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Il 23 Marzo 2014, XCV Anniversario della fondazione dei Fasci Italiani di Combattimento, oltre duecento persone hanno affollato il Campo della Memoria di Nettuno (Roma), per la cerimonia di riconsacrazione del cimitero di guerra della RSI, atto dovuto dopo che una banda di immigrati aveva rubato le lapidi in ricordo dei caduti.

Il sacrario del Ministero della Difesa è stato nel corso degli anni più volte profanato, prima da “neopartigiani”, oggi da stranieri. L’Associazione “Campo della Memoria” ha provveduto al ripristino di tutte le lapidi rubate e ha chiamato a raccolta chi crede ancora nei sacri ed immortali valori della Patria, della Nazione, del Popolo, perché con un atto di presenza si possa mandare un monito agli antifascisti che da sempre si sono schierati contro ogni ricordo dei caduti italiani della Seconda Guerra Mondiale, quali sono i ragazzi della RSI che si opposero tra il 1943 e il 1945 all’invasore angloamericano, immolando le proprie vite in nome di un’Idea, della libertà e dell’onore d’Italia.

Presenti i labari e le bandiere di guerra dell’Unione Nazionale Combattenti della RSI, dell’Associazione Xa Flottiglia MAS – RSI, dei Volontari di Guerra (tra cui spiccavano i labari delle Federazioni dell’Istria, del Carnaro e della Dalmazia e di Roma), del Battaglione “S. Marco”, della Legione M d’Assalto “Tagliamento” e dell’Associazioni Paracadutisti d’Italia (Roma, Voghera – Oltrepo Pavese, Latina e Anzio-Nettuno). Non hanno mancato di mandare una propria delegazione l’Ordine dell’Aquila Romana e l’Associazione Nazionale Arditi d’Italia. Presenti anche gli ultimi reduci della Decima MAS, della Legione “Tagliamento” e della “Folgore”, tra cui ricordiamo il Paracadutista Sante Pelliccia di Nettuno, combattente di El Alamein. Messaggi di partecipazione sono stati portati dalla Principessa Borghese e da Anna Maria Mussolini. Moltissimi i giovani che con la loro presenza hanno voluto raccogliere il testimone che i combattenti della Repubblica Sociale Italiana hanno offerto loro in un simbolico passaggio delle consegne nel nome della Patria immortale.

 

Ufficio Stampa

Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia

Dal 26 Febbraio 1944, dopo l’uccisione del Commissario del Capo della Provincia in Leonessa Francesco Pietramico, la situazione dell’ordine pubblico sull’altopiano leonessano andò progressivamente peggiorando. La pressione della guerriglia che sconfinava dall’Umbria fece si che, il 14 Marzo seguente, il Distaccamento della GNR – che assicurava la sicurezza in tutta la zona – venisse ritirato in quanto considerato indifendibile. Il giorno dopo, andati via i fascisti, su Leonessa calarono i partigiani. Dopo un corteo festoso e le solite violenze, tornarono sui monti. Ormai, l’ordine era definitivamente compromesso. In questo scenario maturò uno dei più gravi e ingiustificati episodi di sangue che colpirono la provincia di Rieti in quel drammatico 1944. Il 16 Marzo, sei-sette ribelli con passamontagna e fazzoletti al viso penetrarono nell’abitazione della famiglia Vannozzi nella frazione di Capodacqua di Leonessa. Aggredirono i presenti e si scagliarono contro la giovane mamma Assunta Vannozzi di 29 anni, a letto febbricitante, accusandola di essere una “spia”. Le strapparono il figlioletto Luigino di due anni e la strascinarono in strada tra grida strazianti che fecero eco in tutta la vallata. Poi, con una spietatezza unica nel suo genere, un partigiano estrasse una pistola scaricandola contro il corpo della disgraziata piangente. Infine, il colpo di grazia alla nuca. “Giustizia” era fatta.

I ribelli, infine, “prelevarono” dall’abitazione tutto quanto era asportabile e tutto quanto avesse un valore, dal corredo di nozze ai gioielli, per poi scomparire per sempre nella boscaglia dalla quale erano venuti.

