole fondamentali e far funzionare la democrazia: una Assemblea costituente che in un tempo da stabilire scriva una nuova Costituzione.

All’attenzione del Direttore di “Metronews” – Redazione di Roma

 

Nettuno, 20 Maggio 2013

Egregio Direttore,

è con piacere che ho letto l’articolo comparso oggi Lunedì 20 Maggio 2013 di Lorenzo Grassi: Pio XI: basta il “Cupolone” a salvarci dalle bombe. Al termine della lettura, la mia attenzione si è concentrata nell’articolo di corredo in basso a destra, non firmato, redazionale, dal titolo I due bombardamenti ad opera dei fascisti, in cui si ripete una falsità storica da decenni smascherata, oggetto – tra l’altro – di un mio studio (Santità, chi è stato? Bombe angloamericane sul Vaticano 1943-1944, Fondazione della RSI, Bologna 2011).

Nell’articolo si afferma testualmente: “L’obiettivo del raid voluto dal gerarca repubblichino Roberto Farinacci (come documenta il libro 1943 Bombe sul Vaticano di Augusto Ferrara) erano gli impianti di radio vaticana”. Ebbene, come ben si dovrebbe sapere, Farinacci e i fascisti della RSI non c’entrano nulla con questa triste vicenda i cui responsabili sono solo gli Angloamericani (i veri autori dei due bombardamenti) e, soprattutto, come ho evidenziato nel mio studio, il libro da voi citato, a tal proposito, non documenta assolutamente nulla. Anzi, si riproducono solo stralci di documenti che, se pubblicati nella loro interezza, avrebbero svelato il vero volto dei profanatori dei palazzi apostolici: gli Statunitensi.

La fandonia dei “bombardamenti fascisti” contro la Santa Sede – come l’altrettanto fantasiosa leggenda del progettato rapimento da parte dei Germanici del Pontefice – nasce e si sviluppa in circoli antifascisti per mere esigenze di propaganda politica. Una fandonia, come abbiamo già detto e documentato, smascherata decenni fa, ma che, di tanto in tanto, fa capolino, specie durante le campagne elettorali, dove l’obiettività è spesso vittima di manovre politiche interessate a gettare odio contro gli avversarsi.

Per amore della realtà storica, Vi prego di rettificare quanto affermato nel Vostro articolo, rimandando per ogni approfondimento al mio studio (http://campomarzio.spazioblog.it/181603/SANTITA%26%2339%3B%2C+CHI+E%26%2339%3B+STATO%3F+Bombe+angloamericane+sul+Vaticano+1943-1944.html), che si può richiedere alla Fondazione della RSI – Istituto Storico di Terranuova Bracciolini (tel. 051.24.03.41; p.e.: info@fondazionersi.org).

 

In attesa di un Vostro riscontro, invio distinti saluti.

 

 

Pietro Cappellari

Ricercatore Fondazione della RSI

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