Una normale spedizione partigiana diranno i più, se non fosse che la povera Assunta Vannozzi non era imputabile di nulla. Si trattò di un’esecuzione ingiustificata. Nel dopoguerra, vennero accusati dell’assassinio tre partigiani locali (gli altri non furono mai identificati): Concezio Antonelli, Mario Romano e Enzo Lucci (l’esecutore materiale). I primi due negarono ogni addebito, mentre Lucci affermò di aver agito su ordine della Brigata “Gramsci”. Come era ovvio, date le chiare disposizioni in materia che consideravano “legittimi atti di guerra” tutte le azioni compiute dai ribelli nel corso della guerriglia, i tre vennero scarcerati. Comunque, la Magistratura accertò che Assunta Vannozzi era innocente e che il suo assassinio fu un “errore di valutazione”.

Sul drammatico episodio di sangue cadde una fitta coltre di omertà (ancor oggi riscontrabile) e quelle rare volte che si parlò della morte della Vannozzi si volle addirittura infangare la moralità della povera mamma, uccidendola così una seconda volta. E pensare che Assunta – che non si era mai occupata di politica – aveva aiutato in quei mesi anche numerosi soldati “sbandati” del Regio Esercito che non volevano aderire alla RSI. Ma tutto ciò fu vano. Ancor oggi, nessuno sa il motivo perché la giovane mamma venne uccisa e i nomi di tutti coloro che parteciparono alla spedizione punitiva, all’assassinio e al saccheggio della casa.

Nel settantennale dalla tragedia che lasciò a un piccolo orfano una cicatrice mai rimarginata, il Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti si è recato sul luogo del luttuoso evento e nel cimitero di Vallunga dove riposa Assunta Vannozzi per omaggiare una vittima dell’odio antifascista, uccisa innocente e vigliaccamente vilipesa dopo la morte.

«A tanti anni da questo dramma – ha dichiarato il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti – siamo venuti a Leonessa con l’intento di chiedere una pubblica riabilitazione della giovane mamma di Capodacqua. Per questo abbiamo chiesto ufficialmente al Sindaco di Leonessa che la via che congiunge Ocre a Capodacqua venga dedicata alla memoria di Assunta Vannozzi e che sul luogo dell’uccisione sia eretta nuovamente una croce (divelta a seguito di lavori stradali e mai ripristinata). Un atto dovuto che l’intera comunità leonessana deve a una sua concittadina uccisa troppe volte, fisicamente e moralmente. Essere qui oggi per noi è un atto non solo di carità cristiana. Siamo qui non solo per un giusto tributo ad un’innocente che oltre ad essere stata ingiustamente uccisa e strappata all’affetto dei cari, è stata vilmente vituperata per decenni da personaggi senza scrupoli; ma anche per un dovere morale che avevamo con Luigino Montini, il figlio di Assunta, che per tutta la vita ha portato nel suo cuore i segni indelebili di quella tragedia ingiustificata. Oggi che Luigino non è più con noi, ma è tornato tra le braccia della mamma che gli fu strappata dall’odio politico quando aveva solo due anni, siamo qui per ricostruire quello che realmente avvenne, abbattendo definitivamente il muro di omertà costruito dalla vulgata antifascista. Speriamo che Assunta e Luigino, da lassù dove ci guardano, finalmente, possano ora riposare in pace».

 

Ufficio Stampa

Comitato Pro 70° Anniversario

della RSI in Provincia di Rieti

Il significativo avvio della riunificazione identitaria
Come è noto, si è svolto a Fiuggi il 1° Congresso Nazionale del nuovo partito Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale. Dopo una incubazione di un anno è stata realizzata la sostanziale convergenza della maggior parte delle forze nazionali e sociali andate disperse dopo la fusione con Forza Italia nel Popolo della Libertà avvenuta nel marzo del 2009. Il CESI – che è nato con il compito di effettuare analisi e di studiare progetti e programmi coerenti con quella dottrina politica nazionale e sociale che fin dagli inizi del secolo scorso indicò una strada di progresso civile per l’Italia – ha seguito e partecipato, tramite il suo Presidente, all’evento. La manifestazione di Fiuggi si è rivelata di forte consistenza sia per la qualità degli interventi di esponenti giovani e meno giovani, nonché di nuove personalità aderenti, sia per la enorme partecipazione di delegati da tutta Italia (oltre gli ospiti, 3.150 sono stati i delegati, la maggior parte dei quali appartenenti alle giovani generazioni).
Dopo aver cantato tutti in piedi l’Inno di Mameli Fratelli d’Italia, ha aperto i lavori con un lungo intervento l’on. Giorgia Meloni, che è stata eletta alla fine del Congresso Presidente del partito. I suoi interventi, all’inizio e alla fine, sono stati di notevole spessore politico sia per quanto riguarda le analisi che per quanto ha riguardato le finalità della nuova forza politica che si presenta con forti tinte di alternativa al sistema vigente. Giorgia Meloni ha chiuso il Congresso promettendo, all’interno del partito, «partecipazione, regole e trasparenza». Riferendosi al suo ruolo, ha affermato «… ci siamo assunti una responsabilità enorme, ci siamo caricati sulle spalle una tradizione straordinaria … io non avrò mai la presunzione di essere all’altezza di Giorgio Almirante, io sono una persona che semplicemente farà la sua parte. Prendiamoci per mano e facciamo insieme il percorso. Non lasciateci soli. Non lasciatemi sola». E a coloro che non si sono ancora riuniti ha lanciato l’appello: «Volete stare seduti o volete alzarvi? Perché se non volete stare seduti, se volete alzarvi, Fratelli d’Italia è la vostra casa. Buon viaggio, fratelli ! ».
Al termine del Congresso è stato eletto un ufficio di presidenza che ha il compito di coadiuvare l’attività del Presidente Giorgia Meloni. Ne fanno parte: Ignazio La Russa, Guido Crosetto, Gianni Alemanno, Fabio Rampelli, Massimo Corsaro, Edmondo Cirielli, Magdi Cristiano Allam e Antonio Guidi.
Per la necessaria informativa e l’opportuna valutazione pubblichiamo in questo numero alcuni brani essenziali dell’intervento del Presidente di Fdi-An, on. Giorgia Meloni; l’articolo di Donna Assunta Almirante apparso in prima pagina su Il Tempo il giorno del Congresso; nonché il testo integrale dell’intervento del Presidente del CESI, prof. Gaetano Rasi.

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO

- Congresso Nazionale Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale, Fiuggi 8-9 marzo 2014. Il discorso di apertura del Presidente Giorgia Meloni

- “Guardiamo oltre…per ricostruire ancora una volta l’Italia”.
Ridate vita al sogno di Giorgio di Assunta Almirante

- L’intervento al Congresso del Presidente del CESI
Un progetto politico per una ripresa unitaria e coerente di Gaetano Rasi

- Alcuni titoli delle cronache giornalistiche

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A pochi giorni dalla manifestazione in cui una delegazione del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti si è recata a Poggio Bustone per rendere omaggio ai tredici caduti della Repubblica Sociale Italiana uccisi il 10 Marzo 1944 dai ribelli dopo che si erano arresi, per la città di Rieti sono stati affissi dei manifesti in ricordo dei combattenti della RSI.
Il manifesto, preceduto dalla frase oraziana “dulce et decorum est pro Patria mori”, è stato stampato dal Comitato sotto l’alto patrocinio morale dell’Associazione Nazionale Famiglie Caduti e Dispersi della RSI ed ha avuto lo scopo di portare a conoscenza della popolazione il tributo di sangue dato alla Patria dai combattenti della Repubblica Sociale Italiana, con particolare riferimento ai caduti della strage di Poggio Bustone, i cui nomi – per la prima volta dal 1944! – sono stati riportati nel manifesto per tutelarne la memoria.
E’ finalmente caduto un muro di omertà, paura e servilismo. Dopo tanti anni si torna a parlare liberamente della Repubblica Sociale Italiana, dei suoi uomini e dei suoi caduti. Un percorso necessario per abbattere l’odio antifascista e costruire un futuro dove l’amore per la Patria unisca tutti gli Italiani in un solo Popolo. Contro chi per 70 anni ha speculato sui morti per costruirsi dorate carriere politiche, si erge la realtà storica che illumina un passato straordinario fatto di sacrifici, sogni e soprattutto amore. Amore per la propria Patria, oggi umiliata e offesa da chi ha fatto della storia, ammantandosi di una inesistente “superiorità morale”, uno instrumentum regni, manipolandola per mere esigenze ideologiche. E’ l’ora che le giovani generazioni rigettino gli insegnamenti di questi “cattivi maestri” e si incammino verso un futuro radioso, dove regni la libertà e il nostro passato possa essere finalmente studiato con serenità.

Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario
della RSI in Provincia di Rieti

L’8 Marzo 2014, una delegazione del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti si è recata a Poggio Bustone per rendere omaggio ai tredici caduti della Repubblica Sociale Italiana uccisi il 10 Marzo 1944 dai ribelli dopo che si erano arresi, una delle prime stragi partigiane registrare in quel lontano 1944. Nel settantennale dell’eccidio, il Comitato ha chiesto ufficialmente al Sindaco di Poggio Bustone di erigere sul luogo dell’esecuzioni sommarie un monumento che ricordi chi si è sacrificato per la Patria, in modo che mai più possano esserci discriminazioni tra morti di “serie A” e morti di “serie B”, perché si possa – finalmente! – giungere ad una vera pacificazione nazionale, dove l’odio antifascista non possa avere più tribuna civile e politica.
Successivamente, la delegazione si è recata al cimitero civile di Rieti dove riposano diversi caduti della RSI della strage di Poggio Bustone. Qui è stata effettuata una pulizia di alcune tombe abbandonate da anni e ripristinato il livello di decoro che si deve a chi ha immolato la propria esistenza per la libertà dell’Italia.
Al termine della breve, ma sentita manifestazione un raggio di sole ha illuminato Poggio Bustone, come a suggellare la sconfitta dell’odio antifascista, battuto sul campo dall’amore per la Patria che il Comitato ha voluto trasmettere alle giovani generazioni perché la loro coscienza non sia più in balia di una storia manipolata per esigenze politiche.
«A 70 anni da questo drammatico evento di sangue – ha dichiarato il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti – c’è chi ancora tenta di speculare politicamente parlando di una “battaglia” di Poggio Bustone che, in realtà, non vi è mai stata. I soldati repubblicani giunti in paese per un’opera di dissuasione contro la renitenza alla leva avevano già terminato il loro compito ed era stato dato il “rompete le righe”, sicché numerosi fascisti, quando sopravvenne l’attacco partigiano, erano in giro per il paese, ospiti di qualche conoscente e, addirittura, a prendere il sole nella piazza centrale. Quello che si registrò fu solamente un fuggi-fuggi generale, nessuna battaglia, sia chiaro. Coloro che non riuscirono a fuggire, come il gruppo del Questore Bruno Pannaria, rimasero imbottigliati nel paese e vennero uccisi dopo che si erano arresi e avevano deposto le armi. Anche per i feriti non ci
fu pietà. Vennero trascinati in strada e falciati sommariamente. Due prigionieri vennero portati sulle montagne e lì uccisi il giorno successivo. Sui cadaveri dei poveri caduti ci si accanì con furia selvaggia. Parlare di “superiorità morale” davanti a tanta sconcezza è a dir poco volgare. A tanti anni di distanza, ancora non vi è chiarezza sui fatti e sul ruolo che ebbero i vari partigiani che si alternarono come protagonisti quel 10 Marzo. Certamente, vi fu un’opera di manipolazione della realtà e già il fatto che il Comandante Mario Lupo sia stato letteralmente cancellato dai libri di storia dovrebbe far meditare più di qualcuno che, anche quest’anno, vorrebbe speculare sui morti per meri fini di propaganda politica. Quella fu una delle più gravi stragi partigiane registrate nell’Italia centro-settentrionale (con l’esclusione della Venezia Giulia). A Poggio Bustone, quel 10 Marzo 1944, si registrò anche il primo Questore della RSI caduto in un’operazione di polizia. Le conseguenze di questo eccidio si vedranno venti giorni dopo, quando i ribelli vennero spazzati via da un massiccio rastrellamento italo-tedesco (senza, per’altro, sparare un sol colpo). Come sempre, a pagare il conto fu la popolazione civile, in gran parte estranea alla guerriglia».

Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario
della RSI in Provincia di Rieti

“Anniversario della Fondazione dei Fasci di Combattimento a Milano in Piazza San Sepolcro”

 

DOMENICA 23 MARZO 2014 – ORE 15.00

CIMITERO MONUMENTALE di MILANO

 Omaggio ai Martiri della Rivoluzione Fascista  ed alla Tomba di Filippo Tommaso Marinetti

 

Associazione Nazionale Arditi d’Italia

http://arditiditalia.com/arditi.anai@libero.it

Unione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana

http://uncrsimilano.blogspot.it/unionecomb.rsi@fastwebnet.it

Il 1° Marzo 1944, un aereo britannico colpì per la seconda volta la Città del Vaticano. Erano i giorni in cui ancora non si erano spente le polemiche per l’insensato sacrilegio della distruzione dell’Abazia di Montecassino e gli Alleati arrancavano disperatamente sia sulla Linea Gustav, sia nella sacca di Nettunia. I nervi erano alle stelle e, in questo clima, “per la seconda volta un aereo americano sganciò alcune bombe nelle immediate vicinanze della Città del Vaticano”.
La posizione neutralista della Santa Sede non andava certamente giù a chi si era arrogato il diritto di dipingersi come un nuovo “crociato”, della democrazia, ovviamente. Anzi, il Vaticano non faceva mistero di condannare la richiesta della resa incondizionata fatta alla Germania dagli Angloamericani, facendo comprendere come questo diktat avrebbe costretto i Tedeschi a combattere fino all’ultimo uomo. A chi sosteneva che gli Alleati combattevano per evitare un’egemonia germanica in Europa, la Santa Sede aveva risposto che così facendo, però, si stava promuovendo un’altra egemonia, quella sovietica. Si può ben capire allora l’imbarazzo degli Angloamericani e la loro rabbia. In questo clima di “incomprensione dei doveri del momento”, maturò l’incursione del 1° Marzo 1944.
Questa volta ci scappò pure il morto: Pietro Piergiovanni. Un operaio sventrato da una scheggia, mentre cercava di rifugiarsi nell’Oratorio di San Pietro. Sfortuna volle che morì per una bomba “democratica” e, quindi, la sua morte fu occultata. Se fosse stato ucciso dai Germanici, oggi, quel disgraziato operaio avrebbe una via in suo nome, in qualità di “martire della libertà” e magari anche una Medaglia al Valore, d’Oro naturalmente.
Abbiamo detto secondo bombardamento, in quanto già il 5 Novembre 1943 aerei angloamericani avevano colpito vigliaccamente il perimetro vaticano, per poi negare decisamente ogni addebito (magari erano stati gli alieni?). Tanto è vero che ancor oggi gli istituti della Resistenza e le associazioni partigiane cercano di sfruttare tali crimini di guerra per la loro propaganda politica, accusando niente meno che i fascisti della RSI di aver attaccato la Sante Sede, sebbene sia appurata la vera nazionalità di chi bombardò il Vaticano.
Ma la storia dei terroristici bombardamenti degli Angloamericani sulle popolazioni italiane rimane ancor oggi una pagina tabù. Si pensi che il 3 Marzo 1944, la Casa delle Madri Pie, in Via del SS. Crocefisso, a Roma, fu colpita da una bomba molto particolare. Si trattava di un “fusto di benzina”,
cioè Napalm che fino ad oggi si credeva utilizzato contro i civili italiani solo dall’Ottobre 1944. Ebbene, pensiamo che a Roma, quel 3 Marzo, avvenne la prima sperimentazione di un’arma vietata dalle convenzioni internazionali. Sperimentazione, naturalmente, contro gente indifesa che così veniva definitivamente “liberata”.

Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia

